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INTRODUZIONE 
 
 Pasolini ti voglio bene! 
Forse un incipit di questo tipo per iniziare la propria tesi è inusuale ma  non 
riesco a pensare ad altro modo: voglio bene a Pasolini perché per me ciò 
che ha detto ha ancora un sapore forte, veritiero, contemporaneo. Sono 
passati più di 36 anni dalla sua morte e mai come oggi si sente la mancanza 
del suo grido provocatore, della sua sagacia, della denuncia amara delle sue 
parole, perché oggi più di ieri si è realizzato quell’edonismo di massa, 
quella società sfacciatamente consumista che lui condannava. Basta 
guardarsi un po’ intorno, leggere un giornale, parlare con la gente per 
rendersi conto che gli anatemi che lanciava Pasolini contro la società 
possono con tranquillità essere condivisi dagli intellettuali del nostro 
presente. Uno sfrenato consumismo che fa di ogni cosa una merce, dal 
corpo ai valori passando per i diritti, tutto sembra un ottimo prodotto da 
vendere se non un ottimo pretesto per farsi pubblicità, per avere successo e 
raggiungere il benessere. Un benessere che appare esclusivamente 
materiale. Dunque, prendendo in prestito le parole che Platone fa dire a 
Socrate, possiamo dire che oggi come non mai nella storia dell’uomo 
occorre dedicarsi alla cura dell’anima, una cura  che Pasolini così come un 
Socrate dei nostri tempi ha cercato di diffondere con il suo stesso
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insegnamento.  
 Con le sue analisi sociologiche, artistiche, semiologiche, Pasolini fu un 
intellettuale che riuscì a cogliere i vizi che dilagavano nella società e che ne 
stavano deturpando ogni aspetto, e attraverso queste analisi fece un quadro 
apocalittico della situazione facendosi profeta di ciò che oggi si è avverato 
con forza maggior di quanto lui stesso non aveva previsto. Siamo nel 2011 
e a 36 anni di distanza dalla sua morte i problemi, le depravazioni della 
società sembrano essere sempre più causate da quello che seguendo 
Pasolini si potrebbe oggi definire un nuovo fascismo
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: l’edonismo 
consumistico.  Pasolini apocalittico, disfattista, pessimista, gridavano a 
gran voce i suoi nemici, i suoi critici. E chissà se oggi rimpiangono quelle 
parole alla vista di ciò che è oggi l’Italia con il suo parterre di politici che 
sembrano soubrettes, quando queste ultime non sono politici. Oggi che più 
di ieri quelli che dovrebbero essere dei diritti fondamentali, indiscussi 
dell’uomo, come quello di poter vivere la propria diversità sembrano avere 
maggiore considerazione, in realtà la situazione non appare mutata di molto 
se non in superficie. Oggi come negli anni settanta, la diversità in 
qualunque forma si presenti risulta essere mal tollerata, quando non 
addirittura sfruttata per fini commerciali. La tolleranza di oggi è quella che 
Pasolini definirebbe una tolleranza regalata ma non conquistata; una falsa 
                                                 
1 Cfr. P. P. Pasolini, Scritti corsari, Garzanti editore, Milano 1990, p. 29
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tolleranza così come una falsa libertà sembrano tenere buoni gli italiani 
che, fagocitati dall’ideologia del consumo credono di essere liberi di 
pensare, di essere come vogliono quando in realtà non si rendono conto di 
come ogni pensiero sia influenzato in maniera determinante dalla società in 
cui vivono e che se in essa la regola vigente è essere conformi e tutto si può 
comprare allora saranno portati inconsciamente ad accettare ciò che gli 
strumenti del potere, i media, gli propinano: il conformismo e il 
consumismo.  
 Le loro libertà, le loro coscienze saranno il prodotto della 
comunicazione di massa. È pur vero che oggi in una società in cui non c’è 
più vergogna né pudore lo scandalo di cui Pasolini si faceva portavoce 
passerebbe senza alcuna critica, obbiezione o polemica perché c’è oggi ben 
poco di cui scandalizzarsi, che di pseudointellettuali vocianti e scandalosi è 
pieno il proscenio pubblico, che ogni eccentricità è manifesta e sfruttata, 
spiattellata ad ogni dove. In questo momento di crisi culturale, che Pasolini 
leggerebbe non come un momento isolato ma come il precipitato 
necessario della crisi antropologica italiana post-bellica, ho voluto porre 
l’attenzione sulle sue analisi sociologiche, linguistiche e artistiche, ma 
soprattutto su un particolare messaggio che questo grande intellettuale del 
1900 ci ha lasciato, e cioè che bisogna “[…] abituarsi anche all’atrocità del 
dubbio, alla sottigliezza sgradevole del dubbio, dovete cominciare ad
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abituarvi a dibattere  veramente i problemi ma veramente non formalmente, 
si applaudono sempre dei luoghi comuni bisogna ragionare, non applaudire 
o disapprovare”.
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 La fonte d’ispirazione che dirige il pensiero di Pasolini è il marxismo, 
un marxismo che come fa dire al corvo di Uccellacci e Uccellini (che 
rappresenta proprio l’ideologia marxista): “si presenta come unica e 
possibile salvezza dell’uomo; esso salva il passato senza il quale non c’è 
avvenire”.
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 Il marxismo come salvezza, dunque, ma allo stesso tempo un 
marxismo che non deve cullarsi nell’ortodossia ma deve rinnovarsi, perché 
il nemico contro cui combattere è diverso, più forte, ha armi nuove e più 
potenti e anche se non colpisce più facendo rumore come ai tempi del 
colonialismo ma di soppiatto, strisciando nelle case degli italiani con 
immagini seducenti e prodotti dal bell’aspetto, ha lo stesso effetto nefasto, 
il genocidio. Un genocidio di intere classi sociali, delle identità particolari, 
dei diversi, il prodotto di un nuovo capitalismo di cui una nuova borghesia 
si fa portavoce: “una borghesia non più reazionaria o cattolica ma 
americanisante – spietata nel giudizio, quasi protestante o puritana, 
padrona, severa, confortata nel suo conformismo dall’efficienza del suo 
                                                 
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L. Betti, P. P . Pasolini e la ragione di un sogno 2/9, consultabile presso il sito web: 
http://www.youtube.com/watch?v=A3ACSmZTejQ&feature=related
 
3 Ivi parte 8/9, consultabile presso il sito web: 
http://www.youtube.com/watch?v=Hn4JmUSkf0U&feature=related
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lavoro e della sua produzione, del mondo che si sta creando intorno”.
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 Una 
borghesia che potrebbe assomigliare a quella messa in scena da Charlie 
Chaplin in Tempi moderni e caratterizzata dalla stessa incuranza per i 
lavoratori, dall’ansia del tempo che scorre senza che nulla sia prodotto, 
dall’idea che anche la pausa pranzo sia una minaccia per l’ingranaggio 
della produzione e che occorre eliminarla creando  una macchina per 
nutrire l’operaio e che inevitabilmente risulta un fallimento. Una borghesia 
senza scrupoli che ha come unico Dio il denaro e che calpesta nel suo nome 
ogni valore, ogni dignità e al quale, come dice Pasolini, “il marxismo dà 
ormai più noia che ansia. Essa si è impadronita del reale: facendone 
un’entità assoluta, non minacciata da contraddizione e quindi metastorica”.
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 Lo sguardo nostalgico verso un passato che viene dimenticato si 
coniuga con la ricerca di fermare quel processo di omologazione dai tratti 
marcatamente borghesi che spazza via le realtà particolari. 
Un'acculturazione borghese, borghese come la classe a cui Pasolini 
appartiene e di cui sente tutto il peso della vergogna e della colpa che la sua 
condizione di diverso gli porta. Un’appartenenza a cui non può sfuggire e 
che il marxismo come filosofia di vita, come scelta non riesce a cancellare 
perché “essere marxisti, oggi, in un paese borghese, significa essere ancora 
                                                 
4  P. P. Pasolini, Marxisant, in Id., Saggi sulla politica e sulla società, Mondadori, Milano 1999, p.90 
5 Saggi sulla politica e sulla società cit. p.90
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borghese. Fin che i marxisti non si renderanno conto di questo, non 
potranno mai essere del tutto sinceri con se stessi. La loro infanzia, la loro 
formazione, le loro condizioni di vita, i loro rapporti con la società, sono 
ancora oggettivamente borghesi. La loro esistenza è borghese, anche se la 
loro coscienza è marxista”.
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  Una conflittualità che sentirà per tutta la vita e 
che lo porterà a usare come strumento di lotta la provocazione e lo scandalo 
come un nuovo linguaggio da opporre al tradizionalismo del linguaggio 
borghese, al qualunquismo da cui sentiva circondato. Pasolini soffriva 
quella condizione di borghese incompleto che recava vergogna alla sua 
famiglia, alla quale sentiva di non poter dare quelle soddisfazioni che nel 
profondo desiderava. Come racconta Paolo V olponi: “Sentiva duramente il 
suo essere diverso: di questo si faceva un dramma, anche perché ne 
avvertiva il peso nella sua famiglia, nei silenzi della madre, in certe riserve 
del padre. Non essere secondo le convenzioni un figlio degno e completo 
per la sua famiglia doveva certamente addolorarlo. Diceva di sentir molto 
questi conflitti, proprio perché era di estrazione borghese”.
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 Tuttavia, proprio per infrangere quelle strutture comportamentali 
qualunquistiche e moralistiche che causavano il disagio di chi era per un 
motivo o per un altro considerato diverso e che ne determinano un rapporto 
                                                 
6 P. P. Pasolini, Le belle bandiere, Editori Riuniti, Milano1977, pp. 201-2 
7 P. Volponi, Pasolini Maestro e Amico, in AA. VV., Perché Pasolini, Guaraldi editore, Firenze 1978, 
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drammatico con la società, Pasolini come intellettuale sentiva la necessità 
di impegnarsi attivamente, in una lotta combattuta con le armi della 
provocazione e che alla fine ne causò la persecuzione. Ma una 
persecuzione strana, che si espresse al tempo stesso come denigrazione  e 
come successo. Intervistato da Enzo Biagi nel 1971 Pasolini confessa che 
per lui il successo datogli in fondo da quegli stessi medium di massa e da 
quella società che condannava “[…] non è niente, è l’altra faccia della 
persecuzione, è sempre una cosa brutta per un uomo, può esaltare al primo 
momento, dare delle piccole soddisfazioni di certe vanità ma in realtà 
appena ottenuto si capisce che è una cosa brutta per un uomo il successo”.
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Il successo è il frutto del dilagare del consumismo, il consumismo come 
vizio, come uno dei nuovi vizi capitali per il quale, come dice Umberto 
Galimberti: “perché crea in noi una mentalità a tal punto nichilista da farci 
ritenere che solo adottando, in maniera metodica, e su ampia scala, il 
principio del consumo e della distruzione degli oggetti, possiamo garantirci 
identità, stato sociale, esercizio della libertà e benessere.”
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 Una definizione 
che probabilmente Pasolini sarebbe stato ben felice d’accettare.  
 Il mio intento in questo lavoro è dunque quello di mettere in chiaro 
l’importanza di ritrovare e tenere bene a mente il pensiero di un 
                                                 
   8 P. P. Pasolini, I medium di massa, consultabile presso il sito web:  
http://www.youtube.com/watch?v=A3ACSmZTejQ&feature=related 
9 U. Galimberti, I vizi capitali e i nuovi vizi, Feltrinelli editore, Milano 2003, p. 67
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personaggio come Pasolini attraverso l’analisi del suo marxismo, 
soffermandomi in particolare su come abbia espresso la sua singolare 
declinazione del marxismo nell’arte, nella politica, nella teoria critica della 
società.