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Introduzione
Un’esperienza all’interno dello SPRAR di Caltagirone
Il fenomeno migratorio è sempre stato oggetto di attrazione
durante tutto il mio percorso universitario. Ciò che mi ha spinto a voler
approfondire l’argomento e a sceglierlo come tema della mia ricerca è il
fatto che, nonostante il continuo parlare di immigrazione, nonché delle
recenti emergenze in tal fronte e il conseguente bombardamento di
immagini e notizie ad essa relative, l’opinione pubblica tutt’oggi abbia
ancora scarsa conoscenza sul fenomeno specifico dei rifugiati politici
nonché difficoltà a capirne la differenza con i “comuni” immigrati.
Da ogni parte si levano voci che denunciano la necessità di capire
la diversità dell’“Altro” che è tra di “noi”, per riuscire a convivere
meglio con persone che provengono da parti del mondo in cui i modi di
pensare, di vivere e di agire sono diversi dai nostri. Da più parti si tenta
di darne una definizione univoca e di trovare tratti caratteristici che ne
descrivano la condizione esistenziale.
Il contatto con un gruppo di rifugiati, avvenuto in occasione di un
progetto SPRAR, mi ha permesso di capire come ogni singolo caso, ogni
singola storia, ogni singola situazione è irripetibile e presenta degli
aspetti che non possono essere ritrovati in nessun altro caso. Allo stesso
tempo, ogni singola storia raccoglie in sé delle situazioni e dei tratti che
possono essere ritrovati in tutte le esperienze di distacco traumatico dalla
propria patria per motivi politici, razziali o religiosi, e di riadattamento in
una società diversa. Ciò che è visto come un problema nel rapporto tra la
nostra società e il fenomeno dell’immigrazione nasce da una visione
riduttiva, superficiale e monodimensionale di esso.
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Questo interesse ha avuto l’opportunità di essere approfondito
quando, una collega psicologa, mi propose di collaborare con lei in un
progetto di sostegno psicologico volto ai rifugiati politici, all’interno di
un centro SPRAR. Il Comune di Caltagirone aveva affidato alla
Cooperativa San Giovanni Bosco la gestione dell’accoglienza e
dell’integrazione socio-culturale dei rifugiati e richiedenti asilo,
mediante l’intervento di mediatori culturali e linguistici.
Il progetto SPRAR proponeva al suo interno uno spazio di gruppo
di supporto psicologico, in cui creare le condizioni relazionali e di
dialogo al fine di favorire l’elaborazione ricostruttiva per il superamento
dell’esperienza traumatica.
Con entusiasmo e un po’ di ingenuità, mi accingevo a vivere
questa esperienza, contrassegnata da curiosità per questo “mettersi alla
prova”, ma anche con la consapevolezza delle difficoltà di confrontarsi
con una diversità, culturale, linguistica e religiosa, che avrebbe messo in
discussione in primis le modalità relazionali e i codici di significazione.
Ciò su cui concentrarsi era la costruzione di uno spazio
rispondente al bisogno di essere ascoltati, accolti soprattutto dal punto di
vista relazionale, non solamente con l’erogazione di vitto, alloggio,
assistenza legale e orientamento formativo e lavorativo. Si tratta di uno
spazio di “pensiero co-costruito” che si pone come obiettivo essenziale
lo sviluppo di una fiducia e autenticità reciproca che possa condurre allo
sviluppo di un pensiero sul proprio futuro, a partire dal poter pensare il
proprio presente. L’attività svolta era centrata sulla co-conduzione di due
piccoli gruppi di rifugiati politici con incontri che si tenevano nei
rispettivi gruppi-appartamento dello SPRAR, formati esclusivamente da
uomini, di giovane età provenienti da Somalia, Pakistan, Afganistan, Iran
e Kashmir. Gli incontri consistevano in un lavoro di gruppo settimanale
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nel quale condividere le esperienze e costruire insieme una visione più
ampia della loro realtà.
Interagire all’interno del gruppo con altri che si trovano nella
stessa condizione di precarietà ed incertezza esistenziale costituisce la
cornice all’interno della quale scoprire e riconoscere le caratteristiche di
un presente diverso, altrettanto complesso e stressante come quello
appena lasciato, fatto di nuove sfide e dilemmi. Rappresenta, soprattutto,
un momento di sostegno e ascolto reciproco in cui lo stare con gli altri
per raccontarsi e confrontarsi, diviene uno strumento a partire dal quale
tentare di ricostruire la propria dolorosa storia.
Ciò che nella mia, seppur piccola, esperienza ho potuto notare
durante i colloqui con i rifugiati è la presenza di una forte difficoltà a
comunicare attraverso le emozioni, la difficoltà a parlare del proprio
passato nonché della propria famiglia che spesso si sono lasciati alle
spalle o che in alcuni casi non c’è più. I rifugiati sono persone a cui è
stata sottratta la voce, la capacità e la possibilità di narrare la propria
storia e le vicende del proprio Paese.
Non si riesce o non si vuole ricordare ciò che è accaduto, si prova
angoscia nel ripensare gli eventi. I rifugiati vivono una costante
oscillazione tra il desiderio di un futuro nel nuovo contesto di vita e la
nostalgia del passato che gli impedisce di vivere pienamente nel presente
del quì ed ora, ma anche di investire cognitivamente e affettivamente in
termini di legami e reti sociali, nel contesto dello SPRAR , nelle persone,
negli operatori e, a volte, anche nei compagni.
Questa esperienza ha rappresentato una delle esperienze
“lavorative” più importanti e significative, oltre che di fatto una delle
prime che ha modificato il mio modo di percepire il mondo, ampliando i
miei stessi “confini”, ha inoltre assunto un’importanza basilare nella
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riflessione di ciò che rappresenta l’identità per l’uomo e, in particolar
modo, per questa fascia di immigrati cosi diversa a causa delle
motivazioni che li spingono a fuggire dal proprio Paese.
Tutto ciò ha rinforzato il desiderio di approfondire l’argomento: il
vissuto soggettivo, la percezione della discriminazione e la prospettiva
futura sono alcuni degli aspetti che, nella presente ricerca, sono stati
indagati.
La presente tesi è suddivisa in due parti. Nella prima parte
verranno presentati alcuni aspetti teorici di riferimento essenziale per una
maggiore comprensione del fenomeno stesso. In particolare, il primo
capitolo è volto a chiarire cosa si intente per rifugiato politico,
distinguendolo da altri tipi di immigrati e sottolineando la definizione
che viene data a partire dalla Convenzione di Ginevra nonché le
caratteristiche per l’ottenimento dello status dal punto di vista legale in
una prospettiva internazionale. Fino ad accennare alla situazione italiana
e alle sue forme di accoglienza, presentando anche alcuni dati statistici.
Nel secondo capitolo, sono stati trattati gli studi sull’identità come
quadro di riferimento all’interno del quale collocare gli studi sui rifugiati
politici: ogni individuo appartenente a questa categoria è portatore di un
vissuto di estremo disorientamento che nasce dal ritrovarsi senza radici e
alienati da un contesto culturale nuovo, non più un contenitore di
significati e significanti fondanti la propria identità. Egli deve affrontare
problemi di adattamento ad una nuova realtà; deve elaborare i traumi
particolarmente dolorosi subiti in patria, i quali mettono fortemente in
discussione la sua identità; si trova a dover ripensare quei tratti
fondamentali della costruzione e ricostruzione di una identità, egli deve
ricollocarsi in una nuova società con il rischio di perdere o annullare
anche la propria identità culturale.
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Nel terzo capitolo, alla luce del rapporto tra comunità
d’appartenenza e comunità ospitante, sono stati affrontati i temi inerenti
agli atteggiamenti stereotipati e pregiudiziali che impediscono di fatto
una vera integrazione. Sottolineare la rilevanza dei riferimenti valoriali
di ciascuno e di come essi guidino il comportamento giungendo, non di
rado, a determinare delle vere e proprie distinzioni tra ingroup e
outgroup e generando errori sistematici di favoritismo intergruppale ha
costituito la conclusione della prima parte.
Nella seconda parte viene presentata una ricerca sul campo
condotta con un gruppo di rifugiati politici presenti nella zona del
calatino; essa è volta ad indagare ed esplorare gli orientamenti valoriali e
gli atteggiamenti pregiudiziali, le somiglianze percepite tra il proprio
popolo e quello degli Italiani e la rappresentazione del Sé, reale e futuro.
Nelle conclusioni verranno confrontati i dati emersi nella presente
ricerca con i risultati di uno studio precedentemente condotto da Sagone
e De Caroli
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(2012) inerente i valori e le somiglianze percepite in un
gruppo di rifugiati politici e verranno indicate alcune considerazioni
critiche circa la realizzazione di interventi mirati alla integrazione e
all’inserimento dei rifugiati politici nel contesto d’accoglienza.
Studiare i rapporti che si instaurano tra un gruppo, una società e
quanto viene da essa definito come estraneo, permette di far emergere
alcuni aspetti e caratteristiche della società stessa che altrimenti
rimarrebbero nell’ombra.
1
Sagone E., De Caroli M.E. (2012), Portrait values, Similarity in aspects of everyday life, Self and
Group representation in refugees asylum seekers. Procedia- Social and Behavioral Sciences, 46,
pp.5463-5469.