6
conseguimento di un risultato preposto»
3
. Nella cultura occidentale essa viene posta 
nell’area delle attività scientifiche, anziché nella ricerca umanistica, ma è pressante la 
necessità di integrare i due livelli, poiché non esistono esclusivamente criteri 
quantitativi ed oggettivi: l’altra faccia della medaglia sono gli aspetti qualitativi, 
soggettivi, che danno ad ogni situazione la propria unicità e che portano ad attuare 
progetti altrimenti “statici” e astratti. Il rapporto tra tecnologia e tecnica risulta perciò 
assai complesso, e possiamo affermare, insieme a Guerra, che la tecnologia studia le 
relazioni tra materiali, strumenti e tecniche, analizzando e confrontando tecniche 
diverse, la loro efficacia ed efficienza a seconda del contesto socio-culturale in cui 
vengono utilizzate e degli obiettivi dichiarati che le tecniche stesse consentono di 
raggiungere, ma che non possono comunque garantire la ripetibilità (condizione 
necessaria, insieme alla generalizzabilità, del metodo sperimentale) a causa dei fattori 
soggettivi, delle qualità personali degli utilizzatori che intercorrono e interagiscono nel 
dipanarsi dell’esperienza educativa. 
Ciò che vorrei esprimere, con questo mio lavoro, è inizialmente una visione generale 
della Tecnologia dell’Educazione, a partire dal suo sviluppo storico, dandone una 
definizione attenta al mondo moderno, spiegando quale ruolo fondamentale svolga 
l’esperto di TE (Tecnologie dell’Educazione) e  infine come ci si possa porre nei 
confronti dell’avvento dell’innovazione tecnologica nelle scuole, a seconda delle 
opposte prospettive degli “integrati” o degli “apocalittici”. Successivamente, una 
rassegna dei servizi telematici a disposizione di esperti, docenti ed alunni porterà alla 
definizione di “apprendimento collaborativo”, concetto fondamentale della TE, che 
esplica la cooperazione che si viene ad instaurare tra i vari attori del processo educativo 
e che si riferisce a tutti quei processi di collaborazione/cooperazione con cui gli studenti 
acquisiscono nuove conoscenze, abilità e competenze o consolidano quelle già in loro 
possesso. (Capitolo I).  Due casi concreti di applicazione sperimentale degli strumenti 
elettronici a disposizione di allievi e docenti, nella specifica realtà scolastica altoatesina, 
verranno  dettagliatamente descritti, analizzati, interpretati e commentati, anche da parte 
degli stessi protagonisti che hanno vissuto direttamente l’esperienza, nella seconda parte 
di questo lavoro: il “Progetto Robolab”, cui hanno partecipato quattro classi (due quarte 
e due quinte) di alcune scuole elementari meranesi, gestito e coordinato dai responsabili 
Luciano Gerloni e Moreno Padrin, ha testato se una chat di tipo tecnico in ambito 
scolastico potesse avere un senso per dei bambini di nove – dieci anni, inseriti in un 
                                                 
3
 A. CALVANI, Manuale di tecnologie dell’educazione, Edizioni DTS, Pisa, 2000, p. 14 
 7
gruppo collaborativo: potevano ricavare informazioni utili per la loro attività utilizzando 
una chat ed un forum? (Capitolo II) Il progetto “Millennium Giornalino Virtuale” 
invece ha previsto la collaborazione tra Università di Bolzano, in particolare la facoltà 
di Scienze della Formazione, e Scuola, con la finalità di costruire un giornale virtuale 
delle scuole elementari della provincia altoatesina. La modalità di ricerca è stata quella 
della ricerca azione, il cui coordinamento scientifico ed il monitoraggio dell’esperienza 
stessa sono stati effettuati dall’Università, sotto la direzione del Prof. Luigi Guerra. 
(Capitolo III) 
L’obiettivo che mi pongo è evidenziare come la tecnologia offra amplificatori alla 
cooperazione, dei canali aggiuntivi  alla comunicazione, formando una struttura 
reticolare e interconnessa, cui tutti possono partecipare e lasciare il proprio “segno”: si 
giunge ad un’articolazione comune di ciò che si vuole esplicitare, confrontando opinioni 
e pareri, costruendo nuovi significati condivisi, con la consapevolezza che la comunità 
collaborativa diventa un mezzo sia per conoscere se stessi che per esprimersi. Seguendo 
i dettami del costruttivismo e definendo quindi come l’apprendimento collaborativo sia 
la finalità da perseguire nelle tecnologie dell’educazione, la speranza è per il futuro, per 
non lasciare queste esperienze come oasi in un deserto, per favorire un sempre maggiore 
campo di applicabilità, creando contesti che alimentino la partecipazione, con feedback 
motivanti, e limitando la dispersività e l’accentramento. Lo spirito della ricerca è quello 
di guardare sempre avanti, di non soffermarsi sui risultati già raggiunti, ma di progredire 
ancora, verso quella dimensione “metacognitiva” che l’illustre Bertin (e che Guerra in 
seguito ha ampliato in maniera significativa con la dimensione “fantacognitiva”) ha 
espresso nelle teorizzazioni del problematicismo pedagogico.
4
 Per questo le tecnologie 
si devono centrare sul soggetto, sulla valorizzazione dei suoi vissuti che costituiscono il 
punto di arrivo e partenza dell’esperienza educativa stessa, che non lo isolino nel suo 
mondo ma lo stimolino a una capacità di analizzarsi e di comprendere gli altri nel 
contempo. Le potenzialità delle TE, opportunamente contestualizzate, offrono quel 
“qualcosa in più” che forse oggi manca alla scuola italiana: il salto verso una migliore 
qualità dell’apprendimento, dovuta alla vastissima gamma di interazioni, sia 
intenzionali che casuali, ai momenti informali e formali che connotano l’essere in rete. 
Perché la messa in comune delle idee, il momento e le diverse forme della condivisione 
aggirano i rischi del conformismo, della conflittualità, dell’isolamento. Perché solo così 
si produce nuova conoscenza.  
                                                 
4
 Cfr G.M. BERTIN, Educazione alla ragione, Armando, Roma, 1968 
 8
CAPITOLO I 
COMPRENDERE LA TECNOLOGIA DELL’EDUCAZIONE 
 
1.1 Un avvincente dibattito 
 
I nuovi ambienti tecnologici offrono una risorsa inedita? Porteranno ossigeno 
nell’asfissia che rischia di soffocare la scuola? Oppure saranno usati solo come pura 
tecnica senza comprenderne il profondo significato di trasformazione personale, 
culturale e sociale che racchiudono in sé? Oppure, sono un inutile orpello che nulla 
aggiunge alla formazione? Il dibattito in Italia, così come nel resto dei paesi occidentali, 
è ricco di opinioni e pareri, talvolta duramente in contrapposizione tra loro, altre volte 
“giocati” sul filo di una sottile distinzione di termini, spesso richiamato all’attenzione 
dei media, senza però che sia giunto ad una conclusione definitiva. 
Da un lato si trovano coloro che esaltano la tecnologia come l’unica risorsa in grado di 
liberare l’insegnamento dai suoi elementi più riproduttivi, l’impiegare le macchine 
come accrescitori d’apprendimento, aprendo nuove dimensioni all’esperienza 
educativa…d’altro canto dalla parte opposta i denigratori asseriscono l’impoverimento 
della situazione formativa docente-discente a causa della mediazione dei computer, che 
non offre quell’attaccamento affettivo che si viene ad instaurare tra i protagonisti 
dell’azione educativa. 
Paradossalmente, entrambi i contendenti sfruttano le stesse armi - giustificazioni per 
combattersi: per i primi, all’insegnante vengono finalmente rese le ali della libertà per i 
coefficienti istruttivi, dandogli la possibilità di migliorare qualitativamente il suo 
intervento; per i secondi, al contrario, le nuove tecniche decurtano l’esperienza proprio 
di quell’interazione così preziosa. Si è venuto anche delineando tra gli studiosi di questa 
disciplina, un “soprannome” per identificare al meglio i due gruppi: gli “Integrati” e gli 
“Apocalittici” sono di sicuro termini che ben inquadrano prospettive ideologiche e 
riferimenti culturali contraddistinguenti gli schieramenti. 
I fautori propositivi delle tecnologie educative possono essere anche riassunti in alcuni 
“gruppi” caratterizzati da specifici commenti che valutano se esse forniscano o meno 
argomentazioni convincenti ed esaustive. 
Tali argomentazioni possono essere schematizzate nel modo seguente: 
 
 
 9
Rifiuto della riflessione 
La prima affermazione non è una argomentazione, è la posizione di chi nega a priori il 
valore di ogni riflessione critica circa se e come impiegare le nuove tecnologie. 
Si vuol forse mettere in discussione il progresso? La tecnologia non può che procedere 
per la sua strada. Dovremmo forse stare ancora a discutere se ha significato oppure no 
l'innovazione tecnologica nella scuola? Chiacchere inutili, tutti si stanno muovendo, noi 
che aspettiamo? 
Per questa strada si favorisce una generale, acritica accettazione dinanzi all'inesorabile 
avanzare delle tecnologie. 
 
Argomentazione adattiva 
Una argomentazione è quella che possiamo chiamare adattiva. La scuola, si dice, non 
può non “adeguarsi” ai tempi. Nella società si impiegano sempre più diffusamente 
nuove tecnologie, la scuola deve rimanere “al passo” con la società, in sintonia con essa, 
perché in  essa i giovani si dovranno inserire. 
Gli adulti di domani troveranno una società sempre più tecnologica; familiarizzare con 
le nuove tecnologie è dunque una necessità. Il problema si riduce a quello di una nuova 
"alfabetizzazione". 
Difficilmente si può mettere in dubbio che compito della scuola consista nel proporsi 
finalità socialmente rilevanti ed in particolare provvedere ad alfabetizzare. Ma è 
veramente corretto parlare di un nuovo alfabeto? Quali sarebbero la sua grammatica e la 
sua sintassi? L'alfabeto classico  si è mantenuto relativamente costante nei secoli. In 
questo caso esiste solo un miscuglio caotico e fluttuante di convenzioni disomogenee, in 
continua trasformazione. Se tutti gli studenti negli anni '80 fossero stati "alfabetizzati", 
avrebbero acquisito la conoscenza del sistema MS-Dos, allora dominante, un tipo di 
conoscenza di utilità quasi nulla nella società informatizzata degli anni '90. Negli anni 
'90 "alfabetizzazione", stando agli standard dominanti, significherebbe  imparare 
Windows; ma quanto sopravviverà questo nuovo "alfabeto"? Vale la pena di correre lo 
stesso rischio? 
La scuola non può  rinunciare a scegliere in funzione di valenze più profonde e 
durature, per le quali occorrono criteri e valori. 
L’argomentazione adattiva può del resto essere sviluppata nella direzione opposta. E’ 
un po’ quello che fa Postman
5
 quando sostiene che la scuola dovrebbe avere un ruolo 
                                                 
5
 Cfr N. POSTMAN, Technopoly, 1992, New York, Alfred Knopf 
 10
“omeostatico”, cioè di riequilibrio in senso compensatorio: siccome i nuovi media 
dominano nel sociale, la scuola per contrapposizione dovrebbe valorizzare solo i media 
tradizionali (libro ecc.), e le forme di pensiero analitiche, astrattive, che rischiano di 
essere soppiantate
6
. 
 
Argomentazione informativa 
Riceve alimento dall'enfasi che viene oggi posta sul ruolo svolto dall'informazione 
nell'attuale società. Sembra che la cosa più importante sia essere in possesso di un 
maggior numero di informazioni, ed anche di "qualità" migliore (multimediali: visive, 
dinamiche ecc..) per le quali le nuove tecnologie offrono nuovi canali di accesso. Avere 
più materiali informativi può, in certi casi, consentire di vedere un problema da 
un’ottica più vasta o attraverso varie prospettive. 
L’argomentazione non riesce tuttavia, al di là dell’effetto psicologico, a risultare 
decisiva; nell’attività educativa, a differenza di quella manageriale, giornalistica ecc., 
non è tanto in gioco la mancanza di informazioni quanto la capacità di comprendere e 
strutturare conoscenze in modo rigoroso ed approfondito. (Per esempio testi ed 
enciclopedie sono ricolmi di dati, generalmente sottoutilizzati in tutte le aule 
scolastiche.) 
 
Argomentazione emancipativa 
Un’altra argomentazione è quella che possiamo chiamare “emancipativa” o "critica", ed 
ha un taglio più ideologico. Emerge sulle ceneri dell'analisi di Adorno (ed è anche stata 
ripresa dalla Media Education): i media manipolano gli individui favorendo forme di 
passività diffusa; bisogna che i soggetti  riacquistino spazi di autonomia e 
consapevolezza. 
E’ fondamentale allora, si sostiene, sviluppare criticamente la conoscenza all’uso dei 
media, vecchi e nuovi che siano. La scuola dovrebbe riproporre attivamente ciò che la 
società fa esperire passivamente: smontare analiticamente il congegno della 
comunicazione nelle sue forme già strutturate, per poi imparare a ricomporlo, 
permetterebbe di affrancarsi dai rischi della manipolazione esterna. 
                                                 
6
 Questa seconda argomentazione, variante antitetica della prima, avrebbe il vantaggio di proporre una 
soluzione più “comoda” per la scuola: non essendo questa  costretta ad inseguire il continuo 
ammodernamento, può garantire maggiore stabilità. Essa  può tuttavia essere sottoposta a facili obiezioni; 
può portare ad accentuare troppo il contrasto tra scuola e mondo esterno con l’effetto di far perdere 
ulteriormente di significatività alla scuola, può portare a trascurare in via pregiudiziale una serie di 
opportunità che potrebbero pur essere presenti nelle nuove tecnologie ecc.. 
 
 11
Ha però il limite di considerare tecnologie e media esclusivamente in un’ottica 
“riparatoria”, giungendo così a disconoscere  eventuali potenzialità specifiche in esse 
insite. Ad esempio, si dovrebbe far usare attivamente il computer nella scuola solo per 
rimediare alle negative influenze che all'esterno la Tv provocherebbe nella mentalità 
giovanile? 
 
Argomentazione edonistica 
Le nuove tecnologie “piacciono" ai giovani. La scuola dovrebbe allora, si dice, tener 
conto di questo aspetto per accrescere la motivazione, per rendersi più interessante, per 
rendere ludico l’apprendimento ecc., in un contesto in cui essa registra un deciso crollo 
di significatività. 
Una versione "antropologica" di questo atteggiamento porta a sottolineare come le 
nuove tecnologie si svilupperebbero in sintonia con i linguaggi e le forme della mente 
infantile. Questi apprenderebbero in forma corporea, "immersiva"
7
. I giovani sarebbero 
già immersi nei nuovi media che rappresentano, per loro, una sorta di liquido amniotico. 
Da questo punto di vista si tratta di "utilizzare la buona multimedialità come risorsa per 
liberare, valorizzare, dare consapevolezza, profondità, operatività al patrimonio di 
esperienze dell'essere multimediale per eccellenza (il bambino, e con esso la parte 
infantile del ragazzo e dell'adulto)” 
8
 
Appellarsi ad una maggiore fluidità dei saperi ed introdurre strumentazioni più in 
sintonia con le forme della mente giovanile può andare bene come prima mossa. Ma se 
ci ricollochiamo all’interno di un discorso educativo occorre vedere in concreto quali 
assetti si intende ricostruire. Quando e dove gli apprendimenti “non infantili” (analitici, 
astrattivi..) dovranno essere conservati (e magari rinforzarsi)? A quali tipi di 
integrazioni bisogna tendere?  
 
Argomentazione produttivistica 
La quinta argomentazione può essere chiamata "produttivistica". Essa afferma che i 
nuovi media aumentano la produttività intellettuale dei giovani, la qualità dei loro 
apprendimenti. Il fatto è che allo stato attuale non esistono dati univocamente certi circa 
gli effetti positivi che l'introduzione delle nuove tecnologie nella scuola produrrebbe; 
                                                 
7
 Cfr R. MARAGLIANO, Manuale di didattica multimediale, Laterza, Bari, 1994 
8
 R. MARAGLIANO, Tre ipertesti su multimedialità e formazione, Laterza, Roma, 1998, p.31 
 
 12
certo, non si esclude che tali effetti positivi possano sussistere
9
, appare però poco 
ragionevole il ritenere che possano prodursi meccanicamente. Sembra più opportuno 
pensare alle tecnologie come a potenziali agenti di cambiamento, capaci di influenzare 
soprattutto il setting, la configurazione generale, sia fisica che psicologica dell'ambiente 
di apprendimento (aspetti logistici, rapporti, atteggiamenti, clima dominante), senza che 
ciò comporti un automatico miglioramento della qualità didattica (vedi scheda).
10
 
 
Se si esaminano le argomentazioni sopra riportate si potrà vedere che ciascuna include 
qualche motivo accettabile, senza che tuttavia nessuna riesca a presentarsi come  
davvero esaustiva. 
Il principio dell’adattamento della scuola alla società può comportare una rincorsa 
convulsa, accentrata sulle ultime novità tecnologiche nei loro aspetti banalmente 
esteriori, con esiti assai dubbi sulla qualità del risultato formativo. Si rischia allora di 
volgere lo sguardo ad "alfabeti" fittizi, di breve durata. L’enfasi sulla quantità 
dell’informazione accentua poi il rischio di identificare l’educazione con l’accumulo 
meccanico di pacchetti inerti: in una società che continuamente ci ricorda di essere una 
società "dell' informazione"  bisogna invece ricordare energicamente che informazione 
non vuol dire conoscenza e che quest’ultima va intesa come profonda, intima, 
personale costruzione di senso. 
Le argomentazioni emancipatorie appartengono ad una filosofia che vede i media come 
antagonistici alla creatività dell'individuo, mentre quelle edonistiche rischiano di 
favorire una immagine della scuola "videogioco", appiattita su livelli modesti di 
riflessività e costanza di impegno. Le argomentazioni "produttivistiche" possono infine 
favorire una concezione meccanicistica del rapporto media- apprendimento. 
All'opposto, introdurre nuove tecnologie nella scuola non implica direttamente alcun 
cambiamento necessariamente migliorativo: si ha a che fare con dispositivi polivalenti 
che, a seconda dei casi, possono ammantarsi di valenze negative o positive.
11
. 
                                                 
9
 Cfr. European Conference (1992). Non si vuole affermare che non possano esistere vantaggi in ambiti 
specifici; alcuni, ad esempio sembrano registrabili, nelle esperienze inglesi degli ultimi anni, in 
particolare in matematica, geografia ed inglese elementare (cfr. J. Morgan, 1998) 
10
 Cfr i siti internet  www.itd.ge.cnr.it oppure www.scform.unifi.it/lte 
11
M. FERRARIS,  Information Technology in the Italian School System: some Problems and Perspectives, 
in European Conference op. cit., pp.31-51 
Maria Ferraris, ad esempio, caratterizza l'interazione che si instaura tra tecnologia e clima didattico 
indicando una legge che potremmo chiamare della tecnologia come cassa di risonanza: ".. le tecnologie 
dell'informazione ereditano ed amplificano gli aspetti sia positivi che negativi presenti in un dato 
ambiente. Dove le condizioni sono favorevoli (cioè dove la didattica poggia su un approccio attivo, lavoro 
di gruppo, apertura mentale, alta motivazione, il computer diventa uno strumento adeguatamente 
accordato all'interno di un'orchestra agendo come incentivo a suonare nuovi pezzi o un aiuto nell'eseguirli 
 13
Allo stato attuale gli effetti dei nuovi media sugli apprendimenti e sulle forme della 
mente non sono particolarmente evidenti perché siamo in una fase di avvio di una 
rivoluzione che è lungi dall'essere compiuta. Alcuni aspetti che adesso sono appena 
intravisti sono destinati a farsi strada nel tempo. I nuovi media avranno bisogno di una 
gestazione più lunga perché effetti rilevanti sugli apprendimenti possano emergere. E' 
una possibilità da valutare seriamente. Ma dove risiederebbe allora il valore formativo 
dei nuovi media nel tempo lungo? 
Una risposta è fornita da Domenico Parisi e da altri autori del Cnr di Roma. In sintesi il 
ragionamento è che ci sono due modi per conoscere: attraverso il linguaggio e attraverso 
l'esperienza diretta. Apprendere attraverso l'esperienza, cioè osservando la realtà ed 
interagendo con essa è la modalità tipica della vita di tutti i giorni, come anche dello 
scienziato che usa in forma più sistematica tale modalità nel metodo di laboratorio, però 
richiede a chi apprende di essere fisicamente in situazione e di avere le strumentazioni 
adatte. Con il linguaggio si possono apprendere eventi che sono accaduti lontano nello 
spazio e nel tempo, intorno a ciò su cui, per varie ragioni non possiamo agire: però tale 
tipo di apprendimento ha diversi inconvenienti, ad esempio richiede negli allievi 
capacità di astrazione, memoria, motivazione intrinseca ed anche insegnanti bravi e 
motivati. 
E' a questo punto che entra in gioco la tecnologia: "Il computer può accrescere 
enormemente le possibilità dell'apprendimento attraverso l'esperienza perché può 
simulare la realtà, cioè riprodurla in un artefatto tecnologico senza usare il linguaggio. 
Una simulazione non sarà mai esattamente uguale alla realtà ma può possederne le 
caratteristiche essenziali che sono comunque sufficienti per apprendere osservando ed 
interagendo con la sua simulazione. Con la tecnologia apprendere attraverso l'esperienza 
diventa perciò apprendere in una realtà simulata." Secondo Parisi con la simulazione si 
possono rappresentare scientificamente un gran numero di situazioni difficilmente 
esperibili in pratica; interagendo con l'ambiente simulato l'alunno potrà acquisire quelle 
nozioni scientifiche incorporate nel modello scientifico che presiede all'ambiente di 
simulazione stesso. 
                                                                                                                                                        
tanto più vengono richiesti. All'opposto, quando il quadro è grigio (cioè dove l'attenzione è rivolta alla 
superficie della conoscenza piuttosto che al processo di apprendimento, dove gli insegnanti hanno un 
retroterra ristretto..) i computer tendono a formare una nuova disciplina o servono come mezzi per 
strategie didattiche discutibili se non come veri e propri strumenti di tortura  
Riflettendo sul problema dell'impatto della tecnologia propone una sintetica formula, con cui "perfeziona" 
il concetto della "plurivalenza" tecnologica, quando afferma: "le tecnologie non sono né buone né cattive 
ma neppure neutre". Le tecnologie "modificano comunque qualcosa", anche qualora non siano impiegate 
all'interno di scopi intenzionalmente perseguiti, entrano in qualche modo in rapporto con abitudini, 
atteggiamenti, aspettative (anche inconsce), favorendo particolari alterazioni del contesto. 
 14
L'autore tende decisamente a sottovalutare i problemi che la rappresentazione della 
realtà tramite la simulazione pone: ogni simulazione presenta un mondo chiuso, già 
precostituito, che  raffigura la realtà in forma riduttiva, secondo regole e criteri che 
qualcuno ha già definito. Immettere massicciamente gli alunni all'interno di mondi 
simulati può significare distaccarli dal rapporto vivo con la complessità dell'esperienza 
con il rischio ulteriore di favorire confusione sulle differenza tra modello e realtà. 
Esistono ambiti in cui la simulazione è sicuramente efficace, ad esempio in cui si tratta 
di acquisire specifiche abilità percettivo-operative (si pensi ai simulatori di volo). In 
altri casi la simulazione può essere utile come avvio per una prima familiarizzazione 
scientifica. Ma sulla modellizzazione come veicolo consistente per una didattica 
scientifica non si può non convenire con tutti coloro che avanzano consistenti e 
ragionevoli dubbi
12
:  
Le operazioni conoscitive più significative non si collocano, per così dire, all'interno 
della simulazione; questa, presentandosi come ambiente strutturato impone un filtro 
riduttivo e  può indurre ad ignorare quelle operazioni di base in virtù delle quali si arriva 
a formulare quel modello stesso, rendendo incapaci di valutarne criticamente la 
relatività storica e scientifica.  
In generale è molto più significativo far costruire attivamente simulazioni agli alunni 
stessi, con una costante riflessione critica sui limiti di validità del modello scelto, 
anziché fornire ambienti strutturati nell'aspettativa che ciò consenta di trasmettere il 
modello scientifico incorporato. 
Immaginare che il 50% dell'attività scolastica futura sia convogliata verso 
"l'esperienza", in virtù  di un forte incremento della dimensione della simulazione, come 
propone Parisi
13
, appare una proposta assai poco ragionevole. 
                                                 
12
S. TURKLE, La simulazione è seducente ma, se non la capisci, inganna in Telèma, attualità e futuro della 
società multimediale, Computer scuola e sapere, Fondazione Ugo Bordoni,12, anno IV, prim. 1998, 
pp.42-47. 
 S.Turkle riferisce come molti fisici all' MIT considerino la simulazione una forza profondamente 
distruttiva nell'educazione scientifica. Per  essi la simulazione è nemica della buona scienza. La posizione 
che propongono è drastica: rifiutare la simulazione a qualsiasi livello. "I miei studenti ne sanno sempre 
più della realtà computerizzata e sempre meno del mondo reale. E in fin dei conti non sanno più neanche 
che cos'è la realtà del computer, perché le simulazioni sono diventate talmente complesse che non è più 
possibile costruirsele da soli: bisogna comprarsele e così non si riesce più ad andare oltre la superficie. Se 
dietro ad una di queste simulazioni ci sono presupposti sbagliati, un mio studente non saprà neanche dove 
o come andare a cercare il problema che dovrebbe risolvere. Temo che ormai stiamo andando verso una 
situazione tipo: Fisica: the Movie". (Turkle, 1998, p.46). 
13
 Cfr D. PARISI, Tecnologie della mente corpo, 1998 ,"Nella scuola attuale il 90% avviene attraverso il 
linguaggio ed il 10 % attraverso l'esperienza. "Uno dei modi giusti è usarlo [il computer] perché 
l'apprendimento nelle nostre scuole avvenga almeno per il 50% attraverso il linguaggio e per il 50% 
attraverso l'esperienza e l'interazione con la realtà (simulata),  rispetto al rapporto 90%- 10% che 
caratterizza oggi la scuola. "  
 15
 
Per questa strada il ragionamento ci porta tuttavia ad imbatterci in quella che può 
costituire una valenza più considerevole del potenziale presente nell'innovazione 
tecnologica. 
Se la fiducia nella possibilità formativa della simulazione appare eccessiva ciò non vuol 
dire che non possano esistere altre dimensioni e potenzialità destinate ad emergere nel 
tempo medio lungo: una visione storico - prospettica può essere la chiave necessaria per 
trovare una più consistente ragion d'essere all'innovazione didattico - tecnologica. 
Una dimensione cruciale va cercata nelle nuove forme di criticità che queste possono 
contribuire a far emergere. L'ipotesi è che dietro le quinte dell'impiego dei nuovi media 
possa esistere un potenziale, non del tutto affiorato, che nel tempo potrà tradursi in 
pratiche e tratti culturali consistenti e diffusi. 
In questo contesto il compito della scuola sarebbe quello di fare da battistrada, 
anticipando forme di pensiero significative, destinate in seguito ad affermarsi su larga 
scala nella società stessa. 
Ma dove si  situerebbero queste nuove forme di pensiero complesso, destinate ad 
assumere una valenza culturale e sociale? Non si rischia di investire su aspetti vacui, 
inconsistenti? Una (anche se non l'unica) delle dimensioni più caratterizzanti delle 
nuove forme di  criticità si annida "dietro le quinte" dell'evoluzione dei sistemi di 
scrittura, in particolare nel potenziale di riflessività che può accompagnarsi alle nuove 
modalità della strutturazione ipertestuale. Questa è certamente una delle dimensioni più 
promettenti, anche se non l'unica
14
. 
Si sottolinea la necessità di un approccio che vede nella tecnologia una risorsa 
problematizzante, capace di far emergere nuove forme di riflessività critica: una valenza 
formativa forte delle nuove tecnologie si ha in tutte le occasioni in cui esse inducono in 
qualche modo a riflettere sulle regole sottese, sui criteri interni: la conquista di livelli di 
riflessione più alta (capacità di vedere i problemi  secondo una pluralità di ottiche, di 
                                                                                                                                                        
Certo l'esperienza debba avere un peso maggiore nella scuola, ma deve trattarsi soprattutto di esperienza 
diretta, manipolativa, in contesti reali. Per rimanere nella stessa logica ci di Parisi, sembrerebbe più 
ragionevole proporre una articolazione del genere: 50% linguaggio; 30% esperienza diretta (o con 
tecnologia povera); 20% esperienza (esperimenti) in ambienti attrezzati (laboratori); 10% esperienze 
virtuali (simulazioni). 
14
 Una di queste dimensioni è individuata da S. Turkle, a proposito della simulazione: "Ma è concepibile 
un terzo tipo di risposta: prendere la pervasività culturale della simulazione come una sfida, uno stimolo a 
sviluppare una nuova capacità critica, ma tale capacità potrebbe metterci in grado di distinguere fra le 
varie forme di simulazione e darci la possibilità di mettere a punto quelle che aiutano l'utente a capire le 
premesse insite nel loro modello e a porle in discussione" (S. TURKLE, op.cit.) 
 
 16
considerarli secondo angolature inconsuete, consapevolezza dell'esistenza di relazioni 
più profonde, nascoste), rappresenta uno dei contributi più importanti che esse potranno 
fornire all'apprendimento. 
Quanto detto riguarda speculazioni possibili circa il ruolo dei nuovi media nel tempo 
medio lungo. Dovendo però fronteggiare problemi più urgenti occorrono dei criteri che 
aiutino a collocare concretamente queste strumentazioni nel sistema  scolastico attuale. 
In certi momenti si stabilisce un felice punto d'intesa tra un'esigenza rilevante del 
sistema educativo ed il potenziale offerto dalla tecnologia: in quei casi scatta allora un 
"valore aggiunto" offerto dalla tecnologia. 
Il problema che si pone è quindi individuare questi felici punti d'incontro, questione 
tutt'altro che facile, dal momento che essi rimangono solitamente offuscati dalla retorica 
che avvolge l'avanzamento tecnologico ed anche dalla scarsa obiettività della 
documentazione educativa fornita  dagli innovatori. 
Non è certo possibile articolare un quadro analitico ed esaustivo, ma si possono tuttavia 
evidenziare settori ed ambiti in cui è più ragionevole ricercare il potenziale valore 
aggiunto, distinguendo alcune condizioni negative entrando poi nell'analisi delle 
potenzialità effettivamente utilizzabili. 
La prima condizione che si può verificare nella realtà è quella secondo cui tra nuove 
tecnologie e scuola non si abbia alcuna interazione di rilievo, a dispetto di un 
inserimento "fisico" delle tecnologie nella scuola. Se si tiene conto che i ritmi di 
obsolescenza delle nuove interfacce sono dell'ordine di 3-4 anni e i tempi di formazione 
pressoché equivalenti, in molti casi gli insegnanti non faranno in tempo a completare 
una prima familiarizzazione prima che le macchine acquistate siano già obsolete o 
comunque in disuso; si può immaginare, una situazione ricorsiva (tipo "paradosso di 
Zenone") in cui gli insegnanti rincorrono le macchine che ogni 3-4 anni si rinnovano, 
senza mai raggiungerle, con evidente dispendio di risorse e ricaduta psicologica 
negativa  per l'inutilità degli sforzi  effettuati. 
La seconda condizione negativa riguarda i casi di "non pertinenza" d'uso. Nel momento 
in cui i nuovi media sono utilizzati nella scuola si può generare un "sovraccarico di 
uso", una sorta di "ipertrofia tecnologica ",  per cui si impiegano strumenti sofisticati in 
circostanze in cui è più pratico usare strumenti più semplici. Molti insegnanti, abbagliati 
dalla tecnologia, tendono incautamente a giustificare qualunque impiego del computer 
pensando che il fatto che gli studenti se ne avvalgono abbia comunque una qualche 
valenza educativa.. 
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Per esempio la lettura sul monitor di un lungo testo sequenziale (in uno "sfogliapagine 
elettronico") rappresenta un uso alquanto inappropriato della lettura, decisamente 
svantaggioso rispetto al più agevole mezzo stampato; analogamente la ricerca su banche 
dati, qualora assuma il carattere di una semplice raccolta di materiali informativi, non 
adeguatamente selezionati, ed interpretati criticamente, può favorire un'idea  banalmente 
cumulativa del significato di una ricerca. 
Qui occorre allora una vigilanza critica accurata ed implacabile: il mezzo ha una sua 
reale ragion d'essere ai fini che la scuola ritiene primari o diventa superfluo, ridondante, 
inutilmente dispendioso? Perché non impiegare carta e penna? Che cos'è che vogliamo 
realmente raggiungere? 
Evitati gli usi palesemente impropri dovrebbero rimanere impieghi capaci di  fornire 
qualche vantaggio. 
 
Purtroppo per lungo tempo, ed ancora oggi in alcuni casi, si è confusa infatti 
l’introduzione delle nuove tecnologie con l’acquisto di personal computer, il loro 
posizionamento in aule specifiche e l’insegnamento della videoscrittura, dell’uso dei 
programmi…, in ore appositamente dedicate. Naturalmente, come ho già descritto in 
precedenza, non è assolutamente questo l’aspetto per il quale si introducono queste 
innovazioni nella scuola, poiché è evidente che esse devono essere fatte rientrare 
complessivamente nella struttura scolastica esistente, modificando e integrando i saperi 
e gli strumenti delle materie di comunicazione e presentandosi come oggetto 
disciplinare con il proprio quadro metodologico e strategico, qualificando i percorsi 
didattici in cui vengono impiegati. 
E’ per questo che «la tecnologia dell’educazione deve guidare l’apprendimento delle 
nuove tecniche d’informazione e comunicazione in  quanto costituisce l’ineliminabile 
livello di riflessione dal punto di visto delle scienze dell’educazione sulle tecniche 
utilizzabili per la mediazione didattica»
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 Bisogna poi distinguere maggiormente le due dimensioni del problema: l’aspetto di 
alleggerimento gestionale dell’apprendimento e quello di innovazione qualitativa. 
Riprendendo il tema dell’attivismo didattico, fra le cause che hanno portato alla sua 
crisi possiamo ragionevolmente supporre che abbia agito il sovraccarico gestionale. 
   
 
                                                 
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 Tratto da L. GUERRA, op cit, p.16