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Ancora, ha affermato la validità della testimonianza rilasciata da una 
bambina di tre anni: <<se riscontrata e ritenuta rappresentativa della storicità 
dell’accaduto>> (Cassazione 12027/99).  
Nel sistema processuale italiano la testimonianza occupa un ruolo 
centrale e il giudice ha ampia discrezionalità nel valutare le dichiarazioni 
fornite dal teste. Diversi fattori possono incidere sulle sue decisioni, tra cui il 
peso che il giudice stesso attribuisce a quanto dichiarato dai singoli testimoni. 
Alcuni soggetti, a causa del loro status, sono considerati mediamente più 
attendibili rispetto ad altri (quanto dichiarato dal pubblico ufficiale, ad 
esempio, è ritenuto di rilevanza probatoria maggiore rispetto all’uomo 
comune).  
Nel caso dei procedimenti per reati sessuali, nei quali le affermazioni 
della vittima sono spesso l’unica prova disponibile su cui si costruisce l’accusa, 
la valutazione dell’attendibilità della deposizione è quanto mai delicata e 
complessa, tanto più se la parte lesa è minorenne. In tali casi il quantum di 
credibilità attribuita al teste e alle sue dichiarazioni ha un’influenza 
determinante nella decisione del giudice, il solo cui spetti pronunciarsi in 
merito all’attendibilità della prova. <<Spetta al giudice di merito l’opportuno 
discernimento tra ciò che è frutto di ricordi reali e ciò che è frutto di fantasia 
o semplicemente di ricordi confusi. Ma quando il giudice riesca a vagliare, con 
un congruo esame, la validità di tali testimonianze, spiegando le ragioni 
psicologiche ed obiettive per cui le ritiene in tutto o in parte attendibili, la sua 
decisione non merita censura in sede di legittimità>> (Cass. Sez.I, 7 
novembre 1967, in Cass. Pen. Mass. Ann., 1968, 985, n.1463) 
Proprio per fornire al magistrato quelle nozioni e quei chiarimenti 
tecnici necessari per aiutarlo nella decisione, e dei quali sia sprovvisto a causa 
della specificità delle questioni trattate, è ammessa e disposta l’attività 
peritale (artt.220, 1°, 221, 225, 227 c.p.p.) ovvero l’ausilio di periti e 
consulenti tecnici (nominabili anche in sede civile).  
La Corte di Cassazione (Sez. III pen., Sent. 3 ottobre 1997) si è 
espressa ricordando che l’esperto del quale il giudice può avvalersi ha il 
compito di contribuire a chiarire l’attitudine psicofisica del teste ad esporre le 
vicende (idoneità a testimoniare) e di esaminare il grado di attendibilità delle 
dichiarazioni e non, aggiungerei, di stabilire se il “fatto” raccontato si sia o 
meno verificato.  
Come avvertono Di Blasio e Camisasca (1992), in primo luogo deve 
essere valutata la capacità testimoniale, poiché la connessione logica e 
 3
temporale tra i concetti di “competenza” e di “credibilità”, comporta 
necessariamente che un testimone ritenuto “non competente” non possa 
essere, allo stesso tempo, considerato “credibile”. 
Sulla definizione di attitudine a testimoniare e sui criteri di valutazione 
della stessa c’è accordo tra gli autori (Di Cori e Sabatello, 2000; AACAP, 1997, 
tabella n. 1; Nurcombe, 1986, tabella n.2); essenzialmente:  
a) il bambino deve capire quanto gli viene detto e richiesto; 
b) essere in grado di ricordare le informazioni collegandole con altre; 
c) esprimerle in una visione complessa e, soprattutto; 
d) deve saper discernere tra “verità” e “bugie”.  
 
Tabella n. 1 - Criteri per la valutazione della competenza a testimoniare del bambino. (AACAP, 
1997)   
 
 
• La capacità di percepire accuratamente i fatti; 
• La capacità di rammentare e richiamare; 
• La capacità di discernere tra verità e menzogna, tra fantasia e realtà (di 
comprendere l’obbligo di dire la verità) 
• La capacità di comunicare sulla base della conoscenza personale dei fatti. 
Tratta da Di Cori R. – Sabatello U. (2000) Vere e false denunce: il bambino tra memoria di abuso 
e abuso di memoria, in Maltrattamento e abuso all’infanzia, 2 (3), 79 – 111. 
 
 
Tabella n. 2 -Criteri per la valutazione della competenza a testimoniare del bambino. 
(Nurcombe, 1986)  
• Registrare, richiamare e descrivere eventi in modo affidabile; 
• Distinguere tra verità e menzogna; 
• Comprendere l’obbligo di dire la verità 
Tratta da Di Cori R. – Sabatello U. (2000) Vere e false denunce: il bambino tra memoria di abuso 
e abuso di memoria, in Maltrattamento e abuso all’infanzia, 2 (3), 79 – 111. 
 
 
Durante una prova testimoniale il minore è soggetto a forte ansia per la 
rievocazione di un evento per lui traumatico in un contesto estraneo e, nei 
casi di abuso intrafamiliare, è anche lacerato, da un lato, dal desiderio di far 
cessare una situazione divenuta per lui insostenibile rivelando l’abuso, 
 4
dall’altro, dal timore concreto di perdere l’appoggio della famiglia a causa 
della rivelazione o se non dirà ciò che i familiari desiderano.  
Dunque le implicazioni psicologiche dell’audizione sono enormi, tuttavia 
se ben condotta, può diventare un momento di promozione psicologica che 
permette al bambino di riordinare i fatti facendo chiarezza sugli stessi e 
iniziando il processo di ricostruzione (Valvo,1997; 1998).  
Non si può che concordare con chi afferma che “il punto nodale non è il 
processo in sé ma le condizioni in cui esso viene attuato” e che il bambino, 
adeguatamente sostenuto e preparato può vivere l’esperienza testimoniale, 
ricavandone un senso di rassicurazione sulle capacità di protezione del sistema 
sociale e di fiducia negli adulti. (Di Blasio e Camisasca, 1993) 
Ciò, ovviamente, a patto che la conduzione dell’audizione rispetti alcune 
regole essenziali come, ad esempio, ridurre lo stress rendendo più 
confortevole (e supportivo) il contesto in cui viene rievocata la violenza subita 
(Rotrinquez, 2000), avvalendosi anche della presenza di figure diverse per 
diminuire il rischio di un ulteriore traumatizzazione.  
A tale proposito, esiste un’altra figura di “esperto” chiamata ad 
intervenire in ambito giudiziario, che non ha né il compito di valutare 
l’attendibilità delle dichiarazioni né di formulare una diagnosi.  
Secondo il dettato dell’art.498, 4°, c.p.p., che regolamenta l’esame del 
minore nel processo, <<l’esame testimoniale viene condotto dal Presidente 
con l’eventuale ausilio di un familiare o un esperto di psicologia infantile.>> 
In tale caso, lo psicologo ha la duplice funzione, da un lato, di facilitare il 
bambino nel raccontare l’evento traumatico, fornendogli sostegno psicologico 
per evitare che l’emergere dei ricordi possa nuocergli e, dall’altro, di fare in 
modo che le informazioni vengano raccolte in modo tale da essere validamente 
utilizzabili a livello processuale (Scali e Calabrese, 2003). Si tratta, dunque, di 
una figura professionale potenzialmente di grande rilevanza per l’ascolto ed il 
sostegno del minore in un momento per lui particolarmente delicato; tuttavia, 
tale articolo consente, ma non impone al presidente del tribunale di avvalersi 
dell’aiuto di un esperto di psicologia.
 1
 
In realtà ciò che si verifica di norma è che le vittime di sospetti abusi 
sessuali siano sottoposte a diversi colloqui da parte di poliziotti, magistrati, 
avvocati e/o assistenti sociali, troppo spesso privi delle competenze necessarie 
                                                 
1
 Per le nozioni di “incidente probatorio” ed “audizione protetta”, si rinvia agli art. 498, 4°, 
4°bis e ter c.p.p.; art. 502 c.p.p.; art. 398, 5° bis; nonché a Forno, 1998; Valvo, 1997; 1998; 
Rotrinquez, 2000. 
 5
per interrogare i bambini su temi delicatissimi, come nei casi di abuso e che, 
solo di rado oppure in un secondo tempo, si rivolgono a personale qualificato 
per situazioni molto complesse o per bambini molto piccoli.  
La tecnica usata per l’esame testimoniale e il numero di volte in cui il 
minore viene sentito sono essenziali per ottenere dichiarazioni valide anche ai 
fini processuali. Non si può pensare di svolgere efficacemente l’intervista con 
il minore vittima di reato e la successiva valutazione senza possedere buone 
conoscenze sulle sue funzioni cognitive, sui processi di sviluppo ovvero senza 
conoscere i limiti reali e le effettive capacità del bambino – testimone 
(Biscione e Calabrese, 2003). 
Concordo, peraltro, con chi sottolinea (Mestiz, 2003) che non si possa 
dare affatto per scontato che gli stessi “esperti”, incaricati di interrogare i 
minori su eventi traumatici, abbiano una preparazione specifica in materia di 
child abuse o di interviste con i bambini maltrattati.  
Di fatto, medici, psicanalisti, psicologi o altri professionisti, troppo 
spesso vengono delegati a condurre questi colloqui solo sulla base dei loro 
titoli professionali, senza che sia preventivamente accertata una loro 
competenza specialistica col rischio di grave pregiudizio per la successiva 
valutazione della credibilità delle dichiarazioni del bambino.  
 6
1.1.1. L’attendibilità della testimonianza infantile nei sospetti abusi  
sessuali: fattori di influenza. 
 
La valutazione sull’attendibilità della testimonianza deve misurare due 
dimensioni. l’accuratezza e la credibilità.  
Da una revisione delle letteratura clinica e sperimentale emerge una 
forte polarizzazione tra posizioni che oscillano tra chi crede che i bambini 
siano sempre attendibili quando dichiarano degli abusi, a causa della loro 
innocenza ed ingenuità, e chi li rappresenta come testimoni inattendibili, 
perché troppo influenzabili. 
Le ricerche più recenti hanno dimostrato che i bambini, anche molto 
piccoli, possono essere testimoni accurati quanto gli adulti, anche se la 
quantità di dettagli riportata è molto inferiore; ma l’accuratezza può essere 
compromessa dalla suggestionabilità, che risulta più alta nei bambini, 
particolarmente quelli in età prescolare rispetto a quelli più grandi.  
I risultati degli studi sul campo e di laboratorio hanno indotto i 
ricercatori a convergere sui fattori che influiscono negativamente 
sull’accuratezza del resoconto del bambino e sulle regole fondamentali da 
seguire per aumentare la possibilità di ottenere testimonianze corrette.  
I bambini in età prescolare necessitano di un supporto esterno da parte 
dell’adulto per recuperare le informazioni sull’evento, ma possono ricordare gli 
eventi sperimentati personalmente, come quelli più grandi e tendono a non 
incorporare troppo gli elementi forniti dall’adulto, a patto che questi non 
ponga domande suggestive, troppo ricche di informazioni (Fivush, 2001). 
Le ricerche degli ultimi venti anni hanno, infatti, evidenziato una stretta 
relazione tra la qualità dell’intervista e la qualità e quantità delle informazioni 
riportate dal bambino; una delle maggiori fonti di errore è dovuta. proprio al 
modo in cui vengono formulate le domande nel corso del processo di 
validation.  
Già all’inizio del secolo scorso, le “domande guidate” venivano segnalate 
tra i fattori che influenzano più pesantemente la testimonianza di un minore 
(Binet, 1900; Stern W., 1910;) e numerose ricerche di questi ultimi anni (Ceci 
e Bruck, 1987, 1995; Ceci e Crotteau Huffman,1999) hanno confermato che, 
domande suggestive, direttive (leading questions), chiuse ed interviste 
 7
ripetute, effettuate con modalità scorrette, possono corrompere i racconti dei 
bambini.  
Le domande suggestive, che si ritrovano frequentemente nelle interviste 
e negli interrogatori, sono “pericolose” perché contengono informazioni che 
dovrebbero essere fornite dal teste ed inducono l’interrogato a rispondere ciò 
che l’intervistatore si aspetta. Ne è un esempio la domanda: <<Cosa è 
successo tra te e papà?>> che è pesantemente inducente e che, da un lato 
sembra chiedere informazioni, mentre, dall’altro sottintende che qualcosa è 
indubbiamente successo (e probabilmente non è positivo).  
Sarebbe formulata correttamente solo se il minore avesse già, 
spontaneamente, riferito che si è verificato un dato evento che lo ha visto 
coinvolto (senza spiegarne il contenuto) e di cui avesse detto esserne 
responsabile il padre. 
Bruck et al. (1993) hanno dimostrato che la memoria del bambino, 
soprattutto in età prescolare, può essere modificata attraverso la suggestione 
protratta nel tempo. Alcuni piccoli, particolarmente suggestionabili, se vi sono 
ripetutamente esposti per lunghi periodi, possono arrivare a costruire false 
credenze (implanted belief) che vengono poi incorporate tra i veri ricordi, 
diventando da questi indistinguibili.  
Tra l’altro, come segnalato da Ceci e Crotteau Huffman (1999), le false 
credenze possono sfuggire anche all’analisi di validità del CBCA, in quanto 
presentano caratteristiche assai diverse da quelle delle bugie intenzionali per 
le quali tale strumento è stato formulato.  
I bambini sembrano, invece, meno influenzabili su eventi che li hanno 
visti coinvolti in prima persona ed azioni compiute sul loro corpo rispetto ad 
azioni compiute su altri o ad eventi di cui sono stati solo testimoni (Goodman 
et al., 1990); sono, inoltre, meno condizionabili se viene loro detto che 
l’intervistatore non sa nulla dell’accaduto e quando possono rispondere <<Non 
so>> oppure <<Non ricordo>>.  
Gli esperti hanno tenuto conto di queste indicazioni nell’elaborare le 
regole dei più recenti modelli di intervista, appositamente, formulati per 
raccogliere le dichiarazioni dei bambini (Step – Wise Interview, Intervista 
Strutturata e Intervista Cognitiva). 
Di solito, nei casi di sospetto abuso sessuale, la presunta vittima viene 
sentita più volte, nell’arco di alcuni mesi, da diverse figure professionali 
(polizia, assistenti sociali, psicologi e magistrati) che la interrogano su quanto 
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le è accaduto, con modalità spesso inadeguate e col rischio di “contaminarne” 
la testimonianza con l’introduzione di elementi esterni. 
D’altro canto, Ceci e Crotteau sostengono anche che, i bambini più 
piccoli, pur essendo più facilmente esposti a rischio di errore, non sono, 
tuttavia, così ipersuggestionabili o manipolabili come alcuni asseriscono (né 
così resistenti come asseriscono altri). Nella loro ricerca, infatti, bambini di tre 
anni, in assenza di interviste suggestive, hanno riportato il 90% di 
informazioni corrette.  
<<Perciò, quando gli adulti che hanno accesso ai bambini in età 
prescolare non cercano di usurpare i loro ricordi attraverso il ricorso a 
suggestioni ripetute per estesi periodi di tempo, anche i bambini più piccoli 
riescono a fornire prestazioni davvero buone>>.(Ceci e Crotteau Huffman, 
1999, pagg. 33 – 34) 
Dunque, i bambini non compiono errori necessariamente peggiori di 
quelli degli adulti, ma è necessario elaborare un sistema di categorie, in base 
ai tipi di errore più comuni, in funzione di età, sesso, temperamento e variabili 
individuali che intervengono nell’attendibilità, poiché non è pensabile 
interrogare un bambino come se si trattasse di un adulto.