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Escursus sul teatro inglese 
 
 
Capitolo Primo 
 
- il teatro medioevale dalle origini al sedicesimo 
secolo - 
 
 
 
PANORAMA 
 
 
 
l panorama del teatro medioevale inglese, da quasi mezzo 
secolo,è oggetto di attenzione costante da parte degli studiosi. 
L’insieme dei testi drammatici pervenutici e delle testimonianze 
concernenti luoghi, rappresentazioni e attori dimostra la 
diffusione per tutte le isole Britanniche di un’intensa attività 
drammatica, in particolare, per il periodo che sto trattando, dal Decimo 
secolo al primo Rinascimento. A mo’ d’esempio si possono citare 
alcune cifre: i testi, integri o frammentari, sino al regno di Elisabetta 
prima sono circa 160, la documentazione attestante attività 
drammatiche riguarda 395 luoghi, il numero di gruppi di attori di cui è 
rimasta traccia si aggira attorno a 340. 
Come si può notare, quindi, il Medio Evo inglese appare piuttosto 
ricco di rappresentazioni e spettacoli, soprattutto se si tiene conto della 
gran quantità di testimonianze che molto probabilmente è andata 
perduta, sia per vicende naturali sia per gli eventi storici legati alla 
Riforma prima e al governo puritano poi. 
È interessante confrontare questi dati con quanto E.K.Chambers, il 
primo grande studioso e sistematizzatore del teatro medioevale 
inglese, raccolse nel suo Medioeval Stage (1903,329-461): infatti, a 
proposito dei luoghi che presentano testimonianze di attività 
drammatiche, egli enumera meno di 70 località. Quest’unico dato è 
sufficiente a dimostrare la mole di lavoro che i ricercatori hanno svolto 
nel frattempo, in particolare negli ultimi decenni, lavoro che tuttora è 
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in corso. Mi riferisco alla ricerca a tappeto che il gruppo identificato 
con la sigla REED (Record of Early English drama, dal 1976) ha 
compiuto, e sta compiendo ancora, attraverso i Revels accounts di 
corte e delle università, i registri parrocchiali, gli archivi municipali e 
delle corporazioni cittadine, i libri contabili delle case nobiliari e dei 
monasteri, su tutto il territorio delle isole Britanniche. 
Non solo la ricerca documentaria, ha subito una notevole 
accelerazione.Infatti, si è assistito a un progressivo aumento di 
interesse per lo studio della modalità di rappresentazione dei testi 
drammatici e per l’indagine filologica sui testi.Non si tratta, però, di 
un lavoro limitato alla ricerca pura, ma anche di un impegno per la 
riproposizione dei testi medioevali che, sempre più numerosi, sono 
stati presentati al grande pubblico della fine del Ventesimo secolo (ne 
sia prova pur senza entrare nel merito dell’operazione, la messinscena 
di The Mysteries al Cottesloe di Londra da parte del National Teatre 
Company nel 1985). 
Il dramma medioevale quindi è uscito dal limbo in cui la critica stessa 
lo aveva collocato a seguito del confronto, sicuramente perdente con il 
teatro elisabettiano. 
Ci si è reso conto, finalmente, della necessità di storicizzare e 
contestualizzare i testi medioevali, che vanno considerati non con i 
parametri della “poesia” shakespeariana, ma semmai con la vitalità 
teatrale della scena elisabettiana, che tale non sarebbe stata senza la 
vivacità spettacolare e attoriale del teatro che la precede e di cui si 
alimenta.Così i testi, che spesso sono allo stesso tempo programmi 
drammaturgici, riflessioni teoriche sull’arte drammatica, tracce della 
rappresentazione e dell’influsso triangolare tra committenza-pubblico-
testo stesso sono messi in scena ad opera di compagnie 
prevalentemente universitarie legate ai Departments of Drama. 
Per non parlare dei numerosi gruppi che, connessi prevalentemente a 
manifestazioni locali diffuse in tutto il Regno Unito, rappresentano 
forme teatrali del proprio passato, derivate sia da testi ormai 
“canonici”, sia da ricordi folklorici, oltre alla macchina organizzativa 
che, coagulando forze municipali, accademie e teatri, mette in scena a 
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York ogni quattro anni, dopo il primo “Festival of Britain” nel 1951, 
tutto – o parte- del locale ciclo di mystery plays e, ancora il festival di 
Edimburgo che si inaugurò nel 1948 proprio con un testo medioevale, 
Ane Satire of the Thrie Estaitis dello scozzese David Lindsay (Satira 
dei tre stati risalente al 1554), testo che per la sua forte teatralità, fu 
riproposto anche nel 1984 e 1985. 
 
                        
 
   Carro dell’Annunciazione di Lovanio (1594) 
 
 
 
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LE FONTI 
 
 
 
Si può affermare che il mondo anglosassone da oltre due secoli 
raccoglie l’evidenza storica del proprio passato teatrale, con interesse 
antiquario. 
La ricerca storica fornisce molteplici materiali allo studio del teatro 
attraverso la trascrizione di documenti pubblici e privati che 
contengano accenni ad attività teatrali, fosse ance solo sotto forma di 
pagamenti effettuati a favore di attori o di decoratori di scene. Il lavoro 
di ricerca atto a opera del gruppo Reed mira a definire il contesto, o 
meglio i contesti in cui si muove il teatro inglese sino alla chiusura dei 
luoghi teatrali ordinata dai Puritani nel 1642. La collezione di 
documenti tratti dagli archivi più disparati offre così un ampio 
panorama di dati che lo storico del teatro deve interpretare, nel 
tentativo di ricostruire un insieme variegato di attività spettacolari, ma 
dal quale non può comunque prescindere per la ricchezza dei dati 
stessi e per la nuova luce che il reperimento di informazioni prima 
sconosciute getta immancabilmente sulle sistematizzazioni elaborate 
in precedenza. 
Accanto alla massiccia e analitica impresa dei reed si colloca 
Lancashire 1984, un volume più agile e sintetico, poiché le 
informazioni ivi raccolte giungono solo al 1558, anno di ascesa al 
trono di Elisabetta. 
Si tratta di una “topografia cronologica”, come indica il sottotitolo, 
vale a dire di un calendario ordinato per anno e luogo, teso a registrare 
le testimonianze storiche riferibili a specifici eventi drammatici o 
spettacolari.Lo stesso Lancashire (ed. 1978,1980,1982,1984) è autore 
di un utile bibliografia che raccoglie le testimonianze di spettacoli 
apparse in stampadal 1976 al 1983, mentre McGee & Meagher 
(1981,1982) pubblicano il repertorio degli spettacoli stessi. Molto utile 
per il reperimento delle informazioni relative agli spettacoli della corte 
inglese è Streitberger 1994, mentre sono in fase di elaborazione i 
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Records of early Scottish Drama, che allargheranno alla scozia il 
quadro delle attività spettacolari individuate dai Reed. 
Negli ultimi anni, senz’altro sollecitate dai rinvenimenti emersi dai 
Reed, si sono moltiplicate le pubblicazioni che raccolgono documenti 
e testimonianze per una più celere e immediata lettura: tra questi si 
ricordano Tydeman et al.eds.2001 e Wickham et al.eds.2000. Il primo 
The Medieval European stage 500-1550, offre una raccolta di 
testimonianze relative alla rappresentazione del dramma medioevale, 
il secondo, Englissh Pofessional Theatre 1530-1660, presenta 
documenti connessi alla professione dell’attore, alla formazione delle 
compagnie, ai loro itinerari, al controllo censorio. Oltre a volumi che, 
come i reed, offrono tutta la documentazione reperita o a quelli che, 
assieme alla evidenza storica contribuiscono a delineare anche delle 
vere e proprie storie del teatro, come quelli ora descritti, sono di 
particolare importanza le trascrizioni di singoli documenti quali i 
registri di corte dei regni di Edoardo Sesto e di Maria Tudor e di 
Elisabetta Prima, da cui si deducono informazioni circa le spese 
sostenute dalla corte per l’allestimento degli spettacoli, il pagamento 
degli attori e dei musicisti, della manodopera impiegata, il tipo di 
tessuti usati per gli spettacoli a corte, i materiali e le forme delle 
scenografie. 
Un problema a parte è costituito dalla documentazione circa la 
rappresentazione. Non esiste un repertorio unico che le raccolga, ma 
essa è contenuta, anche se in misura ridotta rispetto ad altri tipi di 
informazione, nelle più svariate fonti, comprese quelle già citate. 
Lo studio delle forme di rappresentazione si avvale della ricerca 
iconografica, soprattutto a partire dal volume G.Kernodle From Art to 
Theatre (1944). 
Sulla relazione tra il dramma religioso e le testimonianze delle arti 
visive presenti nelle chiese inglesi si basa sul volume di Anderson 
(1963). Tuttavia occorre essere cauti nel sovrapporre l’interpretazione 
rappresentazionale della iconografia a un progetto di realizzazione 
teatrale di cui non si hanno ulteriori dettagli: ad esempio può non 
essere sempre lecito leggere un quadro, una miniatura o una vetrata 
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istoriata come documento di un determinato spettacolo, quando, al di 
la di correlazionitematiche, manchino specifici riferimenti storici 
ausiliari.  
Bisogna comunque investigare la storia e non citare un singolo 
esempio artistico che spieghi il simbolo o motivo apparso nel dramma, 
questo è affermato da Pamela Sheingorn. 
Può anche apparire arbitrario generalizzare un’informazione relativa 
ad uno spettacolo particolare ed estenderla ad altri simili, soprattutto 
se ci si muove tra le aree geografiche e culturali differenti. 
In ambito anglosassone il rapporto tra arti figurative e spettacolari è 
oggetto di studio particolare del gruppo costituitosi attorno a Clifford 
davidson presso il medioeval institute dell’Università del western 
Michigan a Kalamazoo: questo centro pubblica una rivista semestrale, 
The Early Drama Art, and Music Review e volumi monografici su 
argomenti correlati. 
Lo stesso centro di ricerca ha pubblicato anche una serie dedicata al 
reperimento di testimonianze iconografiche dell’Inghilterra 
medioevale che possono essere di aiuto nello studio interdisciplinare 
dei momenti di spettacolo: per York nel 1978, per Chester nel 1982 
per Coventry nel 1985, per lo Yorkshire nel 1989. 
Quanto alla critica tesa ad evidenziare i rischi di un accostamento 
troppo facile tra arti visive e scenografia (fortemente avvertito in area 
italiana), si rinvia a Zorzi 1978 e 1988, Battisti 1981, ventrone 1989 e 
1991. 
 
 
 
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 Il manoscritto di “The Castle of Perseverance” disposizione del pubblico e di 
elementi scenografici per la rappresentazione (Folger Shakespeare Library, 
washington, V.A.354) 
 
 
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                                                             IL LUOGO 
 
 
 
La testimonianza storica di teatri romani in Gran Bretagna si basa 
quasi esclusivamente su reperti archeologici, quali maschere tragiche 
ritrovate in varie località delle Isole Britanniche. Si sa che esistevano 
teatri in alcuni centri, ma non si hanno notizie circa le 
rappresentazioni. 
Parimenti scarsa è la documentazione relativa all’ato Medio Evo, ma 
che spettacoli di qualche tipo esistessero è documentato per lo meno 
da veri interventi ecclesiastici contrari a “jacos vel ludos”, anche se 
non ci è dato di conoscere la natura di questi intrattenimenti. Alla fine 
del Decimo secolo è attestato il primo “Quem quaeritis” sul territorio, 
a Winchester, seguito un secolo dopo da uno analogo a Canterbury. 
L’affinità tra queste prime forme di drammatizzazione liturgica interna 
all’edificio di culto e simili manifestazioni nel Continente è 
sottolineata da Young (1933). Nel secolo Dodicesimo soprattutto per 
influsso della corte plantageneta, compaiono i primi testi 
probabilmente staccati dalla liturgia in senso stretto e non 
necessariamente rappresentati entro la chiesa, vale a dire miracoli 
della Vergine e dei santi e vite dei santi, scritti in volgare anglo-
normanno. 
L’argomento, pur sempre religioso, non è strettamente legato alla 
formula liturgica anche se il titolo latino del manoscritto più famoso 
suona Orlando Repraesentations Adae ovvero Mystère d’Adam. 
Se lo spazio dell’edificio liturgico diviene, a partire dal decimo secolo, 
spazio teatrale, è pur vero che la taverna, la piazza, la sala nobiliare o 
il prato del villaggio conservano per il tutto il Medio Evo una spiccata 
funzione teatrale. Non sono luoghi deputati alla rappresentazione, 
sono luoghi “altri”, ma le tracce conservate in testi successivi lasciano 
intravedere la capacità della recita folklorica di crearsi il proprio 
spazio con formule quali: 
 
 
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Largo, largo, miei bravi signori 
Fateci spazio, dobbiamo parlare; 
Siamo venuti qualcosa a mostrare 
in questo felice natale (Chambers 1933,6) 
 
Nelle Isole Britanniche, per trovare un luogo appositamente adibito a 
spettacoli, occorre attendere il 1567, anno a cui risalgono i lavori del 
Red lion, il primo teatro pubblico di cui si abbia per ora notizia. 
Nel frattempo molti luoghi possono divenire spazio scenico, o farsi 
scenografia naturale di una rappresentazione. 
 
 
 
Frontespizio di “Fulgens and Lucres”(the Huntington Library,San Marino,California) 
 
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IL LUOGO APERTO: LA CITTA’ 
 
 
 
Come in tutto il resto d’Europa, anche in Gran Bretagna sia il sagrato 
della chiesa che la piazza el mercato sono i luoghi della città adibiti, 
quando necessario, a rappresentazioni e spettacoli, di tipo religioso 
(ma non liturgico) il primo, di tipo profano ad opera di mimi e attori 
girovaghi la seconda. La peculiarità del teatro inglese del Medio Evo, 
però sta nell’utilizzazione della intera città in quanto tale come spazio 
che accoglie la recita. Quando, a seguito della proclamazione 
definitiva della festività del Corpus Domini nel 1311 da parte di 
Clemente V, le manifestazioni già organizzate per il periodo pasquale 
si spostarono verso questa giornata (anche più propizia per le 
condizioni climatiche), la città stessa prese in mano l’organizzazione 
della processione connessa alla celebrazione dell’Eucarestia. Non solo 
il clero partecipa alla occasione, ma anche le corporazioni cittadine 
che mettono in scena gli episodi della storia sacra, del Vecchio e del 
Nuovo Testamento. 
Le prime notizie della celebrazione del Corpus Domini in Gran 
Bretagna risalgono al 1318, ma probabilmente già in precedenza la 
festività veniva osservata. I membri delle corporazioni artigiane 
dovevano partecipare alla processione dell’ostia nei loro abiti distintivi 
e, come per ogni festività, il momento diveniva occasione di incontro e 
festa che superavano la rigidità della gerarchia medioevale. 
Attori girovaghi e menestrelli molto probabilmente diventavano i 
protagonisti delle fiere e del mercato, ma la stessa celebrazione 
religiosa assunse la potenzialità della festa profana e alla processione 
dell’ostia consacrata si unì quella dei carri su cui si rappresentavano 
gli eventi biblici. 
I testi di questi episodi, quasi sicuramente scritti all’origine ancora dal 
clero, sono in volgare e laici sono gli attori: i membri delle 
corporazioni allestiscono i carri e provvedono alla recita, lasciando ad 
attori professionisti solo alcune parti. 
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Il clero, che probabilmente recitava nelle prime rappresentazioni, 
viene più volte distolto da questo tipo di partecipazione. 
La città medioevale, quindi, offre i suoi primi spazi per la 
messinscena, professionale o fissa, spazi che vengono ulteriormente 
delimitati dal palcoscenico che creano un minimo di demarcazione tra 
il pubblico e l’evento drammatico, anche se, proprio per la ristretta 
contiguità tra i due, le tematiche rappresentate e il carattere non-
illusionistico della rappresentazione, l’interrelazione tra spettatori e 
scena risulta tra le più strette. 
Quando non si recitano i miracoli o i misteri, le strade della città sono 
il luogo di altri spettacoli organizzati per le entrate reali o cortei 
municipali, che spesso impiegano carri il cui allestimento appare non 
dissimile da quello dei pageant religiosi. 
Accanto a tutto questo si collocano, come si è anticipato, le 
manifestazioni spettacolari in città e villaggi in occasione di festività 
sacre e profane, spesso allestite per raccogliere fondi a favore delle 
attività parrocchiali o per necessarie opere di conservazione e restauro 
dell’edificio di culto. 
Sotto il nome generico di “church ale” (festa parrocchiale della birra), 
si raccolgono, infatti, molte attività ludiche che vanno dalla 
rappresentazione di veri e propri testi drammatici a lotte tra animali, 
alla ricerca di singoli episodi della storia sacra. 
In questi casi le recite avvenivano ad opera non solo di gruppi 
amatoriali locali, ma anche di attori itineranti. 
 
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IL LUOGO CHIUSO: LA SALA EI BANCHETTI  
 
 
 
Come le strade della città, anche le sale delle taverne e quelle dei 
banchetti delle case nobiliari, di monasteri e università sono luoghi 
polivalenti della società medioevale. 
Della taverna si usa spesso il cortile, quale area che, all’occasione, si 
trasforma in spazio scenico ove rappresentare un dramma folklorico, 
ma nei mesi invernali (tra Natale e l’epifania), è l’interno della 
locanda che offre lo spazio per gli intrattenimenti. Nelle case private la 
sala del banchetto vede, nello stesso periodo dell’anno, forme 
spettacoli denominante mummings (mascherate). 
In realtà le leggi cittadine proibiscono di girare per le strade con 
travestimenti e maschere sul volto (un decreto emesso a Londra nel 
1418). 
Tuttavia, soprattutto se sotto la maschera si celano persone conosciute 
dal padrone di casa, i mummers sono i benvenuti, tanto che il 
mumming popolare diventa uno degli spettacoli preferiti della corte 
medioevale. 
Il mumming di corte, o disguising come spesso viene definito 
(travestimenti), può arricchirsi di un testo recitato da un presentatore, 
come pare plausibile dai mummings scritti da John Lydgate tra il 1427 
e il 1435. 
La partecipazione delle maschere non coinvolge per ora, i nobili o la 
corte riunita nella sala del banchetto e occorre attendere il regno di 
Enrico VIII perché, al termine dello spettacolo, si svolgano danze tra 
le maschere stesse e i cortigiani. 
La sala del banchetto della casa nobiliare costituisce lo spazio chiuso 
in cui si rappresentano spettacoli più brevi dei cicli, soprattutto quelli 
che non richiedono macchine e apparati scenografici complessi. 
La sala in genere di forma rettangolare, prevede, su di uno dei lati 
minori, una o due uscite verso le cucine, che ben presto vennero 
nascoste da un pannello in una sorta di corridoio tra cucine e sala e 
isolava la sala stessa dal movimento esterno. 
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Proprio la sala dei banchetti di corte è lo spazio che subirà (nel XVII 
secolo), le maggiori trasformazioni, sino a divenire un vero e proprio 
teatro chiuso. 
Nei secoli XV e XVI essa resta la sede provvisoriamente adattata a 
rappresentazioni allegoriche e a drammi; tuttavia la corte sembra 
disporre anche di una sala separata in cui sovrano e cortigiani si 
spostano al termine del banchetto per assistere agli spettacoli. 
La corte non risparmia spese per le decorazioni e l’allestimento 
scenografico e per particolari effetti di luce, come una lanterna 
trasparente, costruita nel 1501 per i festeggiamenti in occasione del 
fidanzamento di Caterina d’Aragona col principe Arturo primogenito 
di Enrico VII, capace di contenere “più di cento grandi fonti luminose 
[…] e 12 belle dame travestite e visibili perfettamente attraverso la 
lanterna”. 
Invece nelle sale nobiliari l’illuminazione durante le rappresentazioni 
pare fosse garantita dalle sole torce normalmente collocate per il 
banchetto. 
Circa nel 1512 i disguisings di corte, a pochi anni dall’ascesa al trono 
di Enrico VIII, si trasformarono in veri e propri masques, con il ballo 
finale tra personaggi mascherati e cortigiani, come testimonia Edward 
Hall, il famoso storico Tudor, nella sua cronaca. 
 
 
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L’EVENTO E LA MESSINSCENA 
 
 
È problematico separare, il discorso sulla messinscena da quello dello 
spazio scenico. Lo spettacolo è, ovviamente un unicum difficilmente 
suddivisibile nelle sue parti, se non a scopo analitico, un evento che si 
basa sull’interazione funzionale e multimediale di ogni sua 
componente. 
È necessario, tuttavia, individuare dei tratti che permettano di 
ritagliare delle unità discrete e singolarmente proponibili. Pertanto 
considerando attendibili le considerazioni fornite sui luoghi degli 
spettacoli, quella seguente sarà una carrellata sui vari tipi di spettacoli 
e i vari luoghi che li ospitarono. 
 
 
 
 
Il frontespizio di “Cambies” con le indicazioni per il doubling (British library, C 34 d.56)