11 
 
il primo torneo ufficiale,  la FA Cup, la quale esiste tutt‟ora ed è considerato 
l‟evento di maggior prestigio del calcio inglese. 
In questo periodo il calcio cominciò a diffondersi a macchia d‟olio in tutta 
l‟Europa, ed ovviamente anche in Italia, dove nel 1893 venne fondata  la prima 
società il Genoa Cricket and Athletic Club, che mutò nome nel 1899 diventando 
Genoa Cricket and Football Club.  A questo club ne seguirono molti altri, tra le 
quali sono tuttora esistenti, la Società Sportiva Udinese nel 1896,  lo Sport Club 
Juventus nel 1897, il Milan Cricket and Football Club nel 1899 e la Società 
Sportiva Lazio nel 1900.  
Nel 1898 fu fondata anche la Federazione Italiana del Football, la quale nello 
stesso anno organizzò il primo campionato di calcio italiano, disputato a Torino in 
una sola giornata e  vinto dal Genoa2. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                 
2
 Notizie storiche tratte dal sito http://it.wikipedia.org/wiki/Calcio_(sport) 
12 
 
I.2   L’evoluzione societaria delle squadre: da associazioni a s.p.a. 
In origine le società calcistiche si costituirono in associazioni per consentire la 
pratica atletico-agonistica dei propri tesserati. Funzionalmente dato lo scopo 
ricreativo che animava questi sodalizi, le prime società calcistiche potevano essere 
assimilate a delle associazioni mutualistiche, in quanto le esigenze economiche si 
limitavano alla copertura degli esigui costi di gestione, la quale avveniva 
attraverso il versamento di contributi da parte dei volontari, dei soci e di 
sostenitori esterni,  visto che il budget necessario era assai esiguo e largamente 
preventivabile, a causa delle ridotte dimensioni economiche del settore. 
Con il passare degli anni e la diffusione del fenomeno calcio, lo scenario cominciò 
a mutare, l‟interesse verso questo settore divenne sempre più crescente e con esso 
anche le spese necessarie alla gestione delle squadre, alle quali le associazioni 
sportive erano impossibilitate a far fronte solo attraverso il semplice contributo 
dei volontari e quindi era necessario rivolgersi al mercato, trasformandosi in vere 
organizzazioni d‟impresa con i necessari mutamenti della struttura organizzativa, 
diventata sempre più complessa. 
Si assistette quindi alla scomparsa della figura del praticante-associato, che venne 
sostituita dall‟atleta professionista, che diventava soggetto autonomo rispetto 
all‟associazione e legato da un contratto con il quale assicurava ad essa le proprie 
prestazioni sportive contro il pagamento di un consenso. 
Fu negli anni ‟20 che si cominciò a porre il problema del professionismo per gli 
atleti ed in Italia fu con la Carta di Viareggio del 1926, che per la prima volta si 
ufficializzò la distinzione tra calciatori dilettanti e non dilettanti. 
Era inoltre palese che la natura giuridica dell‟associazione fosse incompatibile con 
gli aspetti di natura economica-patrimoniale delle società calcistiche, ma in Italia 
fu solo agli inizi degli anni Sessanta che le istituzioni sportive nazionali si 
trovarono di fronte all‟esigenza di affrontare un cambiamento giuridico, 
ridefinendo il ruolo delle società sportive, ormai non più solo associazioni di 
volontari ma vere e proprie aziende che esercitavano un‟attività in rapida 
espansione, sia in termini economici che di seguito da parte del pubblico. 
In Inghilterra già all‟inizio della Prima Guerra Mondiale quasi tutte le società 
professionistiche erano già diventate società a responsabilità limitata, e man mano 
13 
 
che i consigli di amministrazione venivano occupati da dirigenti più capaci negli 
affari, venivano anche stabiliti metodi precisi per rendere più efficiente la gestione 
della società. 
In Italia fu solo nel 1966 che la F.I.G.C decise l‟adozione di una struttura 
giuridica più adatta al mutato contesto socio–economico in cui le società italiane 
operavano, deliberando che per l‟iscrizione al campionato successivo fosse 
necessario adottare la forma giuridica della società per azioni. Malgrado ciò fu 
solo con la legge n° 91 del 19813 che venne data una organica regolamentazione 
al settore, dopo anni di tentativi vani e svariate proposte di legge. Purtroppo 
questa legge limita le possibilità di manovra per le società italiane, in quanto non 
era previsto che essere potessero agire per scopo di lucro, quindi esse pur potendo 
agire ora come società e non più solo come associazioni, si vedevano limitate e 
impossibilitate a puntare a dei ricavi importanti per sviluppare la loro capacità 
economica. 
Questo grave handicap fu eliminato solo con la legge n° 586 del 18/11/19964, la 
quale finalmente introdusse lo scopo di lucro per le società sportive, sancendo 
definitivamente il passaggio del mondo del calcio professionistico ad un sistema 
business oriented. 
E‟ facile capire come questo ritardo di mutamento culturale nella gestione delle 
società italiane, abbia generato un gap con le concorrenti, soprattutto inglesi, le 
quali cominciarono a vedere molto prima la gestione delle società di calcio in 
ottica imprenditoriale, quindi orientate alla generazione dei ricavi oltre che al 
mero risultato sportivo. 
 
 
 
 
 
                                                 
3
 “Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti”, pubblicata nella Gazzetta 
Ufficiale del 27 marzo 1981, n. 86. 
4
 Pubblicata su G.U. n.272 20/11/1996 avente ad oggetto “Conversione in Legge del D.L. 
20/09/1996, n. 485, recante disposizioni per le società sportive professionistiche”. 
14 
 
I.3 Lo Scenario attuale: da società calcistiche ad operatori 
economici. 
L‟introduzione dello scopo di lucro per le società italiane, avvenuto, come detto, 
nel 1996, era un passo ormai necessario, visto il radicale cambiamento avvenuto 
nella gestione societaria negli altri Paesi e visto ormai il crescente interesse, 
soprattutto dal lato economico, intorno al mondo del calcio. 
L‟origine del calcio business può essere fatta risalire al 1974, quando Joao 
Havelange fu eletto Presidente della Fifa,  attraverso i voti ottenuti attraverso i 
progetti di rendere il calcio una vera e propria industria aperta a tutti coloro i quali 
volessero investire capitali e guadagnarne molti di più. Cosi nel giro di pochi anni 
i ricavi aumentarono a dismisura, soprattutto grazie alle tv. 
Oltre ai cambiamenti regolamentari riguardante la natura giuridica delle società e i 
cambiamenti nelle guide degli organismi istituzionali, vi sono stati anche altri 
mutamenti legati più strettamente allo sport, che ne hanno fortemente 
rivoluzionato la struttura, facendolo diventare un fenomeno sempre più 
commerciale e sempre meno sportivo. 
Senza alcun dubbio la sentenza “sportiva” che più ha modificato in tal senso tutto 
il mondo calcistico è stata la celeberrima sentenza Bosman, del 1995. 
La cosiddetta sentenza Bosman è una decisione presa nel 1995 dalla Corte di 
Giustizia delle Comunità Europee che consente ai calciatori professionisti aventi 
cittadinanza dell'Unione Europea di trasferirsi gratuitamente a un altro club alla 
scadenza del contratto con l'attuale squadra. 
Bosman giocava nella Jupiler League, la massima serie belga e il suo contratto era 
scaduto nel 1990. Il calciatore intendeva cambiare squadra e trasferirsi 
al Dunkerque, una squadra francese. Il Dunkerque non offrì al club del RFC 
Liège una contropartita in denaro sufficiente, e la squadra belga rifiutò il 
trasferimento. 
Inoltre, nel frattempo, l'ingaggio di Bosman venne ridotto e si ritrovò fuori dalla 
prima squadra.  
Il calciatore, a quel punto, portò il caso davanti alla Corte di Giustizia delle 
Comunità Europee in Lussemburgo e denunciando il comportamento della propria 
società di appartenenza come una restrizione al commercio.  
15 
 
Dopo una dura battaglia legale vinse il processo e il 15 dicembre 1995 la corte 
stabilì che il sistema fino ad allora in piedi costituiva una restrizione alla libera 
circolazione dei lavoratori e ciò era proibito dall'articolo 39 del Trattato di Roma.  
A Bosman e a tutti i calciatori dell'Unione Europea fu permesso di trasferirsi 
gratuitamente alla fine del loro contratto, nel caso di un trasferimento da un club 
appartenente a una federazione calcistica dell'Unione Europea a un club 
appartenente ad un'altra federazione calcistica, sempre dell'Unione Europea. 
Inoltre, un calciatore può firmare un pre-contratto con un altro club, sempre a 
titolo gratuito, se il contratto attuale ha una durata residua inferiore o uguale ai sei 
mesi. 
La sentenza Bosman ha anche proibito alle leghe calcistiche nazionali degli stati 
UE, e anche alla UEFA, di porre un tetto al numero di calciatori stranieri qualora 
ciò discriminasse cittadini dell'Unione Europea.  
Prima della sentenza Bosman, i calciatori erano quindi vincolati alle rispettive 
società di appartenenza il vincolo stabiliva che un qualsiasi giocatore appartenente 
a una società non poteva in alcun modo trasferirsi senza l‟assenso della società di 
appartenenza.  
Lo spartiacque tra quello che possiamo considerare il vecchio calcio e il nuovo 
calcio, inteso come nuovo sistema di regole che trasformarono il profilo del 
settore calcistico è quindi l‟anno 1996, nel quale la sentenza Bosman cominciò a 
produrre i suoi effetti. 
La prima conseguenza fu l‟eliminazione dell‟obbligo di versare l‟indennità di 
preparazione e promozione per il trasferimento di atleti professionisti, salvo che 
nel caso di primo contratto da professionista. 
Queste modifiche introdotte in Italia con la legge n°586 del 1996, eliminarono 
anche la preclusione per le società sportive professionistiche della distribuzione ai 
soci dell‟utile di esercizio realizzato, per il “perseguimento esclusivo dell‟attività 
sportiva”, rendendole così società a scopo di lucro e permettendo, indirettamente, 
l‟ampliamento delle attività commerciali consentite, seppur limitate ad attività 
strumentali all‟attività sportiva. 
Il decreto 20 settembre 1996, n° 485 ha inoltre introdotto anche una novità finora 
poco sfruttata in Italia, ma che potrebbe costituire in futuro una ottima 
16 
 
opportunità, così come già avviene in Spagna, con il caso eclatante del Barcellona 
che sarà approfondito in seguito, si tratta della possibilità, per le società, di 
ricorrere all‟azionariato popolare, in quanto da questo momento, “non costituisce 
sollecitazione del pubblico risparmio il collocamento di azioni e di altri valori 
mobiliari effettuato dalle società sportive professionistiche tra persone fisiche o 
giuridiche per importi unitari non superiori a dieci milioni di lire”. 
 
Questo nuovo quadro normativo giuridico determinato dalle trasformazioni 
indotte dalla sentenza Bosman delinea un nuovo modello di business del calcio 
professionistico che si afferma a livello internazionale, comportando profonde 
trasformazioni nei comportamenti non solo dei dirigenti ma dei tifosi, degli 
sponsor, dei media e degli investitori. 
I principali cambiamenti nelle regole del gioco e nel funzionamento del settore del 
calcio che desideriamo elencare e commentare sono i seguenti: 
- la definitiva caduta delle barriere geografiche sui mercati; 
- l’aumento del potere contrattuale dei giocatori nei confronti delle società; 
- la ricerca di nuove fonti di ricavo da parte dei club; 
- la crisi dei settori giovanili dei club maggiori. 
 
La più evidente delle trasformazioni indotte della sentenza Bosman è l‟aumento 
dei trasferimenti dei calciatori a livello internazionale. La sentenza Bosman ha, di 
fatto, liberalizzato il mercato del  lavoro per i calciatori rendendoli liberi di fornire 
i loro servizi al miglior offerente.  
Nel 1995-96 gli stranieri presenti nel campionato di serie A erano 61, l‟anno 
successivo 93 e nel campionato 2001-2002 248; un aumento, in soli 6 anni, del 
306.6%. 
È da questo momento che, all‟interno degli organismi politici di FIFA e UEFA,  si 
cominciano ad affrontare problemi di importanza vitale per il movimento, quali la 
disciplina dei rapporti tra giocatori e Federazioni nazionali, le regolamentazioni 
delle sponsorizzazioni commerciali del calcio e della trasmissione televisiva delle 
partite. 
17 
 
Infatti è proprio in quegli anni che viene consentita la trasmissione televisiva delle 
partite in diretta criptata (pay-per-view e pay-tv) di tutti gli incontri di Serie A e 
Serie B, il che comporta l‟arrivo di una nuova ed estremamente rilevante fonte di 
entrata per i club, i quali a partire da questo momento diventeranno praticamente 
dipendenti dai ricavi derivanti dai diritti televisivi, poiché essi diventato, sempre 
più,  la maggiore voce di entrata nel bilancio di tutte le società europee. 
Altre rilevanti trasformazioni hanno poi luogo negli anni successivi, tra il 1998 e 
il 1999 vengono liberalizzate le scommesse sportive, come già avvenuto in altri 
Paesi e, cosa più importante, vengono riformati i calendari delle competizioni 
internazionali, all‟interno dei quali vengono introdotte nuove manifestazioni, con 
inevitabili ripercussioni sia sugli interessi economici, ma anche sulla gestione 
sportiva delle società.  
Infatti se da una parte un arricchimento dei calendari porta maggiori entrate 
attraverso i diritti televisivi, maggiore vendita di biglietti dello stadio, superiori 
sponsorizzazioni, soprattutto per le squadre di vertice, d‟altro canto l‟esponenziale 
aumento del numero di partite costringe le società, soprattutto quelle che vogliono 
imporsi ai vertici, ad allargare progressivamente la rosa dei giocatori, fino ad 
arrivare mediamente a 25-30 tesserati, con conseguente aggravio di costi per il 
conto economico, non solo per i costi dei trasferimenti, ma soprattutto per il 
rilevante aumento della voce stipendi nel bilancio.  
Questa negli anni successivi diventerà la voce che maggiormente peserà sui 
bilanci delle società calcistiche, ancor di più per quelle di vertice. Infatti poiché lo 
spettacolo è offerto dai giocatori che scendono in campo, i club, al fine di offrire 
uno spettacolo più attraente per il pubblico, quindi per strappare contratti più 
lucrosi alle pay-tv e agli sponsor, devono cercare di assicurarsi i calciatori 
migliori, questo anche per puntare alle vittorie che oltre a dare prestigio alla 
squadra, generano ricavi sia direttamente dai maggiori incassi dalle competizioni, 
sia dai maggiori sponsor che per forza di cose investono di più in una società di 
prestigio. 
 
 
 
18 
 
Circolo virtuoso tra risultati sportivi ed economici (grandi Club) 
 
 
Circolo virtuoso tra risultati sportivi ed economici (piccoli Club) 
 
 
 
Figura 1:   Grafici dei circoli virtuosi dei ricavi dei grandi e piccoli club 
19 
 
Quindi nel calcio moderno si genera un ciclo che si autoalimenta, cosi come 
abbiamo potuto notare nella figura.. 
Da questo momento in poi l‟obiettivo delle società non è solo l‟ottenimento del 
miglior risultato sportivo possibile, ma il focus si sposta verso la gestione 
economica, in quanto ottenere risultati positivi in ambito finanziario diviene 
importante quasi quanto il successo sportivo. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
20 
 
I.4   Il business, i profitti e la prestazione: trade-off tra successo 
sportivo e successo economico 
 
Una società di calcio deve seguire delle regole che richiedono che essa si occupi 
di gestire il club, di selezionare i giocatori, i tecnici, di vendere i biglietti e 
remunerare economicamente coloro i quali fanno parte del club. Che tutto questo 
venga fatto per ottenere un profitto non è un fatto che rientra nelle peculiarità 
classiche delle società calcistiche. Ciò almeno fino a che il calcio è stato per lo più 
un “gioco”, ma le modifiche intervenute a partire dalla seconda metà degli anni 
‟90, hanno spostato in primo piano il ruolo economico delle società, accrescendo 
l‟importanza della capacità di generare i ricavi, infatti come un‟impresa deve 
trovare un equilibrio economico tra successo competitivo e successo reddituale, 
così la questione più importante per una società di calcio diventa creare un 
equilibrio tra ricerca del profitto e ricerca del successo sportivo. 
Nel caso di molte società calcistiche, spesso gli azionisti principali sono i dirigenti 
stessi della società, soprattutto in Italia, dove fino alla seconda metà degli anni ‟90 
si è rimasti all‟idea delle società di calcio legate storicamente alla proprietà di una  
determinata famiglia, basti pensare al più eclatante caso, quello della Juventus che 
praticamente fin dalla sua fondazione è stata legata indissolubilmente con la 
famiglia Agnelli; questo senza dubbio è stato impedito dalla mancanza di una 
regolamentazione tempestiva del settore calcistico italiano, essendo mancata la 
capacità dei legislatori di seguire di pari passo lo sviluppo delle società, 
soprattutto dal punto di vista economico, attraverso l‟implementazione di leggi 
che consentissero lo sviluppo delle stesse come avveniva già da tempo nelle altre 
nazioni. 
Un altro caso eclatante, di quanto detto, può essere dimostrato attraverso la 
quotazione delle società in Borsa, infatti mentre le società italiane erano 
“imprigionate” ad essere possedute da singoli soggetti privati, in Inghilterra 
abbiamo la prima quotazione in Borsa da parte del Tottenham già nel 1983, 
mentre il primo caso italiano è recentissimo, essendo avvenuto solo nel 1998 con 
la quotazione della S.S. Lazio. Ciò ovviamente non è dipeso solo dalla mancanza 
21 
 
di una legiferazione ma anche dalla cultura italiana storicamente riluttante a 
rivolgersi al mercato, in quanto le società italiane sono sempre state considerate 
patrimonio di famiglie e quindi difficilmente si accettava di buon grado di 
“dividerle” con altri soggetti. 
Questi aspetti hanno impedito al calcio italiano di sviluppare un vero e proprio 
ruolo imprenditoriale delle società di calcio, rimanendo legati a doppio nodo al 
patrimonio del socio di maggioranza, il quale doveva provvedere a reintegrare il 
capitale societario, eroso costantemente dai debiti generati dalla società, incapace 
di provvedere attraverso una gestione imprenditoriale ai propri fabbisogni 
finanziari. 
Tuttavia l‟accresciuto volume finanziario del settore calcistico, a partire dagli anni 
‟90, ha destato l‟interesse di un sempre maggior numero di investitori, che 
cominciarono a credere che le società calcistiche italiane potessero rappresentare 
investimenti redditizi. 
Questo accresciuto interesse da parte di un notevole gruppo di stakeholder, ha 
fatto si che nelle società assumesse sempre maggior rilievo l‟aspetto economico, e 
il trade-off tra successo sportivo e finanziario sempre più importante. Correlando i 
dati contabili e le statistiche sportive è possibile esaminare il rapporto storico tra 
profitto e prestazioni di una squadra. Un modo semplice per rilevare il rapporto tra 
profitti e performance sportiva consiste nel valutare il rapporto tra cambiamenti 
nei profitti e cambiamenti in classifica nel campionato. Da una indagine condotta 
per circa cinquanta club rappresentativi dell‟intero sistema calcistico inglese, il 
coefficiente che mette in relazione i cambiamenti nella classifica e quelli dei 
profitti delle società calcistiche è risultato vicino allo zero. 
L‟assenza di un rapporto significativo  tra cambiamenti di posizione e 
cambiamenti nei profitti è una delle regole più importanti nel settore calcistico. 
Essa implica la mancanza di una formula semplice che possa correlare il successo 
sportivo e il successo finanziario. Malgrado ciò, negli ultimi anni i dirigenti sono 
giustamente diventati sempre più attenti alla possibilità di ottenere profitti, ciò 
poiché la competizione internazionale spinge sempre più in alto i bilanci delle 
maggiori società europee, e malgrado le ricerche dicano che non vi è correlazione 
diretta tra performance economica e sportiva, basta dare uno sguardo veloce ai 
22 
 
bilanci delle società vincitrici delle maggiori competizioni internazionali e quelle 
delle squadre meno quotate, per stabilire che in realtà le squadre che producono 
più profitti sono quelle che riescono meglio a competere. Basti pensare al caso del 
Chelsea, che prima dell‟avvento del magnate russo Abramovic5 era una squadra di 
medio livello che aveva conquistato un solo titolo di Campione d‟Inghilterra nella 
sua storia, circa 50 anni prima, e dopo l‟avvento del miliardario russo è diventata 
una delle squadre di maggior spessore a livello europeo, riuscendo a trionfare per 
ben due volte nel proprio campionato nazionale e raggiungendo traguardi 
importanti anche nelle competizioni internazionali. 
  
                                                 
5
 Roman Arkad'evič Abramovič  è un imprenditore russo. Nel marzo 2008 viene indicato dalla 
rivista Forbes come uno dei più ricchi della Russia e la quindicesima persona più abbiente nel 
mondo con un capitale di 23,5 miliardi di dollari.  
Fonte http://it.wikipedia.org/wiki/Roman_Arkad'evič_Abramovič 
 
23 
 
CAPITOLO II 
LE PERFORMANCE DI SETTORE 
 
II.1   Analisi di Settore: Le 5 forze competitive di Porter nel settore 
Calcio6 
Il calcio, in Europa, dispone di un mercato molto vasto. E‟ lo sport più seguito in 
tutto il continente, in grado di coinvolgere più di 190 milioni di appassionati.  
In questo scenario l‟Italia si distingue per l‟altissimo numero di tifosi in rapporto 
all‟intera popolazione nazionale. Sono, infatti, circa 37 milioni gli italiani 
interessati al calcio: più di metà della popolazione nazionale e circa il 24% 
dell‟intero corpus dei tifosi in Europa.  
A fronte di una situazione estremamente solida dal punto di vista dei tifosi, il 
business del calcio si confronta con una maggiore fluidità su molti altri versanti.  
Il settore finanziario, per esempio, ha visto in pochi anni una repentina espansione 
del giro di affari delle società calcistiche. Nella stagione 2006-2007 il mercato 
europeo del calcio è cresciuto del 9%, raggiungendo i 13,6 miliardi di euro. 
Secondo lo studio Deloitte i ricavi delle cinque maggiori Federazioni di calcio 
europee (Inghilterra, Italia, Spagna, Francia e Germania) è cresciuto di oltre 400 
milioni di euro (+ 6%), superando per la prima volta i 7 miliardi di euro, 
corrispondenti a più della metà (52%) del mercato europeo.  
Le squadre della Premier League inglese hanno prodotto il ricavo totale più alto 
rispetto a tutte e tre le categorie analizzate (partite, trasmissioni e pubblicità), per 
la prima volta dal 2001-2002, registrando ricavi totali pari a 2,3 miliardi durante 
l‟ultima stagione analizzata. Il divario tra i ricavi della Premier League e la 
Bundesliga tedesca, la quale ha totalizzato ricavi pari a 1,4 miliardi di euro, si è 
ampliato fino a raggiungere i 900 milioni di euro, malgrado vi sia stata una 
crescita di quest‟ultima, in termini di ricavi, di circa il 15%, cosi come la Liga 
spagnola, superando così la Serie A italiana. 
                                                 
6
 Tutti i dati inseriti in questo paragrafo sono stati ricavati dallo studi Deloitte “Annual Review of 
Football Finance 2008” 
24 
 
In Italia c‟è stata una riduzione dei ricavi, che passano da 1,399 miliardi di euro, 
fino a 1,140, con un calo di 259 milioni, ciò a causa della retrocessione in serie B 
di una importante società come la Juventus, ma anche a causa dell‟aggravarsi di 
un fenomeno che ha colpito negli ultimi anni il calcio italiano, il calo degli 
spettatori allo stadio, solo 19.000 di media a partita, la più bassa media europea di 
presenze allo stadio, mentre nelle altre nazioni si hanno numeri ben più 
importanti. Questo è uno dei dati che evidenzia la crisi sviluppatasi nel calcio 
italiano negli ultimi anni, basti pensare che nella stagione 1995/96 le squadre della 
Serie A e quelle della Premier League erano simili per redditività, (circa 450-500 
milioni di euro), e presenze medie (circa 30.000 a partita). 
Malgrado questa crisi, il settore del calcio professionistico italiano rappresenta 
una importante fetta del settore economico italiano, tanto che nel 2004 la Camera 
dei Deputati ha condotto una indagine conoscitiva sul Calcio professionistico, 
determinando come lo stesso fosse il tredicesimo gruppo industriale  del nostro 
Paese grazie ad un giro d‟affari che si aggira intorno ai 6 miliardi di euro. 
Guardando questi aspetti una società di calcio può essere assimilata in tutto e per 
tutto ad una comune impresa, in quanto ha: 
- una ben definita e regolata forma giuridica; 
- natura economica del loro operare (fine di lucro e distribuzione degli utili 
ai soci); 
- svolgimento di un‟attività produttiva diretta a soddisfare una domanda 
diffusa; 
- sottoposizione ad una attività di controllo interno ed esterno (Co.Vi.Soc.) 
L‟inquadramento delle società sportive nell‟ambito delle normali imprese 
industriali è altresì testimoniato dall‟importanza delle cifre che, come abbiamo 
visto, vengono generate dal mercato del calcio. Cifre di queste dimensioni non 
possono far altro che dar luogo ad un vero e proprio mercato concorrenziale nel 
quale le squadre di calcio agiscono da competitors e devono puntare a soddisfare 
degli obiettivi sia proprio che dei propri stakeholder. La gestione che viene fatta 
può essere inquadrata in quattro modelli di business: