4
INTRODUZIONE
I Primati hanno da sempre suscitato grande interesse per l’estrema somiglianza che li
accomuna al genere umano.
Questa vicinanza filogenetica ha dapprima invogliato al loro studio approfondito, che
ha fatto sì che, per un lungo periodo, i Primati siano stati tra gli animali più utilizzati
per la sperimentazione, e successivamente, soprattutto negli ultimi anni, ha indotto le
persone a riflettere sulla necessità di salvaguardarne il benessere e di conseguenza di
limitarne l’utilizzo in quest’ambito. Le sembianze umane e l’estrema intelligenza,
infatti, sono state in grado di suscitare grande commozione dell’opinione pubblica che
si è sempre più prodigata alla difesa dei diritti di questi animali.
Ne è derivato un inasprimento della normativa che odiernamente regola la
sperimentazione animale (Decreto Legislativo n. 116 del 27 gennaio 1992), la quale
prevede la necessità di iter piuttosto complessi prima di consentire l’intervento su
queste specie.
Attualmente tutte le specie di Scimmie e Proscimmie sono elencate negli allegati CITES
e, quindi, la loro detenzione e vendita soggiace a norme decisamente restrittive
facendo di esse animali di pregio; alcune sono detenute presso strutture espositive,
altre vengono allevate come veri e propri animali da compagnia.
Ne deriva, quindi, un’attenzione di tipo affettivo ed economico a cui è necessario che il
Medico Veterinario sia in grado di rispondere nel momento in cui ne sia richiesto
l’intervento. Cambia anche di parecchio l’approccio anestesiologico che, da pura
trasposizione di tecniche umane finalizzate al successo della ricerca scientifica in atto
senza, molte volte, tener in considerazione le esigenze specie specifiche del paziente in
oggetto, diventa decisamente più fine, personalizzato ed in grado di garantire una
gestione del dolore intra- e postoperatoria che assume crescente importanza.
5
Altro fattore importante da considerare è la presenza di un numero molto elevato di
specie le quali presentano spesso caratteristiche proprie legate alle abitudini
comportamentali, all’habitat fisiologico, alla mole somatica e, soprattutto, al
temperamento. E’, così, necessario sapersi adattare all’animale su cui si interviene in
modo da evitare reazioni indesiderate allo stress ed ai farmaci stessi.
La riduzione dello studio dei Primati in sede sperimentale, ha avuto come effetto una
diminuzione delle pubblicazioni scientifiche e, quindi, una crescente difficoltà nel
reperimento di dati bibliografici recenti ed utili per migliorare le conoscenze sulle
peculiarità di queste specie, in modo da poterle applicare anche nella clinica routinaria
quando il Primate, da oggetto di sperimentazione, si trasforma in animale da
compagnia o da esposizione. Proprio alla luce di queste considerazioni, acquista
importanza la messa a punto di protocolli anestesiologici adeguati e applicabili anche
su campo, come spesso richiesto nell’attività pratica.
6
PARTE GENERALE
7
PRIMATI: TASSONOMIA
All’ordine dei primati appartengono 13 famiglie, 71 generi e 233 specie assai differenti
tra loro (Nielsen L, 1999) anche nelle dimensioni: si va dagli 80-100 g della Pygmy
Marmoset (Cebuella pygmaea) ai 180-200 kg del gorilla (Gorilla gorilla).
Esistono diverse classificazioni, soprattutto per quanto riguarda la suddivisione in
sottordini e successivamente in famiglie.
La classificazione secondo Szalay & Delson (1979), in seguito riproposta da Conroy
(1990), prevede la suddivisione in due sottordini rappresentati da Strepsirhini, con un
naso più simile a quello dei cani e caratterizzato dal fatto di essere umido, e Haplorhini,
con naso secco, più simile a quello di un umano. E’ una classificazione meno comune
ma, secondo diversi Autori, migliore nell’interpretazione dell’anatomia.
Sicuramente più comune è la suddivisione secondo Fleagle (1998) in cui i due
sottordini prendono il nome di Prosimii ed Anthropoidea [Vedi Fig. 1].
La differenza più rilevante tra le due scelte di classificazione sta nel fatto che, secondo
quella di Szalay & Delson (1979), l’infraordine dei Tarsidi appartiene al sottordine degli
Haplorhini, mentre secondo quella di Fleagle appartiene al sott’ordine dei Prosimii.
Alessandro Mazzi (2008) dà una ulteriore classificazione considerando i Tarsidi come
un sottordine a sé stante.
Al sottordine delle Proscimmie appartengono sostanzialmente i lemuriformi, che
abitano Madagascar, Africa ed Asia, mentre le rimanenti famiglie rientrano nel
sottordine degli Antropoidei. Questo si può ulteriormente dividere in due grandi
gruppi: le scimmie Platirrine (Cebidi e Callitricidi) del Sud e Centro America,
caratterizzate da narici appiattite con il setto nasale largo, tre premolari, coda prensile
e mancanza del ciclo mestruale, e le scimmie Catarrine (Cercopitechi e Hominoidi)
localizzate in Africa ed Asia, caratterizzate da narici ravvicinate ed aperte verso il basso
con setto nasale stretto, due soli premolari e spesso mancanti della coda. Le Platirrine
sono conosciute come le scimmie del Nuovo Mondo, mentre le Catarrine sono le
cosiddette scimmie del Vecchio Mondo.
8
La classificazione si fa poi estremamente complessa e disomogenea quando si arriva a
parlare di famiglie.
La grande famiglie dei Cebidi comprende scimmie dell’America meridionale quali Aoto,
Aluatta, Cebo, Saimiri scoiattolo, Atele, Lagotrice ed Uakari; alla famiglia dei Callitricidi,
invece, appartengono Uistiti, Tamarino e Leontocebo.
Ai Cercopitechi appartengono Reso o Macaco, Sileno, Cerco cebo, Gelada, Babbuino,
Mandrillo, Cercopiteco e Patas. Ai Colobidi, sottofamiglia dei Cercopitechi,
appartengono Entelli, Nasica, e Guareza.
Gibboni e Siamanghi rientrano negli Ilobatidi, famiglia degli Hominoidi, mentre la
grandi scimmie antropomorfe rientrano in Antropoidi (Oranghi) e Pongidi (Scimpanzé e
Gorilla).
Fig. 1: Immagine tratta da Lewis et al. (2009).
9
HABITAT E DISTRIBUZIONE
La maggior parte dei primati vive interamente sugli alberi, anche se alcune specie di
grossa mole quali Babbuini, Scimpanzé e Gorilla, passano gran parte della loro giornata
alimentandosi a terra e salendo sugli alberi più che altro di notte per cercare rifugio
(Nielsen, 1999). Solo poche specie sono totalmente terrestri come i Gelada
(Theropithecus gelada) e gli Umani (Iwamoto & Dunbar, 1983).
Molti primati vivono nelle foreste pluviali tropicali ed il loro numero è stato
positivamente correlato con le quantità di precipitazioni annue e con la vastità
dell’area occupata dalla foresta (Reed & Fleagle, 1995). Rappresentando il 25-40% (in
peso) degli animali frugivori della foresta tropicale, i primati hanno un ruolo ecologico
importante nella dispersione dei semi di molte specie arboree (Chapman & Russo,
2007).
I primati sono distribuiti tra le latitudini tropicali di Africa, Sud-Est Asiatico e Sud
America, concentrati nelle foreste pluviali, nelle foreste di mangrovie e nelle foreste
montane. Esistono alcuni esempi di primati che vivono al di fuori dei tropici quali il
Macaco del Giappone (Macaca fuscata), che vive nel nord di Honshu dove c’è la neve
10
per otto mesi all’anno (Hori et al., 1977) e la Bertuccia (Macaca sylvanus), che vive
sulle catene montuose dell’Atlante tra Algeria e Marocco (Hogan, 2008).
I primati vivono in un ampio range di altitudini: il Rinopiteco bruno (Rhinopithecus
bieti) è stato ritrovato sulle Hengduan Mountains, in Cina, ad un’altitudine di 4700
metri (Long et al., 1994), il Gorilla di montagna (Gorilla beringei beringei) può vivere a
4200 metri sui Monti Virunga dell’Africa orientale (Watts, 1985) ed il Gelada è stato
ritrovato a 5000 metri sull’Acrocoro Etiopico.
Sebbene molte specie abbiano timore dell’acqua, alcuni primati sono buoni nuotatori e
vivono nelle paludi o in zone acquose. Ne sono un esempio il Nasica o Scimmia con la
proboscide (Nasalis larvatus), il Cercopiteco di Brazzà (Cercopithecus neglectus)
(Mugambi et al., 2008) ed il Cercopiteco di palude (Allenopithecus nigroviridis) (Oates
& Groves, 2008) che hanno sviluppato delle piccole membrane tra le dita in grado di
facilitarli nei movimenti in acqua (Groves et al., 2005).
Infine, alcune specie come il Macaco reso (Macaca mulatta) e l’Entello (Semnopithecus
entellus) sono in grado di adattarsi ad ambienti modificati dall’uomo e di vivere anche
in città (Rowe, 1996; Wolfe & Fuentes, 2007).
ABITUDINI COMPORTAMENTALI E SCHEMI SOCIALI
Lo studio delle abitudini comportamentali dei primati, e soprattutto delle cosiddette
“grandi scimmie”, assume un’importanza unica per l’uomo in quanto, essendone i più
diretti antenati, le organizzazioni sociali, le divisioni in gruppi, la vita in coppia possono
rappresentare la base per comprendere più profondamente le proprie necessità e di
conseguenza le proprie strutture affettivo-sociali.
La dettagliata conoscenza delle esigenze comportamentali dei primati, inoltre, è
fondamentale per una corretta ed il meno possibile traumatizzante gestione in
cattività, il che porta risultati migliori sia per il benessere animale sia per l’attendibilità
delle ricerche svolte.