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In quest’ambito si colloca il progetto Brake by Wire, letteralmente “frenare con un filo” 
della Brembo S.p.a di Curno (BG), un programma di ricerca e sviluppo per un impianto 
frenante elettromeccanico. 
Questi innovativi sistemi Brake by Wire offrono interessanti possibilità per un completo 
controllo attivo del sistema frenante della vettura, garantendo un maggiore livello di 
integrazione. Questi sistemi offrono, inoltre, migliori soluzioni di alloggiamento, 
eliminando i problemi derivanti dalla componente idraulica, con l’ulteriore vantaggio 
ambientale determinato dall’assenza di fluido freni. 
IL Brake by Wire rientra in un progetto ben più ampio chiamato Drive by Wire che 
consentirà in futuro di sostituire i tradizionali dispositivi idraulici e meccanici, pesanti e 
di notevole ingombro, con sistemi elettromeccanici per la gestione dell’autoveicolo, 
quali lo sterzo, il cambio, la frizione, l’acceleratore e i freni. 
Il problema fondamentale di questo tipo di sviluppo è garantire la sicurezza del veicolo 
durante la guida e porre l’autista nelle migliori condizioni per essere sempre in grado di 
avere il pieno controllo dei dispositivi che lo governano. 
La sfida dei prossimi anni sarà quindi quella di portare il Drive by Wire ad un grado di 
sicurezza e stabilità almeno paragonabile a quello garantito oggi dai sistemi idraulici e 
meccanici. 
Sulla maggioranza dei veicoli attualmente in commercio i sistemi elettronici adibiti al 
controllo della sicurezza del veicolo, quali ABS, EBD, ESP, basano il loro 
funzionamento sulle forze generate attraverso l’impianto frenante. 
Trascurando ora i sistemi come l’ESP (controllo elettronico della stabilità), che in un 
sistema abilitato al Drive by Wire possono svolgere la loro azione con modalità 
differenti, ad esempio attraverso lo sterzo, possiamo soffermarci brevemente sull’ABS 
(Anti-Lock Brake System). 
L’ABS è un dispositivo predisposto ad evitare il bloccaggio delle ruote e la conseguente 
perdita di aderenza dell’autoveicolo. 
Con l’introduzione dei sistemi Brake by Wire la modulazione della frenata potrà essere 
applicata direttamente all’impianto frenante in caso di bloccaggio della ruota dando 
maggiore libertà ai progettisti e non intervenendo solo parzialmente sulla pressione 
dell’impianto idraulico del freno come avviene negli impianti classici. 
Con un impianto Brake by Wire, infatti, la frenata viene gestita elettronicamente dal 
controllore del freno elettrico e si possono perciò realizzare logiche di controllo più 
raffinate.  
  
 9
1.2 Argomento della tesi 
 
Il cuore del progetto Brake by Wire è il freno elettrico, un sistema realizzato allo scopo 
di sostituire i freni a comando idraulico attualmente utilizzati. 
Attualmente gli impianti frenanti si dividono essenzialmente in due grandi categorie e 
cioè freni a tamburo, più economici e freni a disco, più costosi, ma più performanti. 
Il prototipo del freno elettrico che andremo a studiare fa uso dello stesso schema alla 
base del funzionamento dei freni a disco. Si utilizza un disco in rotazione assieme alla 
ruota e, attraverso le pastiglie di materiale apposito (che varia in base alle necessità 
dell’autoveicolo) posizionate ai lati del disco stesso, si applica una forza di attrito in 
direzione contraria a quella di rotazione della ruota che quindi tende a farla decelerare e 
di conseguenza a rallentare l’autoveicolo. 
A differenza di un normale freno a disco, nel quale le pastiglie vengono azionate da un 
impianto idraulico comandato direttamente dal pedale del freno, nel freno elettrico 
l’azionamento è generato da un motore elettrico che per mezzo di una trasmissione 
spinge il pistone contro le pastiglie. 
A questo proposito, nel prototipo oggetto di questa tesi viene utilizzato un disco 
flottante, al contrario dei freni a disco classici in cui il disco è solidale con il mozzo 
della ruota; la pinza è fissa e si muove solo il pistone posto sul lato interno, mentre il 
disco possiede un grado di libertà che gli permette dei movimenti in senso assiale. 
In questo modo quando il pistone muove la pastiglia interna contro il disco, questo 
viene spinto contro la pastiglia esterna, iniziando così la frenata. 
La gestione della frenata è affidata ad una centralina elettronica che riceve in ingresso le 
richieste di frenata del guidatore, analizza le misure dei vari sensori a disposizione e 
procede, secondo un’opportuna logica di controllo, alla vera e propria frenata. 
 
 
 
 
 
 
 
  
 10 
            
______________________________________________________________________ 
             Fig 1.1 Prototipo del freno elettromeccanico 
 
 
1.3 Obiettivo della tesi 
 
In questa tesi si è cercato innanzitutto di comprendere in dettaglio il funzionamento del 
freno elettromeccanico in modo tale da costruire un simulatore il più possibile vicino 
alla realtà. 
Analizzando il comportamento del freno elettrico nel suo complesso si è giunti alla 
costruzione di un modello matematico che lo descrive efficacemente e che mette in 
risalto le caratteristiche non lineari di questo sistema. 
La causa principale di queste non linearità è l’attrito sul quale ci si è soffermati a lungo, 
effettuando un’analisi dettagliata dei fenomeni che lo caratterizzano, per decidere quale 
sia il modello di attrito più adatto per simulare il comportamento del freno. 
Una volta constatata la difficoltà nell’implementare in simulazione un modello 
dinamico dell’attrito si è optato per un modello statico asimmetrico simile al modello di 
Karnopp. 
  
 11
Questa analisi è stata effettuata per cercare di costruire un modello dettagliato che 
rendesse la simulazione del freno vicina alla realtà in modo da poter progettare poi un 
controllore il più preciso e robusto possibile. 
Per realizzare quest’obiettivo, quindi, oltre ad approfondire la conoscenza dei vari 
organi e costruire i rispettivi modelli matematici sono risultati necessari diversi test in 
simulazione al fine di identificare correttamente i principali parametri del modello 
scelto. 
Inoltre, per ottenere una misura abbastanza fedele della forza di compressione del 
pistone sulla pastiglia interna è stata inserita nel sistema una cella di carico di 
precisione. 
Al fine di progettare correttamente il controllore del freno in base alla forza di 
compressione si è proceduto a costruire un modello matematico anche per la cella di 
carico scelta, in modo da tenere conto della sua dinamica in simulazione.  
Una volta inseriti tutti i blocchi relativi al sistema in esame nel simulatore si è passati al 
progetto vero e proprio del controllore. 
Per cercare di progettare un sistema di controllo lineare relativamente semplice, si è 
tentato di linearizzare il sistema in modo univoco, ma le svariate non linearità presenti 
nel freno elettrico non lo hanno consentito. 
Sono stati determinati quindi diversi sistemi lineari a seconda della posizione e verso 
del pistone, nonché del segno della corrente imposta al motore. 
Questa analisi è servita anche a comprendere meglio il comportamento non lineare del 
freno elettrico e le problematiche relative ad esso. 
Dopo diversi tentativi e test di simulazione si è riusciti a determinare un controllore 
lineare abbastanza preciso e robusto per il modello utilizzato in simulazione nonostante 
le notevoli non linearità riscontrate nel freno. 
 
 
1.4 Problema del controllo e sviluppi futuri 
 
Nonostante i buoni risultati ottenuti in simulazione con il sistema di controllo scelto è 
possibile che la precisione del modello del freno costruito non sia ancora sufficiente. 
Il modello utilizzato per l’attrito, ad esempio, è solo una semplificazione della realtà e 
può sempre essere sostituito con un modello più complicato. 
  
 12 
Inoltre, per quanto riguarda i segnali che disturbano l’anello di controllo freno, si sono 
considerati solo i disturbi noti come il rumore introdotto dalla cella di carico e si sono 
trascurati gli eventuali disturbi introdotti dalla parte elettrica del motore, supponendo 
che la dinamica della parte elettrica fosse molto più veloce della dinamica della parte 
meccanica. 
Di conseguenza, anche se il controllore lineare scelto alla fine delle simulazioni risulta 
abbastanza robusto, nell’applicazione reale del freno a bordo di un autoveicolo può 
essere necessario l’utilizzo di un controllore non lineare. 
La banda di frequenze del sistema di controllo scelto risulta comunque abbastanza 
ampia per consentire l’applicazione di segnali di riferimento veloci come le logiche di 
controllo della frenata dell’ABS che in genere va dai 5 ai 10 Hertz. 
Comunque in questa tesi non si è simulato il funzionamento dell’ABS vero e proprio, 
ma sono stati effettuati dei test in simulazione con dei possibili segnali di riferimento 
generati da esso.  
In futuro è possibile implementare nel simulatore la logica di controllo dell’ABS in base 
alla variazione della velocità angolare della ruota e simulare il comportamento del freno 
a fronte del segnale di riferimento generato dall’ABS.  
 
 
1.5 Struttura della tesi 
 
La trattazione di questa tesi è stata strutturata in modo tale da analizzare capitolo per 
capitolo i principali aspetti affrontati per la realizzazione degli obiettivi prefissati. 
Si fornirà qui un breve e schematico riassunto dei temi trattati nei successivi capitoli. 
 
Capitolo 2. Modelli di attrito 
  
Vengono qui affrontati i problemi legati all’attrito nei servomeccanismi. 
Nella prima parte del capitolo viene data una descrizione del fenomeno fisico dell’attrito 
a livello macroscopico e microscopico, mentre nella seconda parte vengono presentati i 
principali modelli statici e dinamici dell’attrito nell’ottica di scegliere il modello più 
adatto per il freno elettrico da utilizzare in simulazione.  
 
  
 13
Capitolo 3. Modello del freno elettrico 
 
Questo capitolo è prevalentemente volto all’analisi delle componenti meccaniche che 
costituiscono il freno elettrico, al fine di ricavare i loro modelli matematici. 
Oltre ai componenti fondamentali del freno, si presentano anche i sensori utilizzati e in 
particolare si analizzano le caratteristiche statiche e dinamiche della cella di carico 
scelta al fine di costruire un modello matematico da inserire nel simulatore. 
Dall’unione dei vari modelli si giunge quindi alla definizione del modello base per il 
sistema oggetto di studio che sarà poi successivamente implementato in simulazione. 
 
Capitolo 4. Simulatore del freno elettrico 
 
In questo capitolo vengono descritti i blocchi che compongono il simulatore completo 
ed in particolare la caratteristica non lineare che lega la forza di compressione del 
pistone sul caliper alla posizione del pistone. Viene inoltre presentato il simulatore 
completo con i parametri stimati nei vari test in simulazione.  
Infine vengono presentate e commentate in dettaglio le simulazioni più significative 
effettuate con particolare attenzione ai risultati ottenuti con l’introduzione nel 
simulatore della caratteristica asimmetrica dell’attrito statico. 
 
Capitolo 5. Linearizzazione del modello e progetto del controllore 
 
Qui viene affrontato il problema della linearizzazione del sistema non lineare al fine di 
progettare un sistema di controllo adeguato.  
Dopo vari tentativi e test di simulazione si giunge alla definizione di un controllore 
lineare che appare abbastanza preciso e robusto.  
Infine vengono riportate le simulazioni più significative con segnale di riferimento a 
rampa e a scalino per simulare il comportamento del freno a fronte di una frenata 
graduale ed improvvisa rispettivamente. Nella parte finale si riportano anche le 
simulazioni dei possibili segnali imposti dall’ABS con frequenze via via più elevate per 
testare la velocità del sistema di controllo progettato.  
 
  
 14 
Appendice A. Controllo PWM del freno elettrico 
 
Nell’appendice di questa tesi si descrivono i vari tipi di azionamento del motore 
elettrico di tipo brushless installato nel freno. 
Inizialmente viene data una panoramica sui diversi tipi di motori brushless e sulle 
possibili tecniche di controllo, poi viene spiegato in dettaglio il principio di 
funzionamento ad onda quadra di un inverter trifase e successivamente la tecnica di 
controllo a modulazione della larghezza degli impulsi chiamata P.W.M. dall’inglese 
Pulse Width Modulation. 
 
 
 
                                                      
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
 15
 
Capitolo 
                          2 
              
Modelli 
            di attrito 
 
 
 
 
2.1 Introduzione 
 
Il sistema meccanico oggetto di questa tesi presenta notevoli non linearità, dovute 
principalmente agli attriti che si sviluppano al suo interno. È quindi necessario  
introdurre un modello sufficientemente accurato,  compatibilmente con le caratteristiche 
del sistema. L’attrito è uno dei problemi tipici di qualsiasi sistema meccanico, è quindi 
ovvio che nel corso degli anni si sia sviluppata una notevole letteratura su 
quest’argomento (vedi gli articoli specialistici [6], [7], [8], [9] e [10] della bibliografia).  
In questo capitolo si vuole perciò discutere le varie problematiche relative all’attrito e le 
varie famiglie di modelli proposte in letteratura.   
  
 16 
2.2 L’attrito tra due corpi 
 
In questa prima parte del capitolo viene data una descrizione del fenomeno fisico 
dell’attrito a livello macroscopico e microscopico e sono illustrati diversi 
comportamenti che tengono conto delle sue caratteristiche fisiche. 
Per capire meglio quali sono i fattori che influenzano l’attrito, è necessario concentrarsi 
sulle superfici a contatto dei corpi, tra le quali si sviluppa attrito.  
Due corpi possono essere a contatto conforme o non conforme. In un contatto conforme 
l’area macroscopica di contatto è determinata dalle dimensioni dei corpi, come 
rappresentato in figura 2.1, dove la pressione esercitata dal corpo A sul corpo B è 
proporzionale alle forze esterne e alla forza peso. 
In particolare, l’area apparente di contatto tra solido e solido a livello macroscopico è 
quella della superficie inferiore del corpo A e se su questo agisce una forza di carico 
perpendicolare alla superficie di contatto, il corpo B fornisce una forza di reazione che 
la controbilancia. 
Le frecce disegnate in figura rappresentano, a livello macroscopico, la distribuzione 
delle forze al contatto, che si assume uniforme. 
 
______________________________________________________________________ 
        Fig 2.1 Contatto conforme 
 
 
Nel caso in cui i due corpi abbiano raggi di curvatura diversi, allora si parla di contatto 
non conforme tra corpi, come si vede in figura 2.2. Inoltre si distinguono caso ideale e 
reale di contatto non conforme, in quanto idealmente l’area di contatto si riduce ad un 
punto, mentre nella realtà la zona macroscopica di contatto è ben più grande ed è 
dipendente dal carico che i due corpi devono sopportare e dalla rigidità dei materiali. 
Corpo A 
Pressione 
Corpo B 
  
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Comunque il contatto si realizza apparentemente su un’area di piccole dimensioni, in 
cui lo sforzo non è uniforme, ma è massimo nel punto centrale di contatto e decresce 
verso la periferia. 
 
 
______________________________________________________________________ 
       Fig 2.2  Contatto non conforme a) caso ideale b) caso reale 
 
 
 
Contatti non conformi si hanno soprattutto tra parti rotanti accoppiate mediante 
cuscinetti a sfere e tra i denti delle trasmissioni ad ingranaggi come i riduttori di velocità 
per i motori, in cui la larghezza tipica della zona di contatto non conforme è dell’ordine 
dei millimetri. 
L’analisi macroscopica non consente tuttavia di comprendere il fenomeno dell’attrito. 
Analizzando il contatto a livello microscopico è possibile constatare che le due 
superfici, anche se apparentemente lisce, possiedono in realtà delle microscopiche 
asperità irregolari, le cui giunzioni realizzano il contatto. 
Queste asperità delle superfici fanno si che la vera area di contatto sia molto più piccola 
rispetto a quella apparente a livello macroscopico in cui le superfici appaiono lisce, così 
che i veri punti di contatto sono quelli in cui le asperità delle due parti si congiungono, 
come mostrato in figura 2.3. 
 
 
______________________________________________________________________ 
       Fig 2.3  Fisionomia della zona di contatto conforme  
a) b)
Punti di contatto 
Corpo B 
Corpo A 
Strati superficiali di ossido di 
metallo o di lubrificante 
  
 18 
Le asperità si deformano in modo da generare delle aree di contatto locali che 
sopportino il carico totale. La pressione nei punti di giunzione può essere considerata in 
prima approssimazione proporzionale al coefficiente di rigidità del materiale, mentre 
l’area di contatto d’altra parte è proporzionale al carico totale. 
L’attrito risulta proporzionale alla somma delle forze di rottura delle giunzioni nelle 
zone di contatto, in modo tale che l’aumento dell’area microscopica di contatto dovuto a 
maggior carico incrementa il numero delle forze di rottura, mentre la singola forza resta 
costante e quindi l’attrito risulta in proporzionalità diretta con il carico. 
La presenza di lubrificanti, olio o grasso, o la formazione di ossido di metallo, crea 
degli strati superficiali di scivolamento. I lubrificanti vengono aggiunti per controllare 
l’attrito e ridurre l’usura delle parti a contatto; in tal modo si diminuiscono le forze di 
rottura delle giunzioni delle asperità e così anche l’attrito. 
Essi infatti permettono la creazione di una barriera fluida tra le due superfici di metallo 
a contatto che ostacola la formazione di giunzioni ed attenua i fenomeni di fatica ed 
usura dei materiali. 
La barriera fluida all’interfaccia tra le due superfici può essere mantenuta mediante due 
principali tecniche. Una prima tecnica, di più difficile realizzazione pratica, è chiamata 
lubrificazione idrostatica, ed è volta a mantenere sotto pressione il lubrificante in modo 
sostanzialmente indipendente dalla velocità relativa delle parti a contatto.  
Un’altra tecnica, assai più frequentemente utilizzata, è quella che va sotto il nome di 
lubrificazione idrodinamica: essa richiede solo un bagno di olio o grasso, ma soffre 
della limitazione che il film fluido è mantenuto solo al di sopra di una velocità relativa 
minima; quindi per basse velocità si ha un contatto solido-solido. 
 
 
2.3 L’attrito come funzione della velocità 
  
Studiando la dipendenza della forza di attrito dalla velocità e con diversi lubrificanti, a 
basse velocità di scivolamento, è possibile individuare quattro diversi regimi di attrito in 
funzione di altrettanti regimi di lubrificazione, che individuano la curva di Stribeck, 
come mostrato in figura 2.4.