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enunciati, altrettanto non si può dire con riferimento all’attività scientifica, dove la 
contraddizione tra dati empirici (asserzioni singolari di osservazione) e teorie (asserzioni 
universali) non implica una conclusione così netta. Essa rivela piuttosto una tensione, una 
inadeguatezza, che non coinvolge soltanto la teoria e le osservazioni in oggetto, bensì 
l’intero sistema scientifico in cui questi sono inseriti. 
 Riguardo al secondo aspetto, si esaminerà il cosiddetto “problema della base 
empirica”, che verrà usato come filo conduttore per addentrarsi nelle posizioni di alcuni 
autori (Hanson, Kuhn, Feyerabend e Lakatos), con particolare attenzione alla possibilità di 
descrivere i fatti della scienza tramite un linguaggio osservativo che non implichi teorie. 
 Soprattutto dalle tesi di Lakatos si possono - a mio avviso - ricavare degli spunti 
interessanti da opporre alle posizioni anti-dialettche popperiane. Il più importante di essi è 
costituito dall’osservazione che il falsificazionismo di Popper, anche nella sua versione più 
aperta (che non è certo quella a cui si ispira la critica alla dialettica), non riesce a render 
conto dell’effettivo agire degli scienziati. La storia della scienza sarebbe infatti per Lakatos 
(come pure per Kuhn e per Feyerabend) il banco di prova di una qualsiasi metodologia, 
tanto che questa dovrebbe essere abbandonata qualora prospettasse dei comportamenti che 
non vengono riscontrati nella storia stessa. 
 Resta ancora da vedere fino a che punto tale tesi sia sostenibile o, detto in altri 
termini, fino a che punto una metodologia sia assimilabile a una teoria scientifica, e quindi 
soggetta ad essere falsificata da eventi in contrasto con essa. 
 Ciò costituirà l’argomento dell’ultimo capitolo, in cui si esaminerà la richiesta 
popperiana di considerare le metodologie come norme stabilite convenzionalmente, e non 
come teorie empiriche da sottoporre alla prova dei fatti. 
 
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Capitolo I 
 
 
 
 
IL PROBLEMA DELLA DEMARCAZIONE 
 
 
 Può essere definito genericamente come il problema di trovare un criterio che ci 
permetta di distinguere (e quindi di tracciare una linea di confine) tra la scienza e la 
metafisica. 
 Questo problema era stato affrontato nell’ambito del pensiero neopositivistico, 
almeno nella sua fase iniziale, mediante l’enunciazione di un criterio di significato in 
riferimento al quale le proposizioni venivano distinte in scientifiche e metafisiche. Sulla 
base di tale criterio, elaborato a partire dalle riflessioni di B. Russell e soprattutto da quelle 
del primo Wittgenstein (Tractatus logico-philosophicus), la demarcazione tra scienza e 
filosofia era ottenuto con l’aiuto dell’idea di “significato”: una qualsiasi asserzione aveva 
significato purché fosse riconducibile senza residui a proposizioni elementari (“atomiche”) 
di osservazione. In caso contrario, si trattava di un’asserzione senza significato o di una 
pseudo-proposizione (1). In tal modo, tutto i problemi metafisici, non solo, ma anche tutti i 
problemi filosofici, in quanto sprovvisti di una base empirica, venivano relegati nel 
dominio della non-significanza. 
 A questa soluzione del problema della demarcazione in riferimento al significato, si 
oppose Popper fin dall’inizio, rifiutando anzi la stessa impostazione del problema del 
significato data dai neopositivisti. A Popper non interessava tanto stabilire la significanza o 
meno di una determinata proposizione - questione per lui secondaria e sotto certi aspetti 
fuorviante (2) - quanto piuttosto fissare un principio in base al quale poter distinguere la 
scienza da ciò che non lo è. (3) 
 Secondo Popper, il criterio di verificazione proposto dai neopositivisti come 
principio per distinguere la scienza dalla metafisica, riesce, è vero ad eliminare la 
metafisica - suo principale bersaglio - ma nel medesimo tempo non può fare a meno di 
rivolgersi contro le stesse proposizioni universale su cui si basa la scienza. Le teorie 
scientifiche, in quanto fornite di valore universale, pretendono di essere applicabili a tutti i 
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fatti, mentre i fatti che possiamo raccogliere come prova della validità di una teoria sono 
sempre e necessariamente di numero limitato. Nessuna teoria può mai essere verificata 
mettendola a confronto con la totalità dei fatti a cui essa si riferisce, cioè non può essere 
ridotta ad una somma di asserzioni empiriche elementari. Pertanto, applicando 
coerentemente il criterio neopositivistico di significato, anche e teorie scientifiche 
dovrebbero essere respinte dal campo della scienza con l’etichetta di “metafisiche”. (4) 
 
1. La scientificità come falsificabilità 
 Da espliciti riferimenti in vari scritti (5), sappiamo che Popper cominciò a 
interessarsi al problema della demarcazione verso il 1919 sotto la spinta di una profonda 
insoddisfazione nei confronti di certe teorie, come quelle di Marx, di Freud e di Adler, che 
pretendevano di essere scientifiche. Quello che lo preoccupava di queste teorie «non era il 
dubbio circa la loro verità, bensì qualcos’altro». L’insoddisfazione derivava piuttosto dal 
fatto che tali teorie, «pur atteggiandosi a scienza, erano di fatto più imparentate con i miti 
primitivi che con la scienza e assomigliavano più all’astrologia che all’astronomia […]. 
Esse sembravano in grado di spiegare praticamente tutto ciò che accadeva nei campi a cui 
si riferivano». (6) 
 Assai diversamente le cose andavano con le teorie fisiche come quella di Einstein, 
dove le previsioni derivate dalla teoria - ad esempio, la deviazione della luce provocata da 
intensi campi gravitazionali, previsione confermata dalla spedizione di Eddington nel 1919 
- implicavano un notevole rischio. (7) 
 Tali riflessioni portarono Popper alla conclusione che  «è facile ottenere conferme, 
o verifiche, per quasi ogni teoria - se quel che cerchiamo sono appunto delle conferme» 
(8). Questo succede perché noi tutti siamo portati in genere a concentrare l’attenzione sui 
fatti che si presentano come una prova della validità delle nostre idee; mentre tendiamo a 
distogliere lo sguardo, cioè a ignorare, tutto quello che potrebbe metterle in discussione. 
Così, «è facilissimo ottenere prove, apparentemente schiaccianti di una teoria che, se fosse 
stata invece avvicinata con animo critico, sarebbe stata confutata». (9) 
 Per questo motivo, Popper ritiene che «i dati di conferma non dovrebbero contare 
se non quando siano il risultato di un controllo genuino della teoria; e ciò può essere 
presentato come un serio tentativo, benché fallito, di falsificare la teoria». (10) 
 Giungiamo così al nocciolo della concezione popperiana, per la quale, «ciò che 
rende scientifica una teoria, o un asserto, è il suo potere di scartare, o di escludere il 
 8 
verificarsi di certi eventi possibili - di proibire, o vietare, il verificarsi di questi eventi». 
(11) 
 Il dogma del significato e tutti gli pseudo-problemi a cui esso ha dato origine, 
possono essere eliminati - secondo Popper adottando, come criterio di demarcazione, la 
falsificabilità. In base al criterio di falsificabilità, le asserzioni (o i sistemi di asserzioni), 
sono scientifiche soltanto se sono in grado di entrare in collisione con l’esperienza, o, più 
precisamente, soltanto se possono essere controllate in modo sistematico, cioè se possono 
essere sottoposte a controlli che potrebbero confutarle. (12) 
 Detto in breve:  «il criterio dello stato scientifico di una teoria è la sua 
falsificabilità, confutabilità, o controllabilità». (13) 
 
2. Gradi di falsificabilità 
 Naturalmente, una teoria può essere più o meno controllabile, più o meno 
falsificabile, e quindi il criterio di demarcazione non può essere assolutamente netto, ma 
avrà esso stesso dei gradi (14). La misura della controllabilità o falsificabilità di una teoria 
viene indicata da Popper con il termine “grado di controllabilità”. 
 Una teoria avrà maggiori opportunità di essere confutata dall’esperienza, cioè avrà 
un più alto “grado di controllabilità”, se la classe dei suoi falsificatori potenziali (15) sarà 
maggiore di quella di un’altra teoria. Si può dire che «la prima teoria dice di più intorno al 
mondo dell’esperienza di quanto non dica la seconda, perché esclude una classe più ampia 
di asserzioni-base». (16) 
 «Per esempio - osserva Popper - una teoria da cui possiamo dedurre precise 
previsioni numeriche intorno alla suddivisione delle linee spettrali della luce emessa da 
atomi in campi magnetici di intensità variabile, sarà più esposta a confutazioni sperimentali 
di una che si limita a prevedere che un campo magnetico influenza l’emissione della luce». 
(17) 
 Popper osserva anche che esiste una connessione ben definita tra il grado di 
falsificabilità di una teoria, o di una semplice asserzione, e l’idea di probabilità. Infatti, se 
si confrontano i gradi di falsificabilità di due asserti (singolari o universali), si può dire che 
l’asserto meno falsificabile è anche il più probabile, e viceversa. (18) 
 «La probabilità logica di una asserzione è [dunque] complementare al suo grado di 
falsificabilità: cresce con il decrescere del grado di falsificabilità». In tal modo, 
«l’asserzione meglio controllabile, cioè, l’asserzione che ha il più alto grado di 
 9 
falsificabilità è logicamente meno probabile, mentre l’asserzione meno controllabile è 
logicamente più probabile». (19) 
 Inutile dire che per Popper sono da preferire le teorie che asseriscono di più sul 
mondo, ossia che contengono la maggior quantità di informazione (o contenuto empirico), 
teorie che hanno un maggior potere di spiegazione e di previsione e possono di 
conseguenza essere controllate più severamente, mettendo a confronto i fatti previsti con le 
osservazioni. (20) 
 
3. Falsificazionismo logico e falsificazionismo metodologico: gli “stratagemmi 
convenzionalistici”. 
 Affinché una teoria possa ritenersi scientifica non è sufficiente che essa ammetta 
dei falsificatori potenziali, occorre che tali falsificatori potenziali vengano presi in 
adeguata considerazione. 
 Può succedere che una teoria continui tranquillamente ad essere sostenuta benché in 
contrasto con numerosi fatti: affinché ciò avvenga basta negare in qualche maniera 
l’importanza di questi fatti come fattori falsificanti, oppure modificare la teoria in modo 
che essa torni ad essere coerente con quei fatti. 
 Scrive Popper: «Di fatto non si potrà mai produrre nessuna prova conclusiva della 
falsità di una teoria; infatti è sempre possibile dire che non ci si può fidare dei risultati 
sperimentali, o che le discrepanze che si afferma esistano tra i risultati sperimentali e le 
teorie sono soltanto apparenti e svaniranno col progredire della nostra comprensione». (21) 
 Sin dalla Logica, Popper si è ampiamente soffermato sulla difficoltà di 
caratterizzare la scienza empirica facendo ricorso unicamente alla struttura logica delle sue 
asserzioni:il criterio logico di demarcazione (cioè la falsificabilità di principio) va integrato 
con un certo numero di regole metodologiche che consentano la corretta applicazione del 
criterio stesso. (22) 
 La prima regola indicata da Popper, la più importante, la “regola suprema”, 
stabilisce che «le altre regole del procedimento scientifico devono essere progettate in 
modo tale da non proteggere dalla falsificazione nessuna asserzione della scienza». (23) 
 Per indicare gli artifici con cui una teoria può essere sottratta alla falsificazione, 
Popper ha coniato il termine “stratagemma convenzionalistico” (24). Egli distingue alcuni 
tipi di “stratagemmi convenzionalistico”, in modo da poter suggerire per ognuno di essi il 
rimedio specifico, cioè l’appropriata “contromossa anti-convenzionalistica”. (25)