8
ducebant macrae vilia sacra boves); nei vv. 37-56 , animato da intenti 
più scopertamente celebrativi, il poeta rievoca le origini troiane di 
Roma, identificando nella Roma augustea una ‘Troia’ rinata 
decisamente più potente. La rievocazione del lontano passato di Roma 
si configura quale degna cornice per annunciare un vistoso 
cambiamento di poetica, che dalla poesia erotica si volge ora alla 
ricerca etiologica di stampo callimacheo, fino alla piena 
identificazione col modello greco (v. 64 Umbria Romani patria 
Callimachi) e alla concisa anticipazione programmatica dei contenuti 
del nuovo indirizzo poetico intrapreso (v. 69 sacra diesque canam et 
cognomina prisca locorum): dalle battute conclusive della prima parte 
di 4, 1 traspare nondimeno la consapevolezza delle difficoltà insite 
nella nuova impresa, racchiusa nella vivida immagine del cavallo che 
faticosamente raggiunge il traguardo. 
 La seconda parte (vv. 71-150), oggetto della presente indagine, si 
presenta sotto forma di originale palinodia rispetto ai propositi 
manifestati nella prima sezione e risulta improntata sulla 
strutturazione canonica del mimo
4
, del quale ripropone l’acceso 
scambio di battute tra due interlocutori, sebbene sia solo Horos ad 
                                                 
4
 Von Albrecht 1983, 70 individua un parallelismo tra IV, 1, 71-150 e l’epodo 17 di Orazio, in cui 
al poeta si alterna la maga, Canidia. 
  
9
avere diritto di replica: infatti il poeta si profonde in riflessioni di 
ampio respiro (vv. 1-70), criticate dal suo interlocutore, l’astrologo per 
l’appunto, la cui figura può ben essere letta in chiave burlesca, non 
diversamente dai personaggi del mimo; la ritrattazione è filtrata 
proprio da questo enigmatico personaggio, che ponendosi quale 
attendibile interprete della volontà di Apollo, dissuade il poeta da 
quell’inversione di rotta preannunciata nei vv. 1-70, prospettandogli la 
dolorosa permanenza nella condizione del servitium amoris (v. 137 
militiam Veneris blandis patiere sub armis), che inevitabilmente si 
traduce in una precisa scelta poetica, quella dell’elegia d’amore.  
 La sezione in esame (vv. 71-150) si apre e si chiude con 4 versi che 
racchiudono gli energici ammonimenti di Horos: i vv. 71-74 segnano 
l’imperioso debutto in scena del singolare astrologo; egli arresta 
l’avventatezza del poeta, forse giocando anche sul suo nome, che si 
presta ad un’associazione con propero
5
 e si presenta come portavoce 
dell’avversione di Apollo al nuovo progetto poetico (v. 73 aversus 
Apollo).  
 I vv. 75-146 sono articolabili in tre macrosequenze. Al fine di 
conferire spessore e attendibilità alle sue parole, già sminuite dalla 
                                                 
5
 Cf. Boldrer 2003, 408. 
  
10
non proprio illustre fama di cui godevano gli astrologi, Horos dedica 
un’ampia sezione (vv. 75-118) - che si snoda in ben 44 versi - 
all’autopresentazione e all’ossessiva affermazione della propria 
credibilità, opportunamente messa in rilievo dalla ripetizione del 
vocabolo fides (v. 80 inque meis libris nil prius esse fide, v. 92 firmant 
nunc duo busta fidem, v. 98 vera…contigit ista fides e v. 108 ab zonis 
quinque petenda fides): alla prima affermazione di attendibilità (vv. 
75-76), in cui Horos, qualificandosi come vates, tende subito a 
presentarsi quale alter ego decisamente critico e più capace del poeta, 
segue la rievocazione della propria illustre stirpe (vv. 77-78), cui si 
congiunge un’ulteriore appendice sull’autorità delle sue profezie (vv. 
79-80); la tirata moralistica sul materialismo del suo tempo (vv. 81-
82a) offre a Horos il pretesto per far mostra delle sue competenze 
astrologiche, peraltro indistinte (vv. 82b-86); dalla genericità di tali 
affermazioni, l’astrologo passa in rassegna i singoli casi, che attestano 
l’infallibilità delle sue premonizioni, a partire dalla singolare  e 
controversa profezia post eventum sulla rinascita di Troia in Roma 
(vv. 87-88), proseguendo con episodi di storia “privata”, quali la 
morte di Gallo e Luperco (vv. 89-98) e il parto di Cinara (vv. 99-102), 
incentrati sulla preminenza di figure femminili; a ciò segue 
  
11
un’ulteriore affermazione di veridicità (v. 102 libris est data palma 
meis!), che riprende le formulazioni espresse nel v. 80 inque meis 
libris nil prius esse fide. All’interno di tale macrosequenza (vv. 75-
118) si individua un’altra microsequenza (vv. 103-118), nella quale 
Horos esegue una variazione del motivo che tanto lo ossessiona, 
quello di dimostrare la propria attendibilità, proponendosi come 
detrattore delle altre discipline divinatorie, quali l’arte oracolare (v. 
103), l’aruspicina (v. 104), l’arte augurale (v. 105) e l’idromanzia (v. 
106): la preminenza dell’astrologia sugli altri metodi di divinazione 
(vv. 107-108) è avvalorata dall’exemplum di Calcante (vv. 103-112), 
corredato da un’appendice sugli eventi nefasti, che costellarono il 
rientro dei vincitori greci in patria (vv. 113-118). 
 La seconda macrosequenza (vv. 119-134), accortamente introdotta 
dai vv. 119-120 nunc ad tua devehar astra; / incipe tu lacrimis aequus 
adesse novis, è incentrata sull’oroscopo del poeta, che si traduce 
sostanzialmente nella rievocazione del suo passato, a partire dalle 
coordinate spaziali (vv. 121-126), che ribadiscono il legame del poeta 
con la sua patria, già orgogliosamente affermato nei vv. 63-64, per poi 
ripercorrere gli eventi luttuosi e tristi della sua vita (vv. 127-130)  e 
concludersi con l’imperioso divieto di Apollo, che nell’orientare 
  
12
drasticamente le scelte poetiche di Properzio (vv. 133-134), riprende 
l’immagine del v. 73 aversus Apollo.  
 A questa sommaria rievocazione del passato segue il vero e proprio 
oroscopo (vv. 135-146), scandito dalle predizioni (vv. 135-138) e 
dagli argomenti che ne comprovano la veridicità (vv. 139-146). 
 Gli ultimi 4 versi, introdotti da nunc, a segnare l’inizio del futuro 
(certo) del poeta, sviluppano probabilmente il motivo dell’inviolabilità 
degli amanti, alla luce del quale forse andrebbe letto il “disgraziato” 
verso 150, secondo la definizione della Montanari Caldini
6
. 
  Sebbene costituiscano una sezione autonoma, i vv. 71-150, 
rivelano stretti legami con la prima parte
7
, a dispetto di quanti 
ritenevano la 4, 1 frutto dell’accorpamento di due distinte elegie
8
: a 
sostegno dell’intima unità delle due sezioni dell’elegia, si schierava 
Pasoli
9
, che definiva il loro serrato avvicendarsi come una “trasparente 
allegoria”, atta a simboleggiare i due generi di poesia che il libro IV 
avrebbe contenuto, quello etiologico-celebrativo e quello erotico; lo 
                                                 
6
 Cf. Montanari-Caldini 1979, 74. L’interpretazione del personaggio di Horos da parte della 
studiosa è confutata da Fedeli 1983, 254-255.  
7
 Cf. Macleod 1976, 141-153. 
8
 Weeber 1977 propone la divisione della prima elegia in due parti distinte e scritte in epoche 
diverse; in particolare la seconda (vv. 71-150), in virtù dell’allusione a Cinzia, sarebbe stata 
composta dopo 4, 7 e 8. Tale proposta è fortemente confutata da Fedeli 1980
1
, 22-24. Kidd 1979, 
172-173 valuta come possibile l’autonomia dei vv. 71-150 rispetto alla parte precedente: essi 
acquisirebbero la fisionomia di un poema etiologico sul poeta, e in particolare sull’origine della 
sua ispirazione poetica.  
9
 Cf. Pasoli 1966, 28. 
  
13
studioso aggiungeva, inoltre, che tale allegoria era “in parte turbata e 
resa meno chiara dal gusto per la caricatura che ha preso 
indubbiamente la mano al poeta” nella caratterizzazione di Horos 
quale grottesca figura di ciarlatano
10
. Tuttavia, se da un lato non si può 
certo accordare al personaggio dell’astrologo l’assoluta serietà e 
competenza attribuitegli da Monatari-Caldini
11
, dall’altro 
l’interpretazione del personaggio come caricaturale è insostenibile, 
considerata la sua affinità con Apollo ammonitore in 3, 3 e la reale 
consistenza delle sue predizioni, che si riscontra nella puntuale 
rievocazione della patria e della vita del poeta. Mi sembra che La 
Penna
12
 fornisca un’esaustiva interpretazione circa la problematicità 
del personaggio, definendolo come una ‘figura giocosa, ma non una 
caricatura che dice cose false e ridicole: egli dice la verità come 
Apollo e Calliope, ma la dice in tono più leggero’.  Il personaggio 
dell’astrologo si rivela particolarmente adeguato a non drammatizzare 
ed esasperare il contrasto tra poesia d’amore e poesia civile, ma 
soprattutto la sua qualifica di vates nel senso popolare del termine, 
cioè quello di ‘indovino’, crea un’ingegnosa associazione con il 
                                                 
10
 L’interpretazione realistico-caricaturale del personaggio era già in Butler-Barber 1933, 322, che  
così commentavano: “Horus is a grotesque and unconvincing figure”.  
11
 Cf. Montanari-Caldini 1979, 121 sgg. 
12
 Cf. La Penna 1977, 92. 
  
14
massimo titolo poetico cui Properzio ambisce, quello di vates, 
sacerdos della poesia
13
.  
 
2. Un’originale recusatio. 
 La voluta ambiguità del personaggio di Horos e l’avvicendarsi di 
una pars construens (vv. 1-70) e di una destruens (vv. 71-150) 
conferiscono a tale recusatio properziana elementi di spiccata 
originalità e anticipano il carattere ‘bifronte’ del IV libro: la 
ritrattazione espressa in IV 1 non può essere assimilata alle altre 
contenute nei precedenti libri, dal momento che la finalità etiologica 
trova effettivo riscontro nel IV, anzi si rivela come un’efficace scelta 
di compromesso, che consente di pervenire ad un’irripetibile fusione 
tra la tematica civile e quella erotica. 
 L’espediente retorico della recusatio viene privilegiato da 
Properzio per esprimere il suo garbato rifiuto verso la poesia epico-
celebrativa, che egli non sente congeniale alle sue personali 
inclinazioni; grazie a tale artificio il poeta mostra ancora una volta la 
sua dipendenza dal modello callimacheo
14
, ma al contempo si allinea 
                                                 
13
 L’intento del poeta di giocare su questa duplice sfumatura di vates è messo in rilievo da van 
Sickle 1974-1975, 119. 
14
 Per i poeti latini l’inventor dell’espediente della recusatio era stato Callimaco, che aveva 
introdotto la figura di Apollo ammonitore in Ait. fr. 1, 19-26 Pf. mhd’ajp’ejmeu' difa'te mevga 
  
15
alle scelte dei poeti contemporanei, quali Virgilio e Orazio: le prime 
attestazioni della recusatio nell’ambito della letteratura latina sono 
rintracciabili in Verg. Ecl. 6, 3-5 pastorem…pingues / pascere oportet 
oves, deductum dicere carmen, in cui ricompare l’Apollo ammonitore 
di tradizione callimachea e in Hor. Carm. 1, 6, 9-12 dum pudor / 
inbellisque lyrae Musa potens vetat / laudes egregii Caesaris et tuas / 
culpa deterere ingeni, che risponde con un garbato rifiuto all’invito di 
Agrippa a cantare le sue imprese e nei vv. 17-20 Nos convivia, nos 
proelia virginum / sectis in iuvenes unguibus acrium / cantamus, vacui 
sive quid urimur, / non praeter solitum laeves
15
 riafferma le 
caratteristiche peculiari della sua indole poetica. Nell’ambito della 
opera properziana si riscontra una precoce insofferenza alle scelte, 
verso cui Mecenate cerca di indirizzare il poeta: nell’elegia proemiale 
del II libro, Properzio avverte la necessità di chiarire, una volta per 
tutte, quale sia la sua unica fonte d’ispirazione (vv. 3-4 non haec 
Calliope, non haec mihi cantat Apollo: / ingenium nobis ipsa puella 
                                                                                                                                     
yofevousan ajoidhvn / tivktesqai: Bronta'n oujk ejmovn, ajlla; Diov" /…!Apovllwn ei|pen o{ moi 
Luvkio";…th;n Mou'san d’wJgaqe; leptalevhn / pro;" de; se kai; tovd’a[nwga, ta; mh; patevousin 
a{maxai ta; steivbein.   
15
 Orazio ripropone l’espediente della recusatio in Carm. 2, 12, 9-14 tuque pedestribus / dices 
historiis proelia Caesaris / Maecenas…Me dulcis dominae Musa Licymniae / cantus, in cui il 
garbato rifiuto è rivolto a Mecenate, che aveva invitato il poeta a celebrare le gesta di Augusto, 4, 
2, 33-34 Concines maiore poeta plectro / Caesarem, con cui risponde all’esortazione di Iullo 
Antonio a celebrare la vittoria di Augusto sui Sigambri (16-13 a. C.) e 4, 15, 1-2 Phoebus 
volentem proelia me loqui / victas et urbes increpuit lyra, in cui compare la tradizionale figura di 
Apollo ammonitore. 
  
16
facit) e il rifiuto della poesia epico-celebrativa pare filtrato dalla lucida 
consapevolezza del suo angustum pectus (vv. 39-42 sed neque 
Phlegraeos Iovis Enceladique tumultus / intonet angusto pectore 
Callimachus / nec mea conveniunt duro praecordia versu / Caesaris 
in Phrygios condere nomen avos); la recusatio della poesia epica 
ricompare in un altro punto strategico del libro, nell’elegia di 
commiato (2, 34), in cui il poeta ribadisce la sua predilezione per la 
Musa tenue, che ispira la poesia d’amore (vv. 59-60 me iuvet hesternis 
positum languere corollis, / quem tetigit iactu certus ad ossa deus), 
guardandosi bene, però, dal proclamare la superiorità della sua poetica 
callimachea, in vista della pubblicazione dell’Eneide, il cui valore 
artistico Properzio non può disconoscere (vv. 65-66 cedite Romani 
scriptores, cedite Grai! / nescio quid maius nascitur Iliade). La figura 
di Apollo ammonitore di ascendenza callimachea, cui si accenna in 4, 
1, 73 aversus Apollo e 133 dictat Apollo, compare per la prima volta 
con austero cipiglio, in 3, 3, 15-18 ‘Quid tibi cum tali, demens, est 
flumine?quis te / carminis heroi tangere iussit opus? / non hic ulla tibi 
speranda est fama, Properti: / mollia sunt parvis prata terenda rotis, 
mentre in 3, 4 l’insofferenza alla tematica celebrativa si risolve nella 
languida immagine del poeta che assiste al trionfo di Augusto adagiato 
  
17
sul seno della sua donna; in 3, 9 Properzio riconduce il suo rifiuto 
all’incapacità di coltivare la Musa sublime della poesia epica (vv. 3-4 
quid me scribendi tam vastum mittis in aequor? / non sunt apta meae 
grandia vela rati.). Attraverso questa rassegna di recusationes si può 
cogliere l’estrema duttilità con cui il poeta tratta tale espediente: in 4, 
1 nel cimentarsi con una variazione sul tema, Properzio perviene ad 
una ritrattazione di propositi precedentemente espressi (vv. 1-70), che 
solo parzialmente trova riscontro nel libro. 
 Rispetto alle precedenti recusationes, nella 4, 1 Properzio mostra 
un atteggiamento titubante: nella prima parte dell’elegia, infatti, egli 
stesso abbozza una recusatio della poesia epica, facendo leva sulla 
propria inadeguatezza (v. 58 ei mihi quod nostro est parvus in ore 
sonus!), sulla tenuitas della propria ispirazione, anche se poi finisce 
per lasciarsi guidare da un atteggiamento di totale abnegazione nei 
confronti della patria (v. 60 hoc patriae serviet omne meae) e 
annunciare con estrema convinzione il proposito di un’incisiva svolta 
poetica. 
 
 
 
  
18
3. La poesia etiologica come scelta indotta. 
 L’originale ritrattazione di 4, 1, 71-150, mediata dall’enigmatica 
figura di Horos, riflette il conflitto, problematicamente risolto nel IV 
libro, tra la tematica civile e quella erotica: coerentemente con le 
ripetute asserzioni dei libri precedenti circa il rifiuto della poesia 
epica, Properzio individua nella poesia etiologica un mezzo per 
emulare Callimaco anche nei contenuti e una materia duttile e 
versatile, attraverso cui era possibile fondere gli ideali stilistici 
alessandrini con le precedenti scelte poetiche e con l’intento 
patriottico celebrativo. Sebbene Properzio mantenga un certo distacco 
dalla propaganda ufficiale, infatti, nel IV libro è innegabile, il suo 
avvicinamento alle esigenze dettate dalla propaganda augustea: il 
malcelato intento celebrativo si coglie nella rassegna, in 4, 1, dei 
monumenti restaurati da Augusto, nella descrizione della battaglia di 
Azio in 4, 6, nell’aition degli spolia opima in 4, 10 e nel panegirico di 
Cornelia, sorellastra della figlia di Augusto in 4, 11. 
    Ad indurre il poeta al cambiamento di rotta, oltre all’esigenza di 
aderire, pur nell’ambito di una personale autonomia, alla propaganda 
augustea e ad un affievolimento d’ispirazione legato ai temi consueti 
  
19
della Musa elegiaca avvertito nel III libro
16
, intervengono pressioni 
esterne di altra natura, quali il IV libro delle Odi di Orazio, che 
realizza una singolare commistione di componimenti celebrativi ed 
erotici, ma soprattutto l’VIII libro dell’Eneide, che funge 
probabilmente da modello alla passeggiata archeologica che si snoda 
nell’arco dei vv. 1-56: nell’VIII libro dell’Eneide il re arcade Evandro 
spiega all’hospes Enea le origini del culto dell’Ara Massima in onore 
di Ercole e la storia del Lazio, fino a mostrargli il suo regno, situato 
nell’area della futura Roma. Non è casuale che la propositio formulata 
al v. 69 sacra diesque canam cognomina prisca locorum si configuri 
come un ‘centone di parole-chiave presenti nell’episodio di 
Evandro’
17
: i termini dies, sacra e nomen, infatti, si rintracciano non a 
caso in Aen. 8, 268-269 Ex illo celebratus honos laetique minores / 
servavere diem, sacra; in Aen. 8, 270 et domus Herculei custos 
Pinaria sacri e nomen; in Aen. 8, 338 et Carmentalem Romani nomine 
portam e in 358 illi fuerat Saturnia nomen. Analogamente al contesto 
virgiliano, la curiositas archeologica di Properzio si focalizza sui punti 
nodali della storia religiosa e istituzionale di Roma, il Palatino, il 
                                                 
16
 La Penna 1977, 77, 225 parla di ‘un certo esaurimento dell’esperienza della poesia erotica, a cui 
Properzio reagisce con la ricerca di vie nuove, con una maggiore apertura del genere elegiaco.  
17
 Cf. Boldrer 2003, 410. 
  
20
Campidoglio, la parte bassa fra il Tevere e i due colli, il Foro, poi 
riproposti più dettagliatamente nelle singole elegie, in cui si menziona 
la statua di Vertumno, posta all’inizio del Vicus Tuscus (4, 2), la rupe 
Tarpea (4, 4), il tempio di Apollo Palatino (4, 6), l’Ara Massima sul 
foro Boario (4, 9) e il tempio di Giove Feretrio sul Campidoglio (4, 
10). Le suggestioni della poesia etiologica avevano peraltro 
influenzato anche Tibullo, che in 2, 5, l’unica elegia che concede largo 
spazio al motivo patriottico e nazionale, rievocava le origini primitive 
di Roma e le feste religiose come le Palilie (21 aprile). La consonanza 
tematica tra Virgilio, Tibullo e Properzio, investe anche il motivo, 
insito nella retorica ufficiale, della continuità di Troia nella Roma 
augustea: tali coincidenze contenutistiche provano la necessità di 
Properzio di inserirsi in questo nuovo filone della produzione poetica 
latina
18
, che si cimentava in una rivisitazione in chiave patriottica 
dell’etiologia callimachea.  
 
 
 
                                                 
18
 Anche Ovidio sarà influenzato dalla passeggiata archeologica che si snoda nell’VIII libro 
dell’Eneide: in Trist. 3, 1, 27-64 la seconda parte della passeggiata di Enea ed Evandro viene 
percorsa dal liber che Ovidio manda a Roma perché sia accolto nelle biblioteche pubbliche. 
  
21
4. Presenze femminili nel IV libro. 
 Le modalità con cui il poeta si allinea alle tendenze del momento 
appaiono del tutto nuove e originali: il motivo etiologico risulta 
attraversato trasversalmente dalla tematica femminile e da incisive 
apparizioni di Cinzia.  
 Nell’economia dei vv. 71-150 si può rintracciare un avvicendarsi di 
prototipi femminili, immortalati nei loro momenti più intimi e 
profondi, quali la morte dei figli (vv. 89-97), il parto travagliato (vv. 
99-102), l’estremo sacrificio (vv. 111-112), la violenza (vv. 117-118); 
la presenza pervasiva delle donne nell’elegia proemiale anticipa 
coerentemente la lunga carrellata di ritratti femminili che si articola 
nel libro, così come il monito di Horos ad assistere a nuovi motivi di 
pianto (v. 120 incipe tu lacrimis aequus adesse novis) trova precisa 
rispondenza nelle elegie erotiche del libro, in cui un ruolo 
predominante è svolto dal dolore e dalla morte
19
.  
 L’ultima parte dell’elegia, poi, contiene un richiamo non generico 
alla poesia d’amore, perché è riferito a quel tipo di elegia erotica 
                                                 
19
 Il motivo delle lacrimae è diffusamente attestato in 4, 11 (v. 1 Desine, Paulle, meum lacrimis 
urgere sepulcrum, 6 nempe tuas lacrimas litora surda bibent, 57-58 maternis laudor lacrimis 
urbisque querelis / defensa et gemitu Caesaris ossa mea, 60 lacrimas vidimus ire deo, 77 oscula 
cum dederis tua flentibus, adice matris, 99 flentes me surgite, testes): all’unanime e sincero 
compianto che si leva per la morte della matrona Cornelia, fa da contraltare la povertà delle 
esequie di Cinzia, durante le quali, a detta della donna, il poeta si è mostrato colpevolmente avaro 
di lacrime: cf. 4, 7, 27-28.