Introduzione 
dello spazio della rivista e addirittura ne diventano parti autonome, non assu-
mono mai grande rilievo
2
. Le opinioni, i nomi, i temi trattati si possono trova-
re anche in altri media e non caratterizzano la rivista quanto il teatro. Scena è 
nata ed è cresciuta come rivista di teatro, e come rivista di teatro è morta.
3
Questa soluzione è anche stata condizionata dalla prospettiva da me scelta 
per analizzare la rivista: guardare le vicende del teatro di questi ultimi anni 
come una manifestazione del rifiuto, nelle masse giovanili, della società con-
temporanea, della sua cultura e dei suoi valori. Di come questo rifiuto sia stato 
vissuto ed interpretato dai giovani e quali fenomeni abbia contribuito a creare. 
Le maggiori difficoltà da me incontrate in questa analisi riguardano la pos-
sibilità di dare un resoconto omogeneo del lavoro di una rivista già per sua de-
finizione eclettica e dispersiva. Inoltre Scena costantemente preoccupata in 
questi anni di mantenere il collegamento con il movimento politico e culturale 
delle giovani generazioni, si è trovata nella necessità di cambiare continuamen-
te programmi, ideologi e ottica di lavoro. Ciò ha reso difficoltoso uno studio 
sulle sue costanti di tendenza. Va anche considerato come la rivista non im-
ponga una linea ferrea ai suoi articolisti (alcuni soltanto del collaboratori oc-
casionali) e ai suoi redattori. Si rilevano, perciò, notevoli differenze di opinio-
ne tra i vari articoli. 
 
II 
                                                
Nel dare unità allo studio sono stato facilitato dell'aver partecipato diretta-
mente o tramite i racconti dei protagonisti a molti degli avvenimenti e dei fe-
 
2
  Quando affermo che gli articoli di cinema e di musica "non assumono mai grande rilievo" non intendo riferirmi al loro 
valore intrinseco o alla loro importanza e spazio all'interno della rivista, ma semplicemente constatare come essi restassero 
estranei al rapporto Scena lettori, che è lo scopo della mia analisi. Le ragioni della loro trattazione sulla rivista sono da 
ricercarsi, nei primi anni, in un tentativo di aumentare la fascia di lettori che potevano essere interessati alla rivista(ed an-
che in un seguire il movimento nei suoi "gusti"). Per gli ultimi, quelli dopo 1'ottanta, invece in un tentativo di caratte-
rizzarsi trattando, non i singoli settori, ma lo spettacolo nel suo insieme. Dall'ottanta, accanto a Scena apparirà. nella co-
pertina il sottotitolo : Teatro, Cinema. Musica, Animazione.  
 
3
 Si può affermare che Scena nata per contribuire ad un rinnovamento teatrale e cresciuta registrando i fatti, gli avveni-
menti, ed i fenomeni che stavano dando un senso nuovo al termine "teatro" sia morta quando la realtà sociale non lascia-
va più spazio per una rivista di teatro a larga diffusione 
 
 
 
Introduzione 
nomeni trattati dalla rivista. Ciò ha permesso di non smarrirmi nelle mille pre-
se di posizione, parole d’ordine, definizioni che appaiono su Scena. E queste 
esperienze mi hanno permesso di risolvere, in modo che giudico positivo, il 
problema della molteplicità di voci che appaiono sulla rivista. Quando attri-
buisco a Scena nel suo insieme e non al singolo articolista un'opinione, una 
presa di posizione o un'ideologia ciò non vuol dire che all'interno della reda-
zione identifichi una linea obbligata da seguire o neghi la libertà d'espressione 
tra i redattori. Semplicemente, ai fini dell'analisi, faccio mio il punto di vista 
del lettore non specializzato fruitore della rivista Scena nel suo insieme ; non 
interessato all'identificazione dell'articolista né ad isolare linee di tendenza ne-
gli articoli. 
      Non ho analizzato Scena tanto per i suoi articolisti e per i suoi scritti 
quanto per il legame della rivista con i suoi lettori quali rappresentanti larga 
parte del movimento giovanile di quegli anni. Ciò mi ha permesso di sottoli-
neare i momenti di convergenza tra la rivista e il movimento giovanile così da 
definire una linea Scena che prescinde dalle opinioni espresse occasionalmente 
dai singoli redattori su argomenti determinati.  
Questo mio lavoro non vuole perciò fare la storia della rivista (anche se in 
parte è storia) ma tenta di tracciare un quadro di fenomeni e di avvenimenti 
sfuggiti all'osservazione distratta della critica ufficiale. Ho sorvolato sui detta-
gli della storia di Scena che non ho ritenuto essenziali per il mio lavoro. Mi so-
no spesso contentato di informazioni ricavate dalla rivista medesima. Solo 
quando mancavano elementi essenziali ho proceduto ad intervistare alcuni re-
dattori di Scena. 
Ho adottato una prospettiva storico-sociale nell'analisi degli avvenimenti, 
dei fenomeni e delle ideologie quali si venivano formando nel corso degli anni. 
 
III 
 
 
Introduzione 
Ho cercato anche di collegare questi avvenimenti alle trasformazioni sociali e 
politiche del periodo. Ho proceduto ad uno studio della rivista anno dopo anno 
utile per cogliere tutte le minime variazioni e i più significativi mutamenti. Ho 
operato queste scelte metodologiche convinto, nei limiti delle mie conoscenze 
e possibilità, di poter ricostruire dettagliatamente il percorso delle esperienze 
teatrali di quegli anni e individuare le motivazioni e le esigenze dissimulate dal 
movimento giovanile dietro il termine "fare teatro". 
Ho spesso dovuto ricorrere ad un linguaggio composto in massima parte 
dal gergo del terzo teatro e ciò può dare al mio studio un'impronta specialistica: 
per addetti ai lavori. Ho ritenuto opportuno correre questo rischio e puntare 
sull'interpretazione e sulla comprensione dei fatti piuttosto che dilungarmi nel-
la spiegazione di termini e nozioni specialistiche da me usate in quanto tali no-
te esplicative sono facilmente rintracciabili in numerosi studi e lavori sul terzo 
teatro al mio precedenti. 
La divisione in quattro capitoli si è resa necessaria per seguire minuziosa-
mente l'evoluzione della rivista. I primi tre capitoli riguardano rispettivamente: 
i presupposti sui quali è stata fondata Scena nel '76, anno d'esordio della rivista; 
il '76, anno nel quale Scena porta avanti un suo programma ben definito; il '77, 
anno in cui i moti di ribellione giovanile costringono la rivista a rivedere molte 
delle sue idee. Il quarto capitolo tratta degli anni '78 e ‘79, in cui Scena è co-
stretta a subire il riflusso e si avvia a divenire un rotocalco dello spettacolo. 
Questo cambiamento si verificherà nel 1980 e accompagnerà la rivista sino al-
la fine delle sue pubblicazioni. A questi anni ('80,'81,'82) è dedicato il quinto e 
ultimo capitolo. 
Ho sottoposto gli anni ‘76 e '77 ad un'analisi particolarmente accurata in 
quanto è allora che Scena realizza un dialogo diretto con il suo pubblico e in-
 
IV 
 
 
Introduzione 
staura un rapporto dialettico di "dare e avere" acquistando spessore e profon-
dità nell'esame degli argomenti. 
Quando, rifugiandosi nel limbo delle generiche riviste di spettacolo e attua-
lità, tenterà ancora di ripetere quel momento e di ricostruire quel "dialogo" 
(seppure sul piano d'un generico consenso di lettori e abbonati) non farà altro 
che inseguire mode e personaggi nel tentativo di stimolare un pubblico distrat-
to se non indifferente
4
. 
0gni capitolo è composto di due sotto capitoli. Uno dedicato al momento 
storico in generale, l'altro a quello che comunemente è detto terzo teatro.
5
 Que-
sta divisione si è resa necessaria dal momento che questo settore del teatro mi 
è apparso   come l'unico capace, nel corso degli anni, di mantenere le premes-
se dalle quali era partito, il solo che sembra riuscito a conciliare nella sua opera 
le due funzioni del teatro: quella estetica e quella ludica.
6
 
V 
                                                
Solo con questo tipo di teatro il "rifiuto" e la volontà di vivere una cultura 
non imposta, da parte dei giovani, è riuscito a concretizzarsi e a trasformarsi in 
 
4
 Va comunque precisato che parlare di "successo" o di "insuccesso" per la rivista Scena significa fare riferimento a una 
concordanza tra temi ideologici elaborati dalla rivista e la discussione di quegli stessi temi nel movimento giovanile. Di 
fatto Scena stenta spesso a rispettare la scadenza mensile o bimestrale nelle sue pubblicazioni, rivelando difficoltà e man-
canza di un conseguente sostegno economico. Ciò non toglie che Scena sia stata tra le poche riviste nate sull'onda del 
movimento giovanile, e con fini strettamente politico-culturali legati a quel movimento, a sopravvivere alla fine di questo 
e ad andare verso una professionalità redazionale e grafica. 
 
5
 Uso questo termine in senso strettamente denotativo: esso designa il teatro che non è possibile classificare né come tra-
dizionale né come avanguardia. Non designa una corrente stilistica o una poetica teatrale ma quel campo (spesso coinci-
dente con il teatro di gruppo) contraddittorio e non facilmente identificabile di quanti hanno scelto il teatro per dissimula-
re il proprio rifiuto ai modelli di vita forniti dalla società. Il loro lavoro teatrale è contraddistinto dal laboratorio di ricerca 
e dal training fisico. È perciò l'area di chi tenta di trasformare il proprio "rifiuto" in lavoro, spesso accanto ad altri "com-
pagni di strada", coi quali per mezzo del lavoro costruire una microcultura di gruppo. Anche se solo pochissimi gruppi di 
quelli formatesi in questi anni sono riusciti nella pratica a concretizzare questa idea di "cultura di gruppo" essa presiedeva i 
tentativi che i giovani, in un certo periodo, hanno fatto con il teatro. È ciò, indipendentemente dal successo del tentativo 
che differenzia questo teatro. Mi rendo conto che intorno a questa definizione vi siano state molte discussioni, e che oggi 
la maggioranza degli studiosi è propensa a non accettarlo. Ma penso che usato nel suo valore  storico possa ancora essere 
utile. Senza per questo e entrare in merito del problema o servirsene per affermare l'esistenza di uno spazio teatrale auto-
nomo. 
 
6
 (6)J. M. Pradier nello scritto I Fondamenti biologici del teatro (in Scena IV (1979) n. 3/4,pp.39-42.) afferma che <<non è il 
bisogno di essere pubblico a teatro che è dell'uomo, quanto quello di farne>> In questo bisogno di "fare teatro è insita una componente 
biologica: "il desiderio di gioco". Mi sembra che nel terzo teatro questa funzione abbia trovato il modo di congiungersi a 
quella tradizionale ed estetica. Il pubblico che partecipa agli spettacoli di terzo teatro, è solitamente un pubblico che è in 
gran parte composto da giovani che fanno teatro, o hanno l'intenzione di farlo. 
 
 
 
Introduzione 
qualcosa di utile e socialmente accettabile. Tra i due sottocapitoli c'è perciò 
uno stretto rapporto: solo analizzando e riuscendo a comprendere cosa è suc-
cesso in questi anni nel teatro e fuori del teatro si possono spiegare le ragioni 
che hanno spinto Eugenio Barba a parlare di "ghetto" per i gruppi di terzo tea-
tro. Nella parte generale ho tentato di seguire alcuni aspetti particolari della 
storia teatrale di questi ultimi anni: le mode culturali e teatrali, le riflessioni, le 
idee e le utopie, il cammino dell’avanguardia, !'affermarsi della danza e dei tea-
tri orientali, la critica teatrale. Mi sono soffermato su alcuni aspetti della “cul-
tura giovanile" importanti per spiegare taluni fenomeni. Ho cercato anche di 
sottolineare l'importanza dell'analisi economica del teatro, favorito da alcuni 
scritti della rivista. 
Come rivista di teatro Scena forse non è stata particolarmente significativa e 
non valeva uno studio tanto accurato. Eppure la sua capacità di farsi insieme 
testimone, portavoce e interprete di un momento particolare nella vita di mas-
se giovanili che nel teatro hanno riversato i propri sogni, le proprie utopie e 
speranze costringendolo a mutare profondamente e ad ampliare il campo se-
mantico del termine stesso meritava di essere sottolineata.E forse per tutto 
ciò, ma solo per queste ragioni, Scena può entrare di diritto a far parte di quelle 
riviste che hanno fatto la storia della cultura italiana. 
 
VI 
 
 
  
CAPITOLO I  
 
I presupposti su cui è fondata Scena. 
 
Scena nasce nel 1976 sull'onda di quel movimento, per lo più giovanile, che 
in quegli anni cercava di rinnovare il teatro, 
La nascita della rivista si colloca nel periodo che va dalle elezioni regionali 
del '75 a quelle politiche del 20 Giugno 1976. Dato il successo riportato dalle 
sinistre nelle regionali, questo periodo ha visto le speranze più. concrete di 
giungere ad un governo delle sinistre; ad un reale cambiamento socialista della 
società. 
7
Scena è perciò ai suoi inizi una rivista militante; sia perché, nell'attesa di que-
sto cambiamento socialista, si presenta come uno strumento di analisi e di lot-
ta per l'affermazione di un nuovo teatro, sia perché vuole collegarsi a quello 
che allora si chiamava il "movimento”. 
Le sue analisi ed i suoi programmi possono essere considerati come il pun-
to di arrivo di riflessioni attorno al teatro, al suo rinnovamento ed alla politica 
culturale che duravano dal ‘68 (per quanto riguarda alcune elaborazioni teori-
che dagli anni 50).
8
  
In questo stesso periodo mutano radicalmente i bisogni delle masse giova-
nili. Ai modi tradizionali del far politica se ne aggiunge uno nuovo basato sul 
principio del personale: cioè legittimare politicamente tutti quei bisogni privati 
che la terminologia marxista ortodossa definiva "piccolo borghesi "  senza 
                                                 
7
 Per quanto riguarda il significato che le elezioni del '76 hanno avuto nella storia del rapporto tra i giovani della sinistra ed 
il teatro cfr Roberto A. Longo, Paolo Bertinetti, Roberto Tessari, L'attore "diffuso" tra marginalità e sviluppo, in Scena, (1979) 
n. 1, pp. 24-25. 
8
  La storia del contributo dei circuiti ARCI  e della sinistra extraparlamentare (tra cui i circoli la Comune di Darlo Fo) alla 
nascita delle proposte teatrali di quegli anni è tutta da fare. cfr. Marisa Bello, Gigi Gherzi. Gruppi di base: vorrei fare l'attore 
ma non posso, e .Intervista a alcuni compagni dei centri sociali Isola e S. Marta. in "Sceria", IV (1979), n.l, pp. 26-30, 
 
Capitolo I 
mediazioni. È insomma, il momento in cui si rivela la vera natura di guerra ci-
vile di quella che i giovani dal ‘68 in poi chiamarono rivoluzione.
9
  
È questo il periodo della nascita di un interesse di massa verso la psicoana-
lisi, si creano gruppi di autocoscienza e non più solo tra le donne. Si riscopre il 
corpo interpretando in maniera utopica il pensiero di Reich; il resto lo farà la 
mind structure
10
 occidentale alle prese con le antiche discipline orientali. 
Nel ‘76 queste istanze si inseriscono nei modi tradizionali di far politica ed 
insieme generano quel caos ideologico che ha prodotto il ‘77. La tipicità di tali 
forme di lotta è da ricercarsi nell'avvento della cosiddetta creatività nelle mani-
festazioni di piazza. 
Personale, riscoperta del corpo, creatività ed espressività di massa, unite al 
discorso politico tradizionale trovano la loro sintesi nel teatro, che per sua na-
tura sembra soddisfare tutte queste esigenze contrastanti. 
Scena nasce per dare voce e corpo a questo nuovo bisogno di teatro ed i 
suoi abbagli sono gli stessi di quello che allora si chiamava il movimento. 
Nell'articolo di apertura della rivista è detto: << Accingendosi con la rivista ad 
entrare nel merito di questi problemi, bisognerà richiamarsi alla necessità di sviluppare il 
presupposto principale che ha mosso le  nuove esperienze teatrali: quello di un collegamento 
con il movimento di lotta, che è garanzia e misura delle possibilità di fare un nuovo teatro. 
Le giovani compagnie hanno bisogno di essere sempre meno il riflesso di quel movimento e 
sempre più parte di esso >>
11
Scena, come il movimento, parte dal presupposto che la società stia cam-
 
2 
                                                 
9
 In questo senso addirittura profetica appare oggi la poesia di P.P. Pasolini  Il PCI ai giovani  in Ermetismo eretico, Garzanti, 
Milano 1972 
10
 Grotowsky usa questo termine per definire "la visione del mondo" o "l'immagine del mondo <<che non dipende da una 
filosofia cosciente, ma da una "filosofia personale" legata p. es. al linguaggio ed alla educazione.>> Jerzy Grotowsky, Tecniche originarie 
dell'attore. traduzione italiana di Luisa Tinti, dispense dell'Istituto del teatro e dello spettacolo di Roma.  
(Seminario tenuto a Roma, Marzo-Luglio 1982). 
 
11
 Editoriale Teatro popolare? In Scena I (1976) n.1, pp. 3-4 
 
 
Capitolo I 
biando in senso socialista, ed il momento storico che si viveva nel '76 era un 
periodo di transizione. 
Le richieste dei giovani sono quelle di un <<comunismo nuovo che comincia subi-
to e non finisce mai >>.
12
Il movimento teatrale, nel suo insieme non può non risentire del periodo 
storico e politico che si sta vivendo.<< La borghesia non ha da proporre che la pro-
pria sopravvivenza. Per questo reprime tutte le istanze che portano a un progetto di socia-
lismo che ha cominciato a prendere corpo in questi anni. Tra un mondo che si sente scompa-
rire e la faticosa transizione a una società diversa, tra la vecchia egemonia e la nuova che sta 
nascendo nella lotta si muove il microcosmo teatrale, si nota in esso un grande fermento e 
una grande confusione.>>
13
La convinzione nel cambiamento è così profonda che si teme addirittura di 
perdere il passo nel campo teatrale: << Se il giovane teatro non si sgancerà da una 
logica di mercato capitalistico e se le molte esperienze teatrali non si salderanno alla realtà 
degli strati popolari, rimarremmo molto indietro rispetto ai cambiamenti che si annunciano. 
>>
14
Essendo queste le convinzioni della rivista, il metodo di analisi della realtà 
teatrale non potrà che essere quello marxista. Ciò si riscontra nella grande im-
portanza che la rivista da all'analisi economica del teatro in Italia. 
Nell’articolo di Antonio Attisani, Denaro e teatro,
15
si fa notare come nel no-
stro paese il teatro viva di sovvenzioni; anche le compagnie private che in teo-
ria dovrebbero esserne esenti le ricevono. Le sovvenzioni, però, sono il pro-
dotto dei rapporti di forza esistenti tra i partiti politici. In questo modo si falsa 
il rapporto con il pubblico, privato anche del potere decisionale che gli deriva 
 
3 
                                                 
12
 Editoriale E la fame? in Scena I (1976), n.1, p.5. 
13
 Editoriale Teatro tra morte e cambiamento, in Scena, I (l976), n.3/4, pp.3-5. 
14
 Antonio Attisani, Denaro e teatro in Scena I (1976) 
15
 Antonio Attisani, Denaro e Teatro, art. cit. 
 
 
Capitolo I 
dall'acquisto del biglietto. 
Entrando nel merito dei problemi, Attisani fa notare come il contributo sta-
tale al teatro, in Italia, sia inferiore a quello di altri paesi d'Europa. Le sovven-
zioni premiano chi investe di più: bisogna investire molto per ricevere molto. 
Perciò l'azione dello stato risulta disgregatrice nei confronti delle forze vitali 
del teatro: impone di rispettare determinate fasi per accedere ad importi sem-
pre maggiori, stimola la concorrenza  e la guerra tra le compagnie, opera una 
divisione tra giovane teatro, compagnie private e teatri stabili. 
Secondo Attisani, la corruzione  non sta tanto nel denaro, ma nel processo 
di formazione della protezione pubblica al teatro: il finanziamento infatti, non 
viene dato al prodotto ma alla sua capacità di penetrare nei meccanismi di di-
stribuzione. 
Attisani fa notare come questo sia il motivo per il quale lo stato ha ostacola-
to la creazione di circuiti decentrati regionali. E conclude: <<In teatro il capitale 
entra attraverso la messa in opera di mezzi riconosciuti di realizzazione scenica (luci, scene, 
personale tecnico specializzato). Dunque la funzione del capitale in teatro si esplica come 
sovvenzionamento di cui la tendenza estrema è la condanna a morte dell'arte.>>
16
Anche nell'analisi del teatro istituzionale, cioè dei teatri stabili, la parte eco-
nomica è preponderante. 
Nell'articolo, Teatri stabili: crisi o agonia?
17
viene analizzata la crisi degli stabili. 
É crisi economica, dovuta al divario tra costi ed entrate, ad alla mancanza di 
sbocchi di mercato per degli spettacoli che hanno dei costi enormi; è crisi di 
gestione politica perché nonostante la libertà venga sempre proclamata, i con-
dizionamenti politici sono sempre pesanti, di segno diverso e non diretti alla 
composizione del cartellone ma al complesso della politica del teatro. La con-
 
4 
                                                 
16
 Antonio Attisani, Denaro e Teatro, art. cit. 
17
 Teatri stabili:crisi o agonia? art. senza firma, in Scena I (1976) n.3/4 p.6 
 
 
Capitolo I 
seguenza è che nessuno degli stabili ha una politica omogenea; <<sono alla ri-
cerca di una polivalenza che non è una scelta ma una concessione a cento scelte >>
18
Ben più grave è la crisi organizzativa. Secondo Attisani, i dirigenti delle 
grandi istituzione teatrali lamentano oltre ad una scarsità di sovvenzioni, anche 
difficoltà di rapporto con i propri dipendenti, dovute alle conquiste sindacali 
da questi ottenute (orari di lavoro, pause, giorni di riposo), tali da costringere 
l'attività artistica del regista-direttore alle funzioni di un dirigente di azienda. 
Del resto la strada degli stabili è l'unica che gli consente di esprimersi compiu-
tamente, anche se il rimpianto per il tempo del “lavoro fatto a mano” delle 
compagnie capocomicali è forte. 
La tendenza è verso il lavoro di tipo industriale, ma ciò provoca gravi con-
seguenze: <<Il teatro dovrebbe essere sempre basato su una libera scelta dei componenti e 
sulla creatività a tutti i livelli. Che creatività si può chiedere a una massa di salariati che 
non hanno deciso niente? >>
19
Tutto ciò si riflette sugli spettacoli e la loro mediocrità. I teatri stabili si limi-
tano a riunire un pubblico eterogeneo, ed a unirlo fittizialmente facendo leva 
sulla sua coscienza democratica e su valori considerati universali. La conclu-
sione della rivista è che la scelta interclassista e l’utopia del sistema nazional-
popolare degli stabili è fallito. 
Se aggiungiamo che il teatro commerciale, per sua natura, ha bisogno di se-
guire le mode, avremo un quadro preciso della situazione teatrale italiana co-
me è affrontata da Scena. 
Altri nodi centrali dell'attività teatrale in Italia sono costituiti dal repertorio 
e dal rapporto con il pubblico. 
Il vecchio teatro non ha niente a che vedere con l’arte; cerca l'incontro con 
 
5 
                                                 
18
  Teatri stabili: crisi o agonia? art. cit. 
19
 Teatri stabili: crisi o agonia? art. cit. 
 
 
Capitolo I 
un pubblico indifferenziato e abulico. L'unica scelta possibile, si rivela allora 
quella di realizzare spettacoli, che per continuare a essere prodotti, sappiano 
conquistare gli spettatori. 
Di conseguenza le scelte di repertorio, saranno in favore dei classici, i quali 
garantiscono sempre un certo successo. 
Ma la presenza in sala di un pubblico diverso (per esempio i giovani) con i 
gusti, i problemi e i bisogni di oggi costringono i registi, per rinfrescare il re-
pertorio, a una serie di esperimenti; ma cosi facendo ottengono l'effetto con-
trario.
20
  
Tutto questo teatro riceve una magistrale definizione nell'editoriale: Teatro 
tra morte e cambiamento. 
21
  
<<Definiamo teatro della morte tutto il teatro che propone a qualsiasi livello e in qual-
siasi maniera la riflessione sui valori borghesi e la loro crisi. Il teatro della morte non cerca 
giustificazioni storiche perché ne possiede a sufficienza; è la tendenza egemonica del nostro 
teatro, ed a esso appartengono buona parte dei migliori prodotti. >>.
22
  
 
Negli anni precedenti era nato un diverso tipo di teatro che tra mille diffi-
coltà cercava la sua strada. 
Era il teatro delle cooperative, delle comunità, dei gruppi para-professionali 
o addirittura dilettantistici, In questo contesto avevano acquistato rilievo la ri-
cerca e la sperimentazione come pure l'animazione per bambini. 
È di questo teatro, non considerato come forma compiuta ma come pro-
cesso in atto, che la rivista intende farsi portavoce. È definito: "il teatro del 
 
6 
                                                 
 
20
 Questi concetti sono espressi nell'articolo della compagnia Il collettivo, Un nuovo sport: il teatro, in  Scena I (1976) n.3/4 
pp.3-5. 
21
 Teatro tra morte e cambiamento, art. cit. 
22
 Teatro tra morte e cambiamento, art. cit. 
 
 
Capitolo I 
cambiamento". 
23
  
<<II teatro del cambiamento dov'è? Esso non si distingue vistosamente dal vecchio. Oc-
corre un'onestà sociologica e professionale per riconoscerlo(…) Quando lo spettacolo non è 
più un momento compiuto, ma qualcosa che pur essendo diverso dallo spettatore è da questi 
sentito nello spazio della propria esperienza e sensibilità, un prodotto cioè che non è tanto 
bello quanto meno è discutibile, ma che serve proprio per una messa in discussione conti-
nua.>>
24
Questo teatro ha bisogno di amplificare la sua presenza, deve essere aiutato 
a vincere battaglie per i finanziamenti e le sovvenzioni e per farsi un pubblico. 
La rivista, perciò, da una parte cercherà di pubblicizzare il fenomeno al mas-
simo, dall’altra darà il suo contributo di analisi teorica. 
Nel '76 anno di inizio della rivista, questo teatro sembra accusare, dopo il pe-
riodo iniziale di crescita spontanea, un momento di crisi. 
<<Una crisi consiste nello stabilire le condizioni per un nuovo teatro, l’ altra nella con-
fusione ideologica imperante e nell'assenza di dibattito.(...) Questa crisi (...) è esigenza di 
sperimentazione e mancanza di occasioni, esigenza di un rapporto diverso con il sociale e 
mancanza di situazioni.>>
25
  
La funzione di Scena, allora, apparirà chiara: il suo contributo dovrà servire a 
far superare al "giovane teatro" questo impasse. 
Nelle intenzioni della rivista questo contributo non vuole essere però un 
dogmatismo ideologico, una distribuzione di "imprimatur" politici.
26
Secondo Scena, infatti, non esiste in Italia un movimento di avanguardia tea-
trale di cui occorre amplificare la presenza, C'è soltanto un fermento di novità 
indistinto e confuso. Per il teatro l'elaborazione teorica si è fermata alle propo-
 
7 
                                                 
23
 Teatro tra morte e cambiamento, art. cit 
24
 Teatro tra morte e cambiamento, art. cit 
25
 Teatro tra morte e cambiamento, art. cit 
26
 Teatro tra morte e cambiamento, art. cit 
 
 
Capitolo I 
ste di quanti se ne occupano dagli anni ‘50 e sono rimasti fedeli alla cosiddetta 
"mitologia alternativa". Nella pratica, invece, si ha lo scontro tra due tendenze. 
Una vuole privilegiare il momento di ricerca e di sperimentazione, mentre l'al-
tra, quello della politica culturale. Nessuna di queste due tendenze può essere 
considerata quella giusta per il rinnovamento teatrale. Risultano, infatti, ambe-
due contraddittorie nelle loro scelte parziali; accerchiate, come sono, da un si-
stema di distribuzione che non consente verifiche sul territorio. Si consumano 
in polemiche interne invece di fronteggiare il comune nemico.
27
In questa situazione il marxismo avrà il compito, come è detto nell'editoria-
le Teatro tra morte e cambiamento, di fare un rinnovato sforzo analitico. Perciò la 
rivista si limiterà ad indicare le condizioni in cui può crescere e svilupparsi il 
nuovo teatro lasciando alla dialettica fra operatori culturali e nuovo pubblico il 
compito di creare le nuove forme.
28
Le condizioni si possono riassumere in questi termini: Autogestione inter-
na, radicamento in un territorio, sovvenzioni non più legate ad una logica poli-
tica ma alla dialettica con il pubblico. 
L’autogestione interna dovrebbe garantire la partecipazione di tutti al lavoro 
teatrale in tutte le sue fasi, da quella organizzativa a quella più propriamente 
spettacolare, e permettere così una maggiore creatività. Questa autogestione 
dovrebbe essere legata, secondo la rivista, alla cooperazione: << Quello che 
spinge il teatrante verso la cooperazione è il rifiuto del molo di salariato produttore, e la ri-
cerca di un ruolo attivo nella compagnia. Si vuole affermare come artista produttore, e questo 
nel teatro coincide con la necessità di una creazione collettiva che non si accorda con un lavo-
ro contrattuale.>>.
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 cfr. Paura di volare. in Scena. 1(1976) n.2, p.5 
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 cfr. Teatro tra morte e cambiamento art. cit. e l'editoriale E la fame?  
29
 Antonio Attisani, Denaro e teatro. art. cit. 
 
 
Capitolo I 
Il radicamento, invece, viene inteso dalla rivista <<come forma di produzione 
non commerciale che si confronta con un territori>>
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; cioè come possibilità di una 
compagnia di stabilirsi in un posto (paese, cittadina, quartiere o borgata di una 
grande città) di lavorarvi e darvi spettacoli in stretto contatto con il "pubblico 
popolare". 
Tutto questo programma dovrebbe realizzarsi in una logica di decentra-
mento inteso come <<vero confronto dell’operatore culturale con la realtà delle masse 
che lottano e con i loro organismi.>>
31
Per raggiungere questi obbiettivi deve cambiare la logica delle sovvenzioni 
ed il sistema di mercato. Secondo la rivista il punto principale delle rivendica-
zioni da parte delle compagnie dovrebbe essere quello di salvaguardare la pro-
pria indipendenza politica ed economica. Solo il rapporto con il pubblico po-
polare dovrebbe fornire un controllo. La distribuzione dovrebbe avvenire sia 
attraverso dei circuiti pubblici decentrati, sia attraverso la moltiplicazione di 
centri polivalenti gestiti da cooperative.
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Tutto ciò dovrebbe portare ad un nuovo teatro popolare, come è indicato 
nell'omonimo articolo del primo numero.
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Teatro popolare non più inteso però né come specchio della subalternità 
del popolo né come strumento di educazione del popolo considerato alla stre-
gua del "buon selvaggio" da acculturare.
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<<Per noi teatro popolare è una tendenza da rifondare, una necessità più che una real-
tà, una risposta ai grandi cambiamenti di questi anni e un accordo del teatro al passo col 
presente.>>
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 Editoriale Teatro tra morte e cambiamento. art. cit. 
31
 Antonio Attisani, Denaro e teatro. art. cit. 
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 Antonio Attisani, Denaro e teatro. art. cit. 
33
 Editoriale Teatro popolare? in Scena I (l976) n.1 pp.3-4. 
34
 Editoriale Teatro popolare? art. cit 
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 Editoriale Teatro popolare? art. cit