4
Nel secondo capitolo ho analizzato la questione dell’educazione 
interculturale. 
Uno degli argomenti più importanti che l'educazione in un contesto 
multiculturale mette in risalto e sul quale indirizza a riflettere è "il ruolo che 
svolge l'altro o in senso più generale l'alterità", in quella che è la 
costruzione dell'identità personale e collettiva, delle conoscenze intese 
come sviluppo di una concezione etnica aperta al dialogo e alla solidarietà 
con coloro che credono in valori morali e religiosi differenti. Viene 
introdotta in questo caso il concetto di "interculturale" con l'intento di 
promuovere rapporti reciproci fra culture diverse.  
Perciò si parla di "un'educazione interculturale" nell'ambito di una società 
multiculturale. Il concetto può venire assunto anche in una visione di misura 
riduttiva, potendosi ad esempio identificare con interventi educativi rivolti alle 
minoranze nella maggior parte etniche per il mantenimento o il recupero del loro 
patrimonio culturale originario; il concetto di educazione interculturale pone 
invece l'accento sul significato positivo della convivenza e della interazione fra 
le culture”. 
1 
"Il futuro dell'educazione sta nel passaggio dalle situazioni di coesistenza del 
multiculturale alla costruzione dell'interculturale che vede l'uomo crescere e 
svilupparsi nel rapporto con gli altri e che si esprime nel dialogo, nella 
negoziazione, nella gestione della pluralità". (Giusti 1992) 
"L'educazione interculturale è l'espressione che esprime la necessità 
emergente del nostro tempo /…/ e si configura come la formula attuale del 
discorso pedagogico generale, è dunque l'evidenziazione di quelle che 
sono le esigenze che ha oggi la nostra società, la nostra cultura". 
2
 
L'educazione interculturale, non si rivolge, solo a gruppi sociali ben distinti, 
ma si pone l'obiettivo di fare partecipe tutti i soggetti, in una correlazione 
attiva, per la formazione di una identità individuale e collettiva.  
 
 
 
_________________________ 
1.Tassinari G., Scuola e società multiculturale. Elementi di analisi multidisciplinare. La 
Nuova Italia, Firenze 1992 
2. Perucca A., Pedagogia interculturale e dimensione europea del’educazione. Pensa 
Multimedia, Lecce 1996 
 5
"Per questo l'educazione interculturale si basa sia sull'esigenza di facilitare 
l'inserimento dell'immigrato attraverso la sua integrazione culturale per 
salvaguardare i tratti specifici dell'identità, ma anche in quella di 
promuovere negli autoctoni l'accettazione, la comprensione ed il rispetto 
per coloro che provengono da sistemi sociali e culturali diversi". 
3
 
Lo sviluppo dell’educazione interculturale è connesso al fenomeno 
dell’immigrazione. 
I bambini e i ragazzi migranti sono sempre più numerosi nelle nostre 
istituzioni scolastiche. La scuola ha un ruolo fondamentale nel sostenere i 
processi di integrazione nella nuova realtà migratoria, sia nei confronti 
delle famiglie, sia nei confronti dei bambini e può essere molto efficace se 
riuscisse a fare da “ponte” fra la cultura del paese di origine e la cultura di 
accoglienza. 
Il progetto interculturale, inteso come apertura alla diversità ma che non 
trascura la costruzione dell’identità nazionale, deve essere realizzato in 
maniera rapida attraverso la costruzione di modalità didattiche nuove, di 
progetti educativi orientati alla cittadinanza e di formazione degli 
insegnanti. 
L’insegnante deve acquisire la conoscenza e la padronanza dei modi di 
relazionarsi, di porsi e di intervenire nel rapporto educativo per preparare  
delle attività di apprendimento che suscitino interesse e coinvolgimento, 
mettendo in atto capacità e strategie di gestione e di superamento dei 
conflitti.  
Questo modo di operare implica la capacità di creare situazioni di 
apprendimento dove gli studenti possano collaborare tra loro facendo 
esperienza di solidarietà, di responsabilità, di stima di sé, di piacere di 
stare con gli altri,  di incoraggiamento, di successo e  di realizzazione di 
obiettivi. 
 
 
 
 
 
____________________ 
3. Fiorucci  M., La mediazione culturale. Armando Editore, Roma 2000 
 6
Il ruolo ricoperto dalla scuola è importante e ha una doppia finalità: non 
solo la scuola deve sapere accogliere e inserire nella società i bambini che 
arrivano da paesi diversi, ma deve saper farli crescere in una prospettiva 
interculturale, deve formarli rendendoli cittadini non solo del Paese che li 
accoglie non solo europei, ma veri e propri “cittadini del mondo". 
4
 
Alla scuola, quindi,  il compito di creare personalità libere, di sostenere 
l’alunno nella progressiva conquista della sua autonomia, nel suo 
inserimento nel mondo delle relazioni interpersonali sulla base 
dell’accettazione e del rispetto dell’altro e del dialogo. 
La scolarizzazione dei minori immigrati in Italia è espressa nelle varie 
Circolari Ministeriali che si sono susseguite in particolar modo negli ultimi 
anni arrivando a delineare uno strumento di lavoro  per l’inserimento e 
l’integrazione degli alunni immigrati il “protocollo di accoglienza” ( DPR 
31.8.99 n.394). 
L’accoglienza è il momento più importante del progetto di educazione 
interculturale perché decide gli sviluppi relazionali e didattici successivi. 
Costituisce il primo passo del processo di integrazione perché indica 
l’orientamento della scuola nell’assumere un ruolo di promozione e 
valorizzazione delle specificità di ciascuno, dimostrando flessibilità, 
disponibilità e attenzione nei confronti dei bisogni dei suoi utenti. 
5
  
L’accoglienza è intesa, anche, come capacità di creare un clima 
relazionale in cui il soggetto si senta accettato, libero di evocare il passato 
senza timore e senza vergogna, invogliato a condividere la sua storia ed a 
entrare in relazione con gli altri. 
Il problema dell’accoglienza viene affrontato anche nel quinto capitolo 
dove ho esaminato la relazione tra scuola e famiglia.  
Il dialogo tra docenti e genitori diventa necessario nel caso delle famiglie 
immigrate, in quanto il supporto degli insegnanti può aiutare i bambini 
stranieri e i loro genitori a sentirsi maggiormente integrati nel sistema 
italiano. 
 
 
__________________________ 
4. Santerini M., Cittadini del mondo. La Scuola, Brescia 1994 
5. Silva C., Educazione interculturale: modelli e percorsi. Edizioni del Cerro, Pisa 2002 
 7
Quando un docente si trova di fronte famiglie provenienti da Paesi diversi 
e portatrici di altre culture il dialogo, tuttavia, può risultare complicato, dar 
luogo a malintesi e, in casi estremi, sfociare in un’incomunicabilità tra le 
parti. E’ necessario anche rendersi conto dell’enorme sforzo che gli 
immigrati compiono per cercare di inserire al meglio se stessi e i propri figli 
nel contesto italiano, ma al tempo stesso di conservare intatte la propria 
lingua e le tradizioni dei loro Paesi di provenienza. L’atteggiamento di 
chiusura che i genitori immigrati a volte manifestano nei confronti del 
mondo esterno può dipendere, infatti, dal timore che il proprio figlio 
assimili troppo rapidamente un nuovo modo di comportarsi e dei valori 
diversi da quelli del suo contesto di provenienza, tanto da trovarsi poi in 
conflitto con la cultura e le tradizioni familiari. Il dialogo tra docenti e 
genitori è in questo senso indispensabile per far sì che il bambino non si 
trovi nella condizione di dover scegliere tra il modello di vita familiare e 
quello scolastico, sentendosi sospeso tra due mondi contrastanti. 
La relazione tra insegnanti e famiglie straniere viene spesso coadiuvato 
dall’importanza di una nuova figura che, da alcuni anni, sta lavorando per 
l’integrazione degli immigrati nelle società e che stanno entrando sempre 
con maggior peso nel panorama scolastico: il mediatore culturale.  
Questa figura riveste un ruolo chiave nel processo di integrazione degli 
stranieri in Italia; in ambito scolastico si pone quale utile anello di 
collegamento tra i genitori immigrati e gli insegnanti.  
La mediazione è uno strumento pedagogico che nasce come legame 
nell’incontro tra culture diverse. Nella sua origine latina, il termine mediare 
assume una varietà di sensi ed utilizzi che vanno dallo “stare in mezzo”, in 
una posizione neutra all’”interporsi”, cioè fare da collegamento e mettere 
in relazione due termini o due soggetti.  
 
 
 
 
 
 
 
 8
L’esigenza della mediazione nasce come bisogno per le società 
multiculturali proiettate nella costruzione intenzionale di società 
interculturali (Susi 1995) in particolar modo quando persone appartenenti 
a culture diverse si trovano coinvolte in attività comunicative reciproche e 
come sostegno e aiuto a una persona affinchè utilizzi meglio le 
informazioni o le strategie più efficaci per risolvere i propri problemi (Sirna 
Terranova 1997). 
Il mediatore ha la funzione di “aprire a nuovi mondi attraverso la lingua di 
mondi lontani a lui noti, di rendere comprensibile una realtà all’altra, di 
fornire la capacità di manifestarsi a persone che in quel momento non ci 
riescono, di dare un pezzo di autonomia a chi è straniero./…/ egli 
costituisce un tramite tra i “mondi”, di cui favorisce la reciproca 
comprensione, rendendo possibile ciò che resterebbe situazione di fatto, 
desiderio e lontananza” (Ferrario 2000). 
 
 
 
 
 
 9
CAPITOLO PRIMO 
IL FENOMENO MIGRATORIO IN ITALIA 
 
 
1. L’ITALIA: DA PAESE D’EMIGRAZIONE A PAESE 
D’IMMIGRAZIONE 
 
 
L’emigrazione è stata una condizione di sviluppo economico dell’Italia in 
due momenti chiave: 
- quello del decollo industriale e delle successive crisi di assestamento 
(1896-1914); 
- quello della crescita e del boom economico dal secondo dopoguerra 
all’inizio degli anni’ 60 (Giusti 1995). 
I primi movimenti migratori dall’Italia, come scrive Zani (2002), si 
diressero, intorno al 1870, verso i territori al di là degli Oceani, dove si 
prospettavano innumerevoli possibilità di lavoro, di vita nuova, di 
realizzazione personale.  
Attirava l’America del Nord con gli Stati Uniti e il Canada,  il Sud America 
con l’Argentina, il Brasile, l’Uruguay.  
Gli italiani emigranti si portavano dietro una cultura fatta di gastronomia, di 
religione, di superstizione, di canto, di buonumore e giorno per giorno 
ricostruivano, come gli altri gruppi di emigrati, reti di rapporti interpersonali.  
Dalla seconda metà del’900 un’altra ondata migratoria italiana si indirizzò 
verso paesi del Nord Europa dove, per la ripresa economica successiva 
alla guerra, le industrie siderurgiche, manifatturiere richiedevano forza 
lavoro (Germania, Svizzera, Belgio, Francia, Gran Bretagna). 
E’ a partire dal 1876 che si effettua una prima rilevazione del numero di 
espatriati e rimpatriati, e prosegue pur con modifiche fino al 1988.  
La periodica rilevazione di tali dati consente di individuare le fasi precise 
dell’emigrazione italiana che si presenta intensa ed interessante per 
essere stata caratterizzata da momenti di intensità ad altri momenti di 
staticità. 
 
 
 
 10
“Nel tempo si è alternata la predilizione verso l’Europa o trans-oceanica 
che risulta connessa con l’area di provenienza essendo la destinazione 
europea preferita, per la maggior parte dai lavoratori dell’Italia 
settentrionale, in particolare dal Veneto”. 
6
 
Dal 1876 all’inizio del 1900 si assiste ad un espatrio di circa 120.000 unità 
annue verso l’Europa e ad un espatrio di circa 400.000 unità annue, dalla 
fine della prima guerra mondiale verso l’America specialmente la 
popolazione del meridione d’Italia. 
Si andava a colmare la forte richiesta di manodopera e di bracciantato in 
grado di svolgere i mestieri più umili. 
Dai primi anni ’20, si verifica una diminuzione dell’emigrazione italiana 
verso l’estero: a partire dall’insediamento del governo fascista si applica la 
politica antimigratoria tesa alla promozione del popolamento delle colonie 
italiane in Africa. 
Negli anni ’30 la politica antimigratoria contrasta il fenomeno migrazione e 
si assiste ad una quasi obbligata espatriata di un numero consistente di 
lavoratori italiani in Germania. 
Alla fine della seconda guerra mondiale si rafforza la richiesta di 
manodopera italiana all’estero ed in modo particolare dai paesi dell’Europa 
centrale occupati nel far fronte alla carenza della popolazione attiva ed in 
età di lavoro, provocata dal recente conflitto. 
A partire dagli anni ’60 i paesi luogo di emigrazione sono la Svizzera e la 
Germania: si delinea la figura del “lavoratore ospite” che alterna periodi di 
lavoro e residenza all’estero a soggiorni di breve durata nel proprio paese 
(l’Italia).  
La fase finale si sviluppa nella seconda metà degli anni ’60, in cui si 
verifica una riduzione dei flussi a causa della crescita del processo 
economico a causa dell’introduzione nel mercato del lavoro di nuova forza 
lavoro proveniente dai paesi del Mediterraneo.  
Negli anni ’70 i processi di emigrazione subiscono un rallentamento sia 
per le politiche di chiusura poste in atto dai governi dei paesi europei, sia 
per il miglioramento delle condizioni socioeconomiche dell’Italia. 
 
_____________ 
6. Natale M., Strozza S., Gli immigrati stranieri in Italia. Carducci Editore, Bari 1997 
 11
“L’italia è solcata da una pluralità di percorsi migratori di breve, medio e 
lungo raggio che denotano una molteplicità di direzioni varie: dal sud verso 
il centro Nord-ovest verso l’est, dai piccoli medi centri a grandi, dalla 
montagna alla collina e alla pianura, il settore agricolo verso il terziario”.
 7
  
Dalla metà degli anni ’70, dapprima lentamente e poi in proporzione sempre 
più consapevole, si registra un’inversione di tendenza e l’Italia s’avvia a 
diventare una terra di immigrazione e sebbene in crescita non ha ancora 
raggiunto i livelli di altre nazioni europee come Germania, Olanda, Francia, 
Inghilterra, da diversi anni mete di flussi migratori (Silva 2002).  
Molti stranieri  (metà anni ’70) si riversano sul territorio italiano in 
conseguenza della messa in atto di politiche restrittive e conseguente 
chiusura di frontiere di Paesi tradizionali d’immigrazione.  
Le conseguenze per l’Italia sono di due generi:  
- diminuzione dell’emigrazione che cessa di essere un fenomeno di massa 
(le rilevazioni statistiche sul numero di italiani all’estero ha assunto un 
interesse minore a partire dagli anni’80; in base ai dati del Ministero degli 
affari Esteri del 1986 erano 5,1 milioni di persone.  
- le ultime stime sono indicative e valutano la presenza italiana di circa 4 
milioni di unità (Bonifazi 1998); 
- inizio del ruolo di Paese di destinazione per un crescente numero di 
stranieri, che diventa più evidente intorno agli anni ’80 per l’accentuarsi 
delle crisi economiche dei Paesi del Terzo Mondo e successivamente di 
quelli dell’Europa Orientale.  
Dunque, “l’Italia è diventata terra d’immigrazione senza volerlo e senza 
neppure saperlo (…). Alla metà degli anni ’70 (…) il nostro Paese divenne 
per un disorientato esercito di immigrati(…) una possibilità per tanti (…) 
appariva addirittura allettante per la facile raggiungibilità dovuta 
all’assenza pressochè assoluta di controlli alle frontiere e di norme 
sull’immigrazione 
 
 
 
_____________________ 
7. Bonifazi  C., L’immigrazione straniera in Italia. Società Editrice il Mulino, Bologna 1998 
8. Bolaffi G., Una politica per gli immigrati. Il Mulino, Bologna 1996 
 12
Secondo l’interpretazione di Melotti (1993), l’Italia comincia a diventare 
Paese di immigrazione dopo la crisi petrolifera del 1973-1974, quando 
l’Inghilterra, la Germania e soprattutto la vicina Francia chiusero le loro 
frontiere all’immigrazione e i flussi migratori furono “dirottati” in parte verso 
il sud Europa (Italia, Spagna e Grecia cosicchè diventano terre di 
immigrazione. Vi agiscono non tanto i fattori di attrazione, poiché gli 
immigrati scelgono tali  Paesi in seconda istanza, quanto i fattori di 
espulsione presenti nei Paesi d’origine. 
9 
Cotesta (1999) sostiene che nel periodo considerato esistevano anche in 
Italia i fattori di attrazione poiché forti erano le trasformazioni economiche 
(la mutata struttura del lavoro, il processo di internazionalizzazione) e 
culturali (l’assunzione di stili di vita più moderni, soprattutto da parte dei 
giovani). In ogni caso il nostro Stato diventa un Paese di facile accesso 
per gli esuli, i profughi e i rifugiati politici. 
Agli inizi degli anni ’70 i cileni, gli argentini e gli uruguayani vanno ad 
aggiungersi ai brasiliani e ai cittadini del Paraguay già presenti nel nostro 
territorio; nella seconda metà del decennio approdano gli egiziani, i 
cittadini dei paesi del Corno d’Africa (Eritrea, Somalia, Etiopia) dea 
Capoverde e dal Salvador.  
Agli inizi degli anni’80 giungono i tamil dello Sri Lanka, i curdi, gli iraniani e 
ancora i somali e gli etiopi.  
Gli uomini s’inseriscono nel basso terziario, le donne per la maggior parte 
nel lavoro domestico (Zani 2002). 
Con gli anni ‘90, in linea con l’aumento progressivo dei flussi migratori, il 
numero degli immigrati è cresciuto in tutte le aree, anche se con 
caratteristiche di insediamento piuttosto diverse, soprattutto in riferimento 
al mercato del lavoro, che varia dall’occupazione agricola al  Sud,  
 
_____________________ 
9. In poco più di un secolo (dal 1876, anno in cui ha avuto inizio la rilevazione ufficiale dei 
dati sull’immigrazione, al 1985) si calcola che gli italiani espatriati siano stati circa 26,5 
milioni (toccando la punta massima nel 1961 con 387.123 espatri). 
Il 1966 è il primo anno in cui il flusso immigratorio supera quello emigratorio (125.168 
contro 123.802). dalla metà degli anni Settanta il numero degli espatri si mantiene al di 
sotto delle centomila unità, numero che di norma è superato invece dai soli rimpatri. 
(Desinan C, Formazione e comunicazione, F. Angeli, Milano 2002)