dei prigionieri di guerra, ben 1.300.000
7
 che, nello sforzo di dimenticare il più 
rapidamente il conflitto ed il suo portato negativo, furono trattati con 
freddezza se non addirittura con fastidio
8
. Insomma, se l’Italia del 1945 
apparve subito come una realtà provata in tutti i sensi, questo non impedì 
una rapida rinascita del paese sia dal punto di vista produttivo (anche grazie 
ai cospicui aiuti erogati dagli Stati Uniti d’America tramite l’Unrra
9
, l’United 
nations relief and rehabilitation administration) sia da quello della socialità, 
con il veloce risorgere e svilupparsi di partiti ed associazioni di vario genere i 
quali, tornati ad operare alla luce del giorno man mano che la penisola 
veniva liberata dalle truppe alleate, con la conclusione delle vicende belliche 
moltiplicarono le proprie iniziative, dando il via ad una fase caratterizzata  da 
un vivace e variegato dibattito destinato a durare fino al 1948
10
.  
In particolare molto intensa fu l’attività sviluppatasi in seno al mondo 
cattolico, con la nascita di un partito politico, la Democrazia Cristiana guidata 
da Alcide De Gasperi ed attiva a partire dalla fine del 1942
11
, una nuova 
stagione di ampi consensi per l’Azione Cattolica e, non ultima, la creazione 
delle Acli, le Associazioni cristiane dei lavoratori italiani. Le Acli nacquero in 
seguito alla firma del patto di Roma (9 giugno 1944) da parte di Giuseppe Di 
Vittorio, Achille Grandi ed Emilio Canevari in rappresentanza, rispettivamente, 
del Partito Comunista, della Democrazia Cristiana e del Partito Socialista: tale 
accordo diede vita alla Cgil (Confederazione generale italiana del lavoro) 
unitaria, in cui le Acli rappresentavano la corrente cristiana del nuovo 
sindacato
12
, cioè erano chiamate a difendere le istanze e le idee del mondo 
cattolico in seno alla Confederazione.  
Per Grandi le Acli avrebbero dovuto “curare la formazione religiosa, 
morale e sociale dei lavoratori cristiani, contribuendo a salvaguardare la 
                                                 
t
7
 Cfr. S. Lanaro, Storia dell’I alia repubblicana, cit., p. 17. 
8
 Cfr. ibidem, p. 14. 
9
 Cfr. G. Mammarella, L’Italia contemporanea 1943-1998, cit., pp. 87–88. 
10
 Cfr. ibidem, pp. 53–57. 
11
 Cfr. Agostino Giovagnoli, Il partito italiano. La Democrazia Cristiana dal 1942 al 1994, 
Roma–Bari, Laterza, 1996, pp. 33–34. 
12
 Cfr. Carlo Felice Casula, Le frontiere delle Acli, Roma, Edizioni Lavoro, 2001, pp. 15–16. 
 
23
specificità ed il patrimonio ideale del cattolicesimo sociale all’interno del 
sindacato unitario”
13
. Esse si configurarono come una realtà atipica, 
profondamente integrata, specie all’inizio, nel mondo cattolico e molto 
apprezzata dalla stessa gerarchia (a questo proposito basta ricordare le 
parole di Pio XII che definì le Acli le “cellule dell’apostolato cristiano 
moderno” ed il favore con cui furono sempre guardate da monsignor 
Montini) ma, allo stesso tempo, diversa perché dotata di una struttura 
autonoma designata su basi democratiche
14
.  
Con la progressiva liberazione dell’Italia le Acli si diffusero in tutte le 
province della penisola, raggiungendo ben presto una presenza capillare, 
ottenendo un buon riscontro in termini di attività e tesserati (ben 
seicentomila già nel 1948
15
) e rafforzando le proprie strutture a livello 
nazionale. Entrate parzialmente in crisi in seguito alla rottura dell’unità 
sindacale ed alla conseguente nascita della Libera Cgil (1948), che fece 
perdere all’associazione l’investitura sindacale e molto personale dirigente
16
 
(in primis l’onorevole Pastore, responsabile dalla nascita del patronato e 
passato alla guida del nuovo sindacato),  le Acli si trasformarono in 
“movimento sociale dei lavoratori italiani” (secondo il nuovo Statuto 
approvato nel corso del Congresso straordinario del 1948
17
), si ripresero 
presto ed, a partire dai primi anni cinquanta, puntarono decisamente ad 
essere parte essenziale ed integrante del movimento operaio
18
. Nello stesso 
tempo proseguirono nella loro politica di collateralismo nei confronti della Dc, 
come dimostrò in maniera eloquente l’elevato numero di aclisti eletti deputati 
e senatori nelle file di questo partito (basti a tal proposito ricordare la figura 
                                                 
13
 Cfr. Mariangela Meraviglia, Acli. Cinquant’anni di presenza nella Chiesa e nella società 
italiana, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1996, p. 35.  
14
 Cfr. ibidem, p. 35. 
15
 Cfr. Silvio Negro, Nascita del sindacato libero, in “Corriere della Sera”, 19 settembre 1948. 
16
 Cfr. M. Meraviglia, Acli. Cinquant’anni di presenza nella Chiesa e nella società italiana, cit., 
p. 36. 
17
 Cfr. Vittorio Pozzar, Quarant’anni di Acli, Roma, Acli-editrice Formazione e Lavoro, 1985, 
pp. 103- 107. 
18
 Cfr. M. Meraviglia, Acli. Cinquant’anni di presenza nella Chiesa e nella società italiana, cit., 
p. 52. 
 
 
24
di Mariano Rumor, presidente regionale delle Acli venete, deputato per più 
legislature  e per cinque volte presidente del consiglio fra il 1968 ed il 1974). 
 Pronunciatesi in seguito a favore dell’allargamento della maggioranza 
governativa a sinistra (al Congresso di Milano del 1959 l’intervento del 
presidente nazionale Penazzato fu chiaramente orientato in tal senso, 
manifestando la condivisione delle Acli per parecchi punti dell’ipotizzato 
programma di centro-sinistra
19
), le Acli dovettero superare (1959-1960) le 
vicende legate alla decisione di impedire ai parlamentari eletti nelle file della 
Dc di rivestire cariche in seno alla struttura nazionale delle Acli. Questa 
decisione venne presa al fine di evitare troppe connessioni con la realtà 
democristiana ed una forte coloritura politica delle Acli: è l’inizio di una nuova 
fase del movimento che, dopo un periodo di transizione e di evidente 
difficoltà (come testimoniarono le vicende legate alle dimissioni di Penazzato 
e l’inazione delle Acli di fronte ai moti di piazza suscitati dall’operato del 
governo Tambroni, che non andarono oltre una serie di deplorazioni di 
circostanza
20
), vide il progressivo trionfo  delle idee di Livio Labor (diffuse 
tramite la rivista “Moc. Idee, problemi, dibattiti nel movimento operaio 
cristiano”, nata nel novembre del 1960) anche grazie alla presenza nella 
società di una nuova sensibilità verso il mondo del lavoro. Le Acli (che nel 
1961 raggiunsero la ragguardevole cifra di oltre un milione di tesserati
21
) 
dopo il Congresso di Bari di quello stesso anno elessero Labor a loro 
presidente nazionale e videro aprirsi davanti a sé una stagione di profonda 
influenza, dominata dalla chiara intenzione di rinnovare la società e di 
favorire un’ampia partecipazione dei lavoratori alla gestione democratica del 
potere
22
.  
La volontà di rinnovamento trovò un ulteriore motivo di sviluppo nel 
Concilio Vaticano II  e nei fermenti legati alla contestazione giovanile del 
                                                 
t
19
 Cfr. Pietro Di Loreto, La difficile transizione. Dalla fine del centrismo al cen ro-sinistra 
1953-1960, Bologna, Il Mulino, 1993, p. 325. 
20
 Cfr. C. F. Casula, Le frontiere delle Acli, cit., p. 475.  
21
 Cfr. ibidem,  p. 625. 
22
 Cfr. M. Meraviglia, Acli. Cinquant’anni di presenza nella Chiesa e nella società italiana, cit., 
pp. 98-99. 
 
25
1968 ed all’“autunno caldo” nel 1969
23
, anno in cui Labor, dopo aver 
trionfato nel Congresso di Torino (che segnò la fine del collateralismo delle 
Acli nei confronti della Dc) raccogliendo ben il 90% dei consensi, lasciò 
l’associazione per dedicarsi al deludente esperimento del Movimento politico 
dei lavoratori (Mpl), naufragato in seguito agli scarsi consensi elettorali 
raccolti alle politiche del 1972 (il movimento ottenne solo lo 0,4% dei 
suffragi
24
). Le posizioni di Labor, sicuramente innovative ma forse in anticipo 
sui tempi, determinarono, con il loro successivo sviluppo al convegno di 
Vallombrosa del 1970 (nel corso del quale il nuovo presidente nazionale 
Gabaglio parlò di una scelta socialista per le Acli
25
) e unitamente alla 
polemica con l’episcopato, una grave crisi del movimento aclista, destinato a 
perdere proprio per questo una parte non insignificante del suo ascendente e 
dei suoi iscritti.  
                                                 
23
 Cfr. ibidem, pp. 128-129. 
24
 Cfr. G. Mammarella, L’Italia contemporanea 1943-1998, cit., p. 371. 
25
 Cfr. M. Meraviglia, Acli. Cinquant’anni di presenza nella Chiesa e nella società italiana, cit., 
pp. 161-162. 
 
26
1.2 8 agosto 1945 
 
Il Comitato provinciale delle Acli (Associazioni cristiane dei lavoratori 
italiani) si riunì per la prima volta in data 8 agosto 1945, a pochi mesi di 
distanza dalla liberazione di Crema
26
 e di Cremona
27
 avvenuta 
contemporaneamente il 28 aprile 1945, nel primo caso ad opera degli inglesi 
e nel secondo degli americani. In tale incontro il segretario provinciale 
provvisorio Pietro Bonoldi informò “prima di tutto gli intervenuti su quella che 
[doveva] essere l’attività delle Acli e la sua organizzazione”
28
. All’intervento di 
Bonoldi seguì quello dell’avvocato Ennio Zelioli Lanzini, figura di spicco della 
Resistenza cremonese
29
 (alla cui causa pagò un pesante fio con la perdita del 
figlio Bernardino, caduto combattendo contro i tedeschi alla stazione 
ferroviaria di Cremona il 26 aprile 1945
30
), e futuro senatore della 
Repubblica.  
Personalità come quella di Zelioli Lanzini dimostrano come fossero 
parecchi gli esponenti delle neonate Acli ad aver avuto un ruolo di primo 
piano nella lotta contro i nazifascisti. A tal proposito si devono ricordare don 
Ferdinando Mussi
31
, assistente delle Acli diocesane di Crema dal 1945 al 1965 
e figura di primo piano del Cln cremasco tanto da avere avuto un ruolo 
notevole nelle trattative per la resa delle forze nazifasciste e da essere 
inviato in rappresentanza dello stesso Cln ad accogliere le truppe inglesi alle 
porte della città, ed Amos Zanibelli
32
, animatore della resistenza nella zona di 
Soresina il quale, dopo aver rivestito per un breve lasso di tempo l’incarico di 
segretario provinciale delle Acli, sarebbe stato eletto deputato nelle file della 
Dc (1953). 
                                                 
26
 Cfr. Marco Allegri, Le Fiamme Verdi e la resistenza dei cattolici cremonesi, Cremona, 
Federazione Italiana Volontari della Libertà–Associazione Partigiani Cristiani, 1985, p. 105. 
27
 Cfr. Cinquant’anni fa. Crema ed i cremaschi dal settembre ’43 all’aprile ’45, Crema, Libreria 
Editrice Buona Stampa, 1995, pp. 273 e ss. 
28
 Cfr. Archivio Provinciale Acli Cremona (d’ora in poi AA Cr), Registro di verbali di Consiglio, 
n°1, verbale dell’8 agosto 1945. 
29
 Cfr. M. Allegri, Le Fiamme Verdi e la resistenza dei cattolici cremonesi, cit., p. 102. 
30
 Cfr. ibidem.  
31
 Cinquant’anni fa. Crema ed i cremaschi dal settembre ’43 all’aprile ’45, cit., pp. 254 e ss.  
32
 Cfr. M. Allegri, Le Fiamme Verdi e la resistenza dei cattolici cremonesi, cit., pp. 132 e ss. 
 
27
Zelioli Lanzini nel corso del suo intervento suggerì che il territorio di 
competenza avrebbe dovuto essere suddiviso in mandamenti, aventi come 
località di riferimento per la presenza aclista i Comuni di “Soresina, 
Casalbuttano, Pescarolo, Piadena, Casalmaggiore, Pizzighettone, Sospiro, 
Crema, Soncino”
33
.  L’aspetto più significato della riunione fu però l’elezione 
del Consiglio direttivo provvisorio, che risultò essere composto dall’avvocato 
Zelioli Lanzini in qualità di presidente, dal segretario Pietro Bonoldi, dal 
vicesegretario Franco Foderaro, dal vicesegretario per le donne Maria 
Marenzi e dai rappresentanti delle varie categorie dei lavoratori (operai, 
impiegati, lavoratori statali, ferrovieri). Altre decisioni prese riguardarono la 
costituzione dei segretariati del popolo sul territorio provinciale, la necessità 
di una precisa fisionomia e di una adeguata dotazione di mezzi per la sede 
provinciale, la costituzione della fanfara delle Acli e l’apertura serale della 
sede a favore degli iscritti per permettere loro di leggere i giornali di cui si 
disponeva
34
. 
Purtroppo nel verbale della seduta dell’8 agosto il compito delle Acli 
non fu precisato in maniera circostanziata, ma successivamente il presidente 
Zelioli Lanzini, in un intervento sulla stampa diocesana cremonese 
dall’eloquente titolo A tempi nuovi sistemi nuovi, si premurò di dare un 
significato a quella che, altrimenti, non sarebbe stata altro che una delle 
tante sigle allora molto diffuse in Italia. Per Zelioli Lanzini questa 
associazione, nata per iniziativa dei cattolici italiani, avrebbe dovuto porsi 
l’obiettivo prioritario di “immettere nella vita sociale della nazione le forze 
lavoratrici cristiane che per venti anni [avevano] subito la compressione del 
sindacalismo fascista”
35
 ed avrebbe continuato (pur con il vivo desiderio di 
avere una maggiore incisività sulla situazione sociale) il lavoro svolto 
dall’Azione Cattolica tramite i “Raggi”, nati perché si “affermassero nelle 
officine e sui campi la bellezza e la santità dell’idea cristiana”
36
. Le Acli, 
                                                 
33
 AA Cr, Registro dei verbali di Consiglio, n°1, verbale dell’8 agosto 1945.   
34
 Cfr. ibidem. 
35
 Ennio Zelioli Lanzini, A tempi nuovi sistemi nuovi, in “La Vita Cattolica”, 24 agosto 1945. 
36
 Ibidem. 
 
28
proseguì Zelioli Lanzini, si sarebbero proposte fondamentalmente  di 
“incanalare le forze del lavoro sulla strada delle giuste rivendicazioni 
sociali”
37
, senza far uso della violenza “ma con un’opera di bontà persuasiva 
che mira[sse] ad attuare in terra quella fraternità evangelica che sebbene da 
alcuni ritenuta utopistica [era] pure una aspirazione sentita dalle masse”
38
.  
Strumento basilare dell’azione delle Acli nell’assistenza ai lavoratori, 
aperta a tutti al di là della loro fede politica e da svolgersi in collaborazione 
con la Camera del Lavoro, avrebbero dovuto essere le sezioni presenti nei 
singoli Comuni, chiamate ad agire in stretto collegamento con la sede 
provinciale ed i cui dirigenti sarebbero stati liberamente eletti dagli 
associati
39
. Altre importanti realtà acliste sarebbero stati i segretariati del 
popolo, creati per aiutare ed assistere i lavoratori in campo legale e 
tributario, ed i circoli e le filodrammatiche, onde consentire agli iscritti uno 
svago sano ed educativo, conforme ai principi della fede
40
. Tutte queste 
realtà avrebbero dovuto interagire con l’unica meta di “elevare le condizioni 
di vita del lavoratore affinché raggiung[esse] le conquiste economico-sociali 
che si propone[va] il movimento operaio, conservando ed alimentando nel 
lavoratore la sua fede cristiana e lo spirito dell’Evangelo”
41
.  
Queste tesi vennero ribadite da Zelioli Lanzini anche in un successivo 
articolo, apparso sempre sulla stampa diocesana cremonese, in cui, oltre a 
riconfermare l’utilità delle Acli in chiave morale e sindacale, sottolineò 
l’importanza dell’apoliticità dell’associazione perché solo così il movimento 
avrebbero potuto giovare alla causa dell’unità sindacale e permettere una 
soluzione pacifica delle controversie concernenti il mondo del lavoro
42
. 
Si configurò pertanto fin dall’inizio una duplice fedeltà per le Acli, da 
un lato nei confronti del lavoratore e della tutela dei suoi interessi, dall’altro 
                                                 
37
 Ibidem. 
38
 Ibidem. 
39
 Cfr. ibidem. 
40
 Cfr. ibidem. 
41
 Ibidem. 
42
 Cfr. E. Zelioli Lanzini, Nuovi orizzonti per il lavoratore italiano e cristiano, in “La Vita 
Cattolica”, 10 gennaio 1946. 
 
29
verso la fede cattolica e la dottrina sociale della Chiesa: a queste due prime 
fedeltà se ne sarebbe aggiunta una terza, quella alla democrazia, arrivando 
così alla formulazione della cosiddetta “triplice fedeltà” delle Acli, definita dal 
presidente nazionale Penazzato in occasione dei festeggiamenti per il 
decennale della nascita del movimento
43
 (1955). Le tesi propugnate da Zelioli 
Lanzini non sembrano discostarsi più di tanto da quelle diffuse a livello 
nazionale, come adeguatamente testimoniato dall’articolo a firma Stor (e 
quindi facilmente riconducibile al presidente nazionale Ferdinando Storchi) 
apparso su “L’Osservatore Romano” in cui si precisarono motivi ispiratori e 
compiti delle Acli.  
Storchi affermò che le Acli “raggruppa[va]no coloro che, 
nell’applicazione della dottrina del cristianesimo secondo l’insegnamento della 
Chiesa ravvisa[va]no il fondamento e la condizione di un rinnovato 
ordinamento sociale in cui [fosse] assicurato secondo giustizia il 
riconoscimento dei diritti e la soddisfazione delle esigenze materiali e 
spirituali dei lavoratori. Le associazioni intend[eva]no pertanto promuovere 
l’affermazione dei principi cristiani nella vita, negli ordinamenti, nella 
legislazione”
44
, affiancando la loro opera a quella dei sindacati per assicurare 
loro un’ampia partecipazione delle masse cattoliche
45
. Storchi dichiarò altresì 
che per far parte delle Acli sarebbe stato unicamente necessario accettare 
l’insegnamento sociale della Chiesa
46
 e che l’attività delle Acli si sarebbe 
esplicata sia tramite “un’opera di formazione e di educazione spirituale 
tenendo conto dei particolari bisogni”
47
 del lavoratore sia occupandosi in 
concreto delle sue esigenze e più precisamente delle “questioni di lavoro, 
delle pratiche inerenti le varie opere di previdenza, assistenza, assegni a cui 
[aveva] diritto”
48
, con la preoccupazione “di essergli vicino negli eventi 
dolorosi della vita sua e della famiglia, come nel caso di infortuni, invalidità, 
                                                 
43
 V. Pozzar, Quarant’anni di Acli, cit., pp. 195- 196. 
44
 Stor, Le Acli, in “L’Osservatore Romano”, 22 aprile 1945. 
45
 Cfr. ibidem. 
46
 Cfr. ibidem. 
47
 Ibidem. 
48
 Ibidem. 
 
30
morte”
49
. Il tutto in modo autonomo dall’Azione Cattolica, con cui si 
mantennero in ogni caso rapporti di collaborazione e di intesa
50
, e con 
l’approvazione della gerarchia ecclesiastica, visto che lo stesso Pio XII, citato 
nell’articolo da Storchi, aveva esaltato l’opera di queste indispensabili “cellule 
dell’apostolato cristiano moderno”
51
 volte a mantenere vivo “nel mondo del 
lavoro il fondamento religioso e morale della vita in una maniera sempre 
adatta alle particolari circostanze di ogni tempo”
52
 ed a creare inoltre “veri 
apostoli, lavoratori fattisi apostoli dei loro compagni”
53
. 
 
1.3 L’organizzazione della struttura provinciale 
 
Formalmente costituito il Comitato provinciale con l’elezione del 
Consiglio direttivo provvisorio, il compito principale delle Acli consistette nel 
dotarsi di una precisa struttura, obiettivo non certo facile ma indispensabile 
per la realizzazione concreta degli scopi che le Acli si prefiggevano. Lo sforzo 
organizzativo  messo in atto è ben documentato dai verbali delle sedute del 
Consiglio, in cui più volte venne affrontato il problema dell’organizzazione 
della sede provinciale, partendo dal personale necessario (individuato in un 
direttore, un applicato ed un fattorino
54
) per arrivare al reperimento dei 
mobili e della legna per il riscaldamento
55
 ed alla costituzione del Consiglio 
direttivo del patronato
56
. 
Sul buon risultato delle azioni messe in campo nel corso del primo 
anno di attività si possono consultare le relazioni predisposte, su apposita 
richiesta del centro nazionale, dal segretario della sede provinciale Zerbi e da 
quello della sede diocesana di Crema  Calzi in vista del I Congresso nazionale 
                                                 
49
 Ibidem. 
50
 Cfr. ibidem. 
51
 Ibidem. 
52
 Ibidem. 
53
 Ibidem. 
54
 Cfr. AA Cr, Registro dei verbali di Consiglio, n°1, verbale del 23 agosto 1945.   
55
 Cfr. AA Cr, Registro dei verbali di Consiglio, n°1, verbale del 6 settembre 1945.   
56
 Cfr. AA Cr, Registro dei verbali di Consiglio, n°1, verbale del 14 dicembre 1945. 
 
31
che si sarebbe tenuto a Roma dal 26 al 28 settembre 1946
57
 e convocato, 
come dichiarato dallo stesso presidente nazionale Storchi nel suo articolo di 
presentazione dell’importante appuntamento, per “completare la fase 
organizzativa delle nostre Acli e consolidarne la vita attraverso quelle che 
[sarebbero state] le due funzioni caratteristiche del prossimo Congresso: 
approvare lo statuto definitivo ed eleggere le cariche centrali”
58
.  
Per Storchi si trattava di un momento a lungo sospirato e quanto mai 
necessario, tanto da definirlo una sorta di Costituente per l’associazione, 
chiamata ad una serrata fase di lavoro estivo per poter arrivare 
all’appuntamento congressuale con una struttura ben definita e pronta a 
svolgere i compiti che sarebbero stati ad essa affidati. Tutto questo lavoro 
preparatorio, secondo il presidente nazionale, avrebbe inoltre permesso di 
dare vita ad un’assemblea concreta e non fatta solo di esteriorità e di 
parole
59
. 
La presenza di due relazioni separate per Crema e Cremona, oltre a 
permettere di cogliere meglio gli sviluppi delle Acli in queste due diverse 
realtà della provincia cremonese, offre la possibilità di accennare ad una 
costante negativa nella storia delle Acli provinciali, quella del dualismo, 
sfociato con una certa frequenza in incomprensioni e contrasti reciproci, fra 
la sede provinciale di Cremona e quella diocesana di Crema. Questa 
situazione sarebbe stata in parte sanata con l’accordo fra le due realtà 
stipulato nel 1963
60
 sotto la regia della sede nazionale
61
.  
Passando al contenuto delle due relazioni quella del segretario 
provinciale Zerbi
62
 (subentrato a Bonoldi, divenuto nel frattempo componente  
                                                 
57
 Cfr. V. Pozzar, Quarant’anni di Acli, cit., pp. 51-54. 
58
 Ferdinando Storchi, Il primo Congresso, in “Acli. Bollettino mensile delle Associazioni 
cristiane dei lavoratori italiani”, 15 luglio 1946. 
59
 Cfr. ibidem. 
60
 Cfr. AA Cr, Registro dei verbali di Consiglio, n°5, verbale del 19 maggio 1963. 
61
 La mancanza di fonti di archivio sulla sede diocesana di Crema per il periodo dal 1945 al 
1953, quasi sicuramente andate perdute, impedisce di analizzare a fondo le motivazioni di 
tale dualismo, che si sarebbe manifestato in contrasti stridenti già a partire dal 1947. 
62
 Cfr. AA Cr, fasc. Corrispondenza 1946, relazione Zerbi, agosto 1946. 
 
32
del direttivo provinciale del patronato
63
) mise in evidenza tanto le luci quanto 
le ombre di oltre un anno di attività con un’analisi molto circostanziata e 
puntuale della situazione. A livello organizzativo, fatta salva la momentanea 
chiusura dell’ufficio sindacale per l’assunzione del suo titolare alla Camera del 
Lavoro (l’ufficio ebbe una vita breve, visto che la sua costituzione risaliva solo 
al 21 giugno 1946
64
), la struttura provinciale era pienamente operativa, con 
la recente costituzione del Comitato diocesano di Crema, la presenza di 
ventinove circoli dei lavoratori, di quarantuno nuclei aziendali (di cui però 
solo quindici realmente attivi) e di un Consiglio direttivo (peraltro ancora 
provvisorio) ed un’attività quanto mai variegata che spaziava dall’assistenza 
spirituale all’attività presindacale, da quella formativo-culturale a quella 
ricreativa.  
Per ognuno di questi settori di intervento Zerbi enumerò alcune delle 
iniziative svolte: vale la pena di ricordare le proposte di formazione per 
operatori cinematografisti e per infermieri (in collaborazione con l’Ospedale 
Maggiore di Cremona), la creazione di una banda musicale e di una 
filodrammatica presso la sede provinciale, l’organizzazione di una colonia 
estiva a Moena e di un doposcuola per i figli dei lavoratori
65
. Inoltre il 
segretario provinciale non nascose le difficoltà presenti (arrivando ad 
affermare che “l’enumerazione delle difficoltà che si incontra[va]no sia da 
parte del comitato provinciale che da parte dei circoli non avrebbe [avuto] 
termine se non ci [fossimo fermati] alle più importanti”
66
) individuate nella 
mancanza di una sede propria per molti circoli, in una insufficiente attività 
sindacale (cui nel corso del 1946 si sarebbe cercato di ovviare tramite 
l’organizzazione di un corso di base per propagandisti e sindacalisti), nella 
carenza di individui motivati ad agire in nome delle Acli e nelle difficoltà 
frapposte allo sviluppo del movimento dei lavoratori cristiani non solo dalla 
                                                 
63
 Cfr. AA Cr, Registro dei verbali di Consiglio, n°1, verbale del 27 aprile 1946. 
64
 Cfr. AA Cr, fasc. Corrispondenza 1946, costituzione ufficio sindacale, 27 giugno 1946. 
65
 Cfr. AA Cr, fasc. Corrispondenza 1946, relazione Zerbi, agosto 1946. 
66
 Ibidem.  
 
33
“subdola campagna denigratoria“
67
 dei comunisti, ma anche (cosa che 
stupisce ancora di più) dalla “incomprensione non ancora superata di molti 
parroci”
68
.  
A proposito delle critiche provenienti da ambienti comunisti vale la 
pena di citare l’articolo in cui Pali (probabilmente lo pseudonimo di don Lidio 
Passeri, il consulente ecclesiastico di allora) difese la sua associazione dalle 
critiche di Walter Borghisani il quale, in un intervento su “L’Eco del Popolo” , 
aveva accusato le Acli di essere di ispirazione cristiana troppo marcata ed 
invitato le stesse a smettere la propria attività
69
. A tali accuse, definite frutto 
di “una bile politica che spinge[va] a denigrare, a diffamare senza avere 
nessuna prova, solo perché seriamente e concretamente”
70
 le Acli operavano 
a favore dei lavoratori, il sacerdote replicò ribadendo l’apoliticità delle Acli, 
dedite unicamente ad un’opera di tipo assistenziale e presindacale
71
. Inoltre 
don Passeri sottolineò che l’attività di istruzione sindacale dei lavoratori era 
finalizzata al solo scopo di rendere gli stessi più consapevoli dei loro diritti e 
non a minare l’unità sindacale, come invece Borghisani aveva insinuato
72
.  
Nell’articolo venne anche difesa la possibilità che ogni lavoratore 
scegliesse in maniera autonoma da chi farsi tutelare, criticando l’idea che la 
salvaguardia dei diritti dei lavoratori fosse di esclusivo appannaggio della 
Camera del Lavoro e bollando addirittura come fascista il Borghisani per le 
sue posizioni monopolistiche
73
. L’articolo evidenzia i rapporti non certo 
cordiali fra quelle che in definitiva erano due facce della stessa medaglia, 
cioè della Cgil, allora unico sindacato esistente.  
Questo difficile dialogo ebbe strascichi anche in seguito, come 
dimostra un successivo articolo sempre a firma Pali  in cui si replicò ancora 
una volta alle accuse delle forze della sinistra comunista ribadendo che le 
                                                 
67
 Ibidem. 
68
 Ibidem. 
69
 Cfr. Pali, Che male fanno le Acli?, in “La Vita Cattolica”, 31 ottobre 1946. 
70
 Ibidem. 
71
 Cfr. ibidem. 
72
 Cfr. ibidem. 
73
 Cfr. ibidem. 
 
34
Acli, pur essendo strettamente legate alla Democrazia Cristiana, non si 
adoperavano solo in quelle attività che soddisfacevano le esigenze del partito 
(come peraltro, si sottolineava, era normalmente solita fare la corrente di 
sinistra della Cgil unitaria), ma avevano obiettivi molto più alti e generali, 
concernenti il bene e la giustizia sociale di tutti i lavoratori
74
.    
A sua volta Agostino Calzi, nel corposo scritto
75
 inviato a Roma e forse 
un po’ troppo retorico, raccontò le prime attività delle Acli cremasche, da lui 
viste in contrapposizione (per non dire in piena antitesi) con il movimento 
comunista che sembrava allora essere in grado di dominare le masse 
lavoratrici allontanandole dalle fede in Cristo
76
 (da osservare, qui come in 
molti altri scritti, la preoccupazione delle Acli per la vita religiosa dei 
lavoratori). Calzi mise innanzitutto in rilievo quanto fatto dalle Acli a partire 
dalla loro apparizione nel Cremasco: la fondazione di numerosi circoli (venne 
citato come particolarmente attivo quello di Ombriano, popoloso quartiere 
alla periferia di Crema) frutto di un grande lavoro di propaganda, l’opera 
svolta a favore dei disoccupati per facilitarne l’inserimento nel mondo del 
lavoro (a questo proposito Calzi rilevò con rammarico come molti di loro si 
fossero in seguito dimenticati dell’aiuto ricevuto, ma che le Acli trassero non 
di meno vantaggio da questa azione, visto che essa giovò a tutta la 
collettività), le consulenze legali per l’ottenimento di pensioni e di sussidi, per 
la risoluzione di controversie coloniche e per ogni sorta di altra vertenza
77
.  
Non mancarono inoltre le iniziative di tutela dei diritti delle mondine, 
allora categoria molto numerosa (ben 1.500 risaiole si rivolsero alle Acli per 
ottenerne l’assistenza
78
), e quelli delle domestiche e le iniziative più 
propriamente di carattere ricreativo e culturale, come la costituzione di un 
circolo aviomodellistico e di una biblioteca presso la sede diocesana, la 
fondazione di due filodrammatiche molto apprezzate, l’organizzazione di 
                                                 
74
 Cfr. Pali, Eh! birichine le Acli!!!, in “La Vita Cattolica”, 5 dicembre 1946. 
75
 Cfr. AA Cr, fasc. Relazioni 1946–1949, relazione Calzi, s.d. 
76
 Cfr. ibidem. 
77
 Cfr. ibidem. 
78
 Cfr. ibidem. 
 
35
alcune gite
79
. Per l’immediato futuro Calzi sottolineò la necessità di istituire 
una scuola popolare gratuita per la realizzazione di corsi di lingue straniere e 
di una maggiore azione propagandistica per far conoscere nel Cremasco le 
Acli, anche al fine di rintuzzare gli attacchi delle forze di sinistra e di vincere 
l’ostilità della Camera del Lavoro ed, a volte, della Dc stessa. Per Calzi le Acli 
sarebbero state una “fiaccola che risplende[va] nelle tenebre”
80
 in grado di 
migliorare le condizioni di vita di tutti i lavoratori e di vincere i pericoli legati 
al possibile trionfo del materialismo marxista, onde “mantenere una 
fisionomia cristiana alla nostra società”
81
.  
Oltre a queste due corpose relazioni resta effettivamente poca 
documentazione sui primi momenti di attività e pertanto è necessario 
desumere dai verbali le tappe dell’impegno organizzativo aclista, i cui 
momenti principali furono la nomina di un segretario che potesse dedicarsi 
all’attività organizzativa e nello stesso tempo occuparsi della corrente 
sindacale cristiana
82
, la creazione di uno schedario provinciale per facilitare 
l’invio dei materiali e gli studi di tipo statistico
83
 e la progressiva e difficile 
definizione dei rapporti fra la sede provinciale e quella cremasca, che 
avrebbe dovuto essere subordinata a Cremona ma che in realtà godeva di 
una forte autonomia
84
.  In particolare fu molto positivo l’operato di Amos 
Zanibelli in qualità di segretario: nominato nella seduta del 25 aprile 1947, 
egli svolse con zelo, competenza e passione il suo lavoro fino a quando non 
si dimise (ottobre 1948) perché preferì dedicarsi all’attività sindacale, da lui 
ritenuta più consona ai suoi interessi
85
.  
Il lavoro svolto da Zanibelli riguardò principalmente la migliore 
definizione dell’attività presindacale delle Acli tramite i nuclei aziendali, 
utilizzati per penetrare in profondità e con successo fra le schiere dei 
                                                 
79
 Cfr. ibidem. 
80
 Ibidem. 
81
 Ibidem. 
82
 Cfr. AA Cr, Registro dei verbali di Consiglio, n°1, verbale del 25 aprile 1947. 
83
 Cfr. AA Cr, Registro dei verbali di Consiglio, n°1, verbale del 25 maggio 1947. 
84
 Cfr. AA Cr, Registro dei verbali di Consiglio, n°2, verbale del 2 maggio 1948. 
85
 Cfr. AA Cr, Registro dei verbali di Consiglio, n°2, verbale del 3 ottobre 1948. 
 
36
lavoratori. Le sue dimissioni furono accolte a malincuore a livello provinciale
86
 
e nazionale
87
, segno tangibile della stima di cui Zanibelli godeva grazie alle 
sue indubbie doti, che avrebbe messo in seguito a frutto in sede 
parlamentare dopo l’elezione a deputato per la Dc nel 1953. Parte non 
irrilevante nella precisazione della struttura provinciale fu svolta pure dai 
Congressi provinciali (ben quattro nel periodo 1945-1949), come si vedrà.  
L’imponenza degli sforzi iniziali fu sicuramente notevole ma è 
necessario ricordare che non mancarono fin dal principio alcuni problemi, sia 
dal punto di vista finanziario (nonostante le buone entrate garantite dalle 
Giornate per l’assistenza sociale destinate, però, fondamentalmente al 
funzionamento del patronato) sia, come già accennato in precedenza, da 
quello dei rapporti con la sede diocesana di Crema, desiderosa fin dall’inizio 
di una maggiore autonomia e determinata ad ottenerla. La questione si 
sarebbe trascinata a lungo nel tempo e, ad onor del vero, non sarebbe mai 
stata risolta in maniera soddisfacente, tanto da poter essere ritenuta, 
assieme ad altre di matrice più strettamente ideologica, una delle cause della 
futura scissione del 1972.  
I primi contrasti fra Crema e Cremona si ebbero già a partire dal 1946: 
ne rimane una flebile traccia in una lettera del presidente diocesano 
cremasco Volonté alla sede provinciale, in cui rassicurò la stessa circa la 
volontà di Crema di votare in modo conforme a quanto deciso dalla sede 
provinciale al Congresso nazionale. Allo stesso tempo, però, si oppose 
fermamente all’accensione di nuovi debiti per venire incontro alle richieste di 
Cremona
88
. Ad ogni modo la contrapposizione assunse una ben diversa 
coloritura nell’aprile del 1947, quando la sede diocesana di Crema fece 
richiesta di poter trattenere tutto il danaro della quota di tesseramento senza 
                                                 
86
 Cfr. AA Cr, fasc. Corrispondenza 1948, lettera riservata personale di don Lidio Passeri al 
segretario nazionale Penazzato, 19 ottobre 1948. 
87
 Cfr. AA Cr, fasc. Corrispondenza 1948, lettera del segretario nazionale Penazzato  a don 
Lidio Passeri, 15 ottobre 1948. 
88
 Cfr. AA Cr, fasc. Corrispondenza 1946, lettera dell’avvocato Volonté al segretario 
provinciale dottor Zerbi, 25 agosto 1946. 
 
37
versarne alcuna parte a Cremona
89
. L’istanza venne respinta, anche per 
evitare analoghe e pericolose domande da parte di altri circoli, premettendo 
però che la sede provinciale si sarebbe fatta carico delle spese per il 
funzionamento delle Acli di Crema
90
.  
La diatriba non si esaurì qui visto che la vicenda tornò alla ribalta di lì 
a poco (dicembre 1947), con una nuova richiesta di finanziamento, respinta 
sempre per evitare il nascere di pericolosi precedenti
 
 e lo svilupparsi di una 
troppo forte propensione all’autonomia
91
. Fu necessario ancora del tempo 
prima che la situazione si sanasse definitivamente. Infatti soltanto nella 
seduta del Consiglio provinciale del 2 maggio 1948 si arrivò, grazie alla 
mediazione operata dal segretario Zanibelli e dal consulente ecclesiastico 
cremasco don Mussi, ad una parziale soluzione della contesa, con il 
mantenimento in essere della sede diocesana in cambio della promessa di 
una maggior collaborazione con il centro provinciale, onde favorire lo 
scambio di notizie e garantire ai dirigenti cremonesi la possibilità di far visita 
ai circoli cremaschi senza alcuna intermediazione
92
.  
I rapporti in ogni caso rimasero precari e difficoltosi, come dimostra 
anche la vicenda relativa alla nomina del nuovo delegato diocesano nel 1948 
(quando Volonté, favorevole ad un sindacato confessionale, si dimise e 
venne sostituito da Paolo Rovescalli), e destinati a rimanere tali anche in 
seguito, come avrebbe evidenziato adeguatamente il nuovo scontro del 
1952. 
Non particolarmente riusciti furono invece i tentativi di organizzare la 
struttura provinciale giovanile dell’associazione: si nominò il delegato 
provinciale nella persona di Cesare Gastaldi
93
 (ottobre 1947) e si organizzò 
                                                 
89
 Cfr. AA Cr, Registro dei verbali di Consiglio, n°1, verbale del 25 aprile 1947. 
90
 Cfr. ibidem. 
91
 Cfr. AA Cr, Registro dei verbali di Consiglio, n°1, verbale del 28 dicembre 1947.  
92
 Cfr. AA Cr, Registro dei verbali di Consiglio, n°2, verbale del 2 maggio 1948. 
93
 Cfr. AA Cr, fasc. Corrispondenza 1947, lettera del segretario provinciale Zanibelli al 
delegato nazionale per l’attività giovanile Olini, 28 ottobre 1947. 
 
38
un Congresso (4 dicembre 1949)
94
, ma non si riuscì a fare di più, tanto che la 
prima reale assemblea di Gioventù aclista si sarebbe tenuta solo nel 1956. 
Al primo posto fra le preoccupazioni dei dirigenti praticamente fin 
quasi dalla sua costituzione il finanziamento della struttura provinciale turbò 
più volte il sonno degli aclisti cremonesi fra il 1945 ed il 1948, quando i 
bilanci registrarono pesanti passivi. Se il patronato dal canto suo poté 
contare sulle entrate delle Giornate sociali e sull’appoggio economico della 
curia, la sede provinciale dovette far conto unicamente sugli introiti assicurati 
dal tesseramento e dai finanziamenti provenienti da Roma, peraltro non 
sempre certi e, per di più, a volte mal interpretati dai dirigenti locali. Riprova 
ne fu l’annosa vicenda (trascinatasi a lungo fra il 1948 ed il 1949)  relativa ad 
un prestito di 350.000 lire considerato dalla sede provinciale come un 
finanziamento straordinario a fondo perduto ed invece visto dal centro 
nazionale unicamente come una concessione temporanea e di cui si pretese, 
dopo un fitto scambio di lettere e tutta una serie di intermediazioni, la 
restituzione seppure parziale (250.000 lire)
95
. La situazione, ad ogni modo, 
migliorò abbastanza rapidamente, tanto che già a partire dal consuntivo 1949 
le Acli si poterono considerare del tutto autonome dal punto di vista 
finanziario, come dimostrò la soddisfatta comunicazione dell’amministratore 
Busnardo al Consiglio provinciale del 18 settembre 1949, dal momento che 
l’attivo a quella data ammontava già a mezzo milione di lire
96
. 
                                                 
94
 Cfr. AA Cr, fasc. Corrispondenza 1949, lettera del delegato provinciale Gastaldi al 
responsabile di Gioventù aclista di Crema, 15 novembre 1949. 
95
 Cfr. AA Cr, fasc. Corrispondenza 1949, lettera del segretario nazionale Renzo Battistella 
alla presidenza provinciale, 30 settembre 1949.  
96
 Cfr. AA Cr, Registro dei verbali di Consiglio, n°2, verbale del 18 settembre 1949. 
 
39