8 
Non esiste, ad ogni modo, una risposta univoca su quale posizione sia più preferibile 
in assoluto, ma è possibile definirla solo sul singolo caso, analizzando la situazione 
particolare di un’impresa. 
Nel primo capitolo vi è una completa analisi dei principali contributi teorici sulla 
tematica della standardizzazione della comunicazione nei mercati esteri. In particolare, 
sono discusse le strategie di comunicazione più adatte a seconda della tipologia di 
impresa, del tipo di prodotto, del mezzo di comunicazione utilizzato, dell’agenzia 
pubblicitaria prescelta, delle regolamentazioni sugli annunci commerciali nei differenti 
Paesi.  
Essendo la comunicazione d’azienda un soggetto molto ampio, è stata posta enfasi 
soprattutto sulla pubblicità, argomento rilevante a livello aziendale e di più frequente 
trattazione accademica, rispetto ad altri strumenti di comunicazione, quali il contatto 
personale. 
 
Oltre alla notevole importanza accademica, la discussione sulla comunicazione 
internazionale ha evidentissimi risvolti pratici: l’analisi, in dettaglio, della situazione 
pubblicitaria di un Paese permette di avvalorare tale affermazione. Per consentire di capire 
quali sono le caratteristiche fondamentali di cui deve essere dotata una strategia di 
comunicazione per penetrare nel suo mercato, si delineano i caratteri salienti del Paese, 
sotto una molteplicità di punti di vista. Lo studioso oppure l’azienda interessati a lavorare 
su questo mercato dispongono così di una notevole mole di informazioni, utili per capirne 
lo scenario e poter così attuare la strategia, o la ricerca, più adatta alle proprie esigenze. 
La scelta del Paese è ricaduta sulla Cina. Lo Stato asiatico è la principale realtà 
economica di questo decennio, caratterizzato da una crescita economica senza pari che 
l’ha portato verso i vertici mondiali, a livello economico. L’aumento del suo Prodotto 
Interno Lordo è da tempo costantemente su livelli del 10% annuo, il più alto di tutto il 
mondo, e la sua importanza economica è tale da prevedere, in breve volgere, una contesa 
di questa nazione con gli Stati Uniti d’America, in merito alla leadership economica 
mondiale. 
Da un punto di vista pubblicitario, l’analisi di questo Paese è certamente affascinante, 
perché dispone del maggior numero di consumatori al mondo, con un reddito basso 
ma in costante aumento. Ciò che rende ancor più coinvolgente questo tema è il fatto che 
la pubblicità è presente nel Paese solo da un ventennio, poiché in precedenza il 
governo locale non la consentiva. E’ stato così possibile analizzare lo sviluppo della 
 9 
pubblicità su un mercato che ne era privo, in una situazione politica di commistione tra 
dittatura socialista ed apertura economica al capitalismo, con consumatori che si sono 
ritrovati da una situazione di penuria di prodotti ad una di disponibilità totale di ogni sorta di 
bene, con un crescente consumismo di certe fasce di popolazione che si scontra con 
l’indigenza della maggior parte dei restanti abitanti, ancora in una situazione di 
arretratezza economica. 
La Cina, soprattutto in Italia, è vissuta essenzialmente come un pericolo, perché il 
basso costo della manodopera favorisce la vendita dei suoi prodotti, che molto spesso 
sono diretti concorrenti della produzione italiana. Le accuse di dumping e di contraffazione 
di prodotti sono all’ordine del giorno, ma finora poche imprese hanno saputo sfruttare 
invece le opportunità di questo Paese, anziché recriminare esclusivamente sui danni, 
inconfutabili, che comporta. 
Questo lavoro è un contributo alla possibilità di mostrare la Cina non solo come una 
minaccia, ma come un’opportunità per chi saprà entrare correttamente nel suo mercato e 
sfruttarne le enormi dimensioni e disponibilità economiche. Già ora in Cina vi è una 
popolazione, superiore a quella italiana, che può permettersi un livello di vita e di acquisti 
pari a quelli europei. E’ un’occasione che le aziende italiane ed europee non possono 
permettersi di perdere, perché la partita economica del futuro si giocherà negli emergenti 
mercati asiatici, e soprattutto in India e in Cina. 
La possibilità di avere una panoramica sulla comunicazione aziendale in Cina 
agevola la preparazione delle strategie migliori per il settore di proprio interesse. La 
comunicazione non è sicuramente l’unico aspetto da trattare nell’ingresso nel mercato 
cinese, ma di certo non può essere tralasciato perché è tra quelli fondamentali per 
ottenere risultati positivi e non divenire uno dei tanti esempi di azioni di 
internazionalizzazione fallite. 
L’analisi della Cina inizia nel secondo capitolo, ove è presentata una panoramica 
generale del Paese, da un punto di vista macro-economico, per chiarire la situazione 
ambientale del mercato cinese. 
Date le particolarità politiche del Paese - è uno dei pochi ove è ancora vigente un 
governo autoritario comunista -, nel terzo capitolo sono spiegate le principali normative 
che riguardano il settore della comunicazione, così da offrire una panoramica sulla 
legislazione che regola questa materia. 
Lo sguardo sul mercato pubblicitario cinese si delinea più accuratamente con il 
capitolo quattro, che analizza in profondità i principali mezzi di comunicazione cinesi, 
 10 
contribuendo alla conoscenza della materia anche attraverso dati che difficilmente sono 
disponibili al pubblico italiano, quali quelli sui costi pubblicitari e sull’audience dei media. 
Per conoscere l’andamento attuale della pubblicità in Cina, nel capitolo successivo è 
presentata la spesa pubblicitaria negli ultimi anni, che mostra quali settori ed aziende 
hanno effettuato i maggiori investimenti di comunicazione ed i mezzi più idonei per 
comunicare con i consumatori cinesi. 
Tra le scelte più importanti in una strategia di comunicazione, un posto di riguardo è 
occupato da quella che riguarda l’agenzia di pubblicità, fondamentale partner nella 
progettazione e nell’implementazione della strategia di advertising. Il contributo proposto 
nel sesto capitolo delinea la situazione attuale nell’industria pubblicitaria e dà validi aiuti 
nella scelta del miglior partner di comunicazione per la propria azienda. 
Per poter decidere quale pubblicità proporre, un passo fondamentale è capire le 
caratteristiche del proprio pubblico, quali sono i suoi valori, come reagisce agli annunci 
commerciali. Il capitolo sette consente di definire questi aspetti, evidenziando i tratti 
salienti del consumatore, le caratteristiche delle pubblicità a costui rivolte e proponendo le 
soluzioni pubblicitarie più idonee, secondo il prodotto e altre variabili. 
L’ottavo capitolo spiega le strategie di marketing e di comunicazione utilizzate da 
un’azienda europea che è riuscita a divenire uno dei leader, nel mercato di competenza, in 
Cina, anche attraverso appropriate campagne pubblicitarie. 
Infine, dopo l’ampia parte dedicata alla situazione pubblicitaria in Cina, che affianca 
informazioni quantitative a parti qualitative e propositive, vi sono le implicazioni pratiche di 
marketing che derivano dalle precedenti analisi. E’ importante sì capire il funzionamento 
del mercato cinese, ma ancor di più proporsi attivamente in base alle informazioni di cui si 
dispone, in modo da comunicare efficacemente con il proprio pubblico e trasferire questo 
rapporto positivo a livello di vendite. 
 
La parte teorica del primo capitolo si basa interamente sulla bibliografia presente in 
materia, mentre i capitoli specificamente dedicati alla Cina sono frutto sia di precedenti 
studi, sia di dati ottenuti direttamente dall’esperienza personale in Cina. Quest’ultima, 
finalizzata ad una ricerca sul sistema televisivo cinese, è stato un importante punto di 
partenza, per cercare di capire il funzionamento del mondo pubblicitario cinese dal suo 
interno e per offrire al lettore un punto di vista arricchito dall’esperienza sul campo. 
 
 
 
 11 
 
 
 
 
 
 
Un sentito ringraziamento, innanzitutto, ai miei genitori, per il costante supporto in 
questi anni di università. 
Un grazie affettuoso ad Elisabetta, per i suoi consigli e per il ruolo di infaticabile 
correttrice delle mie bozze di tesi. 
Un ringraziamento ai miei amici per tutto ciò che abbiamo condiviso assieme; tra gli 
universitari, ricordo particolarmente Alessandro, Stefano, Andrea, Vanessa e Marta. 
Un cenno di merito particolare agli amici che ho incontrato a Shanghai che, oltre ad un 
ottimo rapporto umano, mi hanno insegnato molto sul piano professionale: Edoardo Noce, 
il direttore dell’ICE di Shanghai Maurizio Forte, il vice-direttore dell’ICE di Shanghai 
Ferdinando Gueli, Joyce Cheung, Vittoria Xu di Perfetti Van Melle, Steffi Cao di Ogilvy & 
Mather, Jenny Low e Julien Lapka di Saatchi&Saatchi. 
 
 
Fabio Brunello 
Bassano del Grappa, 4 novembre 2005
 12 
CAPITOLO 1 
IL DIBATTITO SULLA COMUNICAZIONE INTERNAZIONALE 
 
1.1 LA PRESENZA INTERNAZIONALE DELLE AZIENDE 
 
La capacità di comunicare efficacemente in tutti i mercati in cui si è presenti è ormai 
divenuta una caratteristica imprescindibile di ogni azienda che vuole rapportarsi 
correttamente con il suo pubblico. 
In un Paese estero, per disporre di una presenza di rilievo, e profittevole, si deve 
strutturare la propria organizzazione in modo tale da sviluppare una strategia che risulti 
adatta alle caratteristiche dei mercati internazionali e non sia solo una semplice 
estensione delle strategie utilizzate a livello nazionale. 
Nel corso del suo sviluppo oltre-confine, un’azienda attraversa solitamente una serie 
di passaggi, in una sorta di ciclo di vita dell’internazionalizzazione. Questi differenti step 
sono degli ideal-tipi di sviluppo e non sono necessariamente seguiti da tutte le imprese; 
risultano comunque utili per comprendere in quale situazione si trova un’azienda, in un 
particolare momento della sua evoluzione. 
Sostanzialmente, i principali Autori [De Mooij e Keegan 1991, 7-10; Rispoli 1994, 94-
98] riportano cinque situazioni di internazionalizzazione: 
?? azienda domestica 
?? azienda internazionale 
?? azienda multidomestica 
?? azienda globale 
?? azienda transnazionale 
 
L’azienda domestica si caratterizza dal fatto che il suo mercato principale è quello 
nazionale (talvolta regionale), ha una visione etnocentrica del suo mercato e le relazioni 
con l’estero sono scarse, spesso limitate a episodi spot, quali acquisti opportunistici di 
materie prime, oppure vendita nei mercati esteri di alcune partite di merce, spesso 
affidandosi a degli intermediari. La conoscenza dei mercati esteri è molto bassa, 
soprattutto perché l’impresa non è al momento interessata a intrattenere business con altri 
Paesi. In un mondo globalizzato quale il nostro, la numerosità di questi tipi d’azienda sta 
diminuendo sensibilmente, trovandosi a competere con una concorrenza internazionale; il 
loro affidamento al solo mercato nazionale può non essere sufficiente. 
 13 
L’azienda internazionale ha nel Paese d’origine il suo mercato principale, ma 
intrattiene con l’estero relazioni economiche stabili. Nel corso degli anni, acquisisce una 
buona conoscenza del mercato estero, che le permette di sviluppare relazioni profittevoli, 
sia nel mercato di sbocco che in quello di fornitura. In questa categoria rientrano la gran 
parte delle piccole-medie aziende italiane che intrattengono rapporti con l’estero, di solito 
finalizzati all’esportazione dei propri prodotti. 
L’azienda multidomestica si caratterizza perché considera ogni mercato rilevante, sia 
del suo Paese d’origine sia di altri Paesi, come domestico, nel senso che pone le stesse 
attenzioni su ognuno di loro. E’ molta attenta ad individuare le differenze tra i mercati e a 
predisporre le offerte adatte ai singoli casi. 
L’azienda globale considera, invece, l’intero mondo come un unico grande mercato 
domestico, e per questo appronta delle strategie che operano indifferentemente in tutte le 
nazioni. E’ una strategia attuabile solo da grandi aziende con interessi in molti Paesi, 
anche se una totale estremizzazione di questo concetto (offerta standard del marketing 
mix in tutti i Paesi) è di difficile attuazione, e forse non conveniente economicamente. 
L’azienda transnazionale può essere considerata il punto d’arrivo della curva di 
sviluppo di un’azienda, che si rivolge ai mercati internazionali. Essa cerca di sintetizzare i 
lati positivi dei due precedenti modelli: il suo mercato rimane l’intero mondo (o comunque 
un numero cospicuo di Paesi) e propone una strategia generale comune, ma declinata per 
comprendere le differenze principali tra i vari Paesi. Si cercano quindi di sfruttare 
contemporaneamente sia le parti in comune sia le differenze tra le nazioni. 
 
Queste strategie non sono dei passaggi inevitabili e successivi per ogni azienda e 
spesso si incontrano delle situazioni intermedie. Inoltre, ogni stadio ha propri vantaggi e 
svantaggi ed è la singola azienda che deve capire quale tipo di internazionalizzazione 
meglio si adatti alla sua situazione attuale e ai suoi obiettivi futuri di sviluppo. Una visione 
schematica è proposta nella fig. 1.1. 
La forma prescelta di presenza all’estero influenza fortemente anche la 
comunicazione approntata per i diversi mercati di riferimento. 
L’azienda domestica è interessata solamente alla comunicazione nel mercato 
d’origine e non cura la propria immagine all’estero. Se questo, però, comincia a divenire 
interessante, comincia a frequentare le principali fiere estere di settore e, in seguito, a 
pubblicizzarsi in riviste professionali e a stabilire i primi rapporti di pubbliche relazioni, 
spesso mediate da intermediari locali. 
 14 
Questi ultimi sono invece i principali protagonisti della comunicazione aziendale per le 
imprese internazionali, in quanto sono spesso delegati a preparare le azioni pubblicitarie 
verso i diversi pubblici cui si rivolge l’azienda estera: consumatori finali, distribuzione, enti 
statali, opinion leaders. 
 
 
    globale 
 
TIPO  DI  
COMUNICAZIONE 
 
 
 locale   
            
               - GRADO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE   + 
 
Fig.1.1 Relazione tra grado di sviluppo dell’internazionalizzazione di un’impresa e tipo di comunicazione 
utilizzata nei mercati non-domestici. 
 
Nella fase multidomestica, il ruolo della comunicazione diventa fondamentale per 
potersi correttamente relazionare al mercato. I budget sono stanziati non più con logica 
nazionalistica, ma tenendo conto della situazione attuale e delle opportunità di sviluppo di 
ogni singolo Paese, oltre che della differente disponibilità dei mezzi di comunicazione. 
L’azienda globale opera, invece, una comunicazione che cerca di mantenere il più 
uniforme possibile nei diversi mercati, al fine di accreditarsi di un’immagine unitaria ed 
ottenere vantaggi da economie di scala pubblicitarie, utilizzando media con caratteristiche 
omogenee nei differenti Paesi. 
Come nella strategia generale, anche nella strategia di comunicazione l’azienda 
transnazionale cerca di mediare tra le esigenze di una comunicazione quanto più globale 
e uniformante tra i Paesi, e quelle di adattare il messaggio alle caratteristiche precipue 
della cultura e delle usanze locali. 
 
1.2 IL DIBATTITO SULLA COMUNICAZIONE INTERNAZIONALE 
 
Come evidenziato dai differenti approcci di comunicazione a seconda dello sviluppo 
dell’impresa, la tematica di quale comunicazione proporre ai mercati esteri è stata molto 
domestica 
internazionale 
multidomestica 
globale 
transnazionale 
 15 
dibattuta in sede accademica. Tuttora le opinioni sono contrastanti e non si è ancora giunti 
ad una soluzione concordata e definitiva. L’argomento è sempre presente nelle discussioni 
tra gli studiosi negli ultimi venticinque anni e, pur con momenti di maggior o minore voga, è 
una tematica che ha avuto una costante evoluzione nel corso del tempo. Gli anni ’90, con 
la progressiva formazione di un mercato sempre più globale, hanno anche dato esempi 
pratici sull’argomento, che puntualmente molti studiosi hanno rilevato solo negli aspetti 
favorevoli ai loro studi. La pratica di utilizzare case histories di successo, quali prove 
tangibili della validità della propria teoria, è stata ampiamente utilizzata, anche se alcuni 
autori dubitano della sua efficacia probatoria. 
La discussione, concernente principalmente l’efficacia o meno di una comunicazione 
internazionale standardizzata, non ha solo un elevato valore accademica, ma determina 
anche delle notevoli ricadute sulla definizione delle più appropriate strategie operative di 
comunicazione che devono essere adottate. Se una comunicazione standard è 
effettivamente valida e fruttuosa per l’azienda che l’adotta, essa comporta una notevole 
riduzione dei costi complessivi, una semplificazione del processo decisionale ed esecutivo 
ed una maggiore efficienza nell’utilizzo delle risorse aziendali. Se questa non è però così 
efficace come alcuni sostengono, ed anzi è fonte di danno per l’azienda, i manager che 
l’adottano si scontreranno con problemi gravi, quali la creazione di confusione nei 
consumatori ed un loro successivo distacco dai beni dell’impresa. 
 
1.2.1 DEFINIZIONE DI STRATEGIA STANDARDIZZATA 
 
Il dibattito su quale tipo di comunicazione internazionale adottare ha origine già (o 
forse, è proprio causata) dalle differenti idee che si hanno sulla definizione di 
comunicazione standardizzata, soprattutto sul differente grado di omogeneizzazione 
necessaria per definire una “pubblicità internazionale standardizzata”. Levitt [1983, 93] la 
definì come “selling the same product the same way everywhere” . 
Solitamente, le due posizioni estreme per definire un tal tipo di comunicazione sono: 
a) si ha una pubblicità standardizzata solamente quando essa è presente in più Paesi 
con lo stesso formato e lingua, presente in mezzi di comunicazione paragonabili e 
pianificata direttamente dalla sede centrale dell’azienda; 
b) si ha una pubblicità standardizzata quando è presente un tema comune o 
comunque delle evidenti somiglianze nella strategia comunicativa, anche se questa 
viene articolata in maniera differente e autonoma in ogni singolo Paese. 
 16 
Tra queste due definizioni estreme, si trovano molte situazioni intermedie. In realtà, una 
standardizzazione totale (á la Levitt) in tutti i Paesi del mondo non è possibile, perché i 
media disponibili sono differenti e talvolta non paragonabili, non è nell’interesse 
dell’azienda promuovere un proprio prodotto in ogni mercato (anche perché in molti di loro 
è assente) e non è economicamente conveniente, perché i costi lieviterebbero in modo 
spropositato. 
Una definizione di “international advertising” [De Mooij e Keegan 1991, 11] che 
sembra comprendere in modo corretto queste differenti sfaccettature è: 
The formulation of communications vision, intent, strategy and the implementation of 
a communication plan, including media and advertising, sales promotion, direct 
marketing communication and public relations activities that simultaneously support 
the sales of goods and services in more than one country in several parts of the 
world. 
Questa definizione evidenzia, inoltre, come sia importante anche l’organizzazione di 
supporto ad una campagna pubblicitaria (e alle attività connesse) e non solamente la 
semplice esecuzione di quest’ultima. 
A livello pratico, è molto interessante poi l’osservazione di Duncan e Ramaprasad 
[1995, 56]: 
While strategy is often standardized, creative executions and themes are only 
sometimes standardized, and language and nationality of models are rarely 
standardized 
che indica chiaramente quali sono le istanze più facilmente globalizzabili (come la 
strategia), essendo di carattere generale e teorico, mentre gli aspetti più esecutivi e di 
tecnica pubblicitaria risentono fortemente delle caratteristiche del pubblico cui si rivolge. 
Ampliando la prospettiva anche a scelte più rilevanti per l’intera strategia di marketing, si è 
notato come il nome del prodotto, il posizionamento, il packaging, siano aspetti presenti 
con poche varianti tra differenti Paesi e queste siano dovute spesso a obblighi legislativi, 
come possono essere particolari regolamentazioni che riguardano le misure igieniche da 
adottare sulle confezioni dei prodotti alimentari. Tra gli elementi che più difficilmente si 
prestano ad un processo di unificazione, vi sono i sottotitoli, la body copy, il visual 
dell’immagine, la selezione dei media disponibili. 
La standardizzazione, inoltre, non è utilizzata allo stesso modo verso tutti i Paesi: i 
pubblicitari statunitensi tendono a enfatizzare questa caratteristica se si rivolgono a 
consumatori europei, mentre l’istanza generalizzante è meno presente quando si 
indirizzano ad un’audience asiatica. 
 17 
L’internazionalizzazione è, in ogni caso, un processo che si inserisce nel normale 
sviluppo di un’azienda e non deve essere affrontato come un mutamento radicale: il 
mercato interno e quello estero non esigono, nella sostanza, un diverso approccio 
strategico; ciò che varia è il contesto in cui l’azienda opera, ossia i fattori ambientali del 
mercato e l’organizzazione stessa dell’impresa [De Mooij e Keegan 1991, 37]. 
 Questa considerazione porta a valutare due differenti atteggiamenti tra i fautori del 
messaggio standardizzato: 
o standardizzare significa creare ex-novo un messaggio che si pensa valido 
per più Paesi 
o standardizzare significa invece estendere a Paesi terzi un messaggio che 
era stato ideato appositamente per un singolo Paese, spesso quello del 
mercato domestico per l’azienda. 
La seconda scelta è motivata essenzialmente dal risparmio di costi ottenibile e dalla 
possibilità di poter sfruttare un’idea valida su più mercati; questa situazione si scontra, 
però, con il fatto che non è automatico che una buona pubblicità in un mercato sia efficace 
anche in altri. La scelta della creazione ad hoc di una pubblicità è migliore perché cerca di 
tener conto delle differenti esigenze e di focalizzarsi su bisogni universali; vi sono degli 
inconvenienti anche in questa scelta, perché si corre il rischio di creare una pubblicità 
“neutra” e senza appeal, ideata solo per eliminare le diversità tra più Paesi. 
 
1.2.2 STANDARDIZZAZIONE 
 
Il dibattito sulla standardizzazione nacque già negli anni ‘60 con Elinder [1965] e in 
seguito con Fatt [1967], ma i toni della discussione si accesero dalla metà degli anni 
Ottanta. Uno scritto di Theodore Levitt del 1983, “The globalization of markets”, può 
essere considerata l’opera che innescò i successivi interventi. 
In questo saggio, l’autore statunitense afferma che è in corso, e sempre più si 
intensificherà negli anni a venire, una progressiva omogeneizzazione dei gusti, dei 
comportamenti e delle abitudini delle persone di differenti nazioni. Questo processo, che in 
ambito economico può riassumersi con il termine di globalizzazione, è dovuto ad una 
serie di fattori, derivanti essenzialmente dagli sviluppi nel campo della tecnologia, che 
inducono gli operatori a considerare l’intero globo come un unico grande mercato. 
 18 
Tale scritto ha suscitato notevoli discussioni; coloro che sostengono le sue idee, 
hanno dato vita alla corrente che propugna una standardizzazione del marketing mix, da 
applicare non modificato in più Paesi. 
Per i fautori di questa teoria, i principali aspetti che favoriscono tale processo sono: 
- maggior facilità di comunicazione (e contatti tra le persone) grazie allo 
sviluppo dell’ICT 
- diffusione di modelli comportamentali di massa, specialmente di origine 
nordamericana 
- diffusione di una cultura, specie giovanile, tendenzialmente simile nei 
differenti Paesi 
- tradizioni locali che hanno diffusione internazionale (es. pizza, cucina cinese, 
formaggi francesi, yogurth greco) 
- incremento esponenziale del turismo, che porta le persone a conoscersi e a 
scambiarsi usi e costumi 
 
Questi fattori di riduzione delle differenze e di maggior facilità di comunicazione sono state 
ulteriormente favorite negli anni ’90 con lo sviluppo di Internet e degli altri new media, con 
la televisione satellitare, con un progressivo abbassamento dei costi dei mezzi di trasporto 
(ad esempio con i voli low cost) che favoriscono l’interscambio culturale. 
Certamente si riconoscono le diversità tra i vari Paesi, ma si focalizza l’attenzione 
principalmente sugli aspetti in comune, basandosi sulla constatazione che i gusti e le 
abitudini stanno progressivamente convergendo verso un modello unico ed universale. 
L’esempio, che Levitt indica nel suo articolo, riguarda le aziende giapponesi, che negli 
anni ’80 presentarono un prodotto di costo contenuto, di buona qualità, affidabile e 
soprattutto unico o con pochissime variazioni per i differenti Paesi; il successo arrise alla 
loro strategia ed è, dunque, un valido esempio della correttezza dell’approccio 
standardizzante.  
Gli argomenti tradizionali a favore di una comunicazione internazionale standardizzata 
sono: 
?? costo: è possibile realizzare delle economie di scala e ridurre gli investimenti 
per la produzione di pubblicità 
?? creazione di un’immagine di brand e corporate unitaria a livello globale, per 
evitare confusione e duplicazione di sforzi 
 19 
?? la crescente globalizzazione dei media, usufruibili da persone di Paesi 
differenti 
?? semplificazione dell’organizzazione aziendale, specie nella fase di 
programmazione ed esecuzione 
?? massimo sfruttamento di idee valide e trasmissione di know-how tra le 
diverse realtà intra-aziendali 
?? tendenza delle multinazionali ad avere un forte controllo centrale 
?? utilizzo più efficiente delle abilità gestionali e delle risorse 
?? standard unici di qualità per lo stesso prodotto in Paesi diversi 
?? migliore capacità di sfruttamento di opportunità globali 
?? adattamento alle pratiche del settore di appartenenza 
Nei tempi passati si focalizzava l’attenzione principalmente sulla riduzione dei costi e sulle 
economie di scala. Al momento attuale, le imprese pongono questi criteri in secondo 
piano, a favore della costituzione di un’immagine unitaria o per altre motivazioni, sopra 
riportate. Correttamente si ritiene che non è vantaggioso produrre una pubblicità 
standardizzata mediocre, al solo fine di realizzare limitati risparmi sui costi di produzione, 
non calcolando i danni, nel breve e nel medio-lungo termine, che possono essere causati 
da una campagna errata di advertising. 
 
Questo sviluppo verso un modello globale porta, quindi, certi studiosi a propugnare 
una progressiva standardizzazione del marketing mix nei vari Paesi: se questi sono 
simili tra loro, a livello di cultura e desideri, si può proporre una medesima offerta 
commerciale. All’interno di quest’ultima, rientra poi la strategia di comunicazione, che forse 
risulta essere la più difficile da adattare, essendo intrinsecamente connessa alla cultura 
del luogo. Gli autori a favore di questa posizione affermano che le motivazioni e gli 
atteggiamenti del consumatore sono più importanti della sua provenienza geografica: se i 
primi sono paragonabili, la terra d’origine ha un ruolo marginale. 
Alcune critiche a questa posizione riguardano il fatto che la globalizzazione è un 
atteggiamento adatto soprattutto alle nazioni con uno sviluppo di tipo occidentale, mentre 
nei Paesi in via di sviluppo tale approccio non sarebbe proficuo. La risposta che viene data 
a tale quesito è che, economicamente, è conveniente applicare la standardizzazione 
anche in quei Paesi, perché risulterebbe troppo costoso produrre delle pubblicità ad hoc 
per mercati che portano uno scarso fatturato all’azienda. Tali considerazioni sono 
prettamente economiche e non considerano eventuali risvolti etici quali il cosiddetto 
 20 
“colonialismo culturale”, provocato dalle pubblicità occidentali nei confronti dei Paesi in via 
di sviluppo. In questo studio, non verrà ulteriormente sviluppato questo punto di vista, 
sicuramente interessante, ma al di fuori dell’oggetto di questo lavoro. 
L’approccio analizzato viene definito dai diversi autori come universale, 
standardizzato, internazionale, comune, uniforme. 
 
1.2.3 LOCALIZZAZIONE 
 
A queste posizioni si oppongono altre scuole di pensiero, che constatano che sono sì 
presenti dei fenomeni che investono globalmente le varie persone e con un’influenza 
mondiale, ma ritengono che le diversità tra le culture e le situazioni rimangano 
comunque enormi e tali da non consentire l’adattamento indiscriminato di una pubblicità a 
tutto il globo terrestre. Anzi, questa scuola di pensiero (definita, a seconda degli autori, 
individualizzata, non standardizzata, della specificità, della localizzazione, personalizzata) 
evidenzia come tra Paesi relativamente simili – ad esempio quelli con un idioma comune – 
oppure all’interno di una stessa nazione, sia estremamente raro trovare delle pubblicità 
identiche o addirittura che si richiamino a temi comuni. 
La posizione di Yoran Wind [1986, 10] indica chiaramente quali sono gli errori cui 
vanno incontro i fautori dell’approccio universale:  
There are tremendous differences among countries. Ted Levitt correctly stresses 
that one should not focus only on differences, one should look for commonality and 
similarity; however, one cannot ignore the differences and the need to adapt to them. 
Most international blunders stem from instances of cultural insensitivity – lack of 
awareness of values, and attitudes – that cause a strategy which is extremely 
successful in one country to prove wrong in another. 
Gli argomenti contrari ad una comunicazione internazionale standardizzata sono: 
?? è presente una forte eterogeneità tra i Paesi, in termini di cultura e modalità 
di utilizzo e consumo dei prodotti 
?? sindrome del “Not Invented Here”: ciascuna sede locale desidera creare la 
propria campagna e provare la sua creatività, per evitare di diminuire la 
propria autostima 
?? differenze nella disponibilità dei media 
?? ostacoli di tipo amministrativo e regolamenti anti-advertising 
 21 
?? il pericolo di essere considerati un’impresa straniera e di perdere quote di 
mercato o avere difficoltà ad entrare nel mercato 
?? differente posizione del prodotto nel suo ciclo di vita, in Paesi diversi 
?? riduzione dei vantaggi economici a causa dell’aumento dei costi di 
coordinamento 
?? scontri intra-aziendali sulle competenze  
?? possibilità di produrre una campagna mediocre, per cercare di adattarla a 
tutti i mercati 
?? minore flessibilità 
Gli autori favorevoli alla localizzazione utilizzano anche la motivazione di base con cui 
Levitt sosteneva la causa opposta: lo sviluppo tecnologico ha certamente contribuito ad 
accomunare popoli e necessità, ma lo stessa ICT ha permesso di produrre beni e servizi 
in modo personalizzato, arrivando alla mass customization e quindi alla possibilità di 
adattare i beni ai bisogni dei singoli, anziché adattare i singoli ad un unico prodotto 
standardizzato. 
 
1.2.4 POSIZIONE INTERMEDIA 
 
Tra queste posizioni dicotomiche, si situa una posizione intermedia, proposta ad 
esempio da Kotler, De Mooij e Keegan, Onkvisit e Shaw: questi studiosi riconoscono i 
punti forti delle dimostrazioni di entrambi gli schieramenti, ma ritengono che ogni 
situazione di mercato e di prodotto è differente dalle altre e non si può quindi dare 
una soluzione univoca alla diatriba globalizzazione/localizzazione. Né la 
globalizzazione né la localizzazione del messaggio sono errate in teoria, ma nella loro 
implementazione si rivelano inefficaci. Inoltre i medesimi ritengono che, per certe tipologie 
di prodotti, sia maggiormente proficua una strategia che abbia una core idea unica a livello 
internazionale, ma che sia poi puntualmente adattata alle caratteristiche locali. Nelle 
astrazioni di questi autori, vi sono due situazioni differenti, dette di prototype 
standardization e di pattern standardization; in quest’ultima, si ha solo una linea guida 
comune, mentre si adattano elementi di contorno quali sfondo, colori, ambientazioni, 
musiche. Nella prototype standardization, invece, si ha una maggiore omogeneità tra le 
pubblicità presentate in Paesi differenti; entrambe queste forme, ad ogni modo, non