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Riguardo lo sviluppo della memoria di lavoro le varie ricerche che saranno 
presentate mostrano che il sistema di memoria di lavoro dei bambini è 
strutturalmente diverso da quello degli adulti ed infatti è a partire dall’età 
prescolare che aumentano le capacità sia del loop articolatorio, sia del taccuino 
visuo-spaziale che dell’esecutivo centrale. 
Le funzioni esecutive, nonostante la loro definizione vari spesso da un autore 
all’altro, in generale si possono definire come l’insieme delle operazioni 
cognitive necessarie alla produzione di comportamenti finalizzati ad uno scopo. 
In particolare nel modello proposto da Norman & Shallice (1986) si ipotizza 
l’esistenza di un Sistema Attenzionale Supervisore (SAS), simile all’esecutivo 
centrale di Baddeley, che si attiva nelle situazioni nuove, non routinarie, e che 
permette di utilizzare in modo intenzionale gli schemi, liberando il 
comportamento dai vincoli del meccanismo riflesso ed automatico. Lo sviluppo 
delle funzioni esecutive è strettamente legato a quello dei lobi frontali che si 
sviluppano proprio a partire dall’età prescolare, anche se i diversi aspetti delle 
funzioni esecutive maturano con ritmi diversi. 
Nella seconda parte della tesi (capitoli 3, 4 e 5) sono presentati la metodologia 
della ricerca, l’analisi dei dati e le conclusioni. 
Il campione analizzato è formato da 119 bambini normodotati, 60 femmine e 59 
maschi, di età compresa tra i 4 anni ed i 6 anni ed 11 mesi. A tutti i partecipanti 
alla ricerca sono state somministrate le seguenti prove: prove di memoria di 
lavoro, prove per la valutazione delle funzioni esecutive ed una prova per la 
valutazione del pensiero logico. 
Le prestazioni dei partecipanti sono state prima analizzate statisticamente e 
confrontate sulla base dell’età (4, 5 e 6 anni) ed in seguito, per ognuno dei tre 
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gruppi, sono state effettuate delle correlazioni tra le diverse prove, per verificare 
quali relazioni risultassero significative e quale fosse il loro andamento nei tre 
gruppi d’età.  
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CAPITOLO 1 
LA MEMORIA DI LAVORO 
 
1.1 LA MEMORIA DI LAVORO 
La memoria di lavoro è sempre stata molto indagata dagli psicologi in quanto è alla 
base di molte importanti attività cognitive come l’apprendimento, la lettura, la 
comprensione e l’aritmetica (Baddeley, 1986). 
Prima di analizzare più approfonditamente le caratteristiche ed il funzionamento 
della memoria di lavoro, non si può non menzionare il primo importante studio 
sulla memoria di Atkinson e Shiffrin (1968). Secondo questi studiosi la memoria è 
composta da diversi sistemi che hanno la capacità di immagazzinare 
l’informazione. Il primo sistema in cui vengono depositate le informazioni 
provenienti dagli organi di senso, è la memoria sensoriale. Successivamente 
qualcuna di queste informazioni, se selezionata dai processi dell’attenzione, può 
entrare nel magazzino della memoria a breve termine (MBT) e da qui, se 
consolidata dalla ripetizione, l’informazione può essere trasferita nella memoria a 
lungo termine (MLT). 
 
           Fig. 1.1 Rappresentazione schematica del Modello Modale di Atkinson e Shiffrin (1968). 
MEMORIA SENSORIALE 
MEMORIA A BREVE TERMINE
MEMORIA A LUNGO TERMINE
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Tulving (1995) riteneva che questi tre sistemi di memoria si distinguessero anche 
per il tempo di ritenzione dell’informazione. Infatti le tracce mnestiche 
permanevano nel sistema di memoria sensoriale da qualche millisecondo a qualche 
secondo, nella memoria a breve termine, da qualche secondo a qualche minuto e 
nella memoria a lungo termine, da qualche giorno ad anni.  
Il sovracitato Modello Modale di Atkinson e Shiffrin, è stato successivamente 
confutato sia da evidenze sperimentali che da osservazioni su pazienti con 
dissociazioni neuropsicologiche (Shallice & Warrington, 1970). Questi studi hanno 
dimostrato come il modello sia troppo rigido, in quanto l’informazione può passare 
direttamente dalla memoria sensoriale alla memoria  a lungo termine, senza 
passare per la memoria a breve termine. 
E’ proprio per capire questo fenomeno che è stato introdotto il concetto di 
“memoria di lavoro”, inteso come un sistema per il mantenimento temporaneo e 
per la manipolazione dell’informazione. Il primo, ad ipotizzare l’esistenza di 
questo sistema, è stato Wiener (1965) il quale sosteneva che ci fosse un modo per 
contenere momentaneamente le informazioni, le quali potevano essere poi 
rapidamente eliminate per far posto ad altre informazioni, necessarie per eseguire 
operazioni più urgenti. 
Questo spiega il motivo per cui, come affermato all’inizio, la memoria di lavoro è 
cruciale nello svolgimento di attività cognitive complesse in cui si richiede 
monitoraggio costante, processazione e ritenzione delle informazioni rilevanti per 
l’esecuzione del compito. 
 
 
 6
 
Fig. 1.2 Rappresentazione schematica del modello multicomponenziale di Baddeley & Hitch (1974) 
 
Tra gli autori che hanno maggiormente indagato la memoria di lavoro, uno dei 
più conosciuti è sicuramente Baddeley, il quale l’ha definita come un sistema 
capace di immagazzinare e manipolare l’informazione per brevi periodi di tempo 
(Baddeley & Hitch, 1974). L’autore voleva verificare sperimentalmente i limiti 
del modello modale di Atkinson e Shiffrin, indagare la plausibilità dell’ipotesi 
dell’esistenza della memoria di lavoro e fornire nuove informazioni sul ruolo 
della memoria a breve termine nell’apprendimento, nella comprensione e nel 
ragionamento (Baddeley, 1986). Questo ha portato Baddeley ed Hitch (1974) a 
proporre il primo modello multicomponenziale  della memoria (poi sviluppato 
ulteriormente dallo stesso Baddeley nel 1986). Tale modello ipotizza che la 
memoria di lavoro sia costituita da un aspetto dominio-generale, chiamato 
esecutivo centrale, il quale coordina l’attività di due magazzini dominio-specifici, 
a capacità limitata ed indipendenti tra loro, denominati rispettivamente loop 
fonologico e taccuino visuo-spaziale.  
In particolare l’esecutivo centrale ha il compito di coordinare le prestazioni in 
compiti diversi, cambiare strategie o piani di recupero a seconda del tipo di 
compito, inibire gli effetti distruttivi di altri stimoli per focalizzarsi su un unico 
stimolo, mantenere e manipolare le informazioni temporaneamente attivate dalla 
memoria a lungo termine (Baddeley, 1986). Altri studiosi come Engle, pur 
 7
concordando con Baddeley sull’esistenza dei due magazzini dominio-specifici, 
sostenevano invece che la componente centrale della memoria di lavoro non 
fosse l’esecutivo centrale ma l’attenzione controllata e che quindi il 
funzionamento della memoria di lavoro dipendesse dalla capacità di concentrare 
le proprie risorse attentive sul compito nonostante eventuali distrazioni od 
interferenze (Engle, Tuholski, Laughlin & Conway, 1999; Kane, Hambrick, 
Tuholski, Wilhem, Payne & Engle, 2004). 
Il loop fonologico è diviso a sua volta in due componenti: un magazzino 
fonologico passivo, capace di mantenere l’informazione verbale ed un processo 
di controllo articolatorio attivo, basato sul linguaggio interno e per questo 
definito reiterazione articolatoria. Le tracce mnestiche contenute nella 
componente di deposito, decadrebbero dopo due secondi circa se non venissero 
rinnovate, attraverso un processo di lettura della traccia, operato dalla 
componente di controllo articolatorio. Ciò è alla base della ripetizione subvocale 
che gioca un ruolo fondamentale nell’elaborazione del materiale presentato 
visivamente all’interno del loop fonologico. 
Il taccuino visuo-spaziale, invece, è deputato al temporaneo mantenimento e 
manipolazione delle informazioni di natura visiva e spaziale, le quali possono 
raggiungere il taccuino visuo-spaziale attraverso i sensi o attraverso la memoria a 
lungo termine (Baddeley, 2001); inoltre è importante nell’orientamento spaziale e 
nella risoluzione di problemi visuo-spaziali. 
Una serie di studi condotti verso la fine degli anni ’80 da Logie hanno ipotizzato 
che il taccuino visuo-spaziale fosse molto più complesso di quanto 
precedentemente si fosse considerato. Infatti nel modello proposto da Logie 
(1995) nel taccuino visuo-spaziale esisterebbe una separazione tra il sistema di 
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memoria temporanea visivo e quello spaziale (Logie e Marchetti, 1991), in 
quanto pare abbiano anche ritmi diversi di sviluppo (Logie & Pearson, 1997).  In 
analogia con la struttura del loop afonologico, Logie (1995) sostiene che la 
componente visiva del taccuino, da lui denominata “visual cache”, sia simile al 
magazzino fonologico, in quanto l’informazione, se non rinfrescata, decade dopo 
breve tempo, mentre la componente spaziale, denominata “inner scribe”, funga 
da meccanismo di reiterazione attiva. 
Il modello di Baddeley ed Hitch (1974), nonostante riconosca l’esistenza di soli 
due sottosistemi dominio-specifici, non esclude la possibilità che ci siano altri 
sottosistemi in grado di elaborare informazioni di natura diversa, ad esempio 
tattile, cinestesica od olfattiva.  
Recentemente a questo modello è stata aggiunta una quarta nuova componente, 
denominata buffer episodico, capace di integrare le informazioni provenienti dai 
due servo-sistemi e dalla memoria a lungo termine e di elaborarle in modo 
coerente traducendole in un unico codice (Baddeley, 2002b). Questa revisione del 
modello multicomponenziale prevede quindi un collegamento bidirezionale tra i 
due sottosistemi e la memoria a lungo termine sia verbale che visiva, come 
dimostrato da alcuni studi effettuati soprattutto in ambito verbale (Baddeley, 
Gathercole & Papagno, 1998).  
Il modello multicomponenziale di Baddeley ed Hitch ha ottenuto molto successo 
grazie alla sua capacità di stimolare ulteriori ricerche, anche se studi recenti 
(Cornoldi e Vecchi, 2000; Cornoldi, Rigoni, Venneri e Vecchi, 2000) hanno 
mostrato che questo modello non riesce a spiegare in modo ottimale le 
prestazioni degli individui con disabilità evolutive in compiti di memoria di 
lavoro. Infatti il lavoro di Cornoldi e Vecchi (2000) ha evidenziato che i deficit 
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nella memoria di lavoro possono essere distinti in riferimento ad un continuum 
orizzontale relativo alle modalità di elaborazione dello stimolo. Infatti alcuni 
bambini hanno difficoltà nei compiti che implicano la componente verbale 
mentre altri in compiti che implicano la componente visuo-spaziale (come gli 
individui affetti da sindrome non verbale, vedi Cornoldi et al.,2000). Ma le 
difficoltà nella memoria di lavoro possono essere anche distinte in riferimento ad 
un continuum verticale relativo al livello di controllo richiesto dal compito. 
Infatti esistono dei compiti che richiedono di memorizzare il materiale così come 
viene presentato e per questo sono definiti “passivi”, in quanto richiedono un 
basso livello di controllo ed altri compiti che invece implicano una specifica 
modalità di elaborazione dello stimolo (compiti che Baddeley attribuirebbe 
all’esecutivo centrale), che richiedono un alto livello di controllo. Esistono però 
anche alcuni compiti che richiedono livelli intermedi di controllo e che implicano 
una specifica modalità di elaborazione dello stimolo. Tali compiti però non 
riescono a trovare  una loro idonea collocazione nel modello multicomponenziale 
di Baddeley. A questo scopo Cornoldi e Vecchi (2003) propongono un modello 
unitario, rappresentato da una struttura a forma di cono, le cui dimensioni 
fondamentali sono il continuum orizzontale, dove trovano collocazione le diverse 
modalità di elaborazione dell’informazione (verbale, visiva, spaziale, tattile) ed 
un continuum verticale, dove trovano invece collocazione diverse tipologie di 
processi che possono richiedere un’elaborazione più o meno attiva 
dell’informazione. Di conseguenza in questo modello ogni processo può essere 
definito sulla base di queste due dimensioni, a seconda della natura 
dell’informazione che deve essere elaborata (continuum orizzontale) e della 
richiesta di processazione attiva richiesta dal compito in termini di 
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manipolazione, coordinazione ed integrazione dell’informazione (continuum 
verticale) (Cornoldi & Vecchi, 2000; Cornoldi, 1995). 
La struttura conica serve ad illustrare come i processi passivi periferici si possano 
collocare alla base del cono perché necessitano di minor controllo cognitivo 
mentre i processi attivi, si possano collocare nella parte alta perché richiedono un 
elevato livello di controllo cognitivo. Inoltre la struttura conica mostra che la 
distanza tra i processi che originano da varie fonti tende a diminuire 
all’aumentare dell’elaborazione attiva. Infatti nel livello più basso del continuum 
verticale si hanno dei processi separati ed indipendenti, mentre man mano che i 
compiti richiedono più risorse cognitive le correlazioni tra i processi aumentano. 
Questo spiega anche perché l’esecuzione contemporanea di due compiti è 
possibile solo se i due compiti richiedono un basso livello di elaborazione 
dell’informazione (Cornoldi & Vecchi, 2000). 
Nell’elaborazione periferica passiva, si processano in modo indipendente i diversi 
tipi di materiale, in un modo che si può definire dominio-specifico, al contrario in 
un’elaborazione maggiormente attiva aumentano le interconnessioni tra i 
differenti sistemi sensoriali, in un modo che si può definire dominio-
indipendente.