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Do#, Re, Re# e via dicendo) sia stata chiamata 
“cromatica”. 
Inconsciamente, l’associazione tra musica e colo-
re è quindi da sempre esistita.
I concerti psichedelici degli anni ’60 di Pink 
Floyd, Who e Frank Zappa sono un’evoluzione e 
un’applicazione di più antichi tentativi, spesso 
insoddisfacenti, di accompagnare l’esecuzio-
ne musicale alla visione di effetti luminosi 
colorati.
Il cinema sonoro stesso, altro non è che il con-
nubio di due arti, la figurativa e la musicale, 
che si fondono in un’unica opera dalla quale 
non è possibile estrapolare le singole com-
ponenti senza deprimerne il valore globale.
Il nostro cervello dopo tutto, per la sua 
stessa conformazione, non si limita mai ad 
esperienze mono-sensoriali, “disperden-
do” anche le sensazioni rivolte ad un senso 
specifico.
Dal videoclip musicale agli effetti grafici creati dai 
media-players ci troviamo di fronte al frutto di decenni 
di sperimentazioni nel campo della rappresentazione 
visiva del suono.
Orizzonte comune è il tentativo umano di rendere 
visibili le sensazioni, le emozioni, o semplicemente  
l’immaginario, più o meno collettivo, di chiunque 
ascolti della musica.
Ciò che fruiamo spesso da spettatori inconsapevoli, e 
che in molti casi viene realizzato per scopi puramente 
commerciali, è il frutto delle intuizioni che pensatori, 
inventori, musicisti, artisti e scienziati hanno avuto 
nel corso della storia dell’umanità.
L’invenzione dell’alfabeto fonetico non è forse infat-
ti il primo caso di rappresentazione visiva dei suoni?
Qualcosa ha da sempre legato la musica alla visio-
ne ed è curioso, ad esempio, che si sia attribuito 
alla durata musicale di un ottavo il nome “croma”, 
o che la scala composta dai dodici semitoni (Do,
Concerto psichedelico dei Pink Floyd 
nella chiesa di All Saints, Londra, 1966
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Depuis le vidéoclip musiquel aux effets 
graphiques creés par les media-players, on 
se trouve devant au resultat de decennies 
d’expérimentations dans le domain de la 
répresentation visuelle du son. Fond commun 
est le tentative humain de render visible les 
impressions, les emotions, ou simplement 
l’imaginaire plus ou moin collective de 
n’importe qui écoute de la musique.
Cela duquel nous bénéficions souvent 
comme spectateurs inconscients, et qui 
est realisé dans le but commercial, c’est le 
résultat des intuitions qui des inventeurs, 
musiciens, artists et scientifiques ont eu il 
y a quelque siècle.
Effectivement il est possible de remonter 
jusqu’à des millénaires avant: l’invention 
de l’alphabet phonetique ce n’est pas le 
premier cas de representation visuelle 
des sons?
From music video to the effects created by media-pla-
yers we face the result of decades of experimentation 
in the field of visual representation of sound.
Common background is the human attempt to 
make visible feelings, emotions, or simply collective 
imaginary of anyone who listen to music.
What we can enjoy as spectators often unaware, and 
that in many cases is carried out for purely com-
mercial purposes, is the result of the intuitions that 
some inventors, musicians, artists and scientists 
had centuries ago.
But it is actually possible to go back to several 
millennia ago: is not the invention of the phonetic 
alphabet perhaps the first case of visual represen-
tation of sounds?
Something has always linked the music to the 
vision, it is curious, for example, that the name 
“quaver” is attributed to the musical lenght of 
an eighth or also that the scale composed by 
the twelve semitones (C, C #, D, D # and so on)
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Quelque chose a toujours lié la musique et 
la vue; il est bizarre qu’on a appelé croche  la 
durée musiquelle d’un huitième, ou que l’échelle 
composée par les douze demi-tons (Do, Do#, 
Re, Re# etc.) ait étée appelée “chromatique”. 
Inconsciemment, l’association entre musique et 
couleur existe depuis toujours.
Les concerts psychédéliques des années 60 des 
Pink Floyd, Who, Frank Zappa sont une evolution 
et une application de tentatives plus anciens, 
souvent insatisfaisants, d’accompagner l’execution 
musiquelle à la vision d’effets lumineux et couleurs.
Meme le cinéma parlant n’est que la fusion de 
deux arts, celui figuratif et la musique, lequelles 
se melangent dans une oeuvre unique d’où il n’est 
pas possible extrapoler les members particuliers 
sans en perdre la valeur globale. Notre cerveau, en 
effet, pour sa conformerie, ne se limite jamais aux 
expériences mono-sensorielles, en “dispersant” aussi 
les sensations adressées à un sens particulier.
was called “color”. Unconsciously, the 
association between music and color 
has always existed.
Pink Floyd, Who and Frank Zappa’s 
psychedelic concerts of the ‘60s are an 
evolution and application of older, often 
unsatisfactory, attempts to accompany 
the musical performance to the vision of 
colored lighting effects.
Sound film itself, is nothing but the 
marriage of two arts, figurative art and 
music, which merge into a single work 
from which it is not possible to extrapo-
late the individual components, although 
consciously, without losing the global value.
Human brains, because of its own 
conformation, never limited to mono-
sensory experiences, “scattering” also 
feelings addressed to a specific sense.
Norman McLaren’s film multilan -
guage introduction (pag. 37)
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società dell’epoca, il clavicembalo oculare non 
ebbe, a causa di una tecnologia inadeguata, 
la fortuna sperata dal suo inventore e di esso 
non è rimasta che l’idea, alla quale molti si 
sarebbero ispirati in seguito e che avrebbe 
attirato l’interesse di numerosi artisti.
Nel 1877 Bainbridge Bishop brevettò il primo 
organo a colori che permetteva di suonare 
avendo una corrispondenza visiva con luci 
colorate, analogamente a quanto era stato 
messo a punto da Castel, e anni dopo, nel 
1895, il pittore inglese Wallace Riming-
ton (1854-1918) brevettò uno strumento 
costituito da una cassa munita di aperture 
con vetri colorati che, azionate da una 
tastiera muta, proiettavano colori su uno 
schermo bianco. 
Ciò attirò l’attenzione di Richard Wa-
gner, che riconobbe nell’organo a colori 
di Rimington una delle possibili e nu-
I primi tentativi di associare sistematicamente sen-
sazioni visive, forme o colori, alla musica risalgono al 
XVIII secolo, quando il gesuita Louis-Bertrand Castel 
(1688-1757) mise a punto, nel 1725, uno strumento 
che chiamò clavicembalo oculare, del tutto simile ad 
un qualsiasi clavicembalo, ma capace, grazie ad una 
serie di luci, tendine e vetri colorati, di proiettare un 
colore associato ad ogni nota pigiata sulla tastiera, 
secondo studi precisi che lui stesso aveva condotto.
Già Newton un ventennio prima, nel suo trattato 
sull’ottica, aveva avuto la geniale intuizione di pa-
ragonare le proprozioni tra le onde luminose dello 
spettro della luce visibile alle diverse lunghezze 
delle corde necessarie a produrre determinate 
note
1
.
Il compositore e organista tedesco Georg Philipp 
Telemann si recò personalmente in Francia ad 
osservare lo strumento di Castel e compose per 
l’occasione dei brani musicali adatti allo sco-
po
2
, ma nonostante il fascino che esercitò sulla
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che così venne privato di una componente 
fondamentale. 
Oggi la sua esecuzione viene spesso, e giusta-
mente, accompagnata da uno spettacolo di luci; 
tra tutte, bisogna ricordare quella della Berliner 
Philharmoniker diretta dal maestro Claudio Ab-
bado nel ’92.
Il paragone tra Skrjabin e il Prometeo mitologico 
arriva senza troppe forzature: entrambi portarono 
la “luce” dove non la si era mai vista.
La corrispondenza tra singole note e colori fu un 
argomento ampiamente dibattuto soprattutto tra 
fine Ottocento e inizio Novecento, numerosi studi 
furono effettuati a riguardo e osservando la griglia 
nota-colore (fig. 1) si nota come esperienze condot-
te autonomamente e in epoche differenti portarono 
a risultati spesso contrastanti, ma anche a curiose 
analogie. 
Il Mi, ad esempio, viene identificato nella maggior 
parte dei casi col giallo, e il La con diverse tonalità di 
merose vie verso quella che lui definiva 
Gesamtkunstwerk (opera d’arte totale), 
la fusione dei vari linguaggi artistici 
tanto ambita in epoca decadente e in 
germe fin dalle origini dell’opera lirica. 
Una delle prime e più importanti appli-
cazioni pratiche dell’organo a colori a 
sostegno dell’arte si deve ad Aleksandr 
Skrjabin (1872-1915), compositore russo 
tardo-romantico, il quale nella composi-
zione della sua ultima opera sinfonica, il 
Prometeo, previde una partitura per “cla-
vier à lumière” o “tastiera per luce”, come 
egli stesso la definisce, in cui viene indicata, 
in chiave di violino, la muta melodia di colori 
che avrebbe dovuto inondare la sala del 
concerto durante l’esecuzione. 
Sfortunatamente la costruzione dello stru-
mento fu ultimata qualche mese dopo la 
prima esecuzione del Prometeo (marzo 1911) 
La grande porta di Kiev
Vasilij Kandinskij, 1928 (pag. 18)
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Fra tutti costoro, vi fu anche chi giustificava le 
proprie scelte definendosi sinesteta.
La sinestesia è un fenomeno sensoriale in cui 
avviene una “contaminazione” della perce-
zione, per cui una sensazione di tipo uditiva 
può attivarne involontariamente una visiva, 
e analogamente può avvenire con gli al-
tri sensi per il fatto che essi, pur essendo 
autonomi, non agiscono in maniera del 
tutto distaccata dagli altri; ancora una volta 
tornano in gioco i decadentisti: la sine-
stesia come figura retorica è molto cara a 
poeti come D’Annunzio, Pascoli e si dice 
anche che Baudelaire facesse ricorso ad 
alluginogeni per stimolare artificialmente 
sensazioni sinestetiche.
Il sinesteta è quindi colui che possiede 
tale capacità, secondo recenti studi non 
così rara come si pensasse un tempo, e 
abitualmente prova questo genere di 
viola, ma quali furono le motivazioni alla base di queste 
scelte?
Come si avrà modo di constatare anche in seguito, 
la storia della musica visiva è caratterizzata da un 
alternarsi di posizioni che oscillano da uno “scienti-
smo esatto” a un soggettivismo libero da ogni sorta 
di costrizione.
Abbiamo la corrispondenza suggerita da Newton 
che, dettata da studi scientifici sulle lunghezze d’on-
da delle luce e quelle dei suoni, si fonda in realtà su 
una suddivisione dello spettro piuttosto arbitraria, 
come fece notare Helmholtz due secoli dopo
3
; c’è 
chi, come Bishop, ritiene di dover accordare le 
note a partire dal Do con i colori dell’iride, e chi 
invece, come Castel, decide di cominciare dal Sol 
seguendo una scala discendente. 
Skrjabin ha una visione più musicale del proble-
ma, e decide di procedere per quinte nella sua 
associazione nota-colore (Do-Sol, Re-La e così 
via).