1. MALATTIE NEURODEGENERATIVE E MECCANISMI PATOGENETICI
La molteplicità dei fattori coinvolti nell'eziologia di malattie
neurodegenerative come il morbo di Parkinson (PD), il morbo di
Alzheimer (AD), la corea di Huntington e la Sclerosi laterale amiotrofica
(SLA), ha reso lo studio di questi disturbi uno dei più interessanti,
nonché enigmatici e problematici, nel campo della biomedicina. Grazie
ai numerosi progressi della ricerca nella comprensione dei meccanismi
patogenetici, si è arrivati a chiarire con il tempo che i principali processi
implicati sono causati, oltre che da fattori endogeni, genetici ed
ambientali, anche dalle abitudini di vita dell'uomo.
Sebbene ogni malattia neuronale possieda dei propri meccanismi
molecolari e manifestazioni cliniche, è stato dimostrato come esse siano
legate da alcune cause comuni, che includono: stress ossidativo
(conseguente ad una eccessiva produzione di radicali liberi),
“misfolding” di proteine e conseguente aggregazione, disomeostasi di
cationi metallici, disfunzioni mitocondriali e alterazione nei processi di
fosforilazione. Recenti studi sono focalizzati sulla comprensione della
correlazione tra i vari fattori e sui meccanismi che portano alla
progressiva perdita di specifiche popolazioni di cellule neuronali. Nel
cervello di pazienti malati di Alzheimer è stata osservata la presenza di
aggregati proteici (placche amiloidi) derivanti da misfolding e
autoassociazione. Specie monomeriche inizialmente formano piccoli
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oligomeri e questi a loro volta inducono in maniera graduale la crescita
di strutture fibrillari (Gaggelli et al., 2006; Bucciantini et al., 2002).
Malgrado siano presenti strutture primarie e secondarie abbastanza
differenti, si è visto che tutte le proteine che andranno a formare tali
fibrille amiloidi, adottano un arrangiamento del tipo β-sheet con l'asse
del peptide orientato perpendicolarmente all'asse della fibrilla (Kagan et
al., 2004). La presenza di epitopi in queste conformazioni suggerisce il
fatto che, nonostante tali proteine siano diverse, possono innescare
meccanismi neurotossici simili. Sebbene gli aggregati proteici così
formati presentino una morfologia istologica e strutturale analoga, i loro
effetti biologici sono distinti e dipendono, infatti, dalle caratteristiche del
tessuto coinvolto e dalla localizzazione dei depositi, se intracellulari o
extracellulari. E' stato osservato che tali aggregati, come la proteina β-
amiloide nel morbo di Alzheimer e l'α-sinucleina nel morbo di
Parkinson, sono interessati nella permeabilizzazione delle membrane
cellulari e mitocondriali; essi sono, pertanto, probabilmente responsabili
della disomeostasi del calcio, della depolarizzazione della membrana e
delle alterate funzioni mitocondriali, caratteristiche comuni di molti
disturbi neurodegenerativi. Tra le cause di più rilevante influenza
all'interno della patogenesi delle malattie neurodegenerative, la ricerca
ha posto particolare riguardo allo studio dello stress ossidativo e alla
disomeostasi dei cationi metallici.
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2. LO STRESS OSSIDATIVO NELLE MALATTIE NEURODEGENERATIVE
Grazie ai numerosi progressi nel campo della genetica molecolare, è
stato largamente evidenziato come i radicali liberi svolgano un ruolo
centrale nell'eziologia delle malattie neurodegenerative. E' importante
ricordare come l'ossigeno (principale protagonista di questo scenario)
rappresenti l'elemento vitale per le cellule ma come, allo stesso tempo,
possa paradossalmente costituire un potenziale pericolo; esiste, infatti,
un delicato e complesso sistema di equilibri necessario per l'utilizzo di
tale componente essenziale.
Le cellule eucariotiche, come conseguenza della normale respirazione
aerobica mitocondriale, consumano ossigeno (O
2
) riducendolo attraverso
passaggi sequenziali e generando acqua (H
2
O)
come prodotto finale.
Inevitabili sottoprodotti di tali reazioni sono le cosiddette specie reattive
dell'ossigeno (ROS) e dell'azoto (RNS) rappresentate da:
• perossido di idrogeno (H
2
O
2
)
• ione superossido (O
2
.-
)
• radicale idrossido (OH
.
)
• ione perossinitrito (ONOO
-
)
In normali condizioni fisiologiche, le cellule possiedono numerosi
meccanismi di difesa contro queste specie, che comprendono sistemi
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endogeni come gli enzimi catalasi (CAT) e superossido dismutasi (SOD)
(principali detossificanti dei radicali liberi), il tripeptide glutatione
(GSH), l'acido urico e la bilirubina. Un ruolo importante è svolto anche
dagli antiossidanti derivati dalla dieta come la vitamina C (acido
ascorbico), la vitamina E (α-tocoferolo), carotenoidi e flavonoidi.
La difesa principale è rappresentata dall'enzima superossido dismutasi
(SOD), che rimuove i radicali superossido catalizzando la conversione di
due di essi in perossido di idrogeno e ossigeno molecolare (Figura 1):
2O
2
.-
+ 2H
+
→ O
2
+ H
2
O
2
Figura 1. Reazione catalizzata dalla SOD.
Il perossido di idrogeno formato da questi processi viene rimosso dalla
catalasi (CAT), una emoproteina ubiquitaria che catalizza la sua
dismutazione in acqua (Figura 2):
2H
2
O
2
→ O
2
+ 2H
2
O
Figura 2. Reazione della catalasi.
L'acido ascorbico può rimuovere molte specie reattive inclusi lo ione
superossido, il radicale idrossilico e gli idroperossidi lipidici (Rice M.E.,
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2000), mentre l'α-tocoferolo, in virtù della sua lipofilia, è
particolarmente utile nel proteggere le membrane dalla perossidazione
dei lipidi.
Il GSH agisce mediante due differenti meccanismi: nel primo esso
riduce direttamente i radicali liberi, nel secondo, si comporta da
donatore di elettroni per la riduzione dei perossidi catalizzata dalla
glutatione perossidasi (GPx) (Figura 3):
2GSH + H
2
O
2
→ GSSG + 2H
2
O
Figura 3. Reazione catalizzata dalla GPx.
Il GSSG viene nuovamente ridotto a GSH dalla glutatione riduttasi, una
flavoproteina che utilizza il NADPH come fonte di equivalenti riducenti.
Quando la produzione di specie reattive dell'ossigeno e dell'azoto
(complessivamente indicate come RONS), eccede la capacità delle cellule
di difendersi da tali sostanze, l'organismo incorre nello “stress
ossidativo” (Simonian & Coyle, 1996); esso si manifesta attraverso
l'ossidazione di lipidi, proteine e DNA, che porta, a sua volta, ad alterate
funzioni cellulari.
Questi processi possono avere effetti particolarmente deleteri e
frequentemente associati a morte cellulare mediante necrosi o apoptosi.
La perossidazione lipidica è molto estesa nel cervello di pazienti malati
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di Alzheimer come dimostrato da vari indicatori, tra cui vi sono le
aldeidi altamente reattive come l'acroleina e il 4-idrossinonenale (HNE)
(Esterbauer et al., 1991).
Il cervello è particolarmente vulnerabile ai danni conseguenti allo stress
ossidativo, a causa dell'elevato consumo di ossigeno per adempiere alle
sue funzioni vitali, dell'alto contenuto di acidi grassi insaturi (facilmente
ossidabili) e di ioni metallici ossido-riducenti.
Sembra esserci un'evidenza sempre maggiore della possibilità che
l'aumento dei danni cellulari mediati da ROS e NOS, possa costituire la
base dei processi di neuroinfiammazione (Floyd R.A., 1999).
A tal proposito, studi recenti sull'ossido nitrico (NO) come comune
secondo messaggero nella trasmissione nervosa, hanno evidenziato il
suo rilascio enzimatico, insieme allo ione superossido, dai macrofagi del
sistema nervoso centrale. L'aumento dei livelli di queste due specie può
dare origine, a pH fisiologico, al (precedentemente citato) ione
perossinitrito; questa molecola è tossica a livello cellulare a causa della
sua capacità di ossidare i gruppi tiolici e di indurre la nitrazione delle
catene laterali aromatiche di tirosina e triptofano. La stessa, inoltre,
può essere ulteriormente protonata e decomporre in radicale idrossido
(Sorond & Ratan, 2000) (Figura 4).
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ONOO
-
+ H
+
→ ONOOH
ONOOH → OH
.
+ NO
2
Figura 4. Decomposizione del perossinitrito in radicale idrossido.
L'attività dei meccanismi di difesa contro i danni dello stress ossidativo
appare essere diminuita nel cervello di pazienti affetti da malattie
neurodegenerative; alcuni studi sembrano supportare l'ipotesi che la
deposizione della proteina β-amiloide giochi un ruolo centrale nella
patogenesi del morbo di Alzheimer e che tale aggregato possa costituire
un legame tra lo stress ossidativo e la morte neuronale (Butterfield et
al., 2001).
Bisogna ancora stabilire se lo stress ossidativo costituisca l'evento
iniziale scatenante la degenerazione neuronale o se sia una sua
conseguenza; infatti, esistono numerose evidenze sperimentali che lo
vedono quantomeno coinvolto nella propagazione delle lesioni cellulari.
Esso è, quindi, intimamente legato ad una serie di fenomeni cellulari
che sembrano contribuire alla morte delle cellule nervose.
L'interazione fra questi diversi componenti non è necessariamente una
cascata sequenziale ma potrebbe essere un circolo di eventi dei quali lo
stress ossidativo è il maggior esponente (Figura 5).
L'inibizione di quest'ultimo potrebbe essere terapeuticamente utile al
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fine di interrompere il ciclo che porta alla morte cellulare e rappresenta
uno degli approcci più significativi nella progettazione di nuovi farmaci.
Figura 5. Specie reattive dell'ossigeno: protagoniste principali nel ciclo di eventi che
portano alla neurodegenerazione.
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