5 
 
Introduzione 
La Storia Economica è una continua tensione alla comprensione degli eventi umani nel 
tentativo di spiegarci la realtà odierna. La Teoria Economica, invece, è lo sforzo titanico 
dell’uomo che attraverso lo studio “matto e disperatissimo” di numeri e modelli tenta di 
intravedere il futuro, in una sorta di previsione.  
Elinor Ostrom ha vinto il premio Nobel per l’Economia nel 2009 per i suoi studi sulla gestione 
collettiva delle Common-Pool Resources. Il lavoro e la ricerca di Ostrom però non si occupano 
di quel genere di economia che tutti immaginiamo. Laddove un marginalista equilibra 
domanda e offerta con modelli e formule complesse, Ostrom narra di un gruppo di contadini 
che, senza essere retribuiti, lavorano l’uno al fianco dell’altro, perché solo in questo modo 
possono costruire la diga collettiva che garantisce l’acqua per inondare le risaie di loro 
proprietà. Quella stessa diga che ogni anno la stagione delle piogge spazza via e che ogni anno 
i più giovani della comunità, sotto la supervisione degli anziani, ricostruiscono in nome di una 
tradizione che non è vuota venerazione del passato, ma sopravvivenza e autoconservazione. In 
queste comunità si sente quell’empatia, o meglio la “συμπάθεια”,  che lo Smith della “Teoria 
dei Sentimenti Morali” ritiene fondamentale per il funzionamento di quella “Mano Invisibile” 
tanto decantata dai suoi epigoni. In queste realtà, maledettamente sbagliate agli occhi 
dell’Homo Oeconomicus, non si mira all’efficienza, né all’accumulazione materiale, ma alla 
sostenibilità della risorsa che dà senso alla comunità stessa, perché di essa ne è la fonte vitale, 
direttamente o indirettamente. L’approccio di Ostrom è prevalentemente empirico perché 
cerca di sviluppare interpretazioni e teorie partendo dall’esperienza e non di costruire modelli 
che abbiano poi anche un riscontro con una serie di realtà sensibili. Il suo è un esperimento di 
“antropologia economica”. Un tentativo di studiare e analizzare il maggior numero di realtà 
possibili al fine di trovare i paradigmi dell’azione collettiva e dell’agire umano, nella 
dimensione economica. Il superamento dell’Homo Homini Lupus di fronte alla possibilità di 
sfruttare gratuitamente una risorsa comportandosi da Free-Rider. Molti dei casi studiati da 
Ostrom ci offrono una testimonianza, storica, del fallimento della lotta dell’individuo contro 
l’individuo per l’affermazione di sé stessi e del raggiungimento del benessere personale. In 
molti di quei casi, questa non ha portato benessere diffuso, ma soprattutto sopraffazione. È il 
superamento della celebrazione dell’idea che individui singoli “se agiscono per proprio 
interesse, economico, portano alla fine all’benessere, economico, generale”. Così come si 
guarda criticamente al sistema di Mercato odierno fondato sulla competizione estrema fra gli
6 
 
individui, la Teoria dei Commons rifiuta anche una soluzione “calata dall’alto” come quella 
rappresentata dalla mediazione dello Stato. Come per il Mercato, si vedono elementi positivi e 
da salvaguardare, ma viene riconosciuto che l’Autorità Centrale ha, per sua natura, una certa 
distanza dalle realtà particolari che spesso può portare a malfunzionamenti o ad un eccessivo 
controllo. Il tentativo stesso di adottare un corpo di leggi unico, razionale ed omogeneo su 
tutto il territorio statale, può portare a conseguenze nefaste per alcune realtà originali, in 
particolar modo per le risorse gestite collettivamente da comunità, come ben espresso per la 
realtà italiana da Paolo Grossi. In Italia ad esempio non c’è bisogno di leggere i giornali per 
rendersi conto che il nostro Stato ha spesso legiferato ben oltre la reale necessità. Le 
conseguenze le scontano tutti i cittadini che devono, a qualsiasi livello, confrontarsi con la 
burocrazia della Pubblica Amministrazione, ma non solo. Nella realtà dello Stato di Diritto ben 
poco spazio è infatti lasciato all’auto-legiferazione e all’auto-regolamentazione. In Italia, dove 
la tradizione degli Usi Civici e di altre forme di gestione analoghe sono da sempre molto 
diffuse, ciò è particolarmente dannoso, sia per lo Stato che per le realtà comunitarie stesse. 
Dalle ricerche di Ostrom e degli studiosi che hanno seguito il suo esempio risulta, infatti, che 
gli individui sono molto più propensi a e disposti a seguire regole e norme stabilite e formulate 
direttamente da loro, piuttosto che sottostare a indirizzi esterni. Quando accade ciò, le 
persone sono più facilmente preda della tentazione di comportarsi da free-rider, aumentando 
considerevolmente anche i costi dell’Autorità Centrale per il controllo e la vigilanza. Inoltre 
Ostrom riprende la questione dei costi di transazione, rilevando come in molti casi sia 
convenuto allo Stato lasciare che le realtà locali trovassero da sole le soluzioni e le regole 
adatte alla loro condizione. In questo modo si evitano lunghissime ricerche dei rappresentanti 
dello Stato finalizzate alla comprensione di dinamiche complesse che agli occhi di chi partecipa 
sono in realtà assimilate e semplici, ma che devono essere conosciute dal legislatore per non 
dar luogo a squilibri. La teoria di Ostrom ha il suo cuore proprio nella gestione delle risorse 
naturali e nella formazione delle istituzioni, intese anche come semplici sistemi di regole, che 
vanno a formarsi e modificarsi progressivamente attraverso processi di decisione collettiva. 
L’idea che un gruppo di appropriatori di una risorsa, ovvero la comunità, abbia la possibilità di 
stabilire da sé valide modalità di sfruttamento della stessa senza ricorrere né allo Stato, né al 
Mercato è stata a lungo ritenuta utopica, o limitata a realtà non appartenenti al mondo che si 
definisce “civilizzato”. Ostrom, attraverso numerose evidenze empiriche, smentisce questo 
assioma delle “Teorie Economiche tradizionali”. In un certo senso le sue teorie ridanno fiducia
7 
 
all’Uomo come attore sociale e non solamente razionale. L’assunto di base è uno e semplice: 
non bisogna fregarsi a vicenda e ci si deve poter fidare degli altri.  
Da quando E. Ostrom ha vinto il premio Nobel anche nel contesto italiano si ricorre sempre più 
spesso alla sua teoria e alle sue definizioni per parlare in generale dei Beni Comuni. Ciò ha 
tuttavia portato a numerosi fraintendimenti rispetto all’evoluzione internazionale della Teoria. 
In particolare si riscontra una confusione terminologica circa il significato di  Commons e di 
Common-Pool Resources.  
Prendiamo ad esempio Wikipedia
1
, l'Enciclopedia open-source e free-access. Confrontare la 
versione italiana e quella inglese ci può aiutare a mettere bene a fuoco il problema e a far 
chiarezza sulla confusione. Se si apre la pagina Commons del sito di Wikipedia (Eng) e si chiede 
di aprire la stessa pagina di Wikipedia (IT), la definizione che viene data è sostanzialmente 
diversa.  
Nel primo caso si da una definizione generale di Commons: 
"The commons is resources that are owned in common or shared between or among 
communities populations. These resources are said to be "held in common" and can include 
everything from natural resources and common land to software. The commons contains 
public property and private property, over which people have certain traditional rights. In 
some areas the process by which commonly held property is transformed into private 
property is termed "enclosure".
2
 
 
Questa definizione non si rifà solamente alla teoria della Ostrom ed è molto simile alla 
definizione generale di Commons che E. Ostrom riporta a pagina 3 del testo “La Conoscenza 
come bene comune 2009” edizione italiana. Se si chiede la conversione in italiano della pagina 
inglese la definizione che viene data è: 
"I beni comuni o risorse comuni (in inglese Commons) sono beni utilizzati da più individui, 
rispetto ai quali si registrano - per motivi diversi - difficoltà di esclusione e il cui "consumo" da 
parte di un attore riduce le possibilità di fruizione da parte degli altri: sono generalmente 
risorse prive di restrizioni nell'accesso e indispensabili alla sopravvivenza umana e/o oggetto di 
accrescimento con l'uso. Oggi il tema dei beni comuni ha trovato un nuovo sviluppo, anche 
sulla spinta dell'attualità di argomenti quali il riscaldamento globale, la depauperazione di 
                                                           
1
 Sottolineiamo l’importanza di utilizzare Wikipedia come fonte rilevante nello studio della teoria dei 
Commons, in quanto è la stessa E. Ostrom insieme a C. Hess che nell’opera “Understanding Knowledge 
as a Common” ne evidenziano la potenzialità e definiscono la  stessa enciclopedia on-line un Common. 
Possiamo essere certi dunque che per quanto riguarda la teoria dei Commons, Wikipedia ( Eng ) sia 
un'ottima fonte su cui basarsi. Gli studiosi che si occupano di questa teoria continuano infatti ad 
aggiornare e correggerne le voci. 
2
 Cit. http://en.wikipedia.org/wiki/Commons
8 
 
ecosistemi unici o la perdita di biodiversità, tutte risorse comuni dell'uomo e degli altri 
organismi viventi."
3
 
 
È immediata la profonda differenza fra le due voci enciclopediche di en.Wikipedia e 
it.Wikipedia. 
Questa seconda definizione che viene data è molto più specifica e si rifà direttamente alla 
teoria della Ostrom. I beni comuni vengono infatti definiti secondo gli attributi di Escludibilità 
e Sottraibilità. Tuttavia ad un'analisi critica e attenta essa risulta parziale anche alla luce della 
stessa teoria della Ostrom, in quanto non vi si può certo includere Internet  né tantomeno la 
conoscenza che vengono considerate Commons dalla Ostrom, ma non sono sottraibili. 
Guardiamo ora il risultato che troviamo se cerchiamo Common Good o Common Pool 
Resources nella versione inglese: 
“Common good ( economics ) 
Common goods are defined in economics as goods which are rivalrous and non-excludable. 
Thus, they constitute one of the four main types of the most common typology of goods based 
on the criteria: 
whether the consumption of a good by one person precludes its consumption by another 
person (rivalrousness) and whether it is possible to exclude a person from consumption of the 
goods (excludability)”
4
 
 
In questo caso, come nella versione italiana di Beni Comuni, i Common goods vengono definiti 
attraverso le categorie di Escludibilità e Sottraibilità. Tuttavia la definizione viene, 
giustamente, definita "economics" con chiaro riferimento al mondo accademico. E' immediato 
osservare come nella traduzione italiana non solo si perda la differenza di significato che viene 
data a Commons e a Common Goods tradotti, malamente, entrambi con Beni Comuni, ma la 
definizione italiana di Beni Comuni così formulata non può assolutamente estendersi a sistemi 
che sono invece oggetto di studio della teoria; ad esempio Internet, la Conoscenza e certe 
funzioni svolte naturalmente dall'ambiente e dal territorio, come lo smaltimento 
dell'inquinamento. 
Poiché in Italia lo studio dei Commons non ha avuto molto spazio nel dibattito accademico, nei 
primi due capitoli di questo elaborato si è cercato di rappresentare uno “stato dell’arte” della 
teoria al giorno d’oggi, integrando i pochi, ma validi contributi di studiosi italiani con le più 
recenti pubblicazioni internazionali. 
                                                           
3
 Cit. http://it.wikipedia.org/wiki/Beni_comuni 
4
 Cit. http://en.wikipedia.org/wiki/Common_good_(economics)
9 
 
Il primo capitolo di questo elaborato si occupa di chiarire cosa siano rispettivamente i 
Commons e le Common-Pool Resources e cosa si intenda con “Tragedia dei Beni Comuni”. In 
particolare nella prima parte si è cercato di distinguere, all’interno dell’insieme delle Common-
Pool Resources, fra Global Commons e Local Common-Pool Resources. In questo elaborato 
infatti ci si è concentrati sullo studio delle Local Common-Pool Resources, in quanto sono state 
il primo oggetto di studio di Ostrom, vista la minor complessità rispetto alle prime. Nella 
seconda parte si è spiegato il “Topos” accademico “Tragedy of Commons”. Successivamente si 
è cercato di mettere in evidenza il fatto che, in ultima analisi, il messaggio di Hardin non era 
poi così distante da quello di Ostrom se contestualizzato nel momento storico della sua 
formulazione. 
Il secondo capitolo si occupa dei due temi dominanti della teoria, la proprietà e l’istituzione 
preposta alla gestione. Per quanto riguarda la prima, si è cercato di evidenziare come la 
proprietà collettiva che caratterizza la gestione delle Common-Pool Resources sia molto spesso 
una proprietà privata collettiva indivisa che mal si adatta allo schema della proprietà privata 
classica di derivazione romana, ma che rappresenti, citando Paolo Grossi “un diverso modo di 
possedere”. Nella seconda parte si è poi cercato di delineare i principali problemi in cui gli 
appropriatori della risorsa possono incorrere e quali siano le caratteristiche di un’istituzione 
solida e duratura. Ostrom infatti nel suo testo “Governing the Commons” ha delineato otto 
“design principles” che caratterizzano le istituzioni solide. Anche qui si è cercato di integrare i 
principi formulati da Ostrom nel 1990 alla luce dei commenti e delle revisioni da parte degli 
altri studiosi dei Commons, in modo da darne una versione aggiornata che ne riflettesse 
tuttavia l’evoluzione storica. 
Il Terzo capitolo invece è dedicato allo studio del caso specifico del Bosco delle Sorti della 
Partecipanza di Trino. Un lembo di foresta planiziale padana gestita dalla Partecipanza di Trino 
come proprietà collettiva indivisa dal 1275. In particolar modo ci si è soffermati sulla gestione 
del Bosco in seguito alla nascita del Parco naturale regionale nei primi anni ‘90, al processo 
storico con cui si è giunti all’istituzione e quali effetti abbia avuto sia sulla gestione forestale 
che sull’organizzazione della Partecipanza. Si è infatti cercato di capire attraverso lo studio 
delle fonti d’Archivio della Partecipanza quali siano stati i passaggi più importanti e come essi 
siano stati recepiti dai Soci. 
Il lavoro più consistente nella stesura di questo elaborato è stato sicuramente la ricerca e lo 
studio delle fonti. Si è cercato di differenziare il più possibile le fonti cui attingere; dalle
10 
 
classiche fonti bibliografiche, a testimonianze orali, a fonti Internet, a fonti d’Archivio, ad atti 
di conferenze scientifiche trascritte. Poiché in Italia lo studio della teoria di Ostrom non è 
molto diffuso, la maggior parte delle opere riguardanti la teoria non sono state pubblicate. 
Inoltre gran parte dei saggi scientifici e delle ricerche degli studiosi dei Commons sono state 
pubblicate su riviste e periodici di carattere economico cui molto spesso l’Università Statale di 
Milano non è abbonata
5
. Gran parte della bibliografia di riferimento in lingua inglese è infatti 
stata recuperata durante un soggiorno a Londra dove si sono consultati gli OPAC e i cataloghi 
digitali della British Library. Per la letteratura di riferimento in lingua inglese ci si è potuti 
avvalere anche della Biblioteca di Scienze Politiche dell’Università Statale di Milano che 
fortunatamente possiede alcune opere di Elinor Ostrom in lingua originale. Laddove è stato 
possibile, sono state consultate sia le opere in lingua originale, sia quelle in traduzione. Per 
quanto riguarda i contributi italiani è stato di grande aiuto la lettura delle bibliografie di alcune 
tesi di dottorato italiane da cui si sono recuperati importanti contributi.  
Per l’ultimo capitolo, oltre la consultazione dell’Archivio Storico della Partecipanza, sono state 
preziose le pubblicazioni promosse dal Comune di Trino e dalla Partecipanza stessa e la visita 
presso la Biblioteca Comunale di Trino, dove è stato possibile consultarli. Oltre alle fonti scritte 
si è, come detto, cercato di consultare per quanto possibile anche fonti orali. Sono state 
riprese alcuni interventi a convegni scientifici, ma non pubblicate, e sono state fatte due 
interviste: una al dott. Pier Giorgio Terzuolo dell’Istituto Piante da Legno e Ambiente in data 
28/05/2012 e una al 1° Conservatore della Partecipanza, Bruno Ferrarotti, e al Segretario della 
Partecipanza, Franco Crosio in data 26/05/2012. Si ritiene infine doveroso ricordare fra le fonti 
una moltitudine di amici e colleghi, studenti di Giurisprudenza della nostra Università, senza le 
cui pazienti spiegazioni la comprensione di alcune tematiche di diritto sarebbe stata alquanto 
ostica, se non addirittura impossibile. 
Un’ultima considerazione riguardo le fonti. Nel XXI° secolo lo Storico ha una possibilità, 
grandiosa, che fino a solo dieci anni fa era impensabile. Grazie alla digitalizzazione è possibile 
allegare quasi la totalità delle fonti consultate all’opera stessa, rendendo immediatamente 
fruibile e verificabile il lavoro di ricerca svolto. Per questo motivo nella pagina finale è stato 
collocato un CD-ROM con la gran parte delle fonti consultate e analizzate. 
                                                           
5
 Moltissimi casi di studio sono invece disponibili  on-line nella Digital Library of the Commons, tuttavia 
il materiale raccolto in questo database riguarda casi di studio specifici utili ad una trattazione 
comparativa di varie realtà, ma contiene ben pochi contributi teorici.
11 
 
Capitolo 1: Cosa sono le Common-Pool Resources e 
perché si parla di Tragedia dei Commons o dei Beni 
Comuni 
1.1 Cosa sono i Commons e le Common-Pool Resources ( CPRs )? 
1.1.1 Ai Commons manca una definizione univoca 
 
Se si vuole trattare di Commons devo  in primis riconoscere che nella vita di tutti i giorni, per 
ogni persona, i termini bene comune, bene collettivo, risorsa collettiva possono avere già di 
per sé un significato a prescindere da qualsiasi contributo accademico che sia stato sviluppato 
a livello internazionale nel corso degli anni. In Italia negli ultimi tempi si è cominciato a parlare 
molto di “beni comuni” soprattutto in relazione al referendum della primavera 2011  contro la 
privatizzazione dell’acqua
6
. Come riporta Mattei
7
 sono stati definiti bene comune anche il 
lavoro e il territorio montano della Val di Susa
8
, cui è stato affiancato questo nome in 
occasione delle  manifestazioni dove parte della popolazione si è fermamente opposta alla 
costruzione della linea ad alta velocità Torino Lione. Recentemente anche il termine inglese 
Commons, che identifica l'oggetto del nostro studio, è entrato a far parte del vocabolario di 
una parte,ridotta, della popolazione italiana.  
Per evitare confusione è necessario dunque distinguere e definire quello che intendiamo come 
Commons  rispetto alle possibili interpretazioni e fraintendimenti che potrebbero incorrere. 
Non si tratta di beni comuni o Commons in un'accezione generale come se ne è parlato nel 
dibattito pubblico in Italia recentemente, ma nell'accezione particolare sviluppatasi nel mondo 
accademico internazionale soprattutto a partire dalla pubblicazione nel 1987 di “The Question 
of the Commons: The Culture and Ecology of Communal Resources
9
” di Bonnie J. McCay e 
James M. Acheson e nel 1990 di “Governing the Commons
10
” di Elinor Ostrom. Come la stessa 
Elinor Ostrom afferma: 
"Scholars are still in the process of developing a shared language for the board set of thing 
called "the Commons"
11
  
                                                           
6
 Cfr. Mattei U., Beni Comuni, un Manifesto, Gius. Laterza & Figli Spa, 2011, pp. 77-88 oppure il sito del 
movimento http://www.acquabenecomune.org/raccoltafirme/  
7
 Cfr. Mattei U., Beni Comuni, un Manifesto, 2011, op. cit. , pp. 52-53 
8
 Cfr. http://www.corriere.it/politica/11_giugno_26/maroni-tav_68818274-9ff2-11e0-9ac0-9a48d7d7ce31.shtml 
9
 McCay, B. J. and J. M. Acheson, The Question of the Commons.The Culture and Ecology of Communal Resources. 
Tucson, Arizona: The University of Arizona Press. 1987 
10
 Ostrom E., Governing the Commons: The Evolution of Institutions for Collective Action. New York:  Cambridge 
University Press, 1990 
11
 Cit. Ostrom E., The Challenge of CPRs,  Environment Vol. 50 n° 4, 2008, p. 10
12 
 
 
Dare una definizione univoca ed esaustiva di Commons, Common Goods e Common-Pool 
Resources non è semplice . Anche l'apparentemente meccanica traduzione dall'inglese 
all'italiano non dà soluzioni omogenee. Nell'edizione italiana di “Governing the Commons
12
” di 
Elinor Ostrom  viene adottata la traduzione "beni collettivi". Tuttavia parte del mondo 
accademico Italiano ha evidenziato come questa definizione non renda la complessità 
semantica e il valore delle parole Commons e Common Goods, ad esempio il professor 
Sapelli
13
 e il professor Mattei
14
. Anche  "comune" ,in Italia e in italiano, ha un valore più ampio 
e profondo del semplice  "collettivo" , ma  non è questa la sede per una esaustiva disquisizione 
linguistica o filologica sulle interpretazioni, il fascino e i valori  di questa parola. Mi limito 
dunque a ricordarne la radice linguistica, dal latino cum munis , con doveri , in quanto da sola 
ci  comunica uno degli aspetti più importanti dell'essenza della gestione dei Commons, così 
come la Ostrom li delinea, che vedremo in seguito. 
Sebbene altrove siano state adottate altre traduzioni, come ad esempio "beni comuni" ( 
Sapelli
15
, Mattei
16
, Ferri
17
  )  o "risorse comuni" ( Maifreda
18
 , Ristuccia
19
 , Bravo
20
 ) o risorse 
collettive ( Maifreda
21
, Casari 
22
) non adotterò nell'esposizione di questa tesi alcuna traduzione 
di Commons  né di Common Goods , ma mi limiterò ad utilizzare i termini inglesi, così come la 
Ostrom e la tradizione accademica internazionale. Quando si parlerà di Beni Comuni si darà al 
termine un’accezione generale riferita al contesto italiano con particolare riguardo alla 
formulazione espressa da Ugo Mattei nel testo “Beni Comuni, un manifesto” edito da Laterza a 
novembre 2011. 
                                                           
12
 Ostrom E., Governare i Beni Collettivi,  (a cura di) Giovanni Vetritto e Francesco Velo, by Marsilio Editori S.p.a in 
Venezia, 2006 
13
 Durante il ciclo di lezioni di Economia Politica sul tema dei Commons tenutesi all'Università Statale di Milano 
nell'autunno 2010. 
14
  Mattei U., Beni Comuni, un Manifesto, op. cit., pp. X-XI   
15
 Sapelli G.,  ”Commons”: libertà e diversità, in “Dialoghi Internazionali”, n.14, 2010, pp. 57-64 
16
 Mattei U., Beni Comuni, un Manifesto, op. cit.  
17
 Ferri P., Introduzione all’edizione italiana: La conoscenza come bene comune nell’epoca della rivoluzione 
digitale, in “La conoscenza come bene comune nell’epoca della rivoluzione digitale”, Pearson Paravia Bruno 
Mondadori, 2009 
18
 Maifreda G., Risorse Comuni: un percorso di lettura, in “Dialoghi Internazionali”, n. 14, 2010, pp.109-115 
19
 Ristuccia C. A., Alla ricerca di un buon modello per l’uso delle risorse comuni. Una verifica storica fra Open Fields 
System, regole ampezzane e partecipante emiliane Ostrom E., Governare i Beni Collettivi,  (a cura di) Giovanni 
Vetritto e Francesco Velo, op. cit., pp. IX – XXVIII,   
20
 Bravo G., Dai pascoli a Internet. La teoria delle risorse comuni. in “Stato e Mercato”,  vol 63, 2001, pp. 487- 512. 
21
 Maifreda G., Risorse Comuni: un percorso di lettura, in “Dialoghi Internazionali”, n. 14, 2010, pp.109-115 
22
 Casari M., La governance dei beni di interesse collettivo, in “Communitas” i beni della comunità, maggio 2011, 
pp. 57-62
13 
 
1.1.2 Distinzione beni pubblici – beni privati – Commons.  
 
Per comprendere cosa sono le Common-Pool Resources bisogna prima avere ben chiaro cosa 
siano i beni pubblici e i beni privati. Per farlo è utile introdurre il concetto di esternalità. Con 
tale termine ci si riferisce ad un effetto che si “riversa” sulla società conseguente al consumo o 
alla produzione di un bene, senza che questo effetto venga sentito né dal produttore, né dal 
consumatore. Le esternalità possono essere sia positive che negative ovvero possono 
comportare un costo oppure un beneficio al resto della società
23
. Dunque si parla di 
esternalità positive quando l’azione del produttore o del consumatore comporta dei benefici 
alla società, di esternalità negative quando porta invece dei costi
24
. C’è una categoria di beni in 
cui le esternalità positive sono così grandi che non potrebbero essere prodotte dal mercato 
libero, sia esso “perfetto” o “imperfetto”: i beni pubblici
25
. Questi beni hanno due 
caratteristiche principali: la non – rivalità ( o sottraibilità ) e la non – escludibilità . 
Per comprendere la rivalità si pensi ad un gelato che viene mangiato da un bambino. Il gelato 
è  un bene privato. Dal momento in cui viene mangiato questo non sarà più disponibile per 
altri bambini, i due bambini sono dunque “rivali” nel consumo di quel gelato. Il consumo del 
gelato da parte del primo bambino crea una esternalità negativa per il secondo, ovvero il costo 
di non poter godere di quel gelato. Gli sottrae il bene. Come messo in evidenza da Ostrom
26
 la 
distinzione dei beni pubblici rispetto a quelli privati in base alla rivalità nel consumo viene 
teorizzata da Samuelson nel 1954. Egli infatti definiva beni pubblici quei beni che appunto non 
erano rivali nel consumo. Pensiamo ora a una diga costruita da un uomo per proteggere la sua 
casa dalle inondazioni. Anche il suo vicino di casa potrà beneficiarne ( estenalità positiva ) 
senza che ciò riduca la protezione della casa di chi la ha costruita, non c’è dunque rivalità. Il 
costruttore inoltre non può impedire che il suo vicino di casa goda di questo beneficio.  
L’attributo della non – escludibilità vuol dire appunto che chiunque può godere di quel 
beneficio senza averne contribuito alla creazione. Ostrom
27
 fa risalire questa  seconda 
distinzione dei beni in base al criterio dell’escludibilità a Richard Musgrave che la formula nel 
                                                           
23
 Cfr. Sloman J. Economics, 6
th
 edition,  Pearson Education, 2006, p. 293 
24
 Ivi p. 300 
25
 Ivi p. 301 
26
 Cfr. Ostrom E., How tipes of goods and property rights jointly affect collective action, Journal of Theoretical 
Politics, 15, 2003 pp. 240-41. 
27
 Ibidem.
14 
 
1959 anch’esso per distinguere la categoria dei beni pubblici, non escludibili, da quelli privati, 
escludibili.  
Nel 1977 V. Ostrom ed E. Ostrom pubblicano il saggio "Public Goods and Public Choices" 
28
 
dove sostengono la necessità di prendere in considerazione i due attributi dei beni insieme, 
proponendo nella tabella
29
 seguente una nuova catalogazione dei beni. 
           
Tabella 1 
 Excludable     Escludibili Non-excludable          Non Escludibili 
Rivalrous 
 
Sottraibili 
Private goods 
Cibo, vestiti, personal computer. 
Common goods (Common-pool 
resources) 
Aree di pesca, Foreste, Canali 
d'irrigazione 
Non-
rivalrous 
 
Non- 
Sottraibili 
Club goods 
Cinema, parchi divertimento, Tv 
Satellitare 
Public goods 
Televisione in chiaro, difesa 
nazionale, 
Fonte : http://en.wikipedia.org/wiki/Common-pool_resource 
 
Mettendo a sistema le due distinzioni ricaviamo due nuove tipologie di beni. I beni di Club e le 
Common-Pool Resources (CPRs). I primi sono beni a cui non tutti possono accedere 
liberamente, in quanto bisogna pagare un biglietto o un abbonamento per farlo, però la 
fruizione del bene da parte di un individuo non sottrae a un altro la possibilità  di beneficiarne. 
Le Common-Pool Resources hanno in comune l'attributo della non escludibilità con i beni 
pubblici, ma essi sono sottraibili, come i beni privati. Nel caso delle CPRs l’escludibilità non è 
impossibile in termini assoluti, ma è impossibile escludere senza un costo. Prendiamo per 
esempio una foresta con queste caratteristiche; nessuno, senza gravarsi di un qualche costo
30
, 
può impedire ad una persona di entrare nel bosco a farsi una passeggiata, ma se questa taglia 
un albero, quell'albero non sarà disponibile per un prossimo visitatore. Nel caso ad esempio di 
ponte pubblico invece, tutti possono utilizzarlo e il fatto che lo si attraversi non riduce la 
                                                           
28
 Ostrom V. e Ostrom E., in Savas E.S.  ( a cura di ), Alternative for Delivering Public Services: Toward Improved 
Performance, Westview Press, Bloulder ( CO ), 1977, pp. 7-49. 
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 Ad esempio la costruzione di una recinzione