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dovere, la diligenza nel lavoro, la rispettabilità. Proprio
quest’ultimo attributo distingueva la middle class dalle classi più
povere: a metà tra moralità ed ipocrisia, severità e conformità agli
standard sociali, la rispettabilità divenne il perno della società
vittoriana. Essa corrispondeva al possesso di buone maniere e di
una casa decorosa, alla frequentazione domenicale della chiesa, alla
realizzazione di attività caritatevoli a favore degli strati più deboli e
poveri della società.
Quella vittoriana fu dunque un’epoca estremamente
contraddittoria, che se da una lato fu caratterizzata dalla ricerca di
“ordine” (politico, sociale, e familiare), dal progresso tecnico e dal
moralismo, dall’altro vide il dilagare di povertà e criminalità
(fenomeno, quest’ultimo, non più limitato esclusivamente alle classi
più povere).
Di tale contesto storico e sociale non poté non risentire la
produzione letteraria contemporanea. Si può anzi affermare che
durante il regno della regina Vittoria ci fu per la prima volta una
comunione di interessi ed opinioni tra scrittori e lettori: i primi
erano infatti molto attenti nella scelta degli argomenti, cercando di
soddisfare i gusti di un pubblico piuttosto omogeneo da un punto di
vista sociale (rappresentato soprattutto dalla media borghesia). In
linea di massima, due erano i canali di diffusione del romanzo, il
genere letterario in epoca Vittoriana: le “biblioteche circolanti” (la
più famosa delle quali è “Mudie’s circulating library”, fondata nel
1842) e le riviste periodiche.
Il romanzo divenne in breve il genere più amato e la forma di
intrattenimento più diffusa; per offrire un paragone, se oggi il
televisore costituisce il centro attorno al quale il nucleo familiare si
riunisce, nell’Ottocento la famiglia vittoriana si raccoglieva attorno
al camino, dedicando il tempo libero alla lettura di storie che
dovevano essere realistiche e avvincenti al tempo stesso. In seguito
alle mutate condizioni storiche e sociali, e dunque ai mutati gusti
del pubblico, gli scrittori vittoriani abbandonarono le avventure
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dell’outcast o dell’eroina virtuosa che avevano caratterizzato i
grandi romanzi del diciottesimo secolo (si pensi a Robinson Crusoe
di Daniel Defoe o a Pamela di Samuel Richardson), e spostarono il
“setting” nelle città industriali. Questo desiderio di “rispecchiare” in
maniera oggettiva la realtà fu certamente condizionato dalle
numerose scoperte tecnico-scientifiche dell’epoca quali
l’invenzione della fotografia.
Elizabeth Gaskell e Charles Dickens sono forse gli scrittori
più emblematici del realismo vittoriano: quelli che meglio
descrissero le terribili condizioni di sfruttamento degli operai – in
particolare dei bambini – nelle fabbriche di metà Ottocento. Il
limite dei romanzi realisti fu tuttavia la carenza di una reale critica
politica e sociale, e soprattutto la mancanza di un’alternativa alla
situazione denunciata: l’intento infatti non era lanciare un
messaggio per cambiare lo status quo, ma stimolare le istituzioni e
soprattutto le coscienze individuali ad essere caritatevoli nei
confronti delle classi più sfortunate (si parlò addirittura di
“humanitarian novel”).
Altro elemento tipicamente vittoriano fu la tendenza
didattica: molti romanzieri concepirono la letteratura come un
veicolo per correggere i vizi e le debolezze della società del tempo,
per cui la voce del narratore onnisciente forniva spesso un
commento alla trama distinguendo rigidamente tra atteggiamenti
moralmente “giusti” e “sbagliati”. A conclusione del romanzo i
“buoni” – il cui comportamento rientrava nei canoni della
rispettabilità vittoriana –venivano adeguatamente ricompensati, e i
“malvagi” puniti.
I lettori vittoriani, d’altronde, aspiravano a rispecchiarsi nelle
trame e nei personaggi dei romanzi che leggevano, e la middle-class
divenne la protagonista assoluta del “novel”: sia esso sociale (North
and South di Elizabeth Gaskell), di maniera (Vanity Fair di W. M.
Thackeray), umanitario (Oliver Twist, David Copperfield di Charles
Dickens), psicologico (Jane Eyre o Wuthering Heights delle sorelle
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Brontë), naturalistico (The Retun of the Native di Thomas Hardy) o
“nonsense” (Alice in Wonderland di Lewis Carroll,).
Tuttavia, se gli autori sopra citati rappresentarono in maniera
più o meno realistica la società vittoriana, facendosi portavoce più
delle sue certezze e dei punti fermi che delle sue problematiche,
queste iniziarono ad “imporsi” con i cosiddetti “generi minori”
nella seconda metà dell’Ottocento, in risposta alla crisi del modello
vittoriano.
Il romanzo sensazionale fu forse il prodotto più evidente di
tale paradosso: pur riconfermando il setting cittadino e i
protagonisti medio-borghesi dei romanzi realisti, scegliendo di
trattare argomenti proibiti quali omicidi, bigamie, divorzi e altri
crimini, i sensazionalisti si fecero in realtà tramite delle pulsioni e
delle paure nascoste nel profondo della società vittoriana,
preannunciando quel senso di precarietà tipico del ventesimo
secolo.
La precarietà è infatti l’elemento dominante del romanzo
sensazionale dove le tranquille abitazioni vittoriane diventano il
setting ideale per tremendi crimini, commessi molto spesso da
quelle stesse donne che la società vittoriana aveva idealizzato come
“angeli del focolare” – secondo l’immagine utilizzata da Coventry
Patmore, con il poema The Angel in the House – . È forse proprio
per questa loro carica estremamente destabilizzante che i romanzi
sensazionalisti divennero dei best seller, soprattutto negli anni
Sessanta e Settanta dell’Ottocento.
La scrittrice che produsse la maggiore quantità di best-seller
sensazionali fu Mary Elizabeth Braddon, che in circa 30 anni di
carriera mostrò un grande talento sia nel creare storie estremamente
avvincenti per il lettore dell’epoca, sia nel cogliere i mutevoli gusti
e tendenze della società in cui viveva. Se i primi romanzi di
Braddon presentano infatti tutti gli elementi del romanzo
sensazionale, negli ultimi anni la scrittrice sembra quasi volersi
allontanare dal genere che le aveva dato notorietà e successo,
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propendendo per trame e soggetti più vicini ad un nuovo genere che
in quegli anni – siamo alla fine dell’Ottocento – era emerso in
Inghilterra con grande riscontro di pubblico, spesso attraverso
l’opera di Conan Doyle: il romanzo poliziesco.
Scopo di questo nostro studio sarà innanzitutto mettere a
confronto lo sviluppo del romanzo sensazionale e del romanzo
poliziesco, riflettendo su differenze ed affinità in termini di
convenzioni narrative e tematiche. Partendo dall’analisi di alcuni
romanzi della Braddon - The Trail of the Serpent (1861), Rough
Justice (1898) e His Darling Sin (1899) -, si cercherà di evidenziare
il progressivo confluire di Braddon dal sensazionale al poliziesco,
in una transizione che segnala un maggior interesse per l’agente
investigativo e per gli indizi a discapito degli elementi
melodrammatici.
Nel primo capitolo si cercherà di analizzare il genere
sensazionale e quello poliziesco da un punto di vista storico,
tematico e strutturale, evidenziandone sviluppi, differenze ed
affinità, esaminando infine la progressiva “conversione” dal
sensazionale al poliziesco in virtù dei mutati gusti del pubblico,
nonché delle mutate condizioni storico-sociali.
È solo a partire dal secondo capitolo che il nostro interesse si
concentrerà sulla figura di Mary Elizabeth Braddon, sorta di “new
woman” vittoriana che fu capace di riscattare un’esistenza
altrimenti destinata al fallimento grazie al suo talento di scrittrice e
ad un carattere forte e risoluto, capace di operare scelte “amorali”
(come ad esempio quella di convivere ed avere figli da un uomo già
sposato), imponendosi al tempo stesso all’attenzione della società
vittoriana come donna di successo.
I romanzi di esordio della Braddon – in particolare Lady
Audley’s Secret (1862) e Aurora Floyd (1863) – presentano i tratti
convenzionali del “sensation novel”: donne malvagie o pazze e
custodi di terribili segreti, omicidi, colpi di scena, ecc. Braddon
però si mostra capace di “frequentare” anche altri generi, e già nel
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romanzo The Trail of the Serpent (pubblicato in realtà con un titolo
differente qualche anno prima di Lady Audley’s Secret) emerge la
figura del detective amatoriale, personaggio caratterizzato da
un’innata curiosità e voglia di verità che lo portano ad investigare
per ristabilire il vero e del detective professionale.
Il lento passaggio dal sensazionale al poliziesco diverrà
effettivo con i romanzi Rough Justice e His Darling Sin, oggetto del
nostro studio nel Capitolo III, nei quali la Braddon, pur non
rinnegando completamente il genere che l’aveva resa famosa,
“cede” al poliziesco inventando la figura di John Faunce, detective
professionista che al pari di Sherlock Holmes è il protagonista di
più romanzi
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Per la precisione, Holmes compare in una vera e propria “saga” narrativa, mentre Faunce
entra in scena in soli due romanzi.