5
dell’imprenditore sconfina dal mero compito di conformazione delle energie 
lavorative e invade la sfera personale del prestatore.   
La consapevolezza del mutamento epocale in atto e dell’influenza degli 
avanzamenti tecnologici sul piano dei rapporti sociali, anche interni ad 
un’azienda, ha reso evidente la necessità, non ulteriormente procrastinabile, di 
predisporre garanzie generali, soprattutto a fronte del numero sempre maggiore di 
informazioni personali suscettibili di essere raccolte, archiviate o diffuse. 
L’innovazione tecnologica e informatica che domina l’odierna società, ha senza 
dubbio trovato il terreno più fertile per la propria diffusione nel contesto 
aziendale, incidendo sui processi produttivi e sulle strategie di organizzazione del 
personale.    
In passato i datori, in forza dell’enfatizzazione del rapporto di fedeltà con il 
lavoratore, tendevano a raccogliere il maggior numero di informazioni relative al 
proprio dipendente, ma, oggi, tale propensione può contrastare con le 
caratteristiche del diritto alla riservatezza.  
Le aziende utilizzano programmi automatici per la gestione del personale che 
permettono di creare dossier informatici su ciascun dipendente, tali da poter 
essere conservati per un illimitato periodo temporale. Ciò determina il sorgere di 
pericoli anche diversi dalla sola violazione della sfera di intimità del singolo, 
perché ad es. la semplice lettura esteriore di un dato, avulso da ogni 
considerazione delle circostanze correlate, può decontestualizzarlo al punto tale 
da renderlo erroneo. 
 6
In altri casi è la legge stessa che legittima il datore a procedere, entro certi 
limiti, alla raccolta di informazioni personali per l’esigenza di ottemperare agli 
adempimenti, contrattualmente o legalmente previsti, connessi allo svolgimento 
del rapporto di lavoro.  
Lo Statuto dei lavoratori, anticipando i contenuti che saranno poi specificati 
dalla normativa sulla privacy, preclude in via assoluta la conoscibilità di alcuni 
dati, sancendo la conseguente illegittimità dei provvedimenti presi dal datore in 
conseguenza di quelle informazioni.  Introduce altresì disposizioni limitative 
dell’esercizio del potere di controllo del datore che, in armonia con l’art. 41 Cost., 
per essere considerato legittimo, deve essere contemperato con le libertà 
fondamentali del lavoratore, aventi la stessa dignità giuridica delle contrapposte 
esigenze datoriali.  
La legge 675/1996, confluita nel D.lgs 196/2003, ovvero nel Codice in 
materia di protezione dei dati personali, con le sue previsioni, fissa limiti e 
vincoli entro i quali il diritto di conoscere e trattare dati e informazioni può essere 
soddisfatto senza violare la riservatezza del titolare dei dati oggetto del 
trattamento. L’attuale sistema di tutela della privacy non si propone 
semplicemente di proteggere l’individuo da intrusioni nella propria sfera privata e 
da rappresentazioni parziali e distorte della propria identità personale, ma - 
considerando i dati personali alla stregua di un patrimonio circolante - configura 
regole capaci di bilanciare tra l’interesse individuale al controllo dei dati e 
l’interesse collettivo alla circolazione delle informazioni, predisponendo 
 7
“strumenti volti a consentire la libera collocazione della persona nella società, 
(…) senza che ciò comporti per l’interessato il rischio di discriminazioni o di 
stigmatizzazioni da parte di determinati soggetti o in particolari contesti”
2
. 
Questa esigenza di bilanciamento, genericamente sentita nei rapporti sociali, si 
colora di contenuti peculiari nel terreno dei rapporti di lavoro.      
In definitiva, la privacy si configura non solo come un concetto dalle 
molteplici, mutabili e talvolta contraddittorie interpretazioni, ma anche come un 
ulteriore e nuovo terreno in cui può manifestarsi e svilupparsi il conflitto insito 
nelle relazioni lavorative. 
 
 
                                                 
2
 Rodotà S. , Persona, riservatezza, identità. 
 8
 
PREMESSA 
 
1. Dal “right to be let alone” ad oggi: origine ed evoluzione del diritto alla 
privacy. 
L’origine del diritto alla privacy tradizionalmente viene ricondotta ad un 
saggio, intitolato “The right of privacy”, comparso sulla Harward Law review nel 
1890 e recante la firma di due giovani bostoniani: Samuel D. Warren e Louis D. 
Brandeis. La vicenda che diede occasione allo scritto è stata descritta infinite 
volte: Warren, dopo aver sposato la figlia di un senatore, a causa delle continue 
indiscrezioni sulla sua vita matrimoniale pubblicate da un giornale locale, assieme 
ad un compagno di studi (che poi divenne giudice della Corte Suprema), chiese ai 
tribunali (in conformità al metodo del “case law”) di considerare il diritto alla 
riservatezza e di introdurre un apposito tort al fine di fornirne un’adeguata tutela 
giuridica. 
La nozione di privacy deriva da un lungo processo di maturazione giuridica 
che non poteva non svilupparsi in un contesto culturale e giuridico d’ispirazione 
liberale, come quello degli ordinamenti di Common Law. I cambiamenti politici, 
sociali ed economici della società americana di fine Ottocento, insieme al 
progresso tecnologico, portavano, oltre ai sicuri ed evidenti benefici per la 
collettività, rischi meno palesi ma non per questo trascurabili: con la stampa e la 
fotografia si poteva violare la riservatezza dell’individuo disseminando dettagli 
sulla vita privata di ognuno. 
 9
Gli autori giungono ad affermare che il diritto alla riservatezza appartiene 
all’ordinamento di common law attraverso un paragone col diritto alla proprietà 
intellettuale, deputato alla tutela delle manifestazioni di pensiero trasposte in 
produzioni personali che, al pari della proprietà privata, ha come presupposto il 
valore economico. Il diritto alla privacy viene delineato quindi come diritto 
soggettivo e ha i connotati propri del sentire giuridico dell’epoca espresso dalla 
logica proprietaria di stampo ottocentesco. Tuttavia, il concetto di proprietà 
privata può essere esteso per garantire la protezione giuridica di un’opera d’arte, 
ma se il bene in gioco è semplicemente la tranquillità offerta dalla possibilità di 
prevenire una qualsiasi pubblicazione, difficilmente si rientra in un’accezione 
ampia di proprietà. Quindi i mutamenti politici, sociali ed economici obbligano al 
riconoscimento di tale diritto.  
Recenti indagini comparativistiche
3
 mettono in crisi la concezione 
tradizionale, dimostrando come nell’ambito della giurisprudenza anglosassone i 
primi riconoscimenti del diritto in questione risalgono al case Prince Albert v. 
Strange, datato 1849, in cui la regina Vittoria e il principe Alberto si dolevano nei 
confronti di un dipendente della casa reale che aveva riprodotto abusivamente 
alcuni quadretti raffiguranti i loro figli, violando l’obbligo di riserbo che sussiste 
nei rapporti tra dipendente e datore di lavoro. 
A prescindere dal periodo storico e dall’area geografica in cui collocare 
l’origine della privacy, non si può non convenire sulla constatazione che, in 
                                                 
3
 A.Cerri, Riservatezza (diritto alla). II) Diritto comparato e straniero, voce dell’Enciclopedia Giuridica 
Treccani, Roma. 
 10
questa sua prima accezione, il “right to be let alone” assume una connotazione 
negativa: una sorta di diritto all’isolamento morale e a determinare quali aspetti 
della sua vita devono essere resi pubblici e quali devono invece essere protetti da 
indebite ingerenze di ogni tipo (non solo fisiche, ma anche sottoforma di pericoli 
di condizionamento esterno) nella sfera in cui è solo con se stesso, per evitare di 
essere emarginato o di subire discriminazioni sociali di ogni genere. 
L’età della comunicazione e dell’informazione totale ha determinato 
un’evoluzione della privacy che, aggiungendo all’iniziale finalità esclusiva di 
garanzia dell’isolamento altre finalità, ne ha ampliato i confini, la struttura e i 
contenuti: tale termine sottende oggi il riferimento ad una pluralità di interessi ben 
distinti
4
.    
In origine, in armonia con l’ideologia classica del liberalismo
5
, veniva 
riconosciuta tutela alla vita privata solo se strettamente connessa al diritto di 
proprietà, ma, a partire da un caso deciso nel 1965
6
, la giurisprudenza statunitense 
non considera più tale legame con il diritto di proprietà e la privacy diviene 
espressione di libertà personale o di autodeterminazione
7
. 
                                                 
4
 W. Prosser individua varie possibili lesioni del diritto in questione: invasione della sfera della 
solitudine, pubblicizzazione di fatti svoltisi nell’intimità familiare, lesione della reputazione con la 
falsa rappresentazione dell’immagine, abuso del nome altrui per fini lucrativi.  La classificazione 
proposta da A. Westin per configurare la complessità e la problematicità delle esigenze legate alla 
protezione della sfera privata si basa invece su solitudine, intimità, anonimato e riservatezza. 
5
 Un modello di tale ideologia si riviene nella teoria di Locke per cui i diritti fondamentali 
dell’individuo devono essere costruiti in accordo ad un generale concetto di proprietà.  
6
 Caso Griswold v. Connecticut. 
7
 Lo stesso giudice Brandeis nel celebre dissent nel caso Olmstead v. United States critica l’equazione 
stabilita dalla Corte Suprema tra privacy e proprietà privata e delinea un concetto di privacy 
essenzialmente immateriale, come sfera di libera autodeterminazione dell’individuo, inaugurando così 
una linea di pensiero che diventerà centrale nelle future teorizzazioni della privacy.   
 11
La privacy è oggi anche il diritto di ciascuno alla protezione e al controllo dei 
propri dati personali e della loro circolazione perché sempre più soggetti pubblici 
o privati raccolgono, detengono e trattano i dati personali per offrire beni e 
servizi, ma devono garantire la sicurezza di tali dati e renderli disponibili al 
consenso e al controllo degli aventi diritto.  Questa è la seconda anima, di nuovo 
conio, del diritto alla privacy che riflette un’intima connessione col progresso 
tecnologico: i computers sono capaci non solo di raccogliere e archiviare masse 
enormi di informazioni, ma anche di consentire con rapidità l’accesso e la 
circolazione di tutti i dati memorizzati attraverso l’interconnessione dei sistemi.  
Lo sviluppo tecnologico consente all’individuo, da un lato, di limitare al massimo 
o addirittura di sottrarsi alla continua esposizione delle proprie azioni alla 
collettività, ma, dall’altro lato, gli stessi mezzi che hanno la funzione di 
proteggerlo dal controllo altrui sono capaci di catalogare e registrare ogni singola 
azione, di conservare la memoria di quanto ha fatto e quindi di creare nuove e 
sempre più invadenti forme di intrusione nella vita privata. Le orecchie e gli occhi 
dei vicini sono così stati sostituiti da strumenti di ascolto ben più penetranti e 
invasivi. 
8
 
Rientra nella privacy altresì il diritto alla personalità delle proprie decisioni e 
alla tutela della propria identità personale. Questa accezione assume sempre una 
maggiore importanza in relazione alla raccolta dei dati in rete per la creazione 
della c.d. identità elettronica che può determinare usi distorti e utilizzazioni 
                                                 
8
 G. Busia, voce Riservatezza (diritto alla), in Digesto Disc. Pubbl.  
 12
pericolose dei dati personali, al punto da attribuire all’interessato scelte che non 
ha mai compiuto o di agevolare forme di classificazione ad uso discriminatorio. 
Ogni dato, anche il più banale, se sapientemente collegato in un contesto più 
ampio, è idoneo a rivelare più particolari dalla vita di un individuo di quanto 
chiunque potrebbe immaginare riflettendo su ciascun dato singolarmente. Al di là 
dell’eventuale consenso prestato per ciascun dato, si può ricostruire, come con i 
tasselli di un puzzle, una credibile rappresentazione dell’individuo a cui i dati si 
riferiscono, in vista della possibilità di trarne giudizi complessivi sulla 
personalità, sulle preferenze e sugli stili di vita. 
Crolla così definitivamente l’idea cartesiana di una soggettività 
tendenzialmente unitaria e coerente, che cede il posto al diritto alla disidentità, 
ovvero il diritto dell’individuo, in quanto attore sociale, a non identificarsi in 
modo stabile e definitivo con una certa immagine di sé. Ma la realtà è ben 
diversa, e molto più complessa. Il diffondersi delle raccolte di informazioni 
personali ad opera di vari soggetti ha eroso il potere sulle proprie informazioni, 
determinando una perdita del controllo di sé. “L’unità della persona viene 
spezzettata. Al suo posto troviamo tante “persone elettroniche”, tante persone 
create dal mercato quanti sono gli interessi che spingono alla raccolta delle 
informazioni. Stiamo diventando astrazioni nel cyberspazio, di nuovo siamo di 
fronte ad un individuo moltiplicato. Questa volta, però, non per sua scelta, per la 
 13
sua volontà di assumere molteplici identità, ma per ridurlo alla misura delle 
relazioni di mercato.”
9
  
Il diritto alla privacy (ovvero il diritto del soggetto di costruire liberamente e 
di difendere la propria sfera privata, attraverso il riconoscimento del potere di 
controllare l’uso che altri facciano delle informazioni che lo riguardano, con 
conseguente facoltà di sapere chi detiene dati personali, di accedervi, di 
correggerli, integrarli o cancellarli) diventa uno strumento di libertà dei cittadini 
perché solo garantendosi la protezione delle informazioni personali fuoriuscite 
dalla loro sfera di disponibilità possono esercitare con pienezza diritti e libertà 
fondamentali, come la libertà di comunicare, di iniziativa economica o il diritto al 
lavoro. La privacy assume i connotati di “garanzia-presupposto” per l’esercizio di 
molteplici diritti, permettendo di realizzare l’uguaglianza e “di garantire 
l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, 
economica e sociale del Paese”. 
                                                 
9
 S. Rodotà, Tecnopolitica. 
 14
 
2. Il riconoscimento del diritto alla privacy nell’ordinamento italiano. 
La problematica di una tutela della riservatezza viene sollevata nel nostro 
ordinamento dagli studiosi di diritto privato che la ricollegano ai diritti della 
personalità, ponendo l’attenzione su due casi giudiziari relativi alla diffusione a 
mezzo cinema e a mezzo stampa, della vita del tenore Caruso
10
 e di Claretta 
Petacci
11
, seguiti da numerosi altri casi.  
La tesi prevalente in dottrina riconosceva tale diritto in relazione al diritto al 
nome, all’immagine e al diritto morale di autore (artt. 6 e 10 c.c., l. 633/1941). 
Nel 1955, la legge n. 848, esecutiva della Convenzione europea dei diritti 
dell’uomo e del cittadino del 1950, introduce nel nostro ordinamento l’art. 8 della 
CEDU che afferma il diritto di ciascuno al rispetto della vita privata e familiare, 
del domicilio e della corrispondenza. La Corte Europea dei diritti dell’uomo, 
anche in forza dell’ampia formulazione normativa, ha dato un’interpretazione 
estensiva del diritto alla privacy, comprendendo il diritto di ciascuno a sviluppare 
relazioni sociali al riparo da ogni forma di discriminazione o di stigmatizzazione 
sociale, così consentendogli anche il pieno godimento della vita privata.
12
 La 
norma prevede inoltre che eventuali ingerenze dell’autorità devono essere fondate 
su una norma di legge e rispondere a esigenze di tutela della sicurezza nazionale, 
dell’ordine pubblico, del benessere economico del paese, della prevenzione dei 
                                                 
10
 Cass. 4487/1956. 
11
 App.Roma, 1955. 
12
 Corte Europea dei diritti dell’uomo nel caso Sidabras vs. Lithuania.