2
                                                                                                                                          
                                                                                                                                      
Nella Biblioteca Lucchesi–Palli è conservata, inoltre, un esauriente numero di opere 
di Melchiorre De Filippis Delfico senza eguali per completezza, rispetto ad altre 
raccolte italiane. La raccolta, infatti, comprende: l’“Album di caricature in 24 tavole” 
del 1860, le varie strenne annuali dell’“Arlecchino”, il “Don Chisciotte/ Album per 
ridere 1869”, fino alle strenne dello “Stenterello” per il 1870, il 1882 e il 1884, 
nonché, alcuni libretti delle sue commedie musicali. 
Nel corso del lavoro si è vagliato il consistente fondo di giornali napoletani con 
caricature dell’Ottocento e i vari album, presenti alla Biblioteca Lucchesi–Palli, 
cercando riscontri stilistici con le caricature autografe di Delfico, dall’“Album di 
caricature in 24 tavole” del 1860 a quelle realizzate per il periodico: “Caporal 
Terribile” al quale collaborò dal 1881. Nel corso del lavoro sono state attribuite a 
Melchiorre Delfico alcune opere non ancora note: la “Strenna almanacco 
dell’Arlecchino pel 1861”, la “Strenna almanacco dell’Arlecchino pel 1864”, le 
caricature eseguite per la “Strenna dello Stenterello” per il 1870, il 1882 e il 1884, 
l’“Albumi 18 personaggi famosi”, e la caricatura firmata “Delf”nella pagina iniziale 
dell’album firmato “E.C. 1870”. 
Per la “Strenna dell’Arlecchino pel 1861”, si è rivelato utile per attribuirne la 
paternità a Delfico, un raffronto con l’illustrazione autografa sul frontespizio del “Le 
Corbellerie storico comiche del 1860”, eseguita con lo stesso stile grafico. La 
“Strenna dell’Arlecchino pel 1864” è stata attribuita a Delfico, ancora una volta, 
grazie al raffronto con lo stile maturato nell’“Album di caricature in 24 tavole” del 
1860 e in seguito al riscontro con la caricatura autografa, sul frontespizio del “Le 
corbellerie storico comiche del 1862” eseguita con la matita litografica.  
Anche le vignette pubblicate sull’“Arlecchino” a partire del 1860, hanno offerto 
importanti indicazioni dell’opera di Delfico. Molte vignette dell’“Arlecchino” 
rivendicano la paternità di Delfico, giacché presentano sia le tematiche, sia lo stile 
grafico, analogo alle caricature prodotte nell’“Album di caricature in 24 tavole”, basti 
pensare che sul numero 32 dell’“Arlecchino”, del 14 marzo 1861, si pubblicò una 
caricatura in cui il soggetto raffigurato ed il titolo era lo stesso della tavola n.20 
dell’“Album di caricature in 24 tavole”: “La Pace europea è fatta”.  
Le caricature autografe eseguite per il “Caporal Terribile”, rivelano lo stile grafico di 
Delfico negli anni Ottanta, divenuto ormai meno aggraziato e sicuro. Grazie al 
raffronto stilistico con le caricature eseguite per il periodico, si sono attribuite a 
                               3
                                                                                                                                          
                                                                                                                                      
Delfico, le caricature realizzate per le varie strenne dello Stenterello, che presentano 
tutte, tranne quella del 1870, la firma: “Delf” e l’“Album 18 personaggi famosi”.  
Melchiorre Delfico si cimentò anche come musicista e compositore, questa sua 
passione per la musica s’intrecciò inevitabilmente con la sua attività di caricaturista, 
sia per le tematiche comiche delle sue opere musicali, sia perché tra le vittime 
predilette delle sue caricature, occuparono un posto preminente proprio i personaggi 
dello spettacolo: cantanti, librettisti, compositori, attori e musicisti tra cui il 
celeberrimo Giuseppe Verdi.  
Nella raccolta di caricature: “Album di caricature in 24 tavole”, spiccano le caricature 
di Giuseppe Verdi, Domenico Bolognese, già autore di alcune opere musicali di 
Delfico, Enrico Petrella, Mercadante. Anche nel 1869 nella raccolta “Don Chisciotte 
/Album per ridere”, compaiono le caricature di musicisti e cantanti come Giorgio 
Miceli, cantante della “Sonnambule”, Raffaele Mirate, la caricatura dell’opera 
“L’Alba d’oro” del maestro Battista. Sulla “Strenna dello Stenterello pel 1870” 
Delfico eseguì due episodi attinenti allo spettacolo, di cui uno con protagonista Verdi 
e Cesarino de Sanctis, e l’altro un maestro d’orchestra e sulla “Strenna dello 
Stenterello pel 1882”, in cui sono raffigurati il tenore Roberto Stagno e nella tavola 
intitolata: “Il consiglio dei tre”, una discussione tra alcune personalità del Collegio di 
musica S. Pietro a Maiella. 
Anche le caricature inerenti ad avvenimenti politici lasciano spesso trasparire i 
riferimenti al mondo dello spettacolo: emblematica è la vignetta dell’“Album di 
caricature in 24 tavole”, intitolata: “Quartetto Rigoletto” che raffigura la situazione 
politica internazionale, parafrasando un opera di Giuseppe Verdi. Essa raffigura 
Napoleone III che porta con sé i pargoli Nizza e Savoia tenendo per mano la ritrosa 
Italia alla quale canta un ‘aria del Rigoletto: “Bella figlia dell’amor/ schiavo son dei 
baci tuoi”, intanto al di là del muro un gendarme austriaco che cavalca un aquila 
bicipite spia la scena con il cannocchiale, mentre Garibaldi gli sta in groppa e lo 
bastona con un randello.  
Accanto alla biografia di Delfico e alla storia della caricatura a Napoli, si è svolto un 
confronto tra le tematiche risorgimentali espresse dai caricaturisti di Firenze Milano e 
Torino, con quelle adottate dai caricaturisti napoletani, in modo da confrontarne lo 
stile e le tematiche per valutarne le affinità e le rispettive influenze. La rassegna delle 
loro opere ha messo così, in rilievo, non solo gli elementi comuni, come l’iconografia 
                               4
                                                                                                                                          
                                                                                                                                      
degli eroi e dei nemici, ma anche il progressivo disincanto dei napoletani rispetto ai 
nuovi governanti dell’Italia Unita.  
Si è reso, poi, necessario effettuare un indagine sulle premesse della caricatura 
moderna maturate a partire dal XVI secolo, menzionando l’influenza dei disegni 
grotteschi di Leonardo e le tavole esemplificative del trattato di Giovan Battista Della 
Porta: “De Humana Phisiognomia”, e l’affermazione della caricatura come genere 
d’arte, avvenuto a partire dalla metà del XVII secolo, quando esimi studiosi come 
Filippo Baldinucci, e Carlo Cesari Malvasia, ne tracciarono le definizioni teoriche e 
cominciarono lo studio degli artisti più celebri che praticarono quest’arte.  
Tra questi: i “ritratti carichi” della cerchia dei Carracci, di Guercino, i disegni 
grotteschi di Jacques Callot, Baccio del Bianco autore di “storiette piacevoli e 
caramogi”, passando per le argute caricature di Gian Lorenzo Bernini fino a quelle di 
Pier Leone Ghezzi e in ambito veneziano: Anton Maria Zanetti.  
 Nel lavoro si è esaminata la caricatura prodotta in Inghilterra e Francia nel XIX 
secolo, nonché la coeva caricatura italiana che anche se appariva subordinata alla 
produzione di quei paesi constava di valenti artisti e offrì esempi significativi di 
quest’arte. 
Infine si è sviluppata l’analisi della tecnica litografica, perché, questo nuovo metodo 
di stampa, come già detto, grazie alla sua elevata tiratura e alla sua notevole 
versatilità che le permetteva di riprodurre con estrema naturalezza i più disparati 
effetti pittorici, rivoluzionò la produzione grafica, in particolare quell’editoriale, e 
contribuì in maniera decisiva alla divulgazione della caricatura . 
 
                               5
                                                                                                                                          
                                                                                                                                      
CAPITOLO I  
LA CARICATURA: STORIA E 
PROTAGONISTI 
 
Una delle definizioni più celebri ed argute di caricatura è formulata dallo storico 
Filippo Baldinucci che ne parla nei seguenti termini, sul suo “Vocabolario Toscano” 
(1681): “E caricare dicesi anche da’ pittori o scultori, un modo tenuto da essi in fare 
ritratti, quanto più somiglianti al tutto alla persona ritratta, ma per giuoco, e talora 
per ischerno, aggravando e crescendo i difetti delle parti imitate 
sproporzionatamente. Talmente che nel tutto appariscano essere essi e nelle parti 
variati”
1
. 
Per il Baldinucci dunque il disegno caricaturale presuppone una motivazione 
specifica, quella ludica o quella satirica (“per giuoco o per ischerno”) e la sua azione 
si esplica tramite la deliberata manipolazione dei tratti fisionomici e caratteriali del 
personaggio “caricato”, i cui difetti e le cui debolezze fisiche e psichiche sono 
esagerati ed esposti in piena luce: “ Inoltre è da sapere che siasi pure una facezia, 
bella quanto ella si voglia, e ben proporzionata (…) ella avrà sempre in sé alcuna 
cosa, che farà di effetto contrario a quel che farebbe la deformità o sproporzione 
delle medesime parti; cioè dove quella sarà cagione di rozzezza di aspetto, 
gentilezza, malinconia. Entra qui ora lo spiritoso pittore, al cui perspicace intelletto 
obbedisce perfettamente la mano: e in primo luogo conosce non solo conosce quali 
siano i difetti di quel volto, e la sgrazziataggine di ogni sua parte, ma anche nei più 
bei volti, quale è quel difetto al quale pare inclini qualche parte del proposto volto, 
per renderlo tanto o quanto ridicoloso (…), senza discostarsi dall’imitazione di quel 
chei vede…”
 
. 
Questa definizione permette di fissare, seppure in maniera provvisoria, tre costanti 
della pratica caricaturale e vale a dire la finalità che va dall’ironia all’invettiva; la 
tecnica, attraverso la quale prende forma e si realizza il ritratto caricato che consiste 
nella manipolazione dei tratti fisionomici in relazione all’espressione; e la struttura 
retorica che appare particolarmente marcata in questa forma espressiva governata 
quasi consapevolmente da antichi rituali magici e abili formulari argomentativi, a 
                                                 
1
 FILIPPO BALDINUCCI, Vocabolario toscano dell’arte del disegno, Firenze 1681,  pg.29; 
                               6
                                                                                                                                          
                                                                                                                                      
questi punti se ne aggiunge un altro: la natura effimera della caricatura e la stretta 
analogia con il motto di spirito, il gioco di parole, lo scherzo
1
. 
Gombrich era convinto che fosse stato il timore dell’immagine magica, la riluttanza a 
fare per ischerno ciò che l’inconscio prende molto sul serio, a ritardare l’apparizione 
di questo gioco visivo
2
. Basti pensare che l’immagine visiva, specie il ritratto è visto 
come un doppio della persona rappresentata; la distruzione o la semplice 
manipolazione dell’immagine di una persona implica, come avviene con la fotografia 
strappata, la volontà di ferire la persona in carne ed ossa.  
La pur ricca produzione satirica in campo figurativo anteriore al XVI secolo postula 
alcuni presupposti della caricatura, senza mai crearne un valido esempio: se, infatti, 
esistono nel mondo antico e in quello medievale raffigurazioni che veicolano impulsi 
aggressivi, dall’altro si tratta sempre di esempi ai quali mancano i due presupposti 
essenziali della caricatura, vale a dire, l’allegra trasformazione della somiglianza e il 
riferimento ad una persona specifica. Ad esempio, nella pratica diffamatoria 
perseguita nel Medio Evo, (contro i ribelli, o i capi delle fazioni avverse, o gli 
insolventi) consistente nell’appiccarne l’effige capovolta in luogo pubblico, ci 
accorgiamo che è solo il contesto simbolico a degradare la vittima e non certo la 
rappresentazione delle sue fattezze. La tecnica di queste tavole non è differente da 
quella delle insegne di taverna. 
L’enorme produzione di stampe cosiddette del “Mondo alla rovescia” è un altro 
esempio di arte comica, a suo modo sediziosa, tuttavia anche in questo caso il 
rovesciamento di ruoli e di funzioni della rigida gerarchia medievale che vede elevare 
lo stolto del villaggio a re non identifica mai la fisionomia della persona, ed è così 
perfino quando un individuo è preso di mira, come nelle stampe satiriche del periodo 
della Riforma, sia Lutero sia la controparte cattolica sono rappresentati secondo le 
loro fattezze stereotipe, mentre il meccanismo di ingiuria e di dileggio è affidato al 
contesto simbolico in cui sono inseriti . 
I disegni leonardeschi rappresentanti volti fortemente accentuati e deformi, non 
possono considerarsi vere e proprie caricature ma rientrano piuttosto nell’ambito del 
capriccio come intenzionale rovesciamento del bello nel brutto, benché quella stessa 
ricerca, implichi un accentuazione espressiva, una forzata caratterizzazione e inoltre 
non presentano un aspetto fondamentale della caricatura propriamente detta, e cioè 
                                                 
1
 ATTILIO BRILLI, Dalla satira alla caricatura. Storia tecnica e ideologia, Firenze 1979, pg. 194;  
2
 ERNST GOMBRICH, Arte e illusione, Torino 1965, pg. 416; 
                               7
                                                                                                                                          
                                                                                                                                      
quello di generare il riso; non mancano di crudeltà ma bensì di comicità
1
. Allo stesso 
modo non possono considerarsi vere caricature le figure deformi dei manigoldi che 
flagellano e deridono Cristo nell’arte tedesca del XV e XVI secolo, poiché l’intento è 
di manifestare la deformità morale e quindi di generalizzare il brutto come il 
peccato
2
.Tuttavia queste immagini deformi prodotte a partire dal XVI secolo, 
preparano le premesse per il successivo sviluppo della caricatura .  
I disegni grotteschi di Leonardo furono riprodotti e divulgati lungamente, cosicché 
costituirono un repertorio figurativo a cui poterono trarre ispirazione anche gli artisti 
nei secoli successivi. Fin dall’inizio del decennio del XVI secolo, quando la cultura 
figurativa milanese segnò un momento di ripresa, accanto al moltiplicarsi delle 
riflessioni di natura teorica e storica, si accompagnarono la rinascita dell’interesse per 
la storia locale e la valorizzazione del lascito di Leonardo, tra cui proprio i disegni 
grotteschi . 
Le bizzarrie leonardesche furono molto apprezzate dai membri della cosiddetta 
Accademia di Val Blenio, questa era un circolo di artisti e letterati fondato nel 1560, 
diretto a partire dal 1568 da Lomazzo che prendeva il suo nome dalla valle della 
Svizzera italiana situata a nord est di Bellinzona
3
.  
L’Accademia aveva Bacco come patrono ed esaltava le qualità dell’ebbrezza del vino, 
inoltre viveva della consapevolezza critica ed estetica della potenzialità creativa 
offerta da un’idea di arte intesa come creazione e come manifestazione di un 
attitudine fino allo sconfinamento verso il comico.  
Una sottesa considerazione di una visione aperta dell’arte, tanto più fruttuosa quanto 
più accompagnata da una più naturale inclinazione per lo scherzo e la beffa, già 
elementi caratteristici della personalità di Leonardo. Questa tendenza creativa così 
originale, era caratterizzata da un tono irrazionale e antidogmatico, esasperato fino 
all’esaltazione del disordine e della varietà delle cose comprese gli “affetti” e i diversi 
costumi; dalla valorizzazione dell’immediatezza e della sincerità espressiva e di 
conseguenza della mitizzazione degli incolti e del loro dialetto
4
. Questa idea è una 
                                                 
1
 AA.VV.,L’anima e il volto: ritratto e Fisionomia da Leonardo a Bacon, cat. mostra Milano 1999, pg. 
24; 
2
 WERNER HOFMANN- ENRICO CRISPOLTI, Il comico nell’arte occidentale e la caricatura 
moderna, in Enciclopedia Universale dell’arte, Vol. III, pg. 756; 
3
 FRANCESCO PORZIO, Lomazzo e il realismo grottesco: un capitolo del primitivismo nel 
Cinquecento, in AA.VV., Rabish: Il grottesco nell’arte del cinquecento, l’Accademia della Val di 
Blenio, Lomazzo e l’ambiente milanese,  Milano 1998, pg. 27-29; 
4
 Basti pensare che adottarono i vestiti e la parlata dei facchini, gente umile che frequentemente 
attraversava la valle per lavorare e praticava delle parlate aspre che nella grande metropoli suonavano 
come straniate, barbariche e divertenti, tanto da essere preso a frequente motivo di mimesi caricaturale. 
                               8
                                                                                                                                          
                                                                                                                                      
delle chiavi per comprendere la diffusione del primitivismo cinquecentesco, con la 
sua esaltazione della semplicità naturale e l’ispirazione individuale e giustifica anche 
il suo ricorso al genere comico e popolare. 
In quest’ambito, proprio a Milano, Giuseppe Arcimboldo (1527- 1593) celeberrimo 
ritrattista e pittore di corte a Vienna e a Praga, realizzò una fusione fra la tradizione 
carnevalesca popolare, il lascito grottesco di Leonardo e i temi comico – allegorici 
delle Stagioni e degli Elementi .  
I suoi dipinti bizzarri che spesso ritraggono dei volti umani ricavati con 
l’assemblaggio degli elementi più disparati come fiori, animali e minerali, 
costituirono, una premessa, involontaria della caricatura moderna . 
Le bizzarrie di Arcimboldo non si spiegano completamente in relazione con le sale 
delle meraviglie asburgiche -le wunderkammern - dove le sue opere furono 
conservate accanto a serpenti imbalsamati e ai cristalli zoomorfi ed ad altre 
stravaganze; sono allo stesso tempo un divertente lavoro di fantasia ed invenzione, 
ma anche una complessa allegoria dell’impero che egli serviva avendo infatti lavorato 
per tre imperatori asburgici: Ferdinando I, Massimiliano II cui consegnò la prima 
versione delle Stagioni e degli Elementi, e Rodolfo II.. 
La bocca del personaggio raffigurato nell’“Acqua” – che ritrae l’imperatrice- è in 
realtà la bocca di uno squalo eterodentiforme: una specie piccola e non molto 
pericolosa che nuota sul fondo del mare con funzioni di spazzino
1
.  
Le invenzioni di Arcimboldo, così come i disegni grotteschi di Leonardo, ebbero un 
successo straordinario e furono imitate anche in epoche in cui il ricordo dell’artista 
era labile, come durante il periodo neoclassico, e le sue invenzioni s’imposero 
insinuandosi nell’ambito del capriccio e del grottesco. 
Nel 1724 Hogarth realizzò una stampa intitolata “ Monarchia, Episcopato e Legge”, 
che oltre a richiamare un procedimento derivante dalle caricature popolari olandesi e 
inglesi, dove le arti e i mestieri erano rappresentati mediante figure corredate da 
oggetti simbolici, non si può nemmeno negare l’influenza di Arcimboldo . 
Hogarth immaginò di osservare alcuni abitanti della Luna- infatti l’incisione è nota 
anche con il titolo “ Alcuni dei principali abitanti della Luna”- attraverso l’occhio 
circolare di un telescopio, la foggia dei loro abiti ci rende noto che si tratta di un re, di 
un vescovo e di un giudice inglesi. Il re ha una moneta al posto della testa, mentre il 
vescovo uno scacciapensieri, inoltre l’alto prelato inglese armeggia ad una macchina 
                                                 
1
 FRANCESCO PORZIO, L’Universo illusorio di Arcimboldi, Milano1979, pg 38; 
                               9
                                                                                                                                          
                                                                                                                                      
per fare soldi a forma di campanile, mossa da un libro di preghiere (le mezze lune che 
sormontano lo scettro e il globo del re e la banderuola che svetta dal campanile 
simboleggiano incostanza),il giudice , infine, ha come testa il suo stesso martello di 
legno.  
A partire dal 1645 in Olanda, Wenzel Hollar pubblicò, i suoi primi album di incisioni 
leonardesche, tra le quali spicca un soggetto grottesco inventato da Leonardo, la 
cosiddetta “Regina di Tunisi”, altrimenti detta “Brutta Duchessa” o “Regina del 
Tirolo”, essendo identificata con la duchessa di Carinzia e del Tirolo figura orribile 
che avrebbe avvelenato il marito Margravio del Brandeburgo e proprio figlio. La 
“Brutta Duchessa”fu ripresa anche da Pastorini per l’album di Chamberlain e fu 
stampata a Londra nel 1806. Nel 1865 apparve nell’illustrazione “La Duchessa con il 
bambino in braccio, Alice la cuoca e il gatto del Cheshire” di John Tenniel in “Alice 
adventures in Wonderland” di Lewis Carroll , inoltre fu divulgata in Inghilterra da 
alcuni incisori italiani
1
.  
Un contributo eccezionale, quanto involontario allo sviluppo della caricatura fu 
offerto anche da Giovan Battista Della Porta (1535-1615) con la redazione del trattato 
“De Humana Physiognomia” che era arricchito da eloquenti incisioni esemplificative. 
Nel suo trattato cercò di decifrare la fisionomia umana, esaminando la forma degli 
animali e dei caratteri loro attribuiti. Lo zoomorfismo, gia usato nei secoli precedenti 
e da Leonardo, diventava il principio fondamentale per indagare il rapporto tra 
aspetto fisico e carattere. 
Il trattato constava di cinque libri, nei primi quattro Della Porta considerò ciascuna 
parte del corpo umano e ciascun segno secondo più prospettive: descrizione fisica del 
segno, caratteristiche o costumi ad esso associato, citazioni tratte da pensatori 
eminenti (Aristotele e Galeno), sillogismo zoomorfico documentato da illustrazioni, 
indicazione di personaggi famosi od opere d’arte che rivelano il segno in esame. 
Nel quinto libro, i segni descritti nei quattro precedenti, erano riassunti, al fine di 
delineare le figure dell’uomo incline al vizio o alla virtù. A tal proposito, individuava 
ben quarantaquattro figure corredate da didascalie esplicative sulle virtù o i vizi ad 
essa connessa, inoltre sempre ricorrendo all’analogia con gli animali individua le 
tipologie dell’uomo ingiusto e del giusto (la giustizia è caratteristica del leone e 
dell’elefante) del ladro (ingannatore come la volpe o la serpe) sciocco (come 
                                                 
1
 FLAVIO CAROLI, op. cit (cat. mostra Milano 1999), pg. 52; 
                               10
                                                                                                                                          
                                                                                                                                      
l’uccello) audace (dal volto austero, il naso lungo, la fronte annebbiata, simile al 
toro). 
Questo campionario di metafore visive e di sorprendenti fusioni di immagini forniva 
un bagaglio figurativo importante per la caricatura cioè l’estrema schematizzazione 
dei tratti fisionomici, infatti solo manipolando forme semplici e schematiche è 
possibile al caricaturista mettere in atto veri e propri giochi grafici
1
.    
Il concetto di caricatura nasce solamente nel XVII secolo, probabilmente presso la 
bottega dei Carracci, ma anche altri artisti producevano già disegni caricati. In questo 
periodo si formularono le prime definizioni teoriche di caricatura tra le quali spicca 
quella citata da Baldinucci . 
 “Dal tortuoso cammino della caricatura moderna non possiamo che evincere la legge 
secondo la quale il libero gioco con l’immagine di un individuo è considerato solo 
molto tardi” convinti di quanto dice Gombrich, e cioè che l’invenzione del ritratto 
caricaturale presuppone la scoperta teorica della differenza tra verosimiglianza ed 
equivalenza
2
. 
Il locus classicus per dimostrare la scoperta del somigliante in ciò che non è 
somigliante, è rappresentato dalla “Poire”, la pera in cui l’editore di Daumier, 
Philipon, trasformò la testa del Re Luigi Filippo. “Poire” significa “zuccone” e 
quando i giornali satirici di Philipon insistettero troppo nel mettere alla berlina il Re 
trattandolo da Poire, l’editore fu infine condannato al pagamento di una grossa 
multa
3
. 
La famosa sequenza è una sorta di analisi al rallentatore del processo della caricatura; 
noi sentiamo che nonostante il mutamento di tutti i singoli tratti, l’insieme rimane 
abbastanza simile, lo accettiamo come un altro modo possibile di vedere il viso del re. 
Il segreto della buona caricatura, infatti, è quello di fornire l’interpretazione visiva di 
una fisionomia difficile da dimenticare e che la vittima sembrerà portare in giro come 
se fosse perseguitato da un sortilegio
4
. 
“Tutte le scoperte artistiche sono scoperte non di forme di verosimiglianza ma di 
forma di equivalenza che ci permettono di vedere la realtà nei termini di un’immagine 
e un’immagine nei termini della realtà.[…] Noi reagiamo a una macchia bianca sulla 
forma nera di un vaso come se si trattasse della testa di Luigi Filippo. 
                                                 
1
 ATTILIO BRILLI, op. cit., pg. 196; 
2
 ATTILIO BRILLI, op. cit., pg. 200; 
3
 ERNST H. GOMBRICH, Arte e Illusione,  Torino 1965, pg. 416; 
4
 ERNST H. GOMBRICH, op. cit., pg. 418; 
                               11
                                                                                                                                          
                                                                                                                                      
Quella che noi riscontriamo essere una buona verosimiglianza in una caricatura, o 
perfino in un ritratto, non è necessariamente la copia di una qualche cosa vista. Se 
così fosse, ogni istantanea avrebbe maggiori possibilità di colpirci come una 
rappresentazione soddisfacente di una persona a noi nota, in realtà solo poche 
istantanee riescono a soddisfarci davvero, scartiamo la più parte di esse come 
strambe, non perché la macchina deformi, ma perché essa fissa una costellazione di 
tratti astraendoli dal flusso dell’espressione, la quale, quando è arrestata e raggelata, 
non ci colpisce più come il modello”
1
. 
Quando nel 1646 il Mosini affermò che Annibale coniò la parola, dobbiamo 
considerare ch’egli scriveva una prefazione per un libro di stampe dello stesso 
Annibale (“Arti di Bologna”), e questa era una buona ragione per collegarlo con il 
nuovo genere da allora popolare
2
, tuttavia non esistono dati certi che possano 
confermare questa ipotesi, anche i commenti del Bellori sull’argomento non ci fanno 
credere che Annibale sia stato l’inventore del genere, ma soltanto che lo praticava
 
. 
E’ molto difficile chiarire chi per primo ha dato la definizione di “ritratti carichi” in 
rapporto con i ritratti realizzati per divertimento nell’accademia dei Carracci, tuttavia 
l’influenza e l’importanza di Agostino non può essere cancellata, infatti, anche 
quando Malvasia prende in esame l’argomento dei giochi pittorici che si svolgevano 
nell’accademia, non sottovaluta il ruolo di Agostino. 
Nel fondo del carattere bolognese c’è sempre stata una gran dose di buon umore, 
soprattutto in campo artistico
 
e la “Felsina Pittrice” di Malvasia è riccamente 
documentata su testimonianze di antiche burle e motteggi di “arte gaia”. 
I Carracci amavano lo scherzo che alternavano al lavoro serio in bottega; come 
documenta il Malvasia, avevano introdotto l’uso di certi indovinelli con segni grafici 
molto sommari: “ Di quegl’ enimmi, o divinarelli pittorici, che furono fra essi così 
frequenti, e che in poche linee, o segni gran cose racchiudevano e rivelavano, come 
questi quattro per esempio: 
 
 
 
 
 
                                                 
1
 ERNST H. GOMBRICH, op. cit., pg. 418; 
2
 DIANE DE GRAZIA BOHLIN, Le stampe dei Carracci, Bologna 1984, pg . 52; 
                               12
                                                                                                                                          
                                                                                                                                      
Il primo dalla parte dì là di un muro, che riboccando, o stabilendo, sopravanza con 
la sformità della testa e della cazzuola, il secondo un pulpito ove un cappuccino la 
prima parte, si era chinato a prendere fiato…, il terzo un cavaliere che di là dalla 
lizza carca con la lancia in testa, e il quarto, un cieco appoggiato per di là una 
cantonata di un muro scoprendone solo il boffolo e il bastone…”.
1
 
 I visitatori della loro bottega: “ parenti, amici, indifferenti, vi andassero o per 
istruire, o per commettere opere, o per vendere” venivano di frequente ritratti in 
caricatura: vuoi con le fattezze di animali, come il cane, il gatto, o come il somaro, 
ma anche in guisa di oggetti inanimati, vuoi come uno sgabello, o una gramola di 
pane..”
2
. “Di qui (…) ebbero origine quell’Arti, che sopra dicemmo, e che nell’ora 
più noiose stando essi nella stanza, allora del Mercato nella casa dei Bellon; 
disegnarono formando poi quel libro, che fervì tanto tempo nella stanza per uno 
scherzevole passatempo alla studiosa gioventù (…) Occupato Annibale nelle opere 
più grandi (…) egli prendeva il suo riposo dallo stesso operare della sua professione, 
disegnando o dipingendo qualche cosa, come per ischerzo: e tra le molte che in tal 
maniera operò, postosi a disegnare con la penna, l’effigie del volto, e di tutta la 
persona degli artisti che per la città di Bologna (…) vanno vendendo o facendo varie 
cose, egli arrivò a disegnare fino al numero settantacinque figure intere, in modo che 
ne fu formato un libro
3
, il quale per alcun tempo, che il maestro tenne presso di se, fu 
riputato fra i suoi discepoli un esemplare ricco di insegnamenti dell’arte..”
4
. Gli 
scherzi ai vanagloriosi e ai seccatori, erano fra i più gustosi, di cui Malaguzzi Valeri 
nel suo libro così ne parla: “ Un cliente di Annibale era solito, recandosi allo studio 
dell’artista per constatare il progresso dell’opera commissionatagli, soffermarsi a 
lungo dinnanzi ad uno specchio, il pittore pensò allora di sostituire lo specchio vero 
con uno finto, ch’ egli dipinse su una parete, fingendovi sopra una tela e il 
malcapitato s’industriò poi un pezzo, inutilmente a levarla, fra le risa dei 
presenti…”
5
. 
Visto che l’ambiente dei Carracci era tanto giocoso, è lecito pensare, sostiene Rubiu, 
che la nuova forma d’arte della caricatura nascesse spontaneamente, nonostante il 
                                                 
1
 CARLO CESARI MALVASIA, Felsina Pittrice vite dei pittori bolognesi, Bologna 1678, pg. 468; 
2
 MALVASIA op. cit., pg.469; 
3
 Alessandro Marabottini  ha dedicato un saggio al libro menzionato da Malvasia : “Arti di Bologna” , 
intitolato ALESSANDRO MARABOTTINI, “Sui disegni di Annibale Carracci per le “Arti di 
Bologna”, in Studi offerti a G. Incisa Della Rocchetta, Roma 1973; In esso indaga la vera paternità 
della raccolta di stampe e ne tratta le vicende. 
4
 MALVASIA op. cit., pg. 468; 
5
 FRANCESCO MALAGUZZI VALERI, op cit., pg. 39; 
                               13
                                                                                                                                          
                                                                                                                                      
precedente di Leonardo e degli antichi; piuttosto è molto probabile che i Carracci 
conoscessero il libro di Della Porta sull’affinità fra tipi umani e animali, e che più 
efficacemente dell’apparato teorico, si servissero delle numerose silografie di cui era 
corredato il libro, per alimentare il gusto della trasformazione, ingrediente 
importantissimo per la caricatura
 
. 
Inoltre una delle attività accademiche era quella di elaborare modelli grafici per la 
rappresentazione di parti del corpo umano, di questa attività restano numerose 
testimonianze di schizzi e di stampe, diffusi a scopo didattico e intitolati: “Scuola 
perfetta per imparare a disegnare il corpo umano”. Le topiche trattate e le finalità 
analitiche e didattiche cui rispondono tali disegni e incisioni si collegano con gli studi 
fisionomici di Della Porta cui si aggiunge l’elemento ludico  
L’ambiente artistico bolognese sul finire del cinquecento e per tutto il seicento fu tra i 
più vivi d’Italia e si rivelò un importante centro di produzione di caricature. Oltre 
all’Accademia dei Carracci si dedicarono con profitto a questo nuovo genere artistico 
anche Francesco Barbieri, meglio noto con l’appellativo di Guercino e Giuseppe 
Maria Mitelli. 
“Il celebre pittore Gio. Francesco Barbieri ebbe i suoi natali nella città di Cento, 
l’anno 1590 nel secondo giorno di febbraio. Egli era ancora tenero bambino a cura 
della nutrice, quando gli accorse ciò, che bene spesso accader suol a coloro, che ha 
destinati il cielo ad operare cose grandi, cioè l’essere quasi dissi, pria che alla luce 
esposti agli infortuni e alle disgrazie.Occorse dunque, che per cura della nutrice 
stessa standosi egli in gioia addormentato, vi fu chi proruppe d’improvviso un grido 
si alto e sregolato, che l’infante pieno di spavento, svegliatosi dal sonno, diedesi a 
stralunare gli occhi in si fatta guisa che la pupilla destra fin da quel tempo rimase 
fissa e si fermò per sempre, onde egli poi in età cresciuto ne acquistò il nome di 
Guercino da Cento”
1
. 
Ad eccezione di certi momenti iniziali della sua carriera, le influenze sulla pittura del 
Guercino dell’opera di altri artisti non è mai facile da identificare. Per quanto riguarda 
certa categorie speciali, potrebbero aver avuto un loro ruolo esempi di altri artisti. 
Annibale Carracci può naturalmente vantarsi di essere stato l’inventore dei ritratti 
caricaturali e possiamo dedurre che Piero faccini che era morto nel 1602, ma di cui 
molti disegni erano stati accessibili al Guercino tramite il padre Mirandola, era abile 
                                                 
1
 FILIPPO BALDINUCCI, De professori del disegno da Cimabue in qua, Firenze 1688 (3
a
 ed., Milano 
1812), pg. 227; 
                               14
                                                                                                                                          
                                                                                                                                      
in quell’arte
1
. In altri modi ancora Annibale potrebbe aver fornito prototipi di 
carattere generale per l’attività del Guercino in questo campo.Sembra tuttavia chiaro 
che il Guercino non abbia mai cercato di emulare la consumata maestria di Annibale 
nel ritrarre la forma umana nel suo senso monumentale
2
. 
Le caricature e i disegni fantasiosi del Guercino non hanno che blandi richiami alla 
sua opera pittorica, tuttavia sembrano tutti avere legami abbastanza stretti con la 
natura e lo studio dal vero. 
 Il Guercino a volte faceva disegni di scene elaborate che sembrerebbero riferirsi alla 
vita locale di Cento, altri disegni riprendono personaggi e tematiche della commedia 
dell’arte 
I disegni del Guercino ebbero molto da offrire al Settecento, e sembra naturale, per 
esempio, che il Tiepolo debba averne posseduti degli esemplari
3
 
Giuseppe Maria Mitelli nacque a Bologna nel 1634, era figlio di Agostino Stanziani, 
un discreto pittore, noto con il nome di Mitelli o Metelli, nato il 16 marzo 1609, 
morto a Madrid il 2 agosto 1660, fece parte della schiera dei pittori d’affreschi e dei 
“Quadraturisti”, fu un valido “frescante” e altrettanto bravo disegnatore
 
. 
Mitelli fu indirizzato dal padre a seguire l’insegnamento di Albani, Guercino, Simone 
Cantarini, anche se, afferma Bertarelli, non riuscì a farne un pittore di grandi qualità. 
Nel Mitelli i biografi moderni cedettero di vedere qualche cosa di più di un traduttore 
di sentimenti e del sapere del popolo, si cercò una morale nella sua opera, forse si 
andò troppo in là. Il Mitelli partì dalla pratica di mestiere e rivolse la sua prima 
attività all’incisione. A ventisei anni cominciò a riprodurre quadri di Paolo Veronese 
di Tiziano, nel 1603 i lavori dei Carracci al Palazzo Fava . 
Le stampe sono eseguite con un tratteggio povero, che dimostra che non si preoccupò 
di rivolgersi ad un pubblico raffinato. Presto abbandonò ogni lavoro erudito 
rinunciando a competere con gli incisori che fiorivano a Bologna e riprese i temi di 
quelle immagini popolari del XVI secolo ancora comuni in Italia. 
L’opera di Mitelli è soltanto dei documenti che presentano le impressioni con le quali 
il popolo commentava gli avvenimenti contemporanei. La sua presentazione dei fatti 
oltre a rispondere ad esigenze popolari si faceva portavoce dei sentimenti comuni, 
così ad esempio nella “Guerra ai turchi” o sulla carestia che imperversò a Bologna 
nel 1696. Già Bertarelli notò la discendenza di alcuni temi che furono cari a Mitelli, 
                                                 
1
 AA.VV., Guecino i disegni, a cura di DENIS MAHON, 1968, pg.20; 
2
 AA.VV., MAHON., 1968, pg. 21; 
3
 AA.VV., Guecino i disegni, a cura di DENIS MAHON, 1968 pg.22; 
                               15
                                                                                                                                          
                                                                                                                                      
come ad esempio la “Stultifera Navis” di Sebastiano Brandt del 1496, ripresa da 
Erasmo da Rotterdam, dal bolognese Bartolomeo Bacchini nel1669 con “L’Albero 
della Follia” è rielaborato da Mitelli nella “Gabbia di Matti”. 
Le riflessioni sugli argomenti umani sono raccolti dal popolo in sentenze dalla forma 
stringata ed energica: l’illustrazione dei proverbi è resa con una serie di osservazioni 
umanistiche, ritrova la burla quando deve mostrare come va il mondo e rompe la 
tradizione delle scene dipinte su un foglio facendo una serie di sei stampe con la 
Fortuna che porta un asino, lo storpio che trasporta sulle spalle il Diritto, mentre una 
donna con i pantaloni domina un uomo con la gonna . 
Mitelli partecipò con la grafica prendendo spunto dalla vita del popolo, ma non seppe 
elevare la sua tecnica né tanto meno inventare soggetti e tipi nuovi. 
Parallela alla caricatura bolognese si svolge la linea cadetta della caricatura fiorentina. 
La caricatura fiorentina ha un origine dotta ed è ben differente da quella nata a 
Bologna; essa nasce proprio dal disegno manieristico che con scopi non caricaturali 
allunga le forme, rimpicciolisce le teste . 
Il maggiore esponente della caricatura a Firenze è Baccio del Bianco ma hanno 
rivestito un ruolo fondamentale Jacques Callot e Stefano della Bella, tramite i quali si 
attua una vera e propria diffusione dei modelli grotteschi, con il privilegio indiscusso 
di nani, gobbi e soprattutto di una vena comica non di rado triviale e popolaresca 
legata alla commedia dell’arte . Questi incisori oltre ad usufruire del campionario 
carnevalesco intriso di reminescenze letterarie e leonardesche, come testimoniano il 
frontespizio dell’opera teatrale di Scarron eseguita da Della Bella, gremito di teste 
grottesche o “I Balli di Sfessania” di Callot, si soffermavano sovente su scene del 
genere “basso”che comprendono le miserie, le atrocità della guerra. 
Il successo di Callot non si potrebbe spiegare senza un accordo profondo fra la sua 
sensibilità e la sua immaginazione con quelle del suo tempo. Callot venne più volte in 
Italia per studiare le bellezze artistiche e imparare l’arte, nel 1609: lavorò a Roma, 
quindi a Firenze ed in breve riuscì ad affermare il suo talento di incisore, si esercitò 
alla tecnica dell’acquaforte, ed inventò“ l’acquaforte a coperture”, che consisteva 
“nel far mordere la lastra più volte, sottoponendo i diversi piani della figurazione o 
anche i diversi segni di un immagine ad una più o meno prolungata corrosione da 
parte degli acidi”
1
. 
                                                 
1
 CARLO ALBERTO PETRUCCI, L’incisione italiana tra il XV e il XIX secolo, Roma 1958, pg. 34;