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paesi anglosassoni e in Francia e quindi lo stato dell’arte in materia di valutazione 
paesistica in Italia. 
La seconda parte è più propriamente a carattere applicativo e presenta 
un’applicazione di alcune metodologie di Landscape Assessment basate su 
strumenti GIS (Geographic Information Systems) all’analisi paesistica del territorio 
comunale di Albisola Superiore, illustrando i risultati raggiunti e proponendo, nelle 
conclusioni, alcuni possibili ulteriori sviluppi della ricerca. 
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CAPITOLO I 
 
 
Il concetto di paesaggio nel pensiero geografico 
contemporaneo 
 
 
 
L’evoluzione del concetto di paesaggio nel pensiero geografico contemporaneo 
si può articolare in quattro momenti, che in parte si sovrappongono: 
1. il determinismo geografico e la concezione organicista; 
2. il possibilismo con indirizzo tassonomico; 
3. la concezione sistemica e percettiva del paesaggio; 
4. gli indirizzi attuali. 
Nella prima fase, che si sviluppa nei primi anni del XX secolo, alla nozione di 
paesaggio viene attribuito un contenuto semantico prevalentemente naturalistico, 
conseguenza dell’influenza, all’epoca assai forte, della dottrina deterministica, 
secondo la quale l’ambiente costituiva la causa e le forme di uso del territorio 
l’effetto di quelle (Vallega, 1995, pag.23). Ma già nel 1938 in occasione del 
Congresso Geografico Internazionale di Amsterdam il paesaggio “fu definito non 
soltanto come un’entità fisionomica, ma come il complesso di tutte le relazioni 
genetiche, dinamiche e funzionali tra i componenti di un determinato tratto della 
superficie terrestre” (Ruocco, 1993, pag.29). Era la premessa per il diffondersi 
negli anni successivi della dottrina organicista che, in netto contrasto con la passata 
matrice positivistica, considerava il paesaggio come un organismo. In Italia questo 
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pensiero venne sviluppato innanzitutto dal Sestini che nell’introduzione a Il 
paesaggio (Sestini, 1963, pag.10), affermò come il paesaggio geografico dovesse 
venire inteso quale “complessa combinazione di oggetti e di fenomeni legati tra 
loro da mutui rapporti funzionali (oltre che di posizione), si da costituire una unità 
organica”. A sua volta il Toniolo (Toniolo, 1954, pag.25) scrisse che il paesaggio 
non poteva essere inteso come un “panorama” ma bensì costituisse una 
“manifestazione collettiva di forme”, in condizione di equilibrio dinamico sul 
suolo. 
La seconda fase (che si sviluppa nel corso della seconda metà del XX secolo) 
vede la confutazione della concezione determinista e l’accettazione del paradigma 
possibilista secondo il quale “i fatti umani non si possono spiegare solo alla luce 
delle rigide leggi della natura, ma sulla base delle azioni e reazioni che si 
instaurano tra l’uomo e l’ambiente in un determinato spazio” (Ruocco, 1993, 
pag.35). Con l’affermarsi dell’indirizzo possibilista, il paesaggio viene studiato dal 
punto di vista della dimensione storica della presenza umana sul territorio e dei suoi 
rapporti con l’ambiente. Secondo questa impostazione il paesaggio è “l’impronta 
sul territorio dei generi di vita, i quali si formano e si trasformano attraverso 
l’incontro delle tecnologie con le risorse del territorio” (Vallega, 1979, pag.305). 
Ai nostri fini è importante sottolineare come in questi studi si faccia largo la 
tendenza a classificare i paesaggi, applicando una metodologia tassonomica. Tra i 
vari studiosi che, sia pure in modo difforme, sono riconducibili a tale impostazione 
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si distinguono, tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta, anche alcuni 
geografi italiani quali Toschi, Biasutti e Sestini. 
Nella sistemazione concettuale del Toschi (Toschi, 1979, pag.16) “il paesaggio 
è l’insieme di tutte le fattezze sensibili di una località, nel loro aspetto statico e nel 
loro dinamismo”. Egli si pone l’obiettivo di descriverlo attraverso un’analisi, di 
tipo marcatamente tassonomico che si sviluppa come segue: 
a) Analisi del paesaggio attraverso le sue componenti principali: 
1. componente plastica (la forma del rilievo); 
2. componente idrografica (fiumi, laghi, copertura nevosa, ecc.); 
3.  componente vegetale; 
4. componente edilizia (tutte le costruzioni umane); 
5. componenti in movimento (cioè tutti gli elementi dinamici). 
b) Estrazione delle determinanti che agiscono sui paesaggi creandone le 
varietà. Tali determinanti possono essere oggetti (ad esempio una montagna che 
influisce sulla vegetazione) e/o processi (ad esempio un terremoto). Tra essi si 
individuano quelli cosmici, geofisici, geognostici, litologici, tettonici, climatici, 
biologici e antropici. 
c) Individuazione dei tipi di paesaggio, attraverso una classificazione 
sistematica. Ciò può avvenire seguendo, indifferentemente due distinti 
procedimenti (a priori e a posteriori) d’identificazione dei i vari tipi di paesaggio. 
Secondo il primo procedimento si considerano le componenti e le determinanti, per 
cui avremo diverse varianti delle componenti quali quella plastica (ad esempio tipi 
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pianeggianti, accidentati, ecc.), vegetale (tipi forestali, di boscaglia, ecc.), 
idrografica (tipi lacustri, costieri, ecc.) ed edilizia (tipi urbani, industriali, ecc.). La 
serie delle varianti delle determinanti è rappresentata dai tipi climatici 
(mediterranei, temperati, ecc.), geologici (con tipi vulcanici, carsici, ecc.) e umani 
(con tipi minerari, agricoli, ecc.). 
Pertanto i tipi di paesaggi sono individuabili dalle componenti in funzione delle 
determinanti e viceversa attraverso le loro combinazioni. Per esempio un tipo può 
essere pianeggiante (componente plastico) percorso da fiumi e canali (componente 
idrografico) con copertura di formazioni erbacee e alberi in filari (componente 
vegetazionale) per effetti di coltivazioni (determinante umano), con case sparse 
(componente edilizio), ecc. 
Viceversa seguendo il secondo dei due procedimenti possibili si parte 
“dall’osservazione del numero più grande possibile di paesaggi e 
dall’individuazione empirica di tipi  regionali” (Toschi, 1979, pag.391). Cosicché 
da un paesaggio tipico si ricava un tipo di paesaggio. Dunque nella determinazione 
a priori si individueranno prima i tipi di paesaggio e successivamente i paesaggi 
tipici. Al contrario nella classificazione a posteriori si avranno prima i paesaggi 
tipici e poi i tipi di paesaggio. In base alla sua esperienza Toschi suggerisce 
d’individuare prima i tipi di paesaggio e successivamente di procedere al 
riconoscimento dei paesaggi tipici. 
A sua volta Biasutti ne Il paesaggio terrestre (Biasutti, 1962) si pone 
l’obiettivo di comparare diversi aspetti che consentano di ricavare differenti gruppi 
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di tipi di paesaggio, attraverso una mappatura climatico-vegetazionale della Terra. 
Per far ciò fornisce due definizioni di paesaggio. La prima è quella di paesaggio 
sensibile, “costituito da ciò che l’occhio può abbracciare con un giro d’orizzonte” 
(Biasutti, 1962, pag.1) e dunque “sensibile” in quanto può essere percepito dai sensi 
umani. Di conseguenza egli procede ad un’analisi per via sintetica in modo da 
evidenziare tutti i caratteri determinanti dei vari tipi di paesaggio sensibile 
attraverso le fotografie aeree ed in tal modo giunge ad individuare delle "regioni 
elementari" (Zerbi, 1993, pag. 47). 
La seconda è quella di paesaggio geografico secondo la quale lo stesso si 
configura come “una sintesi astratta di quelli sensibili” e, al contrario del 
paesaggio sensibile, risulta composto da pochi elementi. Applicando questa 
seconda definizione il Biasutti segue un procedimento analitico, prendendo in 
considerazione solo un numero limitato di elementi rappresentativi che permettono 
il raffronto delle forme principali del paesaggio, giacché combinando i diversi 
elementi si ottiene una differenziazione della superficie terrestre (Zerbi, 1993, pag. 
47). La sua attenzione quindi si sofferma sulle cause che determinano gli elementi, 
definite “fattori del paesaggio”. In particolare ne prende in esame quattro che 
contribuiscono attraverso i corrispondenti elementi alla differenziazione della 
fisionomia della terra: i fattori climatici, morfologici, idrografici e vegetazionali. 
Essi sono legati da reciproci rapporti, cosicché, ad esempio, una variazione di un 
elemento di un paesaggio è dovuto alla mutua influenza dei fattori climatici, 
morfologici, idrografici e vegetazionali.  
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Dopo aver provveduto a classificare i fenomeni naturali attraverso le quattro 
categorie fondamentali, il Biasutti si occupa della loro distribuzione territoriale 
cercando di evidenziarne i limiti attraverso valutazioni quantitative (ad esempio 
individuando i limiti delle provincie climatiche). Si deve tuttavia rilevare che per il 
Biasutti il paesaggio ha essenzialmente una valenza naturale, giacché il cosiddetto 
“paesaggio umano” può avere solo valore locale e non può essere preso in 
considerazione a grande scala in quanto è generalmente legato ad occasioni storiche 
variabilissime. 
Sestini, nella parte introduttiva del suo studio sui paesaggi italiani (Sestini, 
1963, pag.9), cerca di chiarire il significato del termine di paesaggio. In prima 
battuta pone l'accento sul concetto di veduta panoramica cioè di una “immagine da 
noi percepita di un tratto di superficie terrestre” (Sestini, 1963, pag.1), che 
l’osservatore visualizza (momento soggettivo) come paesaggio estetico. Il passo 
successivo consiste nel collegare diverse immagini omogenee che rappresenteranno 
una sintesi di vedute reali possibili. Ciò permetterà di evidenziare gli oggetti 
fondamentali senza le distorsioni derivanti dal fatto che l’osservatore si pone da un 
determinato punto di vista, giungendo in tal modo ad individuare e classificare un 
paesaggio sostanziale (momento oggettivo). In una fase ancora successiva il Sestini 
formalizza il concetto di paesaggio geografico, “in cui ciascun elemento oggettivo 
sia considerato non per la sua mutabile appariscenza ma nei suoi caratteri 
specifici e nella reale funzione rispetto agli altri elementi costitutivi della superficie 
terrestre” (Sestini, 1963, pag.10). In questa fase si evidenziano le manifestazioni 
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sensibili del paesaggio, distinguibili in elementi fissi (statici) e in fenomeni di 
movimento e mutabilità (dinamici). Siccome queste manifestazioni si dispongono 
secondo criteri spaziali, si può parlare di paesaggio geografico sensibile. 
Infine giacché i fenomeni non avvertibili non sono fattori del paesaggio ma 
fanno parte dello stesso, si può introdurre il concetto di paesaggio geografico 
razionale inteso quale “complessa combinazione di oggetti e fenomeni legati tra 
loro da mutui rapporti funzionali (oltre che di posizione), si da costituire una unità 
organica” (Sestini, 1963, pag.10). Grazie a questa astrazione, raggruppando i 
paesaggi geografici razionali si deducono i tipi di paesaggio. Pur ritenendo i 
paesaggi italiani principalmente umanizzati, Sestini utilizza un criterio morfologico 
per individuarne le diverse tipologie. Egli realizza in tal modo una vera e propria 
tassonomia dei paesaggi italiani, individuando 95 tipi di paesaggi. La scala di 
lavoro utilizzata è quella corografica-topografica nella quale sono presenti 
interconnessioni a scale diverse. 
La terza fase, tra i primi anni Settanta e la metà degli anni Ottanta, corrisponde 
ad una interpretazione del paesaggio in chiave sistemica, secondo il paradigma 
scientifico della teoria del sistema generale. L’introduzione di questa concezione ha 
fatto sì che il paesaggio venisse inteso come “un insieme coerente e rappresentativo 
dell’ambiente, la cui individualità trae origine dalla sedimentazione delle azioni 
della natura e delle attività umane” (Cencini, 1999, pag.284). Questa concezione è 
stata sviluppata soprattutto in Francia attraverso l’opera di tre scuole: quella della 
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“scienza dei paesaggio” di Toulouse, quella della “percezione del paesaggio” e 
quella del “paesaggio visibile” di Besançon. 
La scuola della “scienza del paesaggio” si è affermata attorno al geografo 
Bertrand (Bertrand, 1968) dell’Università di Toulouse, verso la fine degli anni 
Sessanta. L’obiettivo che questo studioso si era proposto consisteva nello 
sviluppare un metodo di analisi del paesaggio naturale fondato su criteri di 
geografia fisica. La base di questa teoria ecologica del paesaggio si impernia sul 
concetto di geosistema. Con tal termine si indica la zona ampia fino a qualche 
centinaio di chilometri nella quale si individuano i fenomeni che esprimono gli 
elementi del paesaggio. A livello tassonomico inferiore si individuano le geofacies, 
settori fisionomici omogenei, le cui combinazioni individuano i geosistemi. Il 
geosistema è il prodotto delle interconnessioni tra il potenziale ecologico, lo 
sfruttamento biologico e l’azione antropica (V.fig.I.1). Il potenziale ecologico 
corrisponde ad una combinazione di fattori geomorfologici, climatici ed idrologici, 
che rappresentano i dati di base per lo sfruttamento biologico (vegetazione, suolo e 
fauna) dello spazio e per l’azione umana su di esso. La disomogeneità dei 
geosistemi è dovuta al fatto che tra il potenziale ecologico e i dinamismi biologici 
ed antropici difficilmente si raggiunge la condizione di equilibrio reciproco 
(climax). 
In questa impostazione è da rilevare il tentativo di valutare l’ambiente in senso 
globale, con uno studio ambientale integrale, assente nelle altre discipline 
scientifiche. La scienza del paesaggio ha avuto un consistente seguito soprattutto 
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nell’ex Unione Sovietica e nell’ex DDR, sviluppando altri metodi, i quali hanno 
permesso di raggiungere un notevole grado di elaborazione teorica. In particolare, 
merito di questi studi è stata l’individuazione del legame esistente tra ecologia ed 
ambiente evidenziando le relazioni che legano gli ecosistemi al loro supporto 
territoriale (Zerbi, 1993, pag.81). 
 
FIGURA I.1 
Definizione teorica di geosistema 
 
POTENZIALE ECOLOGICO SFRUTTAMENTO BIOLOGICO 
(geomorfologia + clima + idrologia) (vegetazione + suolo + fauna) 
GEOSISTEMA 
AZIONE ANTROPICA 
Da: Bertrand, 1968, pag.259, modificato 
 14 
 
All’inizio degli anni Settanta, in un panorama di grande interesse per il 
paesaggio si afferma la teoria della percezione del paesaggio, a sua volta 
influenzata dagli apporti della semiologia. Questo approccio risente particolarmente 
dell’influsso della sociologia e della psicologia, proponendo un modo innovativo di 
studiare il paesaggio. La teoria della percezione ha distinto concettualmente il 
paesaggio oggettivo, costituito dalle forme e dalle strutture reali, dal paesaggio 
soggettivo, rappresentato dalle immagini che l’osservatore genera nella propria 
mente. Fra gli esponenti di questa teoria, bisogna ricordare il geografo francese 
Brunet (Brunet, 1974) che dopo aver distinto la realtà (paesaggio oggettivo), dai 
segni della realtà (paesaggio soggettivo), si sofferma sui concetti di significante e di 
significato. I significanti rappresentano gli elementi del paesaggio concreto ed 
influiscono sulla reazione dell’osservatore e quindi sono causa della formazione dei 
significati, cioè delle immagini visive. Brunet, vuole in tal modo richiamare 
l’attenzione sul fatto che non si può esaurire l’analisi del paesaggio solo al livello 
della percezione, in quanto il paesaggio oggettivo e il paesaggio soggettivo 
costituiscono due piani distinti, ognuno dei quali va affrontato con strumenti 
appositi. Questo perché il fine dello studio del paesaggio reale è rivolto alla 
conoscenza sistemica, mentre quello del paesaggio percepito è orientato verso la 
formulazione di un giudizio di valore. Inoltre egli vuole sottolineare che 
l’immagine percepita esprime un input incompleto rispetto a quella che caratterizza 
l’immagine visibile in quanto i significati corrispondono solo in parte all’insieme 
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dei significanti, proprio perché un significante può assumere a seconda 
dell’osservatore, significati diversi. Queste considerazioni portano alla creazione di 
un modello nel quale il paesaggio possiede tre volti: il primo è rappresentato dai 
meccanismi che l’hanno prodotto, il secondo è costituito dai segni avvertiti dagli 
utilizzatori del paesaggio, cioè l’immagine percepita dalla comunità e il terzo 
esprime la capacità di sviluppare funzioni che creano l’organizzazione del 
territorio. L’approccio sopra descritto va sviluppato facendo in modo che il 
paesaggio divenga l’oggetto delle analisi fisionomiche, così da fare emergere la 
morfologia e delle analisi percettive che permetteranno di focalizzare i valori 
relativi all’immagine del paesaggio createsi nelle persone (Vallega, 1979, pag.312). 
Tratto caratterizzante della scuola di Besançon è stata la proposta di 
considerare il “paesaggio visibile” come oggetto di studio in se stesso. Agli inizi 
degli anni Ottanta Brossard e Wieber (Brossard e Wieber, 1984) espongono il 
concetto di paesaggio visibile attraverso tre blocchi (boîtes) logici: il sistema 
produttore, il sistema utilizzatore ed il sistema paesaggio visibile (V.fig.I.2). Il 
primo è riferito agli “agenti” che creano il paesaggio, ed è composto da una parte 
abiotica, da una biotica e da una costruita. Qualunque ricercatore di ogni disciplina 
potrà studiare il paesaggio secondo i propri interessi, il più oggettivamente 
possibile. Infatti lo studioso cercherà di analizzare l’insieme dei segni da un punto 
di osservazione esterno per arrivare a trovare le cause che hanno prodotto un 
determinato tipo di paesaggio. Il secondo blocco logico non vede più come 
protagonisti i ricercatori ma la gente comune (gli utilizzatori del paesaggio). 
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kFIGURA I.2 
Il sistema paesaggio secondo Brossard e Wieber 
 
 
AZIONE, 
PIANIFICAZIONE 
ABIOTICO 
BIOTICO 
COSTRUITO
SISTEMA PRODUTTORE SISTEMA PAESAGGIO 
VISIBILE 
O
G
G
E
T
T
I
 
 
E
L
E
M
E
N
T
I
 
D
'
I
M
M
A
G
I
N
E
 
ZONA 
DI NON 
RIPRODUCIBILITÁ 
SISTEMA UTILIZZATORE 
FILTRO 
PERCETTIVO 
RICERCA, 
STUDIO 
 
 
 
CONSUMO, 
VENDITA 
Da: Brossard, Wieber, 1984, pag.6, modificato 
OGGETTI 
IMMAGINI STUDIO IMMAGINI 
1 
1 tramite la pianificazione, la costruzione  
2 tramite l'informazione, la legislazione 
3 tramite le scelte, i miti 
2 
3 
 
 17
L’utente percepisce il paesaggio da un punto di osservazione interno, che è 
assolutamente soggettivo. Quindi il ricercatore nell’ambito del sistema utilizzatore 
dovrà studiare i modi soggettivi con cui il paesaggio è visto e vissuto dalle 
popolazioni locali. Il collegamento fra le due boîtes è assicurato dal terzo blocco, 
costituito per l'appunto dal paesaggio visibile. 
Il paesaggio visibile è il luogo astratto dove gli oggetti prodotti dai meccanismi 
naturali ed antropici sono disposti in immagini percepibili offerte alla vista, anche 
se non sono necessariamente viste: infatti, ad esempio, si può parlare di un 
paesaggio visibile delle regioni antartiche anche se non si ci è mai stati (Wieber, 
1985, pag.170). 
Se gli oggetti sono facili da descrivere secondo la propria disciplina scientifica, 
più difficile diventa descrivere gli elementi dell’immagine. Distinguere gli oggetti 
provenienti dal sistema produttore dagli elementi dell’immagine permette di 
operare una separazione tra il “visibile” e il “visto”. Ciò facilita lo studio oggettivo 
delle caratteristiche delle immagini, evitando il giudizio estetico. Ma per arrivare a 
distinguere gli elementi del paesaggio visibile che, attraverso la combinazione di 
oggetti, caratterizzano le immagini percepibili, bisogna cambiare il campo di 
studio, lavorando nello spazio tridimensionale del “volume scenico”. Lo spazio 
delle immagini e della percezione permette di evidenziare l’importanza della 
spettacolarità dei paesaggi, in quanto caratterizzato dalla profondità di campo, 
dall’ampiezza della veduta e dall’altezza del punto di vista.