2
cammino, ma soprattutto i compiti di sviluppo che ognuno di loro è chiamato ad 
effettuare. 
Per comprendere meglio i vissuti psicologici dei bambini “ricostituiti”, per indagare 
l’entità del fenomeno e alcuni aspetti qualitativi delle famiglie ricostituite, e, quindi, 
verificare le eventuali connessioni tra teoria e realtà quotidiana,  il lavoro dedicherà una 
“terza” parte all’esposizione dei risultati ottenuti per mezzo di un’indagine effettuata 
all’interno di un campione di bambini di scuola elementare, attraverso strumenti quali il 
disegno cinetico della famiglia ed un’intervista strutturata. 
I protagonisti dell’ultima sezione della dissertazione saranno quindi i bambini che 
inconsapevoli di ciò che hanno descritto attraverso la grafica ci proporranno modelli di 
famiglia molto diversi tra loro. Per semplificare, l’analisi dei disegni prodotti per mezzo 
del K-F-D (Kinetic Family Drawings) verrà effettuata comparando due modelli familiari: 
le famiglie nucleari tradizionali e le famiglie ricostituite, in modo da mettere in luce le 
varie differenze o somiglianze. 
Centouno disegni ci trasmetteranno le emozioni, gli stati d’animo, i sentimenti, le 
paure e le angosce di bambini che, anche se appartenenti a modelli di famiglia differenti, 
hanno in comune il bisogno di essere amati e sostenuti dalle persone che si prendono cura 
di loro prima di ogni altra cosa.  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 3
PARTE PRIMA 
“L’APPORTO DELLA SOCIOLOGIA ALLO STUDIO DELLE FAMIGLIE RICOSTITUITE” 
 
 
Introduzione 
 
Nell’ultimo trentennio, il fenomeno delle famiglie ricostituite in seguito a nuove 
unioni dopo una separazione o un divorzio è cresciuto nella maggior parte dei paesi 
occidentali.  
La famiglia italiana ha subito un processo di profonda trasformazione, nella 
struttura, nelle relazioni tra i suoi elementi, nei valori. Basti pensare agli effetti del 
processo di invecchiamento demografico sui rapporti tra le generazioni, o ai cambiamenti 
nel rapporto di coppia generati dalla ridotta propensione al matrimonio, alla crescente 
instabilità coniugale, dalla maggiore accettazione sociale della convivenza more uxorio e, 
non ultima, dalla mutata condizione di vita femminile. 
Questi processi hanno fatto temere una crisi dell’istituzione famiglia tout court, 
tuttavia un’analisi più attenta delle dinamiche familiari ha condotto a pensare, più che a 
una crisi della famiglia come luogo delle relazioni affettive, a una sorta di disaffezione 
nei confronti della famiglia intesa in senso tradizionale, e dunque fondata sul matrimonio 
e sulla discendenza. Alla famiglia così concepita, si sostituiscono “le famiglie” ovvero 
una molteplicità di modi di vivere l’esperienza familiare e le relazioni affettive più 
intime. In particolare, in alcune regioni del Nord Italia sono più presenti che altrove tipi di 
famiglia cosiddetti “nuovi”: le famiglie unipersonali, le famiglie con un solo genitore, le 
coppie non coniugate e le famiglie ricostituite.  
Coppia, famiglia, filiazione sono tre elementi concepiti come inscindibili nella 
famiglia tradizionale, di cui rappresentano la peculiarità. In tutte le nuove forme familiari 
questi elementi sono invece indipendenti. La coppia è prima di tutto coppia coniugale e 
definisce la propria continuità sulla base dei sentimenti e della qualità della relazione; non 
sulla presenza di figli avuti insieme. Accanto ad essa si trova la coppia parentale, ma le 
due non necessariamente coincidono. Padri e madri educano, infatti, i loro figli al di fuori 
del legame di coppia in cui li hanno generati. 
 
 
 
 4
I 
ORIGINI ED EVOLUZIONE DEL FENOMENO 
  
 
1.1  L’istituzione famiglia e i suoi cambiamenti 
 
Il dizionario enciclopedico italiano alla voce “famiglia” attribuisce la seguente 
definizione: «Complesso di persone legate fra loro da un rapporto di matrimonio, di 
parentela, di affinità». 
«La famiglia è un’istituzione specifica che ha un certo numero di funzioni da 
svolgere: trasmissione di un sapere, di strutture di pensiero… essa è destinata a 
perpetuarsi, a stabilire una filiazione. Per rispettare tali funzioni la famiglia deve 
dapprima mantenere e preservare la sua esistenza, la sua identità in quanto gruppo 
specifico, difendere i suoi legami di appartenenza, l’idea di famiglia, la sua immagine in 
tutti quelli che partecipano alla sua costituzione»
1
. 
«Le famiglie sono unità dinamiche soggette a cambiamenti continui, che possono 
manifestarsi a diversi livelli strettamente interdipendenti: individuale, interpersonale, 
gruppale e sociale»
2
. 
Esaminando a livello sociale le continue trasformazioni e i rapidi cambiamenti della 
famiglia, ci accorgiamo che la nostra epoca è segnata dal maggior numero di mutamenti 
rispetto al passato. Per secoli le realtà sociali e familiari si sono evolute lentamente: padri, 
madri, zii, nonni insegnavano ai figli, figlie, nipoti ciò che essi avevano imparato nella 
loro vita. Oggi non è più così, o lo è soltanto in parte. Le scoperte scientifiche, le grandi 
innovazioni tecnologiche e i progressi in ogni campo del sapere hanno rappresentato una 
sorta di volano che dapprima lentamente e poi sempre più velocemente, ha prodotto una 
miriade di trasformazioni che hanno cambiato il modo di lavorare e di produrre, di 
vendere e di comprare, di istruirsi, di curarsi, di riprodursi e anche di organizzare la vita 
quotidiana all’esterno e all’interno delle mura domestiche. 
Dovendo trasferirsi in città, inserirsi nell’organizzazione e nei ritmi lavorativi 
industriali, la famiglia estesa contadina dovette ridurre le proprie dimensioni fino al 
“nucleo”. In questo tipo di famiglia – la famiglia nucleare dell’era industriale – marito e 
                                                 
1
Neuburger R., (2001), La coppia: il suo mito, il suo terapeuta: un modello sistemico-relazionale 
con le nuove crisi di famiglia e di coppia, Franco Angeli, Milano, pp. 132. 
2
Malagoli Togliatti M., Lubrano Lavadera A., (2002), Dinamiche relazionali e ciclo di vita della 
famiglia, Il Mulino, Bologna, pp. 15. 
 
 5
moglie hanno ruoli complementari: il padre guadagna il denaro necessario per vivere e 
mandare i figli a scuola, la madre si occupa dei figli, del buon andamento della casa e 
della sfera dei sentimenti. La struttura ideale della famiglia nucleare è la seguente: due 
adulti sposati e uno o più figli nati dalla loro unione; tutti i compiti parentali sono assolti 
esclusivamente dalla coppia; i membri della microcomunità appartengono a una sola 
famiglia che ha dei confini legali, biologici e sentimentali ben definiti. 
Per molti la famiglia nucleare monogama rappresentò, e tuttora rappresenta, ciò che 
di meglio esiste nelle relazioni umane: un centro di amore, di solidarietà, di armonia, 
dove ognuno soddisfa le proprie esigenze contribuendo al benessere degli altri; e se 
alcune famiglie non funzionano, ciò è da attribuirsi alla debolezza dei singoli piuttosto 
che a problemi di struttura. Da Freud a Sullivan a Fromm, nessuno psicoanalista, pur 
notando le discrepanze tra la famiglia nucleare ideale e la realtà delle singole famiglie, 
pensò mai che la struttura dovesse essere alterata. Nonostante vi fossero famiglie 
patologiche e fortemente conflittuali, l’idea dominante restava quella secondo cui la 
famiglia nucleare è la più evoluta e strutturalmente progredita. Il fatto che all’interno del 
nucleo familiare esistessero ruoli differenziati era la prova della superiorità della famiglia 
nucleare sulle altre forme familiari. 
Nonostante i suoi decantati meriti la famiglia moderna nucleare fu, negli anni 
Sessanta e Settanta, al centro di critiche e attacchi violenti. I movimenti femministi 
denunciarono la distinzione tra i ruoli maschili e femminili come un ennesimo tentativo 
per mantenere le differenze tra i sessi e per legittimare la superiorità maschile. Le 
rivendicazioni delle femministe per una parità tra i sessi non erano soltanto teoriche, si 
basavano anche su un progressivo maggior impegno delle donne nel mondo del lavoro 
(già sperimentato durante l’ultima guerra mondiale quando gli uomini erano al fronte), 
che andava a modificare, almeno in parte, la netta suddivisione parsoniana
3
 dei ruoli 
all’interno della famiglia. 
Critiche e attacchi incominciarono ad appannare il mito della famiglia nucleare 
come struttura e rifugio ideale, luogo dell’armonia e del calore. Ci si accorse, per 
esempio, che vivere con padre e madre non significava automaticamente che i figli 
fossero immuni dai maltrattamenti, sia psicologici che fisici. Attraverso le analisi degli 
psicologi emerse che in molte “famiglie ideali” c’erano forti tensioni e dinamiche 
patogene. Nelle cosiddette famiglie normali i genitori potevano esprimere affetto a parole 
                                                 
3
Il sociologo Talcott Parsons fu, negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, uno dei 
sostenitori della teoria della differenziazione dei ruoli maschili e femminili. Questa 
differenziazione secondo Parsons, consente alle società complesse di raggiungere livelli elevati di 
produttività economica e culturale che altrimenti non potrebbero essere raggiunti. 
 6
e ostilità nelle azioni; potevano esserci alleanze tra un genitore e un figlio contro l’altro 
genitore; potevano manifestarsi gelosie violente tra fratelli, segreti di famiglia, capri 
espiatori, sarcasmo, disprezzo, abusi sessuali ecc.; insomma, modi di interagire tanto più 
distruttivi quanto più caratteri incompatibili erano costretti a un confronto continuo, a una 
convivenza obbligata, a ruoli fissi e immodificabili
4
. 
In Italia fu soprattutto l’introduzione del divorzio a rendere visibili nuove strutture 
familiari, sia in alternativa alla famiglia nucleare che come conseguenza del suo 
scomporsi. Attualmente esiste una gran varietà di tipologie familiari, una di queste è la 
famiglia ricostituita.  
 
1.2  Cenni storici sulla famiglia ricostituita 
 
In linea generale si parla di famiglia ricostituita allorché un partner entra, sia con 
una convivenza che con un matrimonio, in un nuovo nucleo familiare; in tal senso si 
viene a creare una nuova coppia che, ponendosi come stabile, può avere al suo interno sia 
i figli appartenenti al primo matrimonio, sia i figli nati nella nuova unione. 
Nonostante esistano già da moltissimi anni le famiglie ricostituite (anche se non con 
le stesse modalità), gli studiosi si sono “accorti” solo recentemente del fenomeno. 
Secondo Ganong e Coleman i ricercatori hanno ignorato a lungo le stepfamily perché era 
culturalmente inaccettabile sia il divorzio che le conseguenze possibili dello stesso. 
È negli anni Settanta, in particolare modo negli Stati Uniti che viene delineato un 
primo profilo sociologico di queste famiglie ed emergono le prime formulazioni e 
sistematizzazioni del fenomeno. In quel periodo però, l’identità di questo nuovo nucleo 
veniva definita in relazione al vecchio partner e la relazione tra il nuovo partner e i figli 
era vissuta come potenziale fonte di disfunzione. Questa formulazione tendeva a 
considerare come “normale” la struttura familiare padre-madre-figlio auspicando pertanto 
la ricostituzione, nella nuova famiglia, di un modello il più possibile vicino a quello 
passato. Ciò significava però, da una parte applicare il modello conosciuto, ma dall’altra 
escludere la presenza e l’importanza dell’ex coniuge. L’accettazione acritica di questo 
modello per diversi anni, è equivalso a negare la creazione del nuovo sistema familiare, la 
cui composizione relazionale non può essere equiparata a quella della famiglia nucleare, 
essendo inevitabilmente più complessa. 
È invece negli anni Ottanta che nasce, anche nell’ambito di studi relazionali, l’idea 
della famiglia ricostituita. I forti cambiamenti socio-relazionali, influenzano il campo di 
                                                 
4
Oliverio Ferraris A., (1997), Il terzo genitore, Raffaello Cortina, Milano. 
 7
studi, che allargandosi considerevolmente tendono ad integrare l’insieme delle relazioni 
affettive che formano la costellazione familiare di cui i figli della prima unione sono parte 
integrante. La famiglia ricostituita, quindi comincia ad essere analizzata focalizzando 
l’attenzione anche sui figli, e sullo spazio all’interno del quale essi si muovono. La loro 
presenza inevitabilmente definisce la nuova  coppia, soprattutto in relazione alla funzione 
genitoriale di ciascuno dei due partner rispetto ai figli. 
Gli anni Ottanta, dunque, testimoniano un’esplosione di studi e di interesse nei 
confronti delle famiglie ricostituite e con il passare del tempo, fino ad arrivare ad oggi, il 
tema è stato trattato approfondendo sempre di più i contenuti e migliorando le modalità di 
analisi del fenomeno. Tuttavia se grandi passi sono stati fatti rispetto al passato circa la 
definizione di famiglia ricostituita, resta da definire con più chiarezza la trama delle 
relazioni al suo interno
5
. 
 
1.3  Il contesto storico di ieri e di oggi 
 
Il fatto che un bambino sia guidato nella sua crescita da qualcuno che non è suo 
padre o sua madre non è del tutto nuovo nella storia. Nel diciottesimo secolo il 40 % dei 
matrimoni erano seconde nozze, vale a dire che c’era un gran numero di bambini che 
viveva con un genitore e un genitore acquisito. All’epoca un nome particolare designava 
il genitore acquisito: matrigna o patrigno, ma questo nome aveva una tale connotazione 
negativa che in seguito è entrato in disuso. 
Perché questa connotazione negativa del patrigno e della matrigna? Nei secoli 
passati la presenza dei patrigni e delle matrigne era tollerata come la triste conseguenza, 
inevitabile, di una vedovanza precoce: era allora necessario rimpiazzare, a volte in gran 
fretta, il coniuge e il genitore defunto con un sostituto capace di assolvere ai compiti 
specifici al suo sesso in una famiglia che era marcata nettamente dalla suddivisione dei 
ruoli. 
Le seconde unioni però, secondo il diritto civile non dovevano acquisire alcuna 
esistenza giuridica e neanche un vero riconoscimento sociale. L’iscrizione dei figli nel 
sistema di filiazione e le regole di trasmissione del patrimonio erano garantite 
esclusivamente alla famiglia di prime nozze. 
 Il genitore acquisito in questo contesto è di fatto un “sostituto impossibile” al quale 
si ingiunge di assumere un ruolo che allo stesso tempo gli si nega di poter svolgere. La 
                                                 
5
Zampino F. A., (2002), Le famiglie ricostituite: problematiche e possibili interventi in 
«Interazioni», n. 1, pp. 77-89. 
 
 8
rappresentazione sociale della matrigna cristallizza in modo del tutto particolare questo 
paradosso. Ella deve essere nel quotidiano una seconda madre per i figli di primo letto, 
ma nel contempo si pensa che non possa esserlo per due motivi di fondo:  non ha l’istinto 
materno verso i figli che non ha generato e, soprattutto la moglie che è in lei distrugge la 
madre potenziale; come moglie ella proverà verso la rivale scomparsa una gelosia 
proporzionale ai suoi sentimenti per il marito e trasferirà il suo bisogno di vendetta sui 
figli che incarnano, nel vero senso della parola, l’unione precedente. Una matrigna 
giacché è una seconda moglie, sarà dunque una “madre snaturata”. È “il mito di 
Cenerentola”. 
Si può constatare che gli stereotipi verso i genitori acquisiti sono connessi in realtà 
ad un’intolleranza culturale verso le seconde nozze che rappresentano un attentato 
all’ideale monogamico. Nell’ideale cristiano, infatti, la monogamia non significa avere un 
solo congiunto alla volta, ma un solo congiunto per la vita intera e quindi la teologia 
cristiana non ha mai veramente accettato le seconde nozze, ma essa ha semplicemente 
tollerato questa situazione anche dopo la vedovanza perché l’ideale era comunque che il 
vedovo o la vedova restasse fedele al rapporto iniziale. La nozione di “ricomposizione 
familiare” era incompatibile con una concezione della famiglia e della parentela come 
quella determinata da una cultura dominata dalla religione cristiana: in questo sistema in 
cui il tempo è stabilito secondo uno statuto, c’era, di fatto, una sovrapposizione nello 
spazio domestico di due famiglie, la vecchia e la nuova. La matrigna cattiva è la 
dimostrazione di una loro fusione impossibile. La famiglia ricomposta dunque non esiste 
in questo periodo. 
Un’altra reticenza è quella che fa riferimento al lignaggio, il sistema della 
trasmissione del patrimonio. Per le famiglie di seconde nozze esisteva la paura che se, per 
esempio, una donna si fosse risposata, i beni del suo coniuge precedente, che sarebbero 
dovuti andare ai figli di primo letto, sarebbero stati trasmessi al nuovo coniuge. 
In questo contesto sociale si spiega perché i patrigni e le matrigne sono sempre stati 
visti come dei pericoli per il sistema familiare e al contempo un pericolo per i figli. 
L’eredità di questo periodo, in cui le seconde nozze erano dovute alla vedovanza, 
pesa ancora notevolmente sulla nostra cultura e nelle famiglie ricomposte di oggi anche 
se il più delle volte la loro costituzione non è più stimolata dalla vedovanza bensì dal 
divorzio e il sistema socio-culturale appare notevolmente cambiato. 
L’incremento della speranza di vita, la secolarizzazione del matrimonio e 
l’autorizzazione al divorzio per colpa, aprono progressivamente una seconda fase. La 
costituzione, infatti, di famiglie monogenitoriali attraverso il divorzio mette in 
 9
discussione il modello di famiglia nucleare considerato più che mai negli anni Cinquanta 
come la “famiglia normale”. Ecco che allora la seconda famiglia può acquisire una nuova 
legittimità: quella di reintegrare le vittime di un incidente coniugale nella normalità 
sociale mettendo alla prova la loro capacità di superare la crisi provocata dal divorzio. 
Durante questa fase, che culmina negli anni Sessanta e Settanta, la seconda famiglia è 
vista come quella che sostituisce la prima e può divenire la “vera” famiglia per i figli di 
primo letto. 
Le inquietudini sociali e la diffidenza, tuttavia, non vengono superate o piuttosto 
esse si rinnovano: più è forte la norma dell’assimilazione alla famiglia classica, più le 
famiglie ricomposte si caricano del compito di assumere le apparenze di un focolare 
domestico ordinario e più la realtà della loro struttura e del loro funzionamento diviene 
fonte di diffidenza. Si tratta delle “false famiglie nucleari” che non possono che imitare 
quelle vere e tutto ciò che invece le caratterizza viene considerato come fattore di rischi di 
disfunzionalità interna.  
In un contesto culturale in cui la possibilità del divorzio per colpa non ha messo in 
discussione la rappresentazione sociale del matrimonio, della famiglia e della parentela, le 
famiglie “ricostituite” sono di fatto condannate a rimanere ai margini del sistema come 
inevitabili illusioni: la psicologia in quel periodo ha molto contribuito a creare l’idea che 
queste famiglie ricomposte sarebbero state patogene, “famiglie strutturalmente a rischio”. 
Oggi la situazione delle famiglie ricostituite è ancora più difficile da delineare. Per 
prima cosa stiamo assistendo ad un’esplosione quantitativa di queste nuove famiglie. 
Divenendo frequenti, queste configurazioni escono dalla posizione di devianza, e si è 
visto nel corso degli ultimi quindici anni attenuarsi lo stereotipo secondo il quale le 
famiglie ricomposte dovrebbero essere strutturalmente a rischio. Le ricerche nel settore 
delle scienze umane contribuiscono a questo cambiamento rilevando l’estrema 
eterogeneità delle famiglie ricomposte: vengono indicate alcune variabili quali il livello 
socio-economico, l’appartenenza culturale, il modo in cui è stata affrontata la 
separazione, che influiscono in modo decisivo sul funzionamento di queste famiglie, sulle 
difficoltà che esse incontrano e sulle capacità di adattamento dei figli. 
Attualmente ci troviamo nella situazione di dover dare importanza 
contemporaneamente a due questioni differenti: come mantenere le relazioni del bambino 
con i due genitori, anche se separati, e allo stesso tempo pensare alle relazioni del figlio 
 10
con i nuovi personaggi della famiglia che sono i genitori acquisiti, ma anche le loro 
famiglie, i loro genitori, i nuovi figli, ecc.
6
 
«La sensazione di non sapere più bene quale sia la definizione di legame familiare, 
preso fra i due poli contraddittori della coniugalità  e della genitorialità, rappresenta la 
fonte di una profonda angoscia che cristallizza le famiglie ricomposte»
7
. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                 
6
Thèry I., (2002), Le costellazioni familiari ricomposte: una questione sociale e culturale, in 
Mazzoni S. (a cura di), Nuove costellazioni familiari: le famiglie ricomposte, Giuffrè, Milano. 
7
Thèry I., (2002), Le costellazioni familiari ricomposte: una questione sociale e culturale, in 
Mazzoni S. (a cura di), Nuove costellazioni familiari: le famiglie ricomposte, Giuffrè, Milano, pp. 
24. 
 11
II 
ASPETTI QUANTITATIVI E QUALITATIVI DELLE FAMIGLIE RICOMPOSTE 
 
 
2.1  Questioni di definizione 
 
Oltre che famiglie ricostituite, vengono anche denominate «famiglie ricomposte», 
«famiglie aperte» oppure «nuove famiglie estese» o, più recentemente, «nuove 
costellazioni familiari». I giornali le chiamano scherzosamente «famigliastre», parola 
inesistente nel vocabolario, ma che ricorda quelle connesse di figliastra, figliastro, 
fratellastro, sorellastra, matrigna, patrigno, tutte accomunate dal valore peggiorativo e 
discriminatorio da esse assunto nella lingua italiana. 
«È significativo che nella nostra lingua non esiste un termine per indicare queste 
famiglie, che sono espressione del profondo cambiamento delle esperienze familiari nella 
società di oggi. Probabilmente ciò è dovuto sia alla loro limitata diffusione, sia allo scarso 
interesse dimostrato finora dagli studiosi»
8
, oppure dietro a questa anomia si nasconde 
una «difficoltà nel conferire legittimità a tali famiglie, il che ne ostacola una visione 
sociale»
9
. Anche il termine più comunemente usato, cioè famiglia ricostituita, è in realtà 
la traduzione letterale delle parole inglesi reconstituted family. Secondo Silvia Mazzoni
10
 
il termine ricostituita appare adatto a questo sistema in quanto rimanda al senso del 
ricostruire, del rimettere su, del riformare una famiglia che ha una struttura paragonabile 
a quella della famiglia tradizionale anche se è di vitale importanza che i membri di questa 
famiglia abbiano l’aspettativa realistica che essa non potrà mai essere uguale del tutto ad 
una famiglia tradizionale. Nel suo significato originario, infatti, «famiglia ricostituita» 
indica il nucleo familiare che, spezzatosi a seguito del divorzio, si è riformato con il 
genitore cui vengono affidati i figli, con il suo nuovo coniuge e talvolta anche con i figli 
nati dal nuovo matrimonio. È questa la definizione più tradizionale e, fino a pochi anni fa, 
quella più utilizzata dagli studiosi: ma, essa implica il riferimento al modello culturale 
della famiglia nucleare (di prime nozze), che sostituisce la precedente ormai fallita e che 
può diventare la vera famiglia per i figli di primo letto, cancellando il passato e con esso 
anche il genitore biologico non convivente. Negli anni più recenti però, con la crescente 
diffusione di separazioni, divorzi e di nuove famiglie da un lato e, dall’altro, con 
                                                 
8
Zanatta A. L., (1997), Le nuove famiglie, Il Mulino, Bologna, pp. 78. 
9
Menniti A., Terracina S., (1999), Le famiglie ricostituite, in Barbagli M., Saraceno C. (a cura di), 
Lo stato delle famiglie in Italia, Il Mulino, Bologna, pp. 274. 
10
Mazzoni S., (2002), Nuove costellazioni familiari: le famiglie ricomposte, Giuffrè, Milano.  
 12
l’affermarsi del principio dell’interesse superiore dei figli minori a mantenere validi i 
rapporti con entrambi i genitori, anche dopo la rottura coniugale, il modello della 
sostituzione di  una famiglia all’altra non è più proponibile, perché cozza contro il criterio 
della continuità dei rapporti tra genitori e figli. Il superamento della vecchia concezione 
ha portato anche ad un cambiamento terminologico: tra gli studiosi la denominazione di 
«famiglia ricostituita» ha ceduto il posto a quella di famiglia ricomposta o costellazione 
familiare ricomposta. Questi nuovi termini indicano un modo diverso di guardare a 
queste famiglie, in cui i nuovi membri non si sostituiscono, ma si aggiungono a quelli 
precedenti e le relazioni s’intrecciano non solo all’interno del nuovo nucleo, ma anche tra 
i diversi nuclei che compongono la costellazione familiare, dando vita ad un sistema assai 
complesso sotto il profilo relazionale. 
Dal punto di vista delle strutture familiari, si può invece continuare a parlare di 
famiglie ricostituite quando si fa riferimento al nuovo nucleo di convivenza ma, anche 
sotto quest’aspetto, il quadro si è fatto più complesso: in conseguenza all’aumento del 
numero dei divorzi seguiti da un’unione di fatto, alcuni studiosi hanno sottolineato 
l’insufficienza della definizione tradizionale (che fa riferimento solo alle seconde nozze) 
e hanno proposto di far rientrare tra le famiglie ricostituite anche le coppie non sposate 
che vivono con almeno un figlio di uno solo dei partner, nato da un precedente 
matrimonio, oltre che con eventuali figli della stessa coppia. 
Infine, se si guarda alla ricomposizione della vita affettiva e familiare della coppia 
adulta, indipendentemente dall’esistenza di figli, la definizione può cambiare ancora: per 
famiglia ricostituita si intende allora una coppia convivente, sposata o non sposata, con o 
senza figli, in cui almeno uno dei due partner proviene da un precedente matrimonio 
interrotto per morte, separazione o divorzio. Tale definizione coniata dall’Istat a fini 
statistici è la più adatta ad offrire, sotto il profilo quantitativo, un quadro completo di 
queste famiglie nel nostro paese, in cui sono abbastanza numerose quelle formate da 
coppie senza figli e da unioni di fatto
11
.  
 
                                                 
11
Zanatta A. L., Le nuove famiglie, Il Mulino, Bologna, 1997.