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INTRODUZIONE 
Definizione di travaglio fisiologico vs rischio ostetrico. 
Un evento viene definito fisiologico quando è proprio dell‟organismo nelle sue 
normali funzioni vitali (Sandron, 1987). L‟espressione “fisiologico” è sinonimo di 
salute. 
Al contrario, un evento viene definito patologico quando rileva uno stato morboso, 
un insieme di condizioni anomale che denotano disfunzioni o crisi dei processi vitali 
(Sandron, 1987; Ganzanti, 2000). La manifestazione del sintomo pone la persona in 
una condizione di necessità diagnostico-terapeutica, volta all‟individuazione e, 
possibilmente, alla rimozione della causa che è all‟origine della patologia. 
Nella maggioranza dei casi la gravidanza è un evento fisiologico e in quanto tale non 
necessita di alcuna cura medica. Il ruolo degli operatori in campo ostetrico è dunque 
esclusivamente di sorveglianza, finalizzato a verificare che l‟evoluzione del processo 
si mantenga entro i limiti della fisiologia.  
Gli scopi della gestione ostetrica alla gravidanza fisiologica sono: 
- Identificare in fase preconcezionale indici e fattori per la riproduzione; 
- Verificare l‟assenza di fattori di rischio all‟inizio della gravidanza e 
impiegare tutti i mezzi clinici, laboratoristici e strumentali atti a controllare 
che il decorso della gravidanza rimanga fisiologico; 
- Controllare il benessere materno e fetale all‟avvicinarsi del termine della 
gravidanza. 
Infine, un evento viene definito a rischio quando sussiste la possibilità di 
conseguenze dannose o negative a seguito di circostanze non sempre prevedibili. 
In medicina legale, il rischio è così classificato: 
- Comune, quando si ha la possibilità che si verifichi un evento sfavorevole; 
- Generico, quando si ha la possibilità che l‟evento sfavorevole annulli o 
diminuisca le capacità di ogni individuo nell‟identico modo; 
- Specifico, quando dipende da condizioni particolari afferenti al singolo 
individuo. 
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In ostetricia il concetto di rischio assume connotazioni peculiari, poiché è dinamico e 
sono coinvolti due soggetti (madre e nascituro). 
Per rischio ostetrico s‟intende la presenza di un rischio che può manifestarsi con 
complicanze per la madre e/o il feto/neonato durante il percorso nascita (gravidanza, 
parto e puerperio). 
Ogni gravidanza può presentare uno o più rischi e diversi livelli si rischio. 
Il concetto di rischio è dunque dinamico poiché un determinato rischio in uno 
specifico momento della gravidanza non necessariamente condiziona l‟esito 
dell‟evento. 
La presenza del rischio e la sua entità va valutata in fieri durante la gravidanza stessa, 
con lo scopo di valutare e prevedere i problemi prima che si presentino conclamati in 
patologia. La valutazione dinamica permette all‟operatore di classificare le 
gravidanze in: a basso rischio o a rischio elevato. 
La valutazione del livello di rischio è funzionale alla pianificazione della 
sorveglianza clinica, che sarà quindi di I livello nelle condizioni di basso rischio e di 
II e III livello nelle condizioni di rischio medio o elevato. Una gravidanza che inizia 
in condizioni di salute è potenzialmente fisiologica sia per la madre sia per il 
feto/neonato. 
L‟eventualità del rischio non giustifica la medicalizzazione della gravidanza, laddove 
un determinato intervento non è reso necessario da una specifica condizione di 
rischio o circostanza clinica. Ogni operatore che si propone come riferimento per una 
gravidanza deve confrontarsi con questo concetto, che presuppone conoscenze 
scientifiche su come si manifesta un evento, sia in termini di fisiologia che di 
patologia, al fine di impostare un piano assistenziale che si avvalga di interventi 
appropriati. Nonostante la maggior parte delle gravidanze e delle nascite siano eventi 
fisiologici, in quasi tutti i Paesi con sistemi sanitari sviluppati si è assistito a un 
progressivo aumento nella frequenza di procedure diagnostiche e terapeutiche 
complesse e invasive, che dovrebbero essere riservate solo alla quota di gravidanze e 
parti a rischio più elevato (10-30%, Regalia et al., 2000). Del resto non è mai stata 
dimostrata una relazione significativa tra l‟aumento del numero di controlli medici in 
gravidanza e la diminuzione del tasso di mortalità perinatale, che in Italia ha iniziato 
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il suo trend in discesa molto prima dell‟avvento dei moderni interventi ostetrici, 
verosimilmente grazie al generale miglioramento degli standard di vita associati a 
una migliore alimentazione, a un aumento dell‟altezza media delle donne, a un minor 
numero di parti nelle donne giovanissime e anziane e a una riduzione del numero 
medio dei figli per donna (Donati, 2001). 
Inoltre, l‟uso estensivo di esami, test diagnostici e interventi ugualmente prescritti 
nelle condizioni di rischio/patologia, da una parte allontana sempre di più nella 
percezione soggettiva delle donne il concetto di esistenza della normalità come status 
prevalente, dall‟altra rende sempre meno socialmente accettabile l‟eventualità di un 
esito infausto, anche quando questo è imprevedibile. 
Individuare il profilo di rischio in una gravidanza è necessario e funzionale al fine di: 
- Impostare un piano d‟assistenza che preveda interventi congrui al livello di 
rischio valutato in fieri durante la gravidanza stessa; 
- Individuare la figura sanitaria idonea a gestire la gravidanza in funzione del 
livello del rischio (ostetrica/o, ginecologo, altro specialista); 
- Individuare il luogo del parto idoneo per quella specifica gravidanza in 
funzione del livello di rischio. 
In quest‟ottica, evidenze scientifiche dimostrano una riduzione non solo delle 
complicanze in gravidanza, ma anche un miglioramento degli esiti dell‟evento parto, 
soprattutto se questo processo è attuato in un contesto assistenziale organizzato 
secondo un modello di continuità dell‟assistenza (Lisa, La prova, 2001). 
Sul piano clinico una gravidanza viene definita fisiologica quando, giunta all‟inizio 
del travaglio di parto, presenta le seguenti caratteristiche: 
 ι Anamnesi medica ed ostetrica fisiologica; 
 ι Feto singolo in presentazione cefalica con battito cardiaco fetale regolare; 
 ι Assenza di patologia fetale nota; 
 ι Epoca gestazionale compresa fra 37+0 e 41+6 settimana (confermata con 
ultrasuoni); 
 ι Sacco amniotico integro o rottura delle membrane <24 ore con liquido 
amniotico limpido; 
 ι Peso fetale previsto compreso tra 2500 e 4000 grammi; 
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 ι Placenta normalmente inserita; 
 ι Travaglio insorto spontaneamente; 
 ι Assenza di patologia materna che rappresenti una controindicazione al 
travaglio di parto e che richieda una sorveglianza intensiva. 
La scelta di questo argomento è stato per me motivo di grande soddisfazione in 
quanto evidenzia l‟importanza del ruolo ostetrico nella gestione della gravidanza 
definita  fisiologica, ma si ricorda che ogni gravidanza non è mai priva di rischi.  
Nel primo capitolo ho ritenuto opportuno introdurre il ruolo dell‟ostetrica in base 
all‟art. 1.5 DM 740/94 dove viene riconosciuta all‟ostetrica la competenza per 
l‟assistenza alla gestante fisiologica e il tempestivo riconoscimento di situazioni 
potenzialmente patologiche che richiedono la supervisione medica. L‟ostetrica/o, 
dunque «gestisce, come membro dell‟équipe sanitaria, l‟intervento assistenziale di 
propria competenza» (art. 1.3 DM 1994) in autonomia (basso rischio) e in 
collaborazione con altre figure professionali (medico, ostetrica/o, internista, 
neonatologo, ecc.) in situazioni patologiche (rischio elevato). In ambedue le 
situazioni cliniche (basso rischio e rischio elevato) l‟ostetrica è la figura 
professionale di riferimento, il filo conduttore e, attraverso un processo di 
accompagnamento permeato sulla relazione, imposta l‟assistenza in funzione dei 
bisogni della persona assistita in senso globale (bio-psico-sociale).  
I capitoli successivi trattano nello specifico l‟evoluzione del travaglio di parto dalla 
fase della diagnosi, fino al post-partum, evidenziando i vari periodi (Dilatante, 
Espulsivo, del Secondamento, del Post-Partum). 
L‟evoluzione del travaglio verrà trattata sia dal punto di vista fisiologico che 
patologico evidenziando le eventuali complicanze che si possono presentare 
all‟ostetrica durante le vari fasi del parto.  
 
 
 
 
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CAPITOLO I 
Travaglio 
 
1.1  Il ruolo dell’ostetrica 
Tra gli operatori sanitari dell‟area travaglio/parto all‟ostetrica/o viene riconosciuta la 
competenza per l‟assistenza alla gestante fisiologica (art.1 D.M.740/94) e per 
l‟individuazione e definizione (diagnosi ostetrica) di situazioni potenzialmente 
patologiche che richiedono intervento medico, inoltre, l‟ostetrica deve praticare, ove 
occorra, le relative misure di particolare emergenza. 
L‟identificazione di situazioni potenzialmente patologiche vengono evidenziate 
mediante controlli regolari dei parametri materni (frequenza cardiaca, pressione 
arteriosa, temperatura) e fetali (BCF e caratteristiche del Liquido Amniotico). 
E‟ parte integrante e fondamentale del ruolo dell‟ostetrica/o garantire un‟assistenza 
personalizzata alla partoriente (personal attention), creando un ambiente protettivo, o 
meglio, familiare intorno alla partoriente o alla coppia, in modo che si senta 
protagonista dell‟evento parto e non un soggetto passivo.  
In altre parole, l‟ostetrica ha il compito di sostenere la partoriente psicologicamente e 
professionalmente, favorendo tutte le azioni volte all‟accoglienza e presa in carico, 
informandola sulle procedure di routine, rispondendo agli eventuali quesiti, 
chiedendole come desidera essere chiamata e garantendo, sempre, la massima 
riservatezza alla donna nell‟espletamento di tutte le manovre assistenziali, anche in 
presenza di studenti e specializzandi. In quest‟ultimo caso la partoriente deve dare il 
suo consenso. 
È importante che l‟ostetrica operi in modo empatico, trasmettendo tranquillità alla 
donna, rassicurandola sulle condizioni del feto e sull‟andamento del travaglio e, se 
possibile, informarla sull‟ora probabile del parto. 
Tanto più l‟ostetrica sarà in grado di svolgere tali compiti, tanto minore sarà la 
frequenza di analgesia, parto operativo, trauma perineale, febbre materna, 
depressione postpartum e valutazione negativa sull‟esperienza parto. 
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1.2 Definizione: “Travaglio di parto” 
Il complesso di fenomeni, meccanici e dinamici che, integrati fra loro, conducono 
all‟espulsione del feto e dei suoi annessi (placenta, membrane amnio-coriali e 
funicolo) dall‟organismo materno costituisce il “Travaglio di parto” o, più 
semplicemente il “parto”.  
Il parto è l‟evento terminale di una gravidanza nella quale il feto, che normalmente si 
trova nella cavità uterina in situazione longitudinale con la testa rivolta verso il 
basso, dovrà percorrere un canale costituito dal segmento inferiore uterino, dal collo 
dell‟utero (o meglio dal canale cervicale), dalla vagina contornata dai muscoli 
perineali, infine dalla vulva, spinto dalle contrazioni uterine e dalle contrazioni 
volontarie dei muscoli del cosiddetto “torchio addominale”.  
Il canale molle, inoltre, è parzialmente contornato da una cintura ossea pressoché 
rigida formata dal piccolo bacino (o pelvi); tale cintura costituisce il canale osseo. 
 
1.3 Prognosi del travaglio 
L‟evoluzione e la conclusione favorevole del travaglio dipendono dalla possibilità di 
confronto fra il feto e il canale del parto e dal coordinato svolgimento dei fenomeni 
del fatto per effetto di una forza adeguata. Bisogna sottolineare che per conclusione 
favorevole si intende non solo il passaggio del feto attraverso il canale del parto, ma 
la nascita di un neonato in buone condizioni di salute.  
Da quanto detto si può evincere che la prognosi del travaglio dipende: 
 ι Dai fattori del parto; 
 ι Dalle condizioni del feto; 
 ι Dal fattore tempo; 
 ι Dallo svolgimento dei fenomeni Meccanici – Dinamici – Plastici. 
 
 
 
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 ι Fattori del parto 
Forza o Contrazione Uterina 
Causa del parto è la contrazione dell’utero alla quale nel corso del travaglio si 
sommano le forze attive dei muscoli addominali e del diaframma (forze ausiliarie). 
Tra le due componenti maggiore importanza spetta alle contrazioni uterine senza le 
quali il parto non può avvenire, questo perché la forza fa progredire il feto nel canale 
del parto grazie a due peculiarità: 
a. Triplice gradiente cranio-caudale di contrazione. 
In condizioni di parto normale la contrazione uterina fisiologica presenta tre 
gradienti in senso cranio-caudale (peristalsi della contrazione uterina): 
- Gradiente di propagazione. Capacità della contrazione di propagarsi come 
un‟onda dal fondo, precisamente a livello degli angoli tubarici, ai segmenti 
sottostanti del viscere, ad una velocità di circa 2 cm al secondo e, in caso di 
diffusione regolare, tutti i segmenti della parete uterina raggiungono l‟acme 
della contrazione quasi nel medesimo tempo. Ciò dipende dal fatto che nelle 
zone più distanti dai corni uterini la fase di incremento è più rapida che nelle 
zone adiacenti ad essi. 
- Gradiente di intensità. Avere intensità gradualmente decrescente dal fondo 
al collo dell‟utero. 
- Gradiente di durata. Avere durata gradualmente decrescente dal fondo al 
collo dell‟utero. 
Per ciò che concerne l‟intensità e la durata della contrazione uterina, 
diminuiscono man mano che si procede dal fondo uterino verso il collo. 
 
b. Retrazione uterina 
La Retrazione uterina rappresenta la capacità del miometrio del fondo dell‟utero di 
accorciarsi permanentemente dopo ogni contrazione. 
 
 
 
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 Tale capacità ha tre effetti: 
- Finché il feto non progredisce nel canale del parto la retrazione del miometrio 
del fondo causa l‟allungamento delle fibre muscolari sottostanti, quindi 
l‟espansione del segmento uterino inferiore; 
- Iniziata la sua progressione nel canale del parto, dopo ogni contrazione il feto 
viene mantenuto al livello di discesa raggiunto con la stessa contrazione, in 
quanto la retrazione del fondo ne impedisce la risalita durante la pausa fra una 
contrazione e l‟altra; 
- Dopo l‟espulsione del feto, la retrazione uterina determina il distacco e 
l‟espulsione della placenta come pure l‟emostasi muscolare del post-partum. 
Per conto, l‟insufficienza o la mancanza delle forze ausiliarie non pregiudica del tutto 
la possibilità di espletamento del parto, anche se può creare notevoli difficoltà e 
rallentamenti. 
La contrazione uterina è involontaria, peristaltica, intermittente e durante il travaglio 
è percepita come dolorosa, sia perché vengono stirate le strutture neuromuscolari, i 
legamenti e il peritoneo, sia perché vengono stimolate le terminazioni nervose 
intramurali.  
Il dolore provocato dalle contrazioni uterine in travaglio di parto ha diverse 
componenti per la maggior parte deriva dallo stiramento delle strutture muscolo 
fibrose del collo dell‟utero e del segmento uterino inferiore, in parte origina dalla 
compressione diretta delle terminazioni nervose intramiometriali, da una relativa 
ipossia delle fibrocellule muscolari ed infine dalla sollecitazione meccanica sul 
perineo. 
Ad ogni contrazione uterina (durata massima 60 secondi) subentra un periodo di 
pausa che ad inizio travaglio è di 10-15 minuti e con l‟avanzare del travaglio si 
riduce a 2-3 minuti. La pausa non ha durata inferiore al minuto perché l‟utero, 
contraendosi, provoca chiusura dei vasi sanguigni utili agli scambi materno - fetali 
con riduzione dell‟ossigenazione fetale che verrà compensata proprio dal ripristino di 
un flusso  regolare di sangue nell‟intervallo tra una contrazione e l‟altra. 
 
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Ogni contrazione miometriale genera un aumento di pressione all‟interno della cavità 
uterina che può essere misurata con appositi strumenti: 
- Tocodinamometria Esterna  
 
Figura 1. 1 Tocodinamometria Esterna. 
 
 
 
 
 
 
Gli strumenti applicati sull‟addome (Figura 1.1) valutano le variazioni di consistenza 
del viscere mediante un dinamometro che traduce le variazioni meccaniche in 
variazioni elettriche proporzionali, quindi consente di valutare con una certa 
precisione soltanto la frequenza delle contrazioni, mentre su ampiezza, durata e tono 
miometriale di base fornisce solamente indicazioni relative, in quanto è influenzata 
da fenomeni differenti dalla contrazione uterina (ad esempio abbondanza di tessuto 
adiposo).  
 
- Tocodinamometria Interna 
Si tratta di una metodica invasiva (Figura 1.2) 
che misura la pressione intrauterina mediante 
sonde inserite fra sacco amnio coriale e parete 
uterina, a membrane integre, oppure nella 
cavità amniotica, dopo la rottura delle 
membrane amnio coriali, e collegate a un 
trasduttore di pressione esterno. Tale 
metodica consente una valutazione esatta del 
tono di base e dell‟ampiezza, della durata e della frequenza delle contrazioni. 
Figura 1.2 Tocodinamometria interna