2
Questi motivi, però, non li vediamo sistematicamente nella descrizione 
dell'isola dei Ciclopi: ne troviamo alcuni, come la produzione spontanea di frutti 
dal terreno, che, certo presenti all'interno dei poemi, non sembrano comportare di 
per sé un'"idealizzazione" delle singole località. Ciò non annulla gli ostacoli 
nell'interpretazione, perché il contrasto tra i Ciclopi e un certo tipo di 
ambientazione resta. Ma certo si evita così che la  
particolarità e l'unicità della descrizione finiscano per essere annullate: la 
condizione di vita presente sull'isola dei Ciclopi è una condizione di eccezionalità, 
non di abbondanza, e per questo è fuorviante, oltre che riduttivo, accostarla 
semplicemente a un campionario di motivi. 
 Il tentativo di analizzare la descrizione dell'isola dei Ciclopi, dunque, deve in 
ogni caso partire dai punti di contatto che possono essere scoperti con le 
rappresentazioni dell'età dell'oro e specialmente con la descrizione che ne offrono 
Esiodo negli Erga (109-126) e Platone nel mito del Politico (271d-272b). Questi 
due passi contengono l'immagine della produzione spontanea di frutti del terreno. 
Nostro intento è osservare quanto possano essere avvicinati alla descrizione 
dell'isola dei Ciclopi. L'impressione che abbiamo è che, superando lo scoglio di 
un'interpretazione forzatamente "paradisiaca" dell'età dell'oro, le descrizioni 
possano essere accostate a buon diritto tra loro e possano aiutare a capire, a 
valutare finalmente nel proprio particolare significato, la descrizione di Omero.  
 3
CAPITOLO 2 
I motivi dell'età dell'oro nel IX libro dell'Odissea 
 
 
Nel corso del lungo viaggio di ritorno da Troia, Odisseo affronta numerose 
peripezie che ne ostacolano il cammino; tali peripezie sono contenute nelle 
"narrazioni", nelle "storie", sviluppate da Odisseo mediante l'esposizione in prima 
persona, durante il soggiorno presso i Feaci. 
Il racconto di queste vicende è in flashback e occupa nel poema dal IX libro al 
XII: Odisseo rievoca il viaggio a partire da Troia distrutta (IX 38-40), fino 
all'approdo presso Calipso (XII 447-450); il passaggio da Ogigia, isola di Calipso, 
a Scheria, isola dei Feaci, era già stato narrato nel VII libro (240-297) dallo stesso 
Odisseo, che infatti lo ricorda prima di concludere la lunga e completa 
esposizione delle peripezie (XII 450-453): 
                    tiv toi tavde muqologevuw…  
              h[dh gavr toi cqizo;" ejmuqeovmhn ejni; oi[kw/  
   soi; kai; ijfqivvmh/ ajlovcw/: ejcqro;n dev moiv ejstin  
              au\ti" ajrizhvlw" eijrhmevna muqologevuein. 
Il rifiuto di tornare una seconda volta sull' argomento già trattato segna la fine 
dell'esposizione in prima persona; il racconto di Odisseo è durato lo spazio di una 
notte, mentre l'azione complessiva del poema  non supera i quaranta giorni: 
l'accorgimento del racconto in flashback consente però di coprire i dieci anni 
 4
trascorsi dalla fine della guerra di Troia al ritorno di Odisseo in patria , senza che 
l'esposizione di questa parte interrompa la tensione del racconto, che è proiettata  
verso la conclusione della vicenda
1
.   
La sezione, contenuta nei libri IX-XII, è stata oggetto di studi analitici e neo-
analitici, proprio per la natura eterogenea delle "storie" narrate e per l'evidente 
patrimonio di leggende ravvisabile alla base di ciascuna.  Wilamowitz
2
 ha 
interpretato il racconto di Odisseo ad Alcinoo come nucleo recente del poema, 
costituito dalla fusione di diverse, più antiche leggende di peregrinazioni.   Focke
3
 
invece ha proposto una interpretazione ancora più disgregante, immaginando per 
la sezione delle "storie" una redazione frutto di tre mani successive: un antico 
nucleo di peregrinazioni, ampliamenti di un poeta successivo, quindi l'opera di un 
ultimo poeta.   
                                                 
1
 Cfr. LATACZ, Omero, 137-152.  
Nel paragrafo intitolato "L'esecuzione del tema", Latacz espone la propria teoria riguardante lo 
schema compositivo dell' Odissea, e suddivide il poema in cinque sezioni (I-II: Telemachia, III-IV: 
Ogigia e Scheria. I Feaci. V: Il ritorno ad Itaca): queste cinque sezioni sono dette "funzionali" al 
tema dominante dell'intero poema, il riconoscimento di Odisseo da parte di Penelope. La 
ricostruzione di Latacz, di evidente stampo neo-unitario, ridimensiona il ruolo delle "storie": 
queste hanno da sempre colpito l'immaginario collettivo, conquistando ben presto il primato delle 
imitazioni e delle raffigurazioni, ma nel contesto del poema hanno un ruolo di "premessa" che può 
essere paragonato a quello ricoperto dalla Telemachia. Attraverso il racconto in prima persona 
delle peripezie superate, Odisseo recupera la propria dimensione di uomo ed eroe, guadagna il 
rispetto dei Feaci, si prepara alle difficili prove del ritorno, del riconoscimento, della vendetta. 
Latacz immagina che il poeta abbia messo al servizio della propria concezione e dei propri scopi 
narrativi l'intero ciclo delle avventure di Odisseo fornite dalla tradizione. Chi presta troppa 
attenzione alle "peregrinazioni" esposte nei libri 9-12 rischia di perdere di vista il reale obiettivo 
del poema e, sempre secondo Latacz, "..si limiterà ad ascoltare i vecchi racconti marinari, ma non 
saprà cogliere la voce di Omero." (152). 
2
 WILAMOWITZ-MOELLENDORF, Untersuchungen, 115-198. Esponente della teoria analitica, 
Wilamowitz ipotizzava che un originario nucleo di brevi racconti fosse stato, ad un certo 
momento, riunito da un unico poeta (Omero), ed ampliato in seguito con ulteriori racconti di 
peregrinazioni. 
3
 FOCKE, Odyssee, 156-269. 
 5
In realtà è possibile individuare nella sezione una forte coerenza interna, che 
lega tra loro le diverse "storie", che impedisce di affrontarle come se fossero 
testimonianze isolate di leggende, unità distinte accostate in ordine sparso. 
Fondamentale a questo proposito risulta l'interpretazione di Reinhardt
4
, che 
respinge le conclusioni degli studi analitici rivendicando la coerenza interna della 
sezione nonchè il suo perfetto inserimento nel contesto del poema.   
Questi concetti sono ripresi e precisati da Heubeck
5
, che, nell'introduzione al 
suo commento, espone sul problema una teoria fortemente neo-unitaria: " (le 
storie) costituiscono un brano di poesia in sé concluso  che, allo stesso tempo, 
funge da mezzo per un più ampio fine; sono una parte del tutto, senza la quale 
questo non può vivere, mentre dal tutto esse stesse traggono significato e 
giustificazione". Nel corso della stessa introduzione, Heubeck individua una 
"mano pianificatrice del poeta", e volge la sua attenzione alla ricerca di 
parallelismi, fili conduttori e intrecci, capaci di mostrare la rivendicata coerenza 
interna della sezione. Un esempio in questo senso è fornito, sempre secondo 
Heubeck, "dal modo conseguente in cui è rappresentato lo sviluppo dei rapporti 
tra Odisseo ed i suoi compagni."
6
, mentre la "follia e cecità" di questi, divenuti 
alla fine "antagonisti" dell'eroe, stimolano un paragone con i Proci, sempre al fine 
                                                 
4
  REINHARDT, Abenteuer, 52-162.  Secondo Reinhardt, infatti, il poeta delle "storie" è lo stesso 
delle "Telemachia", lo stesso dell' "Uccisione dei Proci"; ha scelto di far narrare tali "storie" ad 
Odisseo, in prima persona, per legarle compiutamente al personaggio, ed evitare che risultassero in 
qualche misura estranee nella normale narrazione epica in terza persona. 
5
 Cfr. HEUBECK, Odissea, xvii. 
6
 Cfr. HEUBECK, Odissea, xvi 
 6
di sottolineare il forte legame del complesso delle peregrinazioni con "l'intero 
epos del ritorno". 
Stabilire la coerenza interna della sezione delle "storie", per individuarne lo 
stretto legame con il resto del poema, è molto importante. Significa che se 
intendiamo considerare una delle tappe, una delle "storie", non la dobbiamo 
pensare come un corpo estraneo, ma in stretta connessione sia con il resto della 
sezione sia con il resto del poema. 
Una delle tappe del viaggio, forse la più famosa, riguarda Polifemo e occupa i 
versi 106-566 del IX libro dell'Odissea: in particolare, la parte che interessa la 
nostra indagine occupa i versi 106-115 e concerne la descrizione dell' isola dei 
Ciclopi e della loro condizione di vita: 
Kuklwvpwn d∆ ej" gai'an uJperfiavlwn ajqemivstwn  
 iJkovmeq∆ , oiJv rJa qeoi'si pepoiqovte" ajqanavtoisin 
            ou[te futeuvousin cersi;n futo;n ou[t∆ ajrovwsin, 
            ajlla; tav g∆ a[sparta kai; ajnhvrota pavnta fuvontai, 
            puroi; kai; kriqai; hjd∆ a[mpeloi, aiJv te fevrousin 
            oi\non ejristavfulon, kai; sfin Dio;" o[mbro" ajevxei. 
            toi'sin d∆ ou[t∆ ajgorai; boulhfovroi ou[te qevmiste", 
            ajll∆ oiJv g' uJyhlw'n ojrevwn naivousi kavrhna 
            ejn spevssi glafuroi'si, qemisteuvei de; eJvkastow 
            paivdwn hjd∆ ajlovcwn, oujd' ajllhvlwn ajlevgousi. 
 7
L'isola, insieme alle altre tappe, in relazione quindi con il resto delle "storie", ci 
appare inserita pienamente nell'ambito dell'"irrazionale" o del "meraviglioso". 
Questa dimensione è per lo più riconosciuta dalla critica; Heubeck
7
 sostiene che i 
venti contrari  hanno trasportato le navi di Odisseo al di là dei confini che 
separano l'ambito familiare del Mediterraneo dai territori inesplorati del fiabesco 
(IX 82-85): 
           [Enqen d∆ ejnnh'mar ferovmen ojlooi'" ajnevmoisi 
          povnton ejp∆ ijcquovenqa: ajta;r dekavth/ ejpevbhmen 
gaivh" Lwtofavgwn, oiJv t∆ a[nqinon ei\dar e[dousin 
Odisseo e i compagni sono calati in un'altra realtà, in un contesto che non è più 
quello del "real world". Similmente Latacz
8
 sostiene che Odisseo, abbandonata la 
terra dei Ciconi (IX 62-63), esce dal mondo del reale per entrare in quello delle 
"favole dei naviganti". Un aspetto molto importante, che non insidia la già 
ipotizzata coerenza interna della sezione, anzi, ne rafforza l'unità in 
contrapposizione con le vicende del resto del poema, sviluppate nell'abituale "real 
world".   
Elementi formali e di contenuto spingono all'identificazione in questa sezione 
di un mondo diverso: ad esempio, l'arrivo e la partenza dalle località  delle varie 
tappe seguono uno schema simile, e se da un lato ricoprono una funzione di 
                                                 
7
 HEUBECK, Odissea,  188-189. 
8
 LATACZ, Homer, 145 
 8
cerniera tra un episodio e l'altro, contribuiscono a rafforzare, con la loro 
ripetitività, l'immagine unitaria dell'intero complesso. 
L'inizio è da riconoscere, con Latacz, nel distacco da Ismaro, la terra dei Ciconi  
(IX 62-63). Fino a quel punto, le vicende appartengono ancora al mondo "reale", 
dove si trovano infatti città da saccheggiare, campi coltivati, beni di lusso e spose, 
battaglie "iliadiche" con aste di bronzo presso le navi.  Dopo il rovinoso 
ripiegamento causato dal deciso contrattacco dei Ciconi (IX 47-61), e la morte di 
ben settantadue uomini appartenenti agli equipaggi delle navi, Odisseo e i 
compagni s' inoltrano nella fase del viaggio destinata poi a concludersi con 
l'approdo presso i Lotofagi. Con questi versi è descritto il distacco dai Ciconi e dal 
"mondo reale" (IX 62-63): 
                   [Enqen de; protevrw plevomen ajkachvmenoi h\tor, 
           a[smenoi ejk qanavtoio, fivlou" ojlevsante" eJtaivrou".  
I medesimi versi si possono ritrovare in seguito adoperati per dipingere di volta in 
volta la partenza dalle località "irrazionali"; compaiono infatti  in occasione della 
partenza dalla terra dei Ciclopi (IX 565-566) e per la partenza dalla terra dei 
giganti Lestrigoni (X 133-134). Per la partenza dai Lotofagi (IX 105) e la 
definitiva partenza dal regno di Eolo (X 177), figura soltanto il primo dei due 
versi: questo si spiega con l'assenza di perdite tra i compagni al momento di 
lasciare le singole località.