6 
Ma l’inganno non necessariamente riguarda due soggetti, vi può essere anche 
l’errore del singolo individuo: questi si inganna [fallor], si sbaglia, giudica 
falsamente, prende un abbaglio, si illude nei confronti di una realtà oggettiva di 
riferimento; giudica erroneamente per credulità o scarsa conoscenza. 
Sono numerosi i sinonimi che della parola inganno possiamo trovare; come 
scrivono De Cataldo e Gulotta: “già a livello lessicale, la diversa ricchezza di 
elaborazione e di modulazione segnala la pervasività della condotta in esame”
6
.  
Lo Zanichelli
7
 distingue tra l’inganno volontario, come azione nei riguardi di 
un altro soggetto, e l’inganno come errore (cfr. cap. 1.2.3.): “illusione”, “errore”, 
“miraggio”, “abbaglio”, “apparenza”. 
 
Inganno 
aggiramento agguato amo astuzia bidonata bidone bugia cabala circonvenzione 
dolo disonestà espediente fallacia falsità falso finzione fregatura frode gioco imbroglio 
insidia lusinga macchinazione malafede malizia menzogna mistificazione pania raggiro 
scottatura simulazione slealtà sotterfugio stratagemma trabocchetto tradimento trama 
tranello trappola tresca trucco truffa
8
 
 
L’astuzia, scrive Bowyer, viene “escogitata dal pianificatore” dell’inganno 
per creare “una copertura o un effetto, entrambi illusori”; è l’efficacia dell’illusione 
a determinare la riuscita dell’inganno o frode, e, quindi, il conseguimento dello 
“scopo strategico”. “Il complicato processo dell’inganno, vale a dire della ideazione 
e pianificazione dello stratagemma, può essere ridotto a un modello alquanto 
                                                          
6
 Luisella De Cataldo Neuburger / Guglielmo Gulotta, Trattato della menzogna e dell’inganno, 1996, 
p. 37. 
7
 Giuseppe Pittano, Dizionario fraseologico delle parole equivalenti, analoghe e contrarie, 1995, p. 
414. 
8
 http://www.frasi.net  
 7 
semplice, il ciclo di pianificazione dell’inganno”
9
: tramite l’astuzia viene scelta la 
strategia d’inganno appropriata e le caratteristiche necessarie per creare una 
copertura (dissimulazione) o un effetto (simulazione), che creino un’ illusione che, 
se efficace, cioè creduta dalla vittima, è lo stratagemma che permettere di 
conseguire lo scopo dell’inganno e di conseguenza il superiore scopo strategico. 
Di bidoni e inghippi che ha saputo preparare, va fiero Pseudolo, il bugiardo, 
personaggio dell’omonima commedia di Plauto: “io, dovunque mi scontri col 
nemico, io, fiero del valore dei miei avi, posso ben dirlo, armato del mio ingegno e 
della mia malizia, io li posso sbaragliare e depredare, i miei privati nemici, con il 
taglio delle mie perfidie”
10
 (Atto II). 
Per quanto riguarda la bugia o menzogna, essa non coincide con l’inganno, 
ma è una forma di inganno (cfr. cap. 1.3.2.1.). Come scrivono De Cataldo e Gulotta, 
“ingannare non è sinonimo di mentire, il contenuto di un imbroglio può non 
consistere in informazioni fattuali ma in ruoli giocati o in parti rivestite”, si può 
infatti ingannare senza mentire, ad esempio “ammettere solo una parte della verità in 
modo da sviare l’interesse della controparte per ciò che viene celato (‘ho aperto la 
tua posta, ma non per le ragioni che tu credi’)”.
 
 
 
La menzogna e i suoi sinonimi, bugia, frottola, impostura, attengono al contenuto 
della comunicazione e cioè alla rivelazione di un messaggio che non si ritiene vero, cioè non 
corrispondente ai fatti. L’inganno è invece un comportamento teso ad incidere non solo 
sulle conoscenze dell’altro ma anche sui comportamenti, le aspettative, le motivazioni 
dell’altro. Nella menzogna l’accento è posto sulla funzione informativa della 
comunicazione, nell’inganno sulla funzione di influenza interpersonale.
11
 
 
                                                          
9
 J. Barton Bowyer, op. cit., pp. 68-70. 
10
 Plauto, Pseudolo, 1985, p. 314. 
 8 
In greco pseûdos [ψευ̃δος] ha il significato di “falso”, sia come bugia sia 
come errore: akoúsion [ κούσιον] è l’errore involontario, hekoúsion [ κούσιον] è la 
menzogna. Come scrive Marc Bloch, “tra la finzione pura e semplice e l’errore 
interamente involontario ci sono parecchi gradi intermedi”
12
.  
Fingere (o simulare) [to pretend, vorgeben] viene considerato da De Cataldo 
e Gulotta sinonimo di mentire, sebbene, come scrive John Langshaw Austin, è solo 
nel caso della costruzione fingere che che “il comportamento di finzione è, si 
potrebbe sostenere, particolarmente soggetto a prendere la forma del comportamento 
verbale, dato che questo è particolarmente adatto a creare impressioni riguardanti i 
nostri stati cognitivi”
13
. La finzione verrà trattata nel capitolo 1.3.2. come uno dei 
modi dell’inganno. 
Voltaire nel Dizionario filosofico alla voce Frode, nel domandarsi se “sia 
necessario usare pie frodi per il popolo”, scrive: 
 
Bisogna imitare l’essere supremo, che non ci mostra le cose quali sono in realtà: egli 
ci fa vedere il sole con un diametro di due o tre piedi, sebbene questo astro sia un milione di 
volte più grande della terra; ci fa vedere la luna e le stelle attaccate sullo stesso fondo 
azzurro, mentre si trovano a distanze diverse. Vuole che vista da lontano una torre quadrata 
ci sembri rotonda; vuole che il fuoco ci sembri caldo, sebbene in sé non sia né caldo né 
freddo. Insomma, ci circonda di errori convenienti alla nostra natura.
14
  
 
Tradimento è il termine col quale Julian Jaynes definisce “l’inganno a lungo 
termine” che “richiede l’invenzione di un sé analogale in grado di fare o essere 
qualcosa di completamente diverso da ciò che la persona, così com’è vista dagli 
                                                                                                                                                                          
11
 Luisella De Cataldo Neuburger / Guglielmo Gulotta, op. cit., pp. 68-69 e p. 76. 
12
 Marc Bloch, Apologia della storia, 1969, p. 95. 
13
 John Langshaw Austin, Fingere, 1990, p. 251. 
14
 Voltaire, Dizionario filosofico, 1981, p. 181. 
 9 
altri, fa o è”, in opposizione all’“inganno strumentale o a breve termine”
15
, ad 
esempio la simulazione di un comportamento, forma specifica d’inganno nel mondo 
animale
16
.  
Per De Cataldo e Gulotta, anche il barare è una specie di inganno e il baro è 
un soggetto che inganna (si veda al riguardo quanto scrive Bowyer e Conte
17
). 
Andrea Tagliapietra
18
 individua nel “frastagliato arcipelago dell’inganno” 
termini quali malinteso, finzione, malafede, ipocrisia, simulazione. 
Le voci di significato contrario a inganno hanno forte connotazione positiva: 
franchezza, lealtà, onestà, probità, rettitudine; nel caso dell’inganno inteso come 
errore si oppone ad esso la realtà, la verità oggettiva.
19
 Kant definisce la menzogna 
“il contrario della veridicità”: nel suo testo Sulla menzogna scrive: “La veridicità 
(Wahrhaftigkeit) nelle dichiarazioni viene anche detta lealtà (Ehrlichkeit) e, se tali 
dichiarazioni sono anche, al tempo stesso, delle promesse, onestà (Redlichkeit) e, in 
generale, sincerità (Aufrichtigkeit)”
20
. 
Disinganno ha il significato di un “improvviso e spiacevole contatto con una 
realtà diversa da quella immaginata”; disingannare significa “deludere”, 
“distruggere delle illusioni”, “mettere di fronte a una realtà spiacevolmente 
inaspettata, spiacevolmente reale, diversa da quanto ci si aspettava”
21
. 
                                                          
15
 Julian Jaynes, Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza, 1984, pp. 268-269. 
16
 Per il tema dell’inganno nel mondo animale cfr. Elisabeth Visalberghi / Luca Limongelli, Beasts 
and Lies. In: Massimo A. Bonfantini et al., Menzogna e simulazione, 1997, pp. 283-293 / Richard W. 
Byrne, What Can Evidence from Non-Human Primates Tell us about the Mental Capacities Required 
by Deception?. In: Massimo A. Bonfantini et al., op. cit., 1997, pp. 295-306 / Gli inganni nel mondo 
animale. In Luisella De Cataldo Neuburger / Guglielmo Gulotta, op. cit., pp. 112 e segg. / Georges 
Romanes, Animal Intelligence, 1882. 
17
 Cfr. cap. 1.3.2.. 
18
 Andrea Tagliapietra, op. cit., p. XV. 
19
 Giuseppe Pittano, op. cit., p. 414. 
20
 Immanuel Kant, Sulla menzogna, in: Immanuel Kant / Benjamin Constant, La verità e la menzogna. 
Dialogo sulla fondazione morale della politica, 1996, p. 308. 
21
 Giacomo Devoto / Giancarlo Oli, op. cit., p. 852. 
 10 
1.2. L’inganno: per una definizione 
 
1.2.1. Definizione di inganno come atto “finalistico”
22
 
 
L’inganno, scrivono Castelfranchi e Poggi, è un’azione sociale, un atto 
“finalistico”
23
 in cui un agente ha lo scopo di far avere ad un altro conoscenze false e 
inadeguate; l’inganno è inteso come manipolazione delle conoscenze da parte di un 
agente nei confronti di un altro, dove con agente si intenda un organismo che abbia 
“conoscenze sul mondo (percezioni, inferenze, credenze) e i cui comportamenti 
siano finalistici e basati su tali conoscenze”
24
. 
L’atto di inganno è tale in quanto colui che inganna ha la consapevolezza 
della propria volontà di ingannare: si ha “intenzionalità cosciente”
25
 sia nel caso 
dell’inganno verbale, sia nel caso dell’inganno non verbale. L’atto di inganno può 
essere un atto linguistico (la menzogna), un atto comunicativo non linguistico (la 
finzione), un atto non comunicativo, un’omissione, un oggetto prodotto (la 
banconota falsa, il falso storico), un oggetto usato (il travestimento), una 
caratteristica morfologica (la mimetizzazione).  
Quando un soggetto inganna, ha lo scopo di non far conoscere il vero ad un 
altro soggetto. Questo può voler dire “far credere il falso” (deviazione) o “non far 
sapere il vero” (privazione): queste sono le due strutture fondamentali dell’inganno. 
Perché inganno vi sia è però fondamentale che la conoscenza in questione sia 
rilevante per il soggetto che si vuole ingannare, serva cioè ai suoi scopi 
                                                          
22
 Finalistico è usato col significato di “fenomeno che tende alla realizzazione di un determinato 
fine”. 
23
 Cristiano Castelfranchi / Isabella Poggi, Bugie, finzioni, sotterfugi. Per una scienza dell’inganno, 
1998, p. 43. 
 11 
(considerando il concetto di agente che abbiamo definito sopra, come un soggetto 
che agisce in modo finalistico, cioè persegue i suoi scopi usando le conoscenze che 
possiede). È necessario infine che l’intenzione di ingannare non sia esplicitata, cioè 
si ha un doppio livello di inganno: si inganna anche sullo scopo di ingannare. Questo 
tema verrà trattato estesamente nel capitolo sulla controperformatività
26
. 
 
1.2.2. Principî conversazionali     
 
Presupposto della maggior parte degli inganni è il non sospetto e la credulità 
dell’altro, la sua fiducia. Scrive Grice: 
 
I nostri scambi verbali sono tipici esempi di un comportamento cooperativo (…). 
Possiamo quindi tentare di formulare una sorta di principio generale che i parlanti dovranno 
osservare, e cioè: “conforma il tuo contributo conversazionale a quanto è richiesto, nel 
momento in cui avviene, dall’intento comune accettato o dalla direzione dello scambio 
verbale in cui sei impegnato”. Lo si potrebbe chiamare Principio di Cooperazione (…). Si 
possono forse distinguere quattro categorie sotto cui raggruppare massime più specifiche. 
(…) La categoria della Qualità comprende una supermassima: “cerca di dare un contributo 
che sia vero” (…). Chiunque abbia a cuore gli scopi centrali della conversazione e della 
comunicazione (quali dare e ricevere informazioni, influenzare gli altri e venirne a nostra 
volta influenzati) dovrà necessariamente essere interessato a partecipare a scambi verbali in 
conformità al Principio di Cooperazione e alle massime.
27
 
 
L’inganno si basa proprio sulla fiducia riposta in queste regole, come scrive 
Volli: “La manipolazione, la finzione, la menzogna, insomma gli abusi linguistici 
                                                                                                                                                                          
24
 Ivi p. 21. Per approfondire questo “modello scopistico” cfr. Cristiano Castelfranchi / Jocelyne 
Vincent, L’arte dell’inganno, in : Massimo A. Bonfantini et al., op. cit., 1997, pp. 157-160. 
25
 Cristiano Castelfranchi / Isabella Poggi, op. cit.,  p. 57. 
26
 Cfr. cap. 2.  
27
 H. Paul Grice, Logica e conversazione, 1993, pp. 59 e segg. 
 12 
sono possibili solamente a partire dalla fiducia che l’interlocutore ripone in regole 
tacite come queste”
28
.  
Castelfranchi e Poggi definiscono come principale fattore che “facilita la 
menzogna nelle normali condizioni di credibilità” l’“altruismo reciproco delle 
conoscenze”, ossia i principî di Grice, tradotti nel principio dell’utilità della 
condivisione di conoscenze come prescrizione morale, da cui derivano le cosiddette 
“regole di default” a cui si attengono il parlante e l’ascoltatore di una conversazione:  
 
Se non hai motivi particolari di ingannare dì il vero e l’utile; se non hai motivo di 
diffidare e dubitare, credi
29
: quello che ti sta dicendo è vero e rilevante per i tuoi scopi. (…) 
La strategia di default dell’ascoltatore è favorevole all’inganno.
30
 
 
Una serie di indizi sembrerebbe deporre a favore di una specifica 
disposizione innata per l’altruismo reciproco delle conoscenze: 
 
la sofferenza che si può provare nel sapere qualcosa e non poterla comunicare ad 
altri (…); la difficoltà o imbarazzo che spesso si prova nel mentire e ingannare; l’etica e 
l’educazione che vanno nella stessa direzione anti-inganno; e soprattutto la credulità 
spontanea. (…) L’individuo che non rispetta la regola della reciprocazione (…) è chiamato 
il “baro” (…), colui che aggira le regole, che imbroglia nel gioco della vita.
31
 
 
                                                          
28
 Ugo Volli, Il libro della comunicazione, 1994, p. 92. 
29
 “Credere significa assumere una conoscenza come appartenente al contesto di assunzione della 
realtà, e assumerla con alto grado di certezza”. (Cristiano Castelfranchi / Isabella Poggi, op. cit., 
1998, p. 130). “Il credere è di solito considerato come adeguatamente giustificato; se è 
adeguatamente giustificato, equivale a conoscere; il conoscere implica verità”. (Luisella De Cataldo 
Neuburger / Guglielmo Gulotta, op. cit., 1996, p. 45). Cfr. anche nota 146. 
30
 Cristiano Castelfranchi / Isabella Poggi, op. cit., p. 155. 
31
 Ivi p. 95. 
 13 
Searle prevede per gli scambi comunicativi una “regola di sincerità”: 
“desidero che tu creda che io credo a quello che ti sto dicendo”
 32
. 
Colui che inganna viola quindi quella che si può definire una norma morale e 
sociale, un “principio di cooperazione conoscitiva”; l’inganno è un atto aggressivo
33
 
in quanto:  
(i) danneggia l’ingannato impedendogli di conseguire i suoi scopi poiché gli 
nega la conoscenza necessaria; 
(ii) viola in generale il suo diritto alla conoscenza;  
(iii) approfittando della sua buona fede compromette la sua “immagine”. 
La nozione di inganno è quindi “intrinsecamente normativa”
34
. 
 
1.2.3. L’errore 
 
La nozione minimale di inganno è l’errore: un agente si inganna (su 
qualcosa) quando ha una conoscenza erronea o incompleta, in riferimento a una 
verità oggettiva, dove con verità si può intendere “rispondente al reale”. È proprio 
l’ingannarsi, cioè la fallibilità, la debolezza cognitiva di ciascuno di noi, il 
presupposto dell’inganno, la possibilità cioè che inganno vi sia. Si può definire 
inganno causale, la situazione in cui un agente viene tratto in inganno, cioè si 
inganna, a causa di un fattore esterno (un miraggio, un’illusione ottica, una 
percezione sbagliata), che però non ha lo scopo, l’intenzione di ingannare.  
 
 
                                                          
32
 Luigi Anolli, Fondamenti di psicologia della comunicazione, 2006, p. 240. 
33
 “Un’azione sociale è aggressiva quando ha lo scopo di impedire il raggiungimento di uno scopo 
dell’altro”. (Cristiano Castelfranchi / Jocelyne Vincent, op. cit., in: Massimo A. Bonfantini et al., op. 
cit., p.160). 
 14 
1.2.4. L’autoinganno    
 
Diverso dall’ingannarsi per errore, l’autoinganno, quella forma di bugia “che 
ha per oggetto se stessi”
35
, è il far apparire il falso come vero ai propri occhi, per 
meglio ingannare gli altri:  
 
Chi si autoinganna è capace di “modificare” la realtà nella sua mente trasformando 
in vera un credenza falsa. Di conseguenza, l’autoinganno diventa una strategia efficace e un 
mezzo potente per inventare una menzogna.  
 
Si tratta di un duplice paradosso:  
 
a) paradosso statico, poiché un soggetto inganna se stesso soltanto se egli crede e 
accetta sia p (falso) sia non p (vero);  
b) paradosso dinamico, poiché il soggetto che si autoinganna ha intenzione di 
inventare una falsa credenza per se stesso che conosce il vero.
36
 
 
Diversi sono i modelli esplicativi elaborati per tentare di superare questi 
paradossi. In generale propongono ipotesi secondo cui chi si autoinganna ricorre a 
un processo distorto nella elaborazione di informazioni. Queste “distorsioni 
cognitive” sono causate dagli aspetti motivazionali: il desiderio di credere p invece 
che non p perché più funzionale a conseguire il proprio scopo. In questo modo le 
ipotesi e le inferenze elaborate sono tali da rafforzare le proprie credenze, utili a 
giustificare le conclusioni desiderate. Chi si autoinganna non sarebbe consapevole di 
ammettere la credenza (p o non p) per ragioni motivazionali. Perché un soggetto 
                                                                                                                                                                          
34
 Cristiano Castelfranchi / Isabella Poggi, op. cit., pp. 64 e segg. 
35
 Andrea Tagliapietra, op. cit., p. XV. 
36
 Luigi Anolli, op. cit., pp. 246-248. 
 15 
possa cambiare il proprio sistema di credenze (poiché non si può credere quello che 
si desidera
37
) sono necessarie due condizioni: la plausibilità della conoscenza falsa e 
il valore di minaccia della conoscenza vera. Pertanto l’autoinganno può essere visto 
come un “meccanismo di difesa per proteggersi dal pericolo di una credenza 
minacciosa e per mantenere una soddisfacente immagine di sé”
38
.  
Anche De Cataldo e Gulotta sottolineano questo ruolo di difesa 
dell’autoinganno, il quale,  
 
pur non facendo perdere di vista la realtà dei problemi, permetterebbe di pensare e 
di operare come se essi fossero sotto controllo (…) se la portata dei fatti è troppo brutale per 
essere ignorata, allora se ne alterano i significati. (…) È la consapevolezza stessa, cioè la 
facoltà che fa dell’uomo ciò che è, a contenere in sé l’autoinganno, questa capacità di 
voltare le spalle a noi stessi, di staccare la spina per allontanare dalla coscienza i fatti 
spiacevoli. (…) Si tratta di un fenomeno inquietante perché impone di accettare il fatto che 
una persona creda allo stesso tempo ad una proposizione e alla proposizione che la nega. 
(…) Autoingannarsi è come mentire: c’è un comportamento intenzionale mirante a produrre 
una credenza che l’agente nel momento in cui innesca il comportamento, non ha; con la 
differenza che chi mente mira ad ingannare un altro, mentre chi si autoinganna mira  a 
ingannare se stesso.
 39
 
 
March Bloch scrive:  
 
Di tutti i tipi di menzogna, quella nei confronti di noi stessi non è fra le meno 
frequenti. (…) Non è meno vero che molti testimoni s’ingannano in perfetta buona fede. 
(…) Due ordini di cause, principalmente, alterano (…) la veracità delle immagini cerebrali: 
le une derivano dalla condizione momentanea dell’osservatore (…), le altre, dall’intensità 
della sua attenzione.
40
  
                                                          
37
 Cfr. cap. 2.2.. 
38
 Luigi Anolli, op. cit., pp. 246-248. 
39
 Luisella De Cataldo Neuburger / Guglielmo Gulotta, op. cit., 1996, pp. 89-97.  
40
 Marc Bloch, Apologia della storia, 1969, pp. 95-97. 
 16 
 
Bowyer individua nelle arti l’ambito più evidente dell’autoinganno. Così 
scrive:  
 
Nel caso del vero autoinganno, colui il quale vede insiste nel dire che non v’è 
astuzia, che l’illusione è realtà; in nessuna sfera ciò risulta più evidente che nelle arti. 
Samuel Taylor Coleridge definì poeticamente questo inganno “la voluta sospensione 
dell’incredulità”. Senza un atto del genere, gran parte della magia delle arti andrebbe 
perduta e l’illusione si lacererebbe rivelando l’astuzia. Eppure, nel corso dei secoli, queste 
illusioni sono divenute talmente accettate, talmente deliziose, talmente reali, da far sì che 
pochi si rendano conto del fatto che gran parte dell’arte è basata su scaltre astuzie.
 41
 
 
Kant usa il termine menzogna interiore per riferirsi all’autoinganno, 
“l’inganno intenzionale verso se stessi che sembrerebbe includere una 
contraddizione [Widerspruch]”. Si tratta del caso in cui “un desiderio (per amore di 
sé) viene preso per reale, perché tende a uno scopo buono. La menzogna interiore 
[innere Lüge], per quanto sia in contrasto con il dovere dell’uomo verso se stesso, 
prende allora il nome di debolezza”, ma, comunque, “merita la riprovazione più 
severa” poiché “una volta che il principio supremo della veridicità [der oberste 
Grundsatz der Wahrhaftigkeit] sia stato violato, il malanno dell’insincerità 
[Unwahrhaftigkeit] si estende anche ai rapporti con gli altri uomini”
42
. 
Quando Massimo A. Bonfantini e Augusto Ponzio definiscono l’inganno 
verso se stessi, si riferiscono all’inganno che permette di “non fare, e quindi rivolto 
alla conservazione del passato (…), quello che concerne l’ideologia come falsa 
coscienza, falso pensiero, falsa prassi”. Se nella menzogna “c’è una lucidità di 
visione sui propri fini” e il mentitore “guarda intrepidamente al suo fine”, nella falsa 
 17 
coscienza dell’ideologia il soggetto non si confessa il proprio fine, che è quello della 
sicurezza che potrà conseguire restando attaccato “ai metodi dell’ostinazione, del 
principio di autorità e della ragione”
43
. 
 
1.2.5. L’intenzione  
 
“Mendacium est enuntiatio cum voluntate falsum enuntiandi”
44
.  
È l’intenzione di ingannare a qualificare l’inganno in quanto tale, che viene 
perciò definito “inganno finalistico”. È Agostino a sottolineare l’importanza 
dell’intenzione, ponendo la distinzione fondamentale tra dire il falso e mentire: 
 
Mente chi pensa una cosa e afferma con le parole o con qualunque mezzo di 
espressione qualcosa di diverso. Per questo si dice che chi mente ha un cuore doppio [duplex 
cor], ossia un doppio pensiero [duplex cogitatio]. (…) È dunque dall’intenzione dell’animo 
e non dalla verità o falsità delle cose in sé che bisogna giudicare se uno menta o non menta. 
(…) Uno che al posto del vero afferma il falso, ma perché ritiene che sia vero (…) non 
desidera ingannare ma si inganna. Invece la colpa del bugiardo è il desiderio di ingannare.
45
 
 
Si può infatti mentire dicendo il vero (cfr. cap. 1.3.2.), oppure si può dire il 
falso ma non per ingannare, se si ha il sovrascopo (“scopo ulteriore”) di far inferire 
una conoscenza vera (esempio dell’avvocato che fabbrica prove false per dimostrare 
l’innocenza del suo cliente
46
) oppure come scrive Agostino: 
 
                                                                                                                                                                          
41
 J. Barton Bowyer, op. cit., p. 227. 
42
 Immanuel Kant, op. cit., p. 309. 
43
 Massimo A. Bonfantini / Augusto Ponzio, op. cit., 1997, p. 15. 
44
 Sant’Agostino, Sulla bugia, 2001, p. 34. 
45
 Ivi p. 33. 
46
 Cristiano Castelfranchi / Isabella Poggi, op. cit., p. 217. 
 18 
E se uno dicesse una cosa falsa, che ritiene falsa, e lo fa perché pensa di non essere 
creduto, in modo da distogliere da qualcosa con questa falsa fiducia l’interlocutore, 
essendosi accorto che non gli vuole credere? (…) Se la bugia non è data da altro che da una 
cosa detta con la volontà d’ingannare [si autem mendacium non est nisi cum aliquid 
enuntiatur voluntate fallendi], quest’uomo che dice il falso, sebbene abbia saputo e ritenga 
che è falso ciò che dice, con lo scopo che il suo interlocutore non credendogli non si 
inganni, non mente poiché sa o ritiene che quello non gli crederà.
47
 
 
“La menzogna e l’inganno trovano nell’intenzione il loro elemento distintivo, 
il requisito strutturale e strutturante indispensabile”
48
, scrivono De Cataldo e 
Gulotta. “Tra l’errore involontario e il deliberato inganno intercorrono numerose 
categorie di ibridi: sarà l’intenzione che muove il soggetto a qualificare la 
manovra”
49
.  
Il concetto psicologico di intenzionalità è definito da Searle  
 
quella proprietà di molti stati ed eventi mentali tramite la quale essi sono direzionati 
verso, o sono relativi ad oggetti e stati delle cose del mondo. Se, per esempio, io ho una 
credenza, questa deve essere una credenza che le cose stanno così e così; se ho un timore, 
dev’essere un timore di qualcosa oppure che qualcosa accadrà; se ho un desiderio, deve 
essere un desiderio di fare qualcosa oppure che qualcosa accada o si verifichi; se ho 
un’intenzione, questa deve essere un’intenzione di fare qualcosa. (…) Intenzionalità non è lo 
stesso di consapevolezza (…). L’intendere (intender fare) e le intenzioni sono solamente una 
forma di Intenzionalità tra le altre (…). L’Intenzionalità è direzionalità; l’intender far 
qualcosa è semplicemente un tipo di Intenzionalità tra gli altri.
50
  
 
“L’intenzione è un tendere della coscienza o della mente verso qualcosa”, 
scrive Demetrio Neri, essa “consiste nel mirare a realizzare ciò che è contenuto nel 
                                                          
47
 Sant’Agostino, Sulla bugia, 2001, p. 33. 
48
 Luisella De Cataldo Neuburger / Guglielmo Gulotta, op. cit., 1996, p. 63. 
49
 Ivi p. 256. 
50
 John R. Searle, Dell’intenzionalità, 1985, pp. 11-13. 
 19 
progetto (che l’agente si propone di realizzare). (…) Scegliendo liberamente di porre 
in essere il nostro progetto, noi abbiamo voluto produrre uno stato di cose che 
include tutte le conseguenze previste e ne siamo quindi responsabili”
51
.  
L’intenzionalità è elemento distintivo dell’agire umano:  
 
se per conseguire i suoi scopi l’inganno nel mondo animale si avvale quasi 
esclusivamente del mezzo ed è caratterizzato dall’assoluta mancanza di scelta che viene 
riconosciuta all’organismo che mente (…) la menzogna fra gli umani si gioca, invece sul 
piano dell’intenzionalità e sulla disponibilità nella scelta del mezzo in rapporto allo scopo.
52
  
 
 
1.2.6.  “Mettersi nei panni dell’altro”: conoscenza della 
mente dell’altro 
 
Secondo l’antropologo evoluzionista Volker Sommer, per il quale l’inganno 
appartiene alla logica stessa del vivente, la bugia è il tratto di continuità fra l’uomo e 
l’animale: ciò che distinguerebbe l’inganno umano da quello animale è la capacità di 
mettersi nei panni dell’altro per meglio ingannarlo, il noto schema “io penso che tu 
pensi che lui pensa”
53
. L’intenzione di ingannare, presuppone, quindi, una 
conoscenza della mente dell’altro e un piano per manipolarla
54
.  
Scrive Andrea Tagliapietra: “la menzogna nega e nasconde la verità. Tuttavia 
ha bisogno di sapere (…) le aspettative di verità di chi vuole ingannare. Non c’è 
bugia senza comprensione dell’altro”.
                                                          
51
 Demetrio Neri, Eutanasia. Valori, scelte morali, dignità delle persone, 1995, pp. 39-40. 
52
 Luisella De Cataldo Neuburger / Guglielmo Gulotta, op. cit., 1996, p. 63. 
53
 Andrea Tagliapietra, op. cit., pp. 6 e segg.. 
54
Cristiano Castelfranchi / Isabella Poggi, op. cit., p. 151.