Questa prima forma di privatizzazione, non raggiunse però i risultati 
sperati, tanto che nel 1905 fu realizzata la nazionalizzazione delle 
ferrovie, con la conseguente creazione delle Ferrovie dello Stato (Fs). 
Sempre nel primo capitolo, abbiamo affrontato, la questione 
dell’alienazione dei beni ecclesiastici. 
Con le Leggi 7 luglio 1866 e 15 agosto 1867 oltre ad essere soppressi 
circa 25.000 enti ecclesiastici si è disposta la liquidazione dell’asse 
ecclesiastico.  
Le “privatizzazioni” del 1866/1867 peraltro sono precedute da altri 
interventi dello Stato sull’assetto della proprietà: la c.d. 
“quotizzazione” dei demani comunali nel 1861 e la legge di 
alienazione dello Stato del 1862.  
Tuttavia queste dismissioni non sono state di grande utilità in quanto 
i beni sono stati spesso “svenduti” senza alcun vantaggio per la 
comunità
1
. 
Nel secondo capitolo, si affronta il tema della nascita dello “Stato 
imprenditore”, il cui intervento pubblico nell’economia ha inizio nei 
primi anni trenta del secolo XX. 
E’ nota la vicenda che ha avuto origine con la grande crisi economica 
del 1929 e che ha determinato il crollo della borsa americana e 
successivamente il crollo delle borse europee. 
                                                 
1
 S. Licciardello, “Percorsi di diritto Pubblico dell’Economia. Territorio, beni e servizi”. Torino, 
Giappichelli, 2008, pp 2-3. 
5 
 
In Italia la situazione era particolarmente critica in quanto la Banca 
Commerciale, il Credito Italiano ed il Banco di Roma erano i 
principali azionisti di società in settori strategici dell’economia. La 
crisi ha pertanto avuto l’effetto di paralizzare quel ruolo essenziale 
che le banche hanno di finanziamento dell’impresa privata. La 
conseguenza di tutto questo non poteva che essere una irreversibile 
crisi industriale con la perdita di posti di lavoro. 
Per evitare ciò il Governo, seguendo il professore Beneduce, 
consigliere di Mussolini, impose alle banche di cedere azioni allo 
Stato, il quale così immise nel mercato quella liquidità necessaria per 
rifinanziare il sistema economico. 
Sicché improvvisamente lo Stato, attraverso un ente appositamente 
istituito, l’IRI, (Istituto ricostruzione industriale), è divenuto 
azionista di imprese strategiche per l’economia nazionale
2
. 
A partire dagli anni settanta, i chiari segni dell’inefficienza di buona 
parte delle imprese pubbliche, ha portato lo Stato a recedere 
progressivamente da molti settori dell’economia, avviando negli anni 
novanta, un processo di privatizzazioni senza precedenti nella sua 
storia. 
Il suddetto capitolo continua, descrivendo il passaggio dallo Stato 
imprenditore alle privatizzazioni, descrivendo le diverse forme di 
privatizzazione, tra esse, la privatizzazione formale e quella 
sostanziale
3
. 
                                                 
2
 S. Licciardello, “Percorsi di diritto Pubblico dell’Economia. Territorio, beni e servizi, cit. p 8. 
3
 Con il termine privatizzazione sostanziale si suole indicare il vero e proprio trasferimento di quote o di interi 
pacchetti azionari dallo Stato a soggetti privati. Con il termine privatizzazione formale, si suole indicare “il 
cambiamento della struttura organizzativa di un ente da pubblicistica (azienda autonoma, ente pubblico 
6 
 
Infine, a conclusione del capitolo vengono descritte le più frequenti 
tipologie di dismissione delle partecipazioni azionarie quali, l’Offerta 
Pubblica di Vendita “OPV”, l’Asta pubblica e la Trattativa privata. 
I capitoli terzo e quarto, ripercorrono la storiografia delle principali 
privatizzazioni realizzate dallo Stato, nel periodo dal 1992 al 2005, 
con i relativi provvedimenti legislativi di riferimento e gli effetti 
riscontrati nel bilancio dello Stato
4
. 
L’ultimo capitolo, infine, descrive le privatizzazioni realizzate nel 
periodo dal 2006 al 2008 includendo, la nota vicenda Alitalia. 
Nell’ambito del suddetto capitolo, si è cercato di comprendere i 
motivi che hanno ispirato il calendario delle privatizzazioni e quanto 
sia ancora rimasto da privatizzare. 
Per finire, sono state analizzate le caratteristiche che hanno 
contrassegnato sia le prime forme di privatizzazione realizzate in 
Italia alla fine dell’ottocento e sia quelle relative alle privatizzazioni 
attuali, al fine di evidenziarne eventuali differenze. 
                                                                                                                                                      
economico, ente gestore di partecipazioni statali) in privatistica (società per azione), pur restando sotto il 
controllo della mano pubblica, dal momento che lo Stato rimane proprietario della totalità delle azioni oppure 
del pacchetto di maggioranza”, in  R. D’Amico, L’analisi della pubblica amministrazione. Teorie, concetti e 
metodi. Vol. I La pubblica amministrazione e la sua scienza, Milano, Franco Angeli, 2006,  p.70. 
4
Con la legge 27 ottobre 1993, n.432, viene istituito il fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato: nel fondo 
confluiscono i proventi incassati dal Tesoro, che sono vincolati per legge alla riduzione del debito. L’obiettivo 
perseguito tramite la costituzione del fondo è di “legare le mani” ai governi futuri, istituzionalizzando il 
principio per cui con la cessione di attivi, come le partecipazioni, non si possono finanziare i  “flussi” di spesa, 
ma si deve ridurre lo “stock” del debito che grava sullo Stato, in E. Barucci - F. Pierobon, Le privatizzazioni in 
Italia, Roma, Carocci, 2007, p. 52. 
7 
 
CAPITOLO PRIMO 
Nazionalizzazioni e privatizzazioni nell’800. 
1.1 Dalla privatizzazione alla nazionalizzazione delle 
ferrovie. 
L’Italia giungeva all’unificazione politica, quando le altre nazioni 
avevano già compiuto progressi determinanti nella dotazione 
infrastrutturale. 
Occorreva, anzitutto, costruire un sistema di rete, partendo da una 
debolezza strutturale e dalla mancanza di connessioni tra le diverse 
reti di carattere regionale
5
. 
Lo sviluppo complessivo della rete ferroviaria si presentava, in tale 
anno, con una estensione di 2.330 km.  
Essa, però, non rappresentava un sistema organico: infatti, accanto a 
linee di proprietà e di esercizio statale, vi erano linee di proprietà ed 
esercizio privato ed anche di proprietà privata ma con esercizio 
affidato allo Stato
6
. 
                                                 
5 
P. Spirito – S. De Lazzari, Le Ferrovie italiane tra Stato e Mercato, Roma, Funzione Strategie, Studi e 
Mercati, 1996, p.10. 
6
 G. Coletti, Storia di una Riforma, l’ente “Ferrovie dello Stato”, Roma : CAFI, 1985, p.22. 
8 
 
Inoltre, ciascuna concessionaria aveva contratto con i diversi Stati 
preunitari concedenti, patti molto differenti, basati principalmente 
sulle garanzie di un reddito minimo chilometrico, per invogliare i 
risparmiatori a sottoscrivere i titoli senza correre rischi. 
“La prima preoccupazione del nuovo Parlamento unitario fu di 
raccogliere non solo le successioni delle società concessionarie 
preesistenti al 1859, ma anche di quelle che si erano create fra il 
1859 e il 1861 le quali, essendo tutte più o meno improvvisate, 
gestivano in modo caotico le linee e si apprestavano a costruirne di 
nuove, la maggior parte delle quali approvate senza progetti accurati 
e senza aver prestato molta attenzione agli aspetti tecnici, per non 
parlare dei futuri assetti di traffico e di bilancio. Si trattava, 
insomma, di dover prendere in mano un gran numero di società 
sull’orlo di una crisi economica; il fallimento di società ferroviarie 
non era una peculiarietà italiana. Nel caso italiano è peculiare lo 
squilibrio tra desideri e l’ampiezza dei disegni, da una parte, e le 
prospettive della domanda e i mezzi finanziari di cui si disponeva 
dall’altra: in questo fatto va ravvisata la caratteristica fondamentale 
dell’originario sistema ferroviario nazionale nonché una fra le 
principali cause del tracollo del sistema concessionale dell’esercizio 
e delle gravi difficoltà tecniche che hanno sempre caratterizzato le 
nostre ferrovie”
7
. 
Solo nel 1865, i lavori di allacciamento fra i tronchi esistenti e la 
costruzione di nuove linee, fecero in modo che i vari tronchi 
ferroviari assumessero la caratteristica di una rete sufficientemente 
organica, il cui sviluppo complessivo si presentava di 10.510 km.  
                                                 
7
 M. Del Viscovo, Economia dei trasporti, Torino, Utet, 1990, p.32. 
9 
 
In questa situazione, però, rimaneva il problema della presenza di una 
miriade di società. Infatti, oltre allo Stato, ben 22 compagnie grandi e 
piccole avevano la responsabilità di gestire la rete esistente nella 
penisola
8
. 
Gli obiettivi della politica di riordino della struttura ferroviaria erano 
molteplici. Lo Stato, si proponeva innanzitutto di effettuare una 
“cucitura” geografica e sociale tra nord e sud; gli italiani si 
conoscevano poco e le ferrovie costituivano la grande novità 
tecnologica del secolo, il progresso, che dava l’occasione per 
estendere la reciproca conoscenza di uomini e paesi divenuti ormai 
cittadini e parti di uno stesso Stato
9
.  
Inoltre, per un paese agricolo come l’Italia, si voleva creare un 
mercato nazionale agricolo, integrandolo in un più esteso mercato di 
sbocco europeo. 
Infine, e soprattutto, si voleva dotare la nascente industria di una 
infrastruttura fondamentale come quella ferroviaria che avrebbe 
spinto e sostenuto la produzione industriale attraverso due canali: 
quello delle commesse pubbliche, determinando lo sviluppo e la 
crescita della filiera tecnologica, e quello di un abbassamento dei 
costi di trasporto. 
 
 
                                                 
8
 S. Maggi, Storia dei trasporti in Italia, Bologna, Il Mulino, 2005, p. 28. 
9
 M. Del Viscovo, Economia dei trasporti, cit, p.32. 
10 
 
Per realizzare questi obiettivi lo Stato doveva procedere:  
z ad un riassetto dell’intero sistema ferroviario che armonizzasse i 
vecchi modelli organizzativi, proprietari e gestionali;  
z a porre le basi per un piano di sviluppo che, attraverso un 
programma di nuove costruzioni, trasformasse un insieme di 
spezzoni costruiti in epoca preunitaria in una vera rete ferroviaria 
nazionale. 
Così, il nuovo Stato, dovette dedicarsi ad un’opera di 
razionalizzazione gestionale, che iniziò nel maggio del 1865 con il 
primo riordinamento generale
10
, realizzato due mesi dopo la 
promulgazione della legge per l’unificazione amministrativa del 
Regno d’Italia
11
. 
La Legge 20 marzo 1865 n.2248, si proponeva l’obiettivo di dare un 
primo definitivo assetto generale al sistema di trasporto su ferro, 
disciplinando il rapporto tra lo Stato e i concessionari.  
Il suddetto strumento legislativo, preparava il terreno giuridico sul 
quale nei successivi anni, si sarebbe edificata la riforma dell’industria 
ferroviaria improntata ad un rapporto sinergico tra lo Stato 
“regolatore e tutore dell’interesse pubblico” e l’iniziativa privata 
che, adeguatamente incentivata, avrebbe dovuto contribuire allo 
sviluppo dell’intero settore secondo i criteri di efficienza ed 
economicità
12
. 
                                                 
10
 Il riordinamento fu approvato con la legge 14 maggio 1865, n. 2279, “pel riordinamento ed ampliamento 
delle strade ferrate del Regno, colla cessione di quelle governative”. 
11 
Legge 20 marzo 1865 n. 2248.  
12
 R. Buratta, La privatizzazione delle Ferrovie dello Stato, Roma, Direzione strategia Funzione strategie e 
studi, 1996, p.15.  
11 
 
Con il secondo provvedimento, la Legge 14 maggio 1865 n.2279, si 
decise, invece, la cessione delle ferrovie all’industria privata, 
includendo nei contratti anche l’affidamento agli stessi soggetti della 
costruzione di nuove linee. 
Le società concessionarie, attraverso una serie di fusioni si ridussero 
da 22 a 4, ma di dimensioni e capacità finanziarie di gran lunga più 
consistenti
13
.  
Tali società, oltre che esercenti del servizio di trasporto, sarebbero 
state anche proprietarie delle reti rispettivamente esercitate. 
1.1.1 L’affidamento dell’esercizio ferroviario ai 
privati.  
La costruzione e l’esercizio ferroviario furono quindi, affidati a 
quattro grandi società a capitale privato: “Strade ferrate 
Romane”, “Strade ferrate Alta Italia”, “Strade ferrate 
Meridionali” e “Società Vittorio Emanuele”, alle quali, veniva in 
genere assicurata una sovvenzione per ogni linea o per ogni 
chilometro di linea esercitato, decrescente all’aumentare degli 
introiti
14
. 
                                                 
13
 Si aveva una quinta società di minore importanza: La Compagnia Reale delle ferrovie sarde. M. Ferrarese, 
“La trasformazione organizzativa delle Ferrovie dello Stato e gli effetti sullo sviluppo del trasporto ferroviario in 
Italia”, Università degli Studi di Verona, 1996.  
14
 1.Strade Ferrate Romane: Tale società, nasceva dalla fusione di alcune imprese toscane e romane e ad essa 
furono affidate le linee toscane, quelle dello Stato pontificio ed altre linee in Liguria in Umbria e in Abruzzo, 
con l’obbligo di esercitare su richiesta del governo alcune linee piemontesi. La Convenzione prevedeva un 
regime di sovvenzioni annue chilometriche, legate al mancato raggiungimento di determinati “target” in 
termini di prodotto chilometrico. Ma la società nacque già asfittica, in quanto i quattro organismi che la 
costituirono, erano già in cattive acque a causa della mancanza di capitali per proseguire le costruzioni e, degli 
altri oneri da stanziare per gli interessi sui titoli e le quote di ammortamento. Vi furono gravi carenze 
industriali, tanto che già nel 1873 l’assemblea degli azionisti chiese il riscatto delle linee da parte del Governo. 
Lo Stato, dunque, riprendeva la proprietà ed il possesso della rete ed indennizzava gli azionisti con cartelle di 
rendita consolidata al 5%. Le ragioni per cui le Strade Ferrate Romane si trovarono in gravi difficoltà, vanno 
12 
 
Talvolta questa sovvenzione era sostituita dalla garanzia di un 
interesse minimo annuo alle azioni, nonché da altre forme di 
sussidi, secondo molteplici meccanismi variabili anche tra le 
singole linee di una stessa compagnia.  
Dunque, la legge 2279 del 1865, sanciva la sostanziale completa 
privatizzazione della gestione ferroviaria, distribuendo in modo 
abbastanza omogeneo le reti tra le diverse società e disponendo in 
loro favore delle sovvenzioni fisse e quelle che prevedevano la 
compartecipazione dello Stato secondo il sistema “a scala 
mobile”
15
. 
La scelta del modello organizzativo privatistico garantito dalle 
risorse pubbliche, fu dettata dalle precarie condizioni della 
finanza pubblica, degli anni subito successivi alla unificazione
16
. 
 
                                                                                                                                                      
anche ascritti al fatto che l’azienda non era italiana e pertanto non godeva della stessa protezione concessa alle 
Meridionali; 2.Strade Ferrate Alta Italia: Società del banchiere Rothscild, in essa, venivano riunite le linee 
italiane della compagnia del Lombardo-Veneto e dell’Italia centrale, con giurisdizione sulle linee piemontesi e 
liguri, e su quelle Venete e dell’Italia centrale. Inoltre, lo Stato aveva ceduto alla società in questione, le linee 
di sua proprietà in Piemonte, per un esborso di 200 milioni di lire, sulle quali garantiva un interesse annuo del 
5%. La gestione della rete fu abbastanza buona, le azioni assicuravano un rendimento pari  all’8%, tuttavia non 
le mancarono i problemi, dovuti in primo luogo al reperimento di nuovi capitali per far fronte alle continue 
successive costruzioni, per non lasciare nuove linee ad imprese concorrenti, oppure per le pressanti richieste 
governative. Comunque, anch’essa era in mani straniere e  fu riscattata con la stipula della convenzione di 
Basilea del 1875; 3.Strade Ferrate Meridionali: Società del conte Bastogi, alla guida di un gruppo di azionisti 
italiani, ad essa fu concessa la costruzione e l’esercizio di linee principali nel meridione e centro-nord esclusa la 
Calabria. Anche in questo caso, vi fu il riscatto nel 1876 della proprietà delle linee da parte dello Stato, dando 
in cambio una rendita consolidata; 4.Società Vittorio Emanuele: Società a capitale francese, della banca 
Lafitte, la sua costituzione risaliva ad alcuni anni prima. Alla fine del 1864, la società esercitava in concessione 
le calabro-sicule per 32 km di linee e ne aveva in costruzione e in progetto 1.127 km. Proprio l’onere di 
costruire ferrovie in un territorio isolato, sottosviluppato e non a contatto con le zone europee più progredite 
economicamente, determinò per la società l’incapacità a coprire le spese di esercizio, tanto che nel 1871 esse 
furono affidate alle Meridionali con gestione a parte. 
15
 Cioè con compensi che per lo Stato sarebbero stati decrescenti con i profitti crescenti delle concessionarie. 
16
 Infatti, vi furono effetti a breve termine per l’erario pubblico molto positivi, non solo per gli introiti da 
dismissione ma anche per i mancati flussi negativi per il finanziamento diretto degli investimenti. 
13