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Introduzione
Se prendiamo in considerazione l’argomento élite, sotto il profilo
temporale, esso è stato sviluppato per più di un secolo e della sua
trattazione possiamo scandire ben quattro periodi.
Un primo periodo si estende dal 1880 al 1925 ed è dominato dalla
scuola italiana di Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto e Roberto
Michels, alla quale si deve la formulazione classica della teoria.
Una seconda fase si colloca negli anni che intercorrono tra le due
guerre mondiali e si alimenta principalmente dei contributi di Karl
Mannheim e James Burnham. Un terzo periodo prende le mosse
dalla fine del secondo conflitto mondiale e stabilisce i canoni di
quella che si potrebbe chiamare la teoria post-classica. Essa
annovera tra i maggiori protagonisti lo statunitense Charles Wright
Mills. L'ultimo periodo, tuttora in corso, segna invece una decisa
battuta d'arresto nel campo della ricerca ma configura con evidente
necessità l'esigenza di una teoria generale prodotta a partire dal
bilancio dei risultati finora ottenuti.
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Considerato ciò, l’obiettivo di questa tesi di laurea non sarà però
quello di analizzare un particolare periodo, o nel suo insieme la
questione elitaria, bensì quello di discutere, almeno in parte, il
fenomeno delle élites contestualizzato nella realtà russa degli
ultimi quaranta anni di storia, facendo anche affidamento sui lavori
degli studiosi sopra citati.
Come vedremo in seguito, verranno analizzati i rapporti che hanno
legato il concetto elitario nel panorama russo allo scopo di far luce
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Sola G., 1993
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sulle strutture organizzative, sul sistema della Nomenklatura in
primis, su due personalità in particolare, quella di Eltsin e del suo
delfino Putin, su due gruppi di potere presenti attualmente a capo
delle gerarchie nella Duma e ai vertici dell’amministrazione statale,
siloviki e (neo) liberali, senza però dimenticare di approfondire
determinati eventi, recenti e passati, che nel bene o nel male
hanno lasciato il segno anche a livello mediatico.
Il lavoro è stato strutturato in tre capitoli: nel primo verrà analizzato
nello specifico il concetto di élite, in un contesto sia sociologico che
politologico, messo a confronto con la teoria del pluralismo e verrà
descritta la struttura ed il reclutamento della Nomenklatura; nel
secondo capitolo il discorso si sposterà sulle figure di Eltsin e
Putin, trattando della loro gestione politica in materia di affari esteri
ed interni; nel terzo ed ultimo capitolo si parlerà invece delle élites
in maniera più specifica, contestualizzata all’area russa
descrivendo in particolare l’organizzazione e gli obiettivi di siloviki e
liberali, e si discuterà di una vicenda riguardante il gruppo
oligarchico con protagonisti Khodorkovski e Lebedev.
Negli ultimi venticinque anni di storia, di cui si discuterà in seguito,
il ruolo acquisito dalle élites, e dalla loro controparte oligarchica, ha
rappresentato una realtà parallela, l’altra faccia di un paese che
ha, indirettamente o direttamente, plasmato la società e le politiche
sia estere che interne. In questo senso l’impronta lasciata nella
realtà russa va analizzata leggendo anche il contesto, la situazione
in cui le élites hanno operato.
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1. Tra élites e Nomenklatura
1.1. Elitismo e Pluralismo: Simili ma non troppo
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La teoria delle élites ha come proposito quello di spiegare
scientificamente una delle tendenze più ricorrenti nella storia
umana, ovvero il fatto che in ogni società ed in ogni epoca una
frazione numericamente ristretta di persone concentri nelle proprie
mani la maggior quantità di risorse esistenti, ricchezza e potere, e
s'imponga alla quasi totalità della popolazione. Filosofi, storici,
economisti, sociologi e politologi, a partire da Platone e Aristotele,
hanno cercato d'individuare le modalità e le cause delle
diseguaglianze sociali e della distribuzione del potere. Il termine
élite trae origine dal femminile di élit, participio passato di élire
scegliere. Si inizia ad utilizzare a partire dal XII secolo, ma è solo
dal XVI che viene adoperato in relazione ai gruppi sociali, sia nel
linguaggio comune che nel linguaggio colto, con il significato di
eletto, scelto, eminente e distinto.
La teoria delle élites
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presenta due dimensioni principali: una
sociologica e una più propriamente politologica. Dalla seconda
metà dell'Ottocento, quando sia la sociologia che la scienza
politica acquistano un più deciso orientamento empirico, il
fenomeno delle disparità presenti nella società diventa il tema
centrale di queste discipline. La sua entrata in scena ha permesso
di introdurre per la prima volta il realismo nello studio
contemporaneo della politica. Ha consentito di separare la scienza
politica dal diritto costituzionale insistendo sull'analisi dei poteri di
2 Teoria delle élites - http://www.treccani.it/enciclopedia/teoria-delle-
elites_%28Enciclopedia_delle_scienze_sociali%29/
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v. Sola G., 2000
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fatto, oggettivi rispetto allo studio dei poteri di diritto o formali, e
inoltre ha svolto una funzione critica nei confronti delle ideologie e
dei miti politici diffusi nell'Ottocento, differenziandosi così dalla
filosofia politica e dalla storia delle dottrine politiche.
Nella tradizione sociologica lo studio della minoranza, che
possiede in misura segnatamente più elevata del resto della
popolazione una o più caratteristiche che questa valuta
positivamente, rientra nella più generale teoria della stratificazione
sociale di impianto ed ha come oggetto l'eterogeneità e la
differenziazione sociale strettamente congiunte ai processi di
selezione sociale e al concetto di capacità naturali. Come ha scritto
Pareto, le élites si manifestano in parecchi modi, secondo le
condizioni della vita economica e sociale: "La conquista della
ricchezza presso i popoli commercianti e industriali, il successo
militare presso i popoli bellicosi, l'abilità politica e spesso lo spirito
d'intrigo e la bassezza di carattere presso le aristocrazie, le
democrazie e le demagogie, i successi letterari nel popolo cinese,
l'acquisizione di dignità ecclesiastiche nel medioevo [...] sono
altrettanti modi coi quali si effettua la selezione degli uomini"
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.
Nella tradizione politologica, in cui si fa ricorso specificamente
all'espressione élite del potere, l'oggetto dell'indagine coincide
invece con la distribuzione del potere politico definito come
possibilità di prendere e imporre, anche ricorrendo alla forza,
decisioni valevoli per tutti i membri di una collettività. In questo
senso la formulazione più classica della teoria è stata dettata da
Gaetano Mosca negli Elementi di scienza politica: "Fra le tendenze
e i fatti costanti, che si trovano in tutti gli organismi politici, uno ve
n'è la cui evidenza può essere a tutti manifesta: in tutte le società,
a cominciare da quelle più mediocremente sviluppate e che sono
arrivate appena ai primordi della civiltà, fino alle più colte e più forti,
esistono due classi di persone, quella dei governanti e l'altra dei
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v. Pareto, 1902; tr. it., p. 163
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governati. La prima, che è sempre la meno numerosa, adempie a
tutte le funzioni politiche, monopolizza il potere e gode i vantaggi
che ad esso sono uniti; mentre la seconda, più numerosa, è diretta
e regolata dalla prima in modo più o meno legale, ovvero più o
meno arbitrario e violento, e ad essa fornisce, almeno
apparentemente, i mezzi materiali di sussistenza e quelli che
all'utilità dell'organismo politico sono necessari"
5
.
Secondo la teoria delle élite in una società vi possono essere tanti
gruppi dominanti quante sono le principali organizzazioni esistenti
ed i loro rapporti possono essere improntati alla competizione e al
conflitto oltre che alla coesistenza e alla concertazione.
Va precisato però che questo non è l’unico modello sviluppatosi sul
concetto elitario: quello pluralista, la cui concezione origin ale risale
ad Arthur F. Bentley
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, interpreta la politica come il risultato di
un'incessante interazione tra gruppi di interesse e di pressione. Se
con il primo modello, e definito come elitistico, viene descritta l'élite
del potere nazionale o locale accentuando la contrapposizione tra i
pochi dominanti e la massa subordinata. Con il secondo modello,
conosciuto come pluralistico, si viene a sottolineare invece il
processo di reciproca interdipendenza e condizionamento che
lega, almeno nelle democrazie occidentali, i pochi ai molti, e
configura l'élite del potere come l'insieme di una pluralità di
minoranze, eterogenee e discordanti. Secondo questa teoria,
sviluppata negli anni cinquanta da David Truman e David
Riesman
7
, la struttura del potere delle società contemporanee
risulta caratterizzata da un sostanziale equilibrio di forze
controbilanciate: non esiste una élite dominante, ma una
disgregazione del potere connessa a una pluralità di gruppi che
competono e si controllano a vicenda nell'articolazione degli
interessi e nella traduzione di questi in domanda politica. Al
5
v. Mosca G., 1923, p. 52
6
v. Bentley A. F. , 1908
7
v. Riesman D. , 1950