4
determinante nella ricostruzione di regole accettabili per 
l’acquisizione del consenso. 
 Occorre pertanto misurarsi con la questione della progressiva 
evanescenza delle forme storiche che avevano dato vita ai 
soggetti della rappresentanza e con il riassetto di quel sistema, 
che era stato definito “di fatto” in contrapposizione a quello 
prefigurato nell’art. 39 Cost. e fondato su sue elementi che non 
ammettevano di essere messi in discussione: la mutua affidabilità, 
reciprocamente espressa dalle organizzazioni sindacali storiche, 
quali rappresentanti accreditate del mondo del lavoro subordinato, 
e in riconoscimento a loro favore espresso, in qualità di agenti 
negoziali tendenzialmente esclusivi, dalle organizzazioni della 
controparte. È innegabile che questo modello di relazioni sindacali 
aveva trovato un accettabile gradi di stabilità e un apprezzabile 
livello di funzionamento. Sotto il primo profilo, l’impalcatura 
sembrava tenere perché il richiamato scambio di riconoscimento 
tra i sindacati (e tra questi e i datori di lavoro) aveva permesso di 
sostituire gli elementi dell’assetto, previsto dalla Costituzione, con 
l’acclarata accettazione, da parte di tutti i soggetti in causa, di una 
regola diametralmente opposta, ovvero quella della c. d. 
pariteticità. Ogni formazione sindacale cioè, purché avvertita 
quale necessitato interlocutore, contava alla pari delle altre e 
indipendentemente dalla forza associativa e dal seguito dei 
consensi che era riuscita ad ottenere tra i lavoratori con la propria 
  
 5
presenza e attività. Rispetto al secondo, è in dubbio che oltre a 
raggiungere un’ampia capacità di rappresentanza politica degli 
interessi in gioco sono stati ottenuti risultati di non poco conto 
anche in materia di contrattazione collettiva. La questione 
dell’efficacia del contratto collettivo, sicuro terreno di elezione per 
le sorti del movimento sindacale, aveva finito col perdere la 
drammaticità che l’aveva accompagnata nell’esperienza 
prefascista e nella discussione in seno all’Assemblea Costituente, 
dove si era ritenuto di poter risolvere il problema, legato alla 
rappresentazione degli interessi collettivi, con il particolare 
meccanismo di rinforzo dell’efficacia del patto. Proprio all’interno 
dei principi riconducibili al diritto comune erano stati conseguiti 
risultati più che soddisfacenti sia per la certezza della normazione 
in materia di condizioni di lavoro, sia per l’effettiva espansione 
dell’aria di applicabilità della relativa regolamentazione collettiva. 
Le organizzazioni sindacali, formalmente accreditate del carattere 
di associazione non riconosciuta, avevano dimostrato – riuscendo 
a incarnare una specie di monopolio della rappresentanza – di 
saper supere i propri limiti storici immanenti alla loro natura e ai 
poteri loro attribuiti; mentre rimaneva fermo il principio che il 
patto collettivo era in via di diritto vincolante solo per gli iscritti, 
l’attività di negoziazione aveva finito per divenire il punto di 
riferimento obbligato per tutte le parti in causa, datori di lavoro e 
lavoratori, senza dover passare attraverso il procedimento 
  
 
 
6
contenuto nell’art. 39 Cost.. la costruzione ed il consolidamento di 
un’efficiente sistema di relazioni industriali – dove la stabilità 
fosse assicurata dalle buone relazioni e dal confluire del consenso 
dei lavoratori verso il movimento sindacale organizzato, dove ciò 
fosse visibile la capacità rappresentativa dei soggetti collettivi e 
dispiegasse i suoi effetti, l’affermazione del contratto collettivo 
quale fonte privilegiata (e generalmente accetta) per la disciplina 
per le condizioni di lavoro – sono stati fondati massimamente su 
due presupposti, il fronte unitario che le centrali storiche sono 
riuscite a creare e la loro quasi palpabile forza di aggregazione e 
di rappresentanza. Il legislatore ha utilizzato la loro capacità 
rappresentativa, che emergeva dalla prassi dei comportamenti 
sindacali, per realizzare le migliori condizioni possibili al 
dispiegarsi “dell’effettività dell’autotutela” 
2
. Lo Statuto dei 
lavoratori, quando ha voluto offrire modelli di rappresentanza 
dove le esigenze del momento associativo e le aspettative dei 
lavoratori trovassero adeguata e reciproca composizione, ha 
innestato la sua previsione principe (art. 19) nella situazione che 
era sgorgata dalle mutazioni avvenute nel modo di intendere la 
relazione intercorrente fra la presenza in azienda dei sindacati e le 
tendenze di aggregazione nate tra i lavoratori. È stata in sostanza 
la stessa situazione di fatto a far emergere un sistema di relazioni 
                                                          
2
 In tema di valorizzazione costituzionale dell’organizzazione sindacale, in quanto capace di esprimere 
il carattere di effettività, cfr. Flammia R., “Contributo all’analisi dei sindacati di fatto”, Milano 1963 
pag. 96 e ss. 
  
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sindacali tutto affatto diverso rispetto a quello raffigurabile 
attraverso l’attuazione dell’art. 39 Cost.. i meccanismi messi in 
moto nel processo esposto ora per sommi capi, saranno destinati 
ad acquistare inoltre un tale livello di solidità, da restare in piedi e 
da essere ancora soggetti ad un altro intervento del legislatore, 
anche quando all’orizzonte cominceranno a profilarsi sintomi di 
crisi. Non è dunque possibile mettere in dubbio il fatto che 
l’evoluzione più ricca di significato delle nostre relazioni sindacali 
si fonda sia sulla forte coesione tra le organizzazioni confederali 
(coesione che è stata vista come un vero e proprio blocco storico, 
legittimante il monopolio della rappresentanza), sia sulla capacità 
di queste a risultare interlocutori affidabili per la massa dei 
lavoratori. È però altrettanto vero che gli elementi salienti del 
processo indicato desumono la loro credibilità dalla persistenza dei 
presupposti” di fatto” 
3
 da cui hanno tratto origine e che, con il 
mutare di questi ultimi l’assetto raggiunto dalle forme della 
rappresentanza e l’efficacia della loro presenza nelle pieghe 
dell’azione sindacale subiscono una lenta ma progressiva erosione 
fino al punto di far ventilare l’opportunità di una revisione di tutto 
il sistema e dei suoi meccanismi di funzionamento. Tutto questo 
ha provocato la caduta di forza. Tutto questo ha provocato la 
caduta di forza e prestigio del sistema nato dall’esperienza 
statuaria; esso, dopo aver raggiunto il suo massimo apice di 
                                                          
3
 Questa è l’argomentazione con cui è sostenuta la buona ragione per attuare l’art. 39 Cost.  
  
 
 
8
espansione, riuscendo ad imporre il proprio modello oltre i limiti 
della sua origine “naturale”, sembra incapace di conservare la sua 
tipica razionalità nelle situazioni nuove ossia nei confronti delle 
mutazioni avvenute negli apparati produttivi e nell’organizzazione 
del lavoro industrializzato. Iniziano pertanto a delinearsi alla 
generale attenzione almeno due esigenze: l’urgenza di un 
progressivo avvicinamento normativo, sia sul piano del rapporto 
individuale di lavoro che su quello dell’organizzazione collettiva, e 
una rilettura critica dei criteri fondamentali che hanno permesso il 
buon andamento delle relazioni sindacali. Da qui la richiesta 
avanzata anche in sede sindacale 
4
, di regole certe e formalizzate 
alla cui stregua decifrare i rapporti tra formazioni sindacali e 
ricostruire in sede collettiva un apprezzabile e credibile leadership 
nei confronti dei lavoratori attraverso una migliore definizione dei 
criteri con cui rilevare il consenso e su cui fondare le tipologie 
della rappresentanza. Un compito siffatto richiede 
necessariamente di affrontare il tema della relazione tra sindacati 
(o aggregazioni sindacali) e lavoratori, nonché quella tra 
sindacati; il funzionamento di un sistema di relazioni sindacali 
impone infatti, in un regime di riconosciuto e vissuto pluralismo, 
che siano comprese le regole con cui rapportare l’iniziativa del 
soggetto collettivo alle aspettative del gruppo di riferimento, ma 
                                                          
 
4
 Bolaffi G. “Sindacato e democrazia: una questione indifferibile”, in Il Sindacato alla svolta degli anni 
’90, a cura di F. Amato, S. Mattone, Milano 1989 pag. 160-161  
  
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anche capire a quali forza obbedisce il confronto tra le 
affermazioni sindacali. A questa stregua si tratta allora di valutare 
se dall’ordinamento giuridico o dal sistema sindacale siano già 
stabiliti criteri e regole adeguati o se, al contrario, occorre 
enunciarne di nuovi. L’evoluzione dei rapporti sindacali (tra le 
organizzazioni e tra queste e i lavoratori) e le scelte via via 
operate nell’utilizzazione di questa o quella tipologia di 
rappresentanza in specie a livello aziendale, sono state giocate 
tutte  intorno all’esercizio del potere negoziale. Essi hanno 
dimostrato di voler essere gelosi custodi e primi attori di tale 
prerogativa. Tutto ciò risulta quasi intuitivamente comprensibile in 
quanto, nell’attività di contrattazione collettiva, l’associazione 
sindacale esercita la sua essenza, che consiste, appunto, nel dare 
la voluta sistemazione agli interessi dei propri iscritti o comunque 
dei propri assistiti. In vero questo connotato è talmente forte che 
contraddistingue qualsiasi formazione sindacale, come è 
direttamente riscontrabile negli intenti dei vari COBAS, i quali, 
benché non organizzati nel classico modello dell’affiliazione – 
iscrizione - , cercano di farsi accettare nella veste di agenti 
negoziali. Un tale elemento che caratterizza qualunque 
significativa aggregazione, dovrà essere presente all'indagine che 
qui viene proposta, tanto più che in passato il successo della 
forma di rappresentanza e di peso in buona misura proprio dal 
grado di valorizzazione di esso. La storia della rappresentanza in 
  
 
 
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azienda ci consegna infatti dei modelli sperimentati nel vivo della 
prassi sindacale i consigli di fabbrica sono stati, 
indipendentemente dai criteri formali di costituzione, un 
accreditato e prestigioso tipo di rappresentanza, riuscendo a 
divenire il primo gradino nella struttura interna dei sindacati e ad 
essere l’agente negoziale credibile sia per i lavoratori che per la 
parte datoriale. Le commissioni Interne hanno sì costituito un’alta 
espressione di democrazia 
5
, avendo obbedito al principio di 
maggioranza tipico del nostro ordinamento, ma sono state 
guardate con notevole sospetto dal movimento sindacale 
organizzato così che lo spazio di reale rappresentatività, da esse 
conquistato nell’esercizio di attività negoziale, ha finito per essere 
non un fattore di stabilità, bensì una delle cause della loro 
intrinseca debolezza. A mio giudizio, rimane ancora da esplorare 
quanto sia ricca di valenza l’interazione tra rappresentanti e 
rappresentati e quanto sia difficile pervenire ad una sistemazione 
esaustiva sostenendo tout-court l’applicazione di una regola 
altamente formalizzata qual è il principio di maggioranza. 
L’argomento cui è dedicato questo libro è ridiventato di grande 
attualità dopo che il lungo dibattito sulla rappresentanza sindacale 
ha finalmente lasciato il posto alla rifondazione della 
rappresentanze del lavoratori sui luoghi di lavoro: risultato 
                                                          
5
 Secondo Momigliano F. “Sindacati progresso tecnico e programmazione economica”, Torino 1966 
pag. 107, le commissioni interne incarnano “…la prima manifestazione formale della rinata democrazia 
italiana…” 
  
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davvero cruciale dell’importantissimo accordo (Protocollo) del 23 
luglio 1993 nel quale sindacati, imprenditori e governo hanno 
finalmente definito, da un lato principi e strumenti del sistema 
italiano di relazioni industriali, e dall’altro procedure e impegni dei 
tre grandi soggetti per una politica dei redditi. In questo ambiti è 
nata la terza forma di rappresentanza avutisi in Italia dal ’44, data 
di nascita del movimento sindacale post-fascista: le 
rappresentanze sindacali unitarie. Prima delle RSU, 
sostanzialmente sono state tre le forme di rappresentanza 
sindacale nei luoghi di lavoro che si sono succedute nel tempo in 
Italia: le Commissioni Interne, i Consigli di Fabbrica e le 
Rappresentanze Sindacali Aziendali (RSA). Lo scopo di  questo 
lavoro è quello di analizzare sia l’aspetto normativo  che  le cause 
socio-politiche che di volta in volta hanno messo in crisi un tipo di 
organismo aziendale fino alla nascita della nuova  forma di 
rappresentanza , analizzando le fasi storiche fondamentali e 
cercando di capire se col tempo le RSU potranno vincere la sfida 
del rinnovamento per la quale sono state istituite. In diversi paesi 
europei e anche all’estero si assiste a una rinnovata stagione di 
interesse e di studi nei confronti delle rappresentanze di base. Le 
ragioni sono di diverso tipo, la più importante è che in un periodo-
ormai decennale- di  difficoltà della sindacalizzazione in molti 
paesi le strutture di base costituiscono l’antidoto più importante 
per rafforzare il radicamento sociale dei sindacati. Non vi sono 
  
 
 
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sindacati forti e rappresentativi senza solidi e diffusi organismi nei 
luoghi di lavoro. Si può verificare piuttosto il contrario. Un’altra 
ragione che motiva l’importanza della rappresentanza di base 
consiste nei fenomeni di localismo in campo politico ed economico 
.Ciò che viene realizzato e deciso in ambito aziendale conta più 
che in passato. Per di più c’è una sfera maggiore di autonomia e 
di possibilità di incidire sui risultati della propria unità produttiva.  
Prioritaria è comunque la distinzione di due termini fondamentali: 
quali la rappresentanza e rappresentatività’.