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CAPITOLO 1 
LA BOLLA ALLA FINE DEGLI ANNI „80 
 
L‟economia giapponese della seconda metà degli anni ‟80 viene ormai 
comunemente descritta come una “bubble economy” (Cargill, Hutchison, 
Ito, 1997). Infatti, a partire dal 1986 i prezzi delle azioni e dei terreni 
edificabili in tutto il Giappone raggiunsero livelli astronomici: l‟indice 
Nikkei 225 toccò il picco di 38,915 ¥ alla fine del 1989, inoltre secondo un 
detto comune all‟epoca il terreno su cui era costruito il Palazzo reale di 
Tokyo valeva più dell‟intera California. La bolla, gonfiata da elementi 
artificiosi e non da una reale crescita economica del paese, impiegò poco 
tempo a scoppiare facendo cadere l‟intero sistema economico e finanziario 
giapponese in una prolungata stagnazione. 
In questo capitolo analizzeremo i fattori precursori della “price asset 
bubble”, le sue caratteristiche e le cause scatenanti del suo scoppio. 
 
1.1  GLI EVENTI PRECURSORI E LE CARATTERISTICHE 
DELL‟ESPANSIONE DELLA BOLLA 
 
Possiamo caratterizzare il periodo dell‟economia della bolla grazie a 
tre fattori principali: 
1. un rapido e sostanziale aumento dei prezzi degli assets fra il 
1983 e il 1990. I prezzi delle azioni furono i precursori di 
questo aumento: l‟indice Nikkei 225 della borsa di Tokio, per 
esempio, aumentò vertiginosamente dal livello di 13,000 ¥ nel 
dicembre del 1985 sino a toccare il picco di 38,915 ¥ alla fine
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del 1989, quasi 3 volte il suo valore al tempo degli Accordi del 
Plaza Hotel nel settembre del 1985 (Okina, Shirakawa, 
Shiratsuka, 2001). L‟aumento dei prezzi dei terreni seguì quello 
dei valori delle azioni con un breve scarto temporale, si 
sviluppò partendo da Tokio verso le più importanti città della 
nazione. L‟indice medio dei prezzi dei terreni urbani edificabili 
toccò un picco nel settembre del 1990, quasi 4 volte più elevato 
rispetto al settembre del 1985. In termini di fluttuazioni dei 
valori degli assets il guadagno combinato di azioni e terreni fu 
del 452% del PIL nominale nel periodo 1986/89, molto più alto 
rispetto al 193% registrato nel periodo 1972/73. 
2. Un surriscaldamento dell‟economia giapponese che dopo un 
breve arresto nel 1986 crebbe continuamente per 4 anni fino al 
febbraio del 1991 con un tasso medio del PIL reale del 5,5%, 
mentre la produzione industriale aumentò mediamente del 
7,2%, trainati entrambi dall‟aumento degli investimenti fissi 
delle aziende e dal consumo delle famiglie, soprattutto per 
l‟acquisto di beni durevoli. 
3. Un aumento cospicuo dell‟offerta di moneta e del credito: la 
crescita degli aggregati monetari (M2+CD) aumentò 
sensibilmente a partire dal 1986 e superò il tasso del 10% nel 
trimestre di aprile-giugno del 1987; l‟incremento del credito fu 
ancora più cospicuo grazie anche alla crescita dei prezzi delle 
azioni e dei terreni e alla deregolamentazione finanziaria in 
atto: i finanziamenti del settore privato crebbero rapidamente a 
partire dal 1988 e toccarono il picco con una crescita del 14%
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nel 1989.  
Figura 1 Situazione Macroeconomica e Finanaziaria del Giappone 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
L‟evoluzione che portò al gonfiarsi della bolla e che creò le condizioni 
sopra descritte è nota come  processo di intensificazione delle aspettative di 
bolla (Okina, Shirakawa, Shiratsuka, 2001): esso si basa su dei fattori 
iniziali strutturali nell‟economia del paese, i cui effetti sulle aspettative sono
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stati amplificati da ulteriori comportamenti, che si possono inserire a loro 
volta nel particolare panorama politico-economico dell‟epoca. 
Il fattore strutturale ritenuto fondamentale nella creazione della bolla 
speculativa è il comportamento sempre più aggressivo delle istituzioni 
finanziarie. La deregolamentazione avviata a partire dai primi anni ‟80, 
come la fine delle restrizioni all‟accesso al mercato dei capitali da parte 
delle imprese o la liberalizzazione dei tassi d‟interesse applicati sui depositi, 
da un lato rese le grandi aziende meno dipendenti dai prestiti bancari e 
dall‟altro intensificò la concorrenza fra le banche e fra istituti bancari e altre 
categorie di intermediari finanziari riducendo sensibilmente la profittabilità 
degli istituti finanziari come dimostrano anche gli andamenti dei relativi 
ROA e ROE.  
 
Figura 2 Redditività delle Banche Giapponesi 
 
Le banche dovevano aumentare sempre più artificialmente i tassi sui 
depositi per attirare nuovi clienti, ma al contempo dovevano offrire prestiti 
a tassi irrisori per renderli più appetibili alle imprese rispetto al crescente 
mercato dei capitali privati, riducendo al minimo lo spread fra i due. Gli
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istituti di credito ovviarono a questa situazione aprendo i propri prestiti alla 
fascia delle piccole e medie imprese, soggetti con minori garanzie che nella 
maggior parte dei casi facevano parte dell‟instabile settore non 
manifatturiero, soprattutto del campo edile, e che impiegavano tali risorse 
più in speculazioni che non in investimenti produttivi. Anche le banche 
giapponesi si lanciarono in numerose operazioni speculative, alimentando a 
loro volta le aspettative di crescita del valore degli assets, favorite da 
particolari condizioni per l‟applicazione dei criteri di adeguatezza del 
capitale imposti dall‟accordo di Basilea
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. 
Tra i fattori che amplificarono le aspettative di crescita della bolla 
speculativa, invece, un ruolo fondamentale l‟ha avuta una protratta 
abbondanza di liquidità: infatti dagli anni ‟80 le più sviluppate nazioni al 
mondo, incluso il Giappone, hanno sperimentato una stretta correlazione fra 
l‟aumento del valore degli assets e l‟espansione della liquidità in 
circolazione, soprattutto per l‟abbondanza di saldi monetari che ha facilitato 
gli investimenti speculativi riducendone i costi (Shiratsuka, 2003). 
In particolare questo fattore amplificante fu fortemente influenzato dal 
panorama politico-economico internazionale di quegli anni e nello specifico 
dall‟Accordo del Plaza Hotel del settembre del 1985: la colonna portante di 
questo accordo fu il coordinamento internazionale fra vari paesi sul mercato 
dei cambi in modo da ridurre il valore del dollaro nei confronti delle altre 
valute (in particolar modo Yen e Marco Tedesco) allo scopo di porre freno 
                                              
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 Dall‟accordo di Basilea derivò la possibilità per le banche giapponesi, facenti parte della rete di 
partecipazioni azionarie incrociate tipica di questo sistema, di aumentare il credito concesso grazie 
anche alla possibilità che una parte dei guadagni in conto capitale (il 45%) derivanti dal possesso 
di queste azioni potesse entrare nel computo del capitale delle banche. Il prezzo dei titoli azionari 
diventò così il fondamento instabile del criterio di adeguatezza del sistema finanziario giapponese 
(Hirano, 2002).
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alla crescita del deficit estero americano. Il governo giapponese fu costretto 
ad accettare la forte rivalutazione dello yen, stabilita dagli accordi del Plaza, 
e il dollaro crollò sotto i 150 yen da un picco precedente di 259. In altre 
parole, il potere di acquisto della valuta giapponese era cresciuto di più del 
40%, i beni giapponesi sul mercato internazionale diventarono quasi due 
volte più costosi e ciò costituiva una seria minaccia per gli esportatori 
giapponesi e per l‟economia nipponica in genere fortemente export 
oriented. All‟inizio del 1986 la crescita economica infatti scivolò sotto il 
2,5% (Wood, 1992). Furono richieste misure urgenti e il governo rispose 
realizzando un‟incisiva politica monetaria espansiva che risolse in breve 
tempo la recessione indotta dall‟apprezzamento della moneta . Le misure di 
politica economica adottate, e in particolare il dimezzamento del tasso di 
sconto dal 5% al 2,5% realizzato dalla Banca del Giappone in soli tredici 
mesi, dal gennaio 1986 al febbraio del 1987 (Okina, Shirakawa, Shiratsuka, 
2001), favorirono una consistente espansione, rivelatasi poi eccessiva, degli 
investimenti delle imprese e dei consumi delle famiglie. 
Contemporaneamente, la contrazione dei prezzi delle importazioni, 
accentuata dal favorevole andamento dei prezzi delle materie prime e del 
petrolio, impedì che l‟espansione della domanda interna si traducesse in un 
aumento dell‟inflazione.  
Una cospicua parte della liquidità liberata dalla riduzione dei tassi fu 
invece impiegata non per degli investimenti produttivi o per stimolare il 
consumo delle famiglie, e quindi ridurre l‟avanzo della bilancia dei 
pagamenti, bensì fu utilizzata nei mercati finanziari. Nell‟agosto del 1986 
l‟indice Nikkei aveva raggiunto quota 18.000 punti, quasi il 40% in più 
rispetto all‟inizio dell‟anno. Questi rapidi e consistenti comportamenti
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speculativi innescavano così una spirale di aumenti dei valori azionari e 
immobiliari secondo il meccanismo per cui aspettative di ulteriori aumenti 
nei prezzi delle azioni e degli immobili inducevano gli investitori a esporsi 
maggiormente, con il risultato che le aspettative finivano col trovare 
riscontro nella realtà dei fatti. Di conseguenza, l‟aumento del valore 
nominale dei titoli e degli immobili posseduti permetteva ad imprese e 
famiglie di ottenere nuovi finanziamenti e aperture di credito con estrema 
facilità, offrendo, come garanzia, i titoli e i valori immobiliari posseduti in 
portafoglio. Vedremo in seguito più in specifico le relazioni fra la politica 
monetaria della Bank of Japan (BOJ) e l‟emergere e lo scoppio della Bolla 
(Wilson, 2000). 
L‟effetto fu ancor più accentuato dalla tassazione giapponese sulle 
proprietà terriere che generalmente è lieve per i proprietari, ma assai 
pesante sulle transizioni, con lo scopo di incentivare a mantenere la 
proprietà, ma al tempo stesso limita la disponibilità di terreni edificabili. 
Questo meccanismo spinse i prezzi dei terreni ancora più in alto creando un 
circolo vizioso. 
Un altro problema strutturale alla base dell‟emergere della Bolla fu 
anche il debole meccanismo di controllo e disciplina degli agenti economici 
nipponici, minato soprattutto dal sistema della corporate governance o 
keiretsu, le partecipazioni incrociate fra grandi imprese manifatturiere e 
istituti di credito predominanti nel mercato giapponese. Queste pratiche 
sono sempre state considerate indispensabili per garantire la stabilità e 
l‟equilibrio del mercato azionario, ma hanno al contempo permesso la 
costituzione in Giappone di un sistema finanziario “protetto”, che ha 
indebolito il paese sottraendo al mercato azionario la trasparenza e