Pompe di calore geotermiche applicazione a caso studio
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2.3 Sonde geotermiche verticali
Parte essenziale di un impianto geotermico sono senza dubbio le sonde geotermiche. Quando si
parla genericamente di impianti geotermici di riscaldamento e raffrescamento, senza ulteriori
precisazioni, ci si riferisce ad impianti in cui lo scambio termico con il sotto suolo viene realizzato
con impianti closed-loop (circuito chiuso),verticali o orizzontali.
Questi scambiatori sono particolarmente diffusi in Europa centrale ed in Svezia anche nel
residenziale, dove in casi particolari si realizzano sistemi orizzontali. L’impianto verticale diventa
invece soluzione standard se si parla di installazioni commerciali o edifici pubblici.
2.3.1 Scambiatori verticali e materiali
Le tipologie esistenti di scambiatori sono due: ad U (che si dividono in U e doppia U) o coassiali;
La soluzione ad U è la tipologia di tubo che presenta meno guasti in assoluto.
La sonda a doppia U presenta notevoli vantaggi, come ad esempio:
In caso di occlusione di uno dei tubi ad U, l’altro tubo che resta in funzione riesce a
garantire, a seconda delle condizioni geologiche del terreno, dal 70 all’85% della potenza
originaria;
Si ha una resistenza termica del pozzo minore di quella che si avrebbe con una sonda a
semplice U, grazie all’impiego di tubi di diametro minore aventi pareti di minor spessore,
che conseguono coefficienti di scambio termico più elevati;
Con la scelta di opportuni diametri si possono avere minori perdite di carico a parità di
portata.
Nonostante una superficie di scambio più elevata, le sonde a doppia U soffrono di maggiori
interferenze dovute a corto circuitazioni termiche. Inoltre se non perfettamente bilanciati
idraulicamente, i circuiti della sonda rischiano di lavorare in maniera non idonea, con portate
molto diverse in ciascun tubo a U della sonda.
I primi scambiatori a terreno vennero realizzati in metallo, generalmente rame, ma i sistemi così
realizzati, pur avendo buone proprietà di scambio termico erano soggetti a corrosione. La ricerca si
concentrò sulla sperimentazione di materiali che permettessero un funzionamento affidabile nel
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terreno, con buone proprietà di scambio termico e con costi accettabili. Il materiale che si rivelò il
migliore fu il polietilene,che ha caratteristiche di flessibilità, e può essere fuso per realizzare
giunture più resistenti del tubo stesso.
Oggi, la maggior parte delle installazioni
untilizza scambiatori in polietilene ad alta
densità PEAD o HDPE, PE 100 PN
10/16, quello normalmente usato per
l’acquedottistica, o per le reti antincendio.
La notazione “PN 16” significa che il
tubo è garantito per manternere le proprie
caratterisiìtiche meccaniche fino a 16 bar.
Si consideri che sul piede di sonda a 100
metri di profondità, la pressione è quella
di 100metri di colonna d’acqua pari a
circa 10 bar.
Il piede di sonda (riportato in figura X) è
il punto più delicato e critico . E’ il punto
in cui avviene l’inversione del moto
rispetto alla verticale delfluido
geotermico. Vecchie realizzazioni
adottavano un setto per separare i due
flussi, ma la soluzione che si è poi
sviluppata prevede la giunzione dei tubi
alla base per formare la “U”.
A causa di problemi derivati da
imperizia nella saldatura da parte di
alcuni installatori, generalmente le
società produttrici ormai forniscono
sonde già complete di terminale.
Figura 5. Scambiatori PEAD
Figura 6.piede di sonda
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2.3.2 Il fluido termovettore
Prima di essere collegate alla pompa di calore le sonde vanno riempite di una soluzione di acqua e
glicole, che consentirà alle sonde di scambiare energia con il sottosuolo. Il fluido nei sistemi a
terreno a circuito chiuso può essere solo acqua raramente, cioè qualora si abbia la certezza che le
temperature del fluido non scendano al di sotto di 0°C. Realtà al quanto improbabile, in condizioni
climatiche caratterizzate da inverno mediamente rigido, visto che per ottenere lo scambio tra il
livello termico del terreno indisturbato, che varia tra i 11°C e i 14°C, il fluido termovettore in
uscita dalla pompa di calore raggiunge temperature di 0°C, o addirittura inferiori. E’ quindi
necessario ricorrere all’utilizzo di altri fluidi, o soluzioni con caratteristiche anti-congelanti.
Tutti i fluidi geotermici sono generalmente soluzioni in acqua di un determinato composto chimico
in bassa percentuale (di solito intorno al 20%), per assicurare un punto di congelamento intorno ai
-10°C. Alcuni di questi composti possono essere:
soluzioni saline: non tossiche e non infiammabili ma provocano problemi di corrosione;
metanolo: è molto diffuso negli USA, ma è tossico ed infiammabile in alte
concentrazioni;
etanolo: meno tossico del metanolo, ma è infiammabile;
l’acetato di potassio: è non tossico e non infiammabile, ma è soggetto a perdite e
problemi di corrosione.
glicole propilenico: il più utilizzato, non tossico (utilizzato, nelle giuste quantità e
composizioni, nelle industrie alimentari), tuttavia il più viscoso tra i fluidi riportati e ciò
determina un aumento dei consumi di pompaggio, e la viscosità elevata riduce la
possibilità di utilizzo a bassa temperatura.
Nella scelta del fluido termovettore vanno considerate le sue caratteristiche termo-fisiche che si
riassumono in viscosità, calore specifico e punto di congelamento.
Per quanto riguarda le proprietà di scambio termico, l’acqua potabile è senz’altro la migliore, ma il
suo impiego come già detto è molto difficile (per la climatizzazione invernale)
Le soluzioni acquose, utilizzate per meglio rispondere agli inconvenienti dell’acqua, hanno
caratteristiche termiche che dipendono dalla concentrazione del soluto, ovvero peggiorano
all’aumentare di quest’ultimo. In tabella si riportano le proprietà termiche dei principali fluidi
utilizzati:
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Fluido
%
Viscosità
mm/s
Calore Specifico
(kJ/kg K)
Punto di
congelamento
Acqua
0
-
1.8
-
4.21
0
Glicole
etilenico
25
6.0
4.3
3.78
3.80
-14
33
9.0
5.9
3.55
3.58
-21
Glicole propil.
25
10.0
6.0
3.92
3.93
-10
33
15.0
8.0
3.70
3.75
-17
Carb. di
potassio
25
3.7
2.7
3.07
3.09
-13
33
4.9
3.5
2.81
2.84
-20
Cloruro di
calcio
20
3.9
2.6
3.03
3.06
-18
Metanolo
25
5.2
3.3
3.98
4.02
-20
Etanolo
25
10.5
6.0
∼4.25
∼4.25
-15
2.3.3 Perdite di carico
Durante il moto il fluido termovettore incontra delle forze di attrito che si oppongono al moto,
queste forze sono dovute alle asperità della superficie interna dei tubi (scabrezza o rugusità) e
all’attrito interno del liquido. A causa di questi attriti,si manifestano lungo il tubo, perdite di
energia, più comunemente dette “perdite di carico”.
L’espressione per le perdite di carico è:
R = = = = l·
·
[ J/kg ] (2.17)
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l l l l: è il fattore di attrito adimensionale;
L: è la lunghezza del tronco di tubazione
presa in esame;
D: è il diametro interno della tubazione;
v: è la velocità media della corrente
nella tubazione.
R
: numero di Reynolds
Il fattore di attrito “l l l l” è legato in modo complesso al numero di Reynolds ed alla rugosità
assoluta della tubazione “e”.
Il numero di Reynolds caratterizza il moto del fluido nella tubazione. Nello studio della
fluidodinamica un liquido che fluisce in una tubazione può avere moto laminare o turbolento. Nel
moto laminare le particelle di liquido percorrono traiettorie parallele formando “filetti”liquidi che
non interferiscono tra di loro, nel moto turbolento questa regolarità si rompe e le particelle di
liquido scambiano energia con le particelle limitrofe dando luogo ad un moto caotico.
Nelle applicazioni pratiche si è quasi sempre in presenza di moto turbolento. Quando le correnti di
liquido sono interessate da scambi di energia termica è importante che il moto dei liquidi sia
turbolento affinchè gli scambi termici risultino efficaci.
Sulla base di queste equazioni sono state elaborate tabelle delle perdite di carico lineari in funzione
delle portate per i tubi utlizzati nelle applicazioni geotermiche.
Oltre alle perdite di carico continue occorre prendere in considerazione le perdite di carico
localizzate che si manifestano a seguito di irregolarità geometriche che si riscontrano lungo le
tubazioni. Questa perdita di carico si calcola tramite:
dove il coefficiente di perdita ”z z z z” dipende dal numero
di Reynolds "R
", dalla rugosità relativa “e/D” e dal
tipo di irregolarità geometrica della tubazione. Manuali
specialistici forniscono valori di “z z z z” per le varie
situazioni.
Utile è, per considerare le perdite di carico localizzate, il metodo delle lunghezze equivalenti. Si
tratta di far corrispondere ad ogni perdita di carico localizzata un tronco di tubo di lunghezza tale
(lunghezza equivalente ) da produrre la medesima perdita di carico della irregolarità incontrata
dalla corrente. La legittimità di tale metodo deriva dalle seguenti considerazioni; si pone
R
= = = =
·