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1. INTRODUZIONE. 
 
1.1. Le specie invasive. 
 
Negli ultimi 500 anni le barriere geografiche che per milioni di anni avevano 
mantenuto  una distribuzione quasi statica dei biomi del mondo, sono state erose 
dalle attività umane e, di conseguenza, le specie selvatiche hanno allargato il loro 
areale di distribuzione naturale (Richardson et al., 2000), disturbando quindi 
l’equilibrio tra le specie che si era stabilito nei diversi ecosistemi del globo dopo 
migliaia di anni di evoluzione (Holmes et al., 2009). 
Con la scoperta dell’America e l’inizio dell’Età delle Esplorazioni, l’uomo ha 
volontariamente e involontariamente spostato organismi tra un continente e 
l’altro (Mack et al., 2000). Nell’ultimo secolo, l’espansione delle specie trasportate 
dall’uomo è aumentata considerevolmente, come conseguenza della crescita senza 
precedenti dei viaggi e del commercio internazionale, causando enormi disturbi 
agli ecosistemi e gravi problemi di impatto socio-economico (Aukema et al., 2011). 
Negli ultimi 25 anni il commercio sempre più rapido, consistente e globalizzato, 
associato al fenomeno dei cambiamenti climatici, ha facilitato la diffusione e la 
sopravvivenza degli organismi esotici nel paese d’introduzione determinando un 
tasso di introduzione di specie aliene sempre più elevato (Hulme, 2009). 
In tutti le definizioni di “invasività”, il fattore cruciale per distinguere un 
organismo alieno (esotico, non nativo, o non indigeno) da un organismo nativo è 
dato dalll’introduzione dello stesso in una nuova regione (Pysek e Richardson, 
2006).  
La definizione di "specie aliena", proposta nei principi guida della Convention on 
Biological Diversity, CBD, (2002, Decisione VI/23), prevede che essa sia una specie 
che si stabilisce al di fuori della sua area naturale e oltre la sua zona di dispersione 
potenziale (Desprez-Loustau et al., 2010); ancora, una specie è definita “invasiva” o 
“aliena” nel momento in cui viene introdotta in un ambiente nel quale non è mai 
stata presente (IUCN, 2000).  
Il fenomeno dell’introduzione di organismi alieni è un processo considerato a tutti 
gli effetti come una minaccia a livello globale.
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Le specie aliene possono determinare un’ampia gamma di impatti negativi. Se da 
un punto di vista ambientale sono in grado di minacciare la diversità biologica 
attraverso una riduzione della variabilità genetica, modificare i rapporti trofici tra 
gli organismi nativi e determinare nei casi più gravi l’estinzione di specie 
endemiche e l’alterazione di habitat ed ecosistemi (Hulme, 2007; Mooney e 
Cleland, 2000), da un punto di vista economico possono provocare gravi danni 
all’agricoltura, all’orticoltura e agli ambienti forestali (Vilà et al., 2011; Pimentel et 
al., 2005). La maggiore o minor aggressività di una specie di nuova introduzione 
all’interno del nuovo ambiente dipende da numerosi fattori e dinamiche spesso 
complesse (es. presenza di nicchie vacanti o inutilizzate, assenza di parassiti e 
predatori, limitata biodiversità locale, possibili disturbi verificatisi prima o durante 
l’invasione, ecc.) (Mack et al., 2000). 
Dalla scoperta dell’America, in Europa sono state registrate circa 10 000 specie 
aliene, tra le quali i gruppi tassonomici più numerosi sono rappresentati da piante 
e insetti (DAISIE, 2008). Tra questi ultimi, il gruppo più numeroso è rappresentato 
dagli xilofagi (per lo più Scolytinae, Cerambycidae e Buprestidae) (Marini et al., 
2011; Kirkendall e Faccoli, 2010; Sauvard et al., 2010) oramai considerati come 
una delle minacce più serie per le foreste a livello mondiale (Brockerhoff et al., 
2006a). Essi possono essere facilmente trasportati attraverso il commercio 
internazionale di prodotti legnosi, quali tronchi, ceppi, legname e soprattutto 
imballaggi di legno o pallet dove possono sfuggire ai controlli e superare le 
condizioni climatiche avverse che si presentano durante gli spostamenti 
(Brockerhoff et al., 2006b). Per questi motivi gli insetti xilofagi sono considerati a 
tutti gli effetti come il gruppo di specie invasive di maggior successo (Haack, 2006). 
Per di più, dal punto di vista economico, risultano essere le specie con il più alto 
impatto potenziale, considerando la loro capacità di danneggiare il materiale 
legnoso, di portare a morte le piante ospiti e l’alto costo per il loro contenimento 
(Aukema et al., 2011). 
Ciò che preoccupa maggiormente è che alle invasioni biologiche sono strettamente 
legate malattie infettive emergenti dei vegetali, Emerging Infectious Diseases, EIDs. 
Nel mondo, più della metà delle EIDs delle piante negli ultimi decenni sono state 
provocate dall'arrivo di agenti patogeni precedentemente non riconosciuti, dato
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dal movimento di ceppi virulenti, o dalla comparsa di nuovi ceppi aggressivi 
(Anderson et al., 2004; Bandyopadhyay e Frederiksen, 1999).  
Tra gli agenti patogeni, le infezioni fungine e simil-fungine hanno da sempre svolto 
un ruolo primario nelle infezioni dei vegetali. Il programma di Monitoraggio delle 
Malattie Emergenti, ProMED, che rileva le infezioni da fungo nelle piante, mostra 
un aumento di queste infezioni di 13 volte tra il 1995 e il 2010 (Fisher et al.,  
2012).  
In questo contesto, è importante individuare e studiare in modo tempestivo le 
nuove introduzioni di insetti potenzialmente dannosi, specie se associati a funghi, 
soffermandosi particolarmente, in questa sede, su un insetto appartenente al 
gruppo degli scolitidi xilofagi: Pityophthorus juglandis Blackman, coleottero 
floematico della famiglia Curculionidae, subfamiglia Scolytinae, e vettore del fungo 
Geosmithia morbida Kolarík. 
 
1.2. I coleotteri scolitidi. 
 
Gli scolitidi (Coleoptera: Curculionidae, Scolytinae), sono rappresentati in tutto il 
mondo da poco più di 6000 specie descritte in almeno 225 generi (Knížek e 
Beaver, 2004). Sono tra gli insetti economicamente ed ecologicamente più 
importanti nelle foreste del mondo, soprattutto per quanto riguarda boschi di 
conifere (Raffa et al., 2008; Lieutier, 2004), in quanto attivi sotto corteccia o nel 
legno sia allo stadio adulto che larvale. 
Questa sottofamiglia di curculionidi comprende insetti tra loro molto simili 
morfologicamente, ma che si differenziano nei rapporti con l’ospite e con 
l’ambiente in generale.  
Generalmente questi sono insetti di piccole o piccolissime dimensioni, dalla forma 
allungata, per lo più cilindrica e dai colori scuri. In alcune specie, le elitre 
presentano la parte posteriore declive e fornita di rilievi tegumentali. La struttura 
degli adulti degli scolitidi rivela una speciale attitudine allo scavo di gallerie nei 
tessuti corticali e legnosi (Battisti et al., 2013). 
Gli scolitidi attaccano usualmente alberi vivi ma indeboliti da siccità, defogliazioni, 
danni da neve o vento, marciumi radicali o piante recentemente morte o abbattute
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ma con floema ancora fresco; solo in caso di elevate densità di popolazioni 
attaccano anche piante sane, rendendole vulnerabili tramite attacchi di gruppo 
continuati nel tempo. 
Questi coleotteri vengono solitamente suddivisi a seconda delle loro abitudini 
alimentari in floematici, xilomicetofagi e spermofagi. I primi, conosciuti anche 
come bark beetles, coleotteri della corteccia, utilizzano come cibo e sede di 
riproduzione i tessuti floematici; i secondi, conosciuti anche come ambrosia 
beetles, coleotteri dell’ambrosia, si nutrono per lo più a spese di funghi con cui 
sono in simbiosi e che “brucano” all’interno delle gallerie di riproduzione scavate 
nello xilema; gli ultimi, conosciuti anche come seed borers, foratori di semi, si 
sviluppano a spese di semi o frutti legnosi. 
 
1.3. Bio-ecologia degli scolitidi floematici. 
 
Gli scolitidi floematici o fleofagi, si nutrono a spese del floema e del cambio, tessuti 
ricchi di carboidrati e sostanze proteiche (Battisti et al., 2013). Queste specie 
corticicole sono, in genere, le più dannose nelle foreste temperate per la loro 
capacità di portare in breve tempo a morte gli alberi, arrecando danni alle foreste e 
al legno. 
L’attacco ai tessuti sottocorticali di tronchi freschi non scortecciati, o comunque su 
piante vive ma indebolite, viene condotto dagli adulti che, in corrispondenza del 
foro d’entrata, scavano una piazzola detta vestibolo o camera nuziale dove avviene 
di norma l’accoppiamento. 
A seconda che la specie sia monogama o poligama, il sesso dell’insetto che per 
primo fora la corteccia è diverso; in particolare, se la specie è monogama, è la 
femmina che scava la piazzola; sarà poi raggiunta dal maschio e scaverà una sola 
galleria materna. Al contrario, se la specie è poligama, è il maschio ad arrivare per 
primo; sarà poi raggiunto da 2-12 femmine che provvederanno a scavare singole 
gallerie materne. 
Le gallerie materne sono provviste di nicchie ovigere laterali in cui vengono 
deposte singolarmente le uova. Queste gallerie hanno diametro costante e sono
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libere da rosura e da escrementi; la rosura, inizialmente marrone-rossastra, 
diventa biancastra con l’approfondirsi della galleria. 
L’insieme delle gallerie materne e larvali prende il nome di sistema riproduttivo, la 
cui conformazione caratteristica è tipica di ciascuna specie. 
Dalla schiusa delle uova emergono larve apode, bianche, ricurve, gregarie, con 
capsula cefalica bruna e dalle piccole dimensioni (4-5 mm). Queste scavano 
gallerie ortogonali a quella materna, parallele a quelle delle altre larve coetanee, di 
diametro crescente con l’aumentare di dimensioni degli individui e ricolme di 
escrementi e di rosura; al termine delle gallerie le larve mature scavano una cella 
pupale per impuparsi e compiere la metamorfosi. 
In seguito, numerosissimi adulti scavano piccoli fori rotondi di sfarfallamento. Gli 
adulti neo metamorfosati compiono la fase di maturazione sessuale post o pre-
sfarfallamento a seconda che la specie sia rispettivamente monogama o poligama. 
La maturazione delle gonadi prevede un periodo di alimentazione a carico di 
substrati diversi. In particolare, gli adulti delle specie monogame si nutrono del 
floema di giovani rametti o germogli di piante della stessa specie della pianta 
ospite, ma vigorose; ciò significa che abbandonano l’albero di sfarfallamento, 
andando a indebolire piante vigorose rendendole appetibili per attacchi da parte 
delle generazioni future. Gli adulti delle specie poligame invece maturano 
nutrendosi dei resti del floema lasciati dalle larve.  
La maturazione varia da qualche giorno a qualche mese per gli individui 
monogami, mentre gli individui poligami necessitano di una o due settimane. Al 
termine di questo periodo, gli adulti maturi cercano una nuova pianta indebolita 
da colonizzare e in cui riprodursi. 
Lo sviluppo di una generazione è molto veloce (6-8 settimane) tanto che possono 
esserci dalle due-tre generazioni all’anno.  
Quando la densità di colonizzazione delle cortecce è molto elevata, le femmine di 
alcune specie possono avviare delle generazioni sorelle, abbandonando cortecce 
sovraffollate per completare l’ovideposizione su altre parti della pianta o 
addirittura su altri alberi (Battisti et al., 2013). 
Le piante ospiti sono sia conifere sia latifoglie.