Introduzione
Pettegolézzo: chiacchiera da pettégolo; discorso malizioso e indiscreto su qualcuno
specialmente sulla sua condotta.
[Lo Zingarelli 2004, vocabolario della lingua italiana, Zanichelli]
Reputazione: opinione nei riguardi di qualcuno; considerazione, stima.
[Lo Zingarelli 2004, vocabolario della lingua italiana, Zanichelli]
Come si può facilmente intuire da questa prima definizione di pettegolezzo, esso viene
generalmente considerato nella sua connotazione negativa.
Durante lo svolgimento di questa tesi, si potrà invece apprendere come molti studiosi lo
definiscano una normale e, nei limiti, innocua attività comunicativa e come addirittura sia
investito di proprietà normative necessarie per la sopravvivenza dei gruppi sociali.
Resta da spiegare il perché di questo connubio tra pettegolezzo e reputazione.
Un primo legame è da ricercare nella appena citata funzione di mantenimento dell’ordine
sociale. Sia la reputazione, sia il pettegolezzo contribuiscono a controllare l’adesione alle
norme sociali da parte degli individui, in quanto riguardano prevalentemente la vita privata
e le caratteristiche più profonde, spingendoli all’autocontrollo.
Il secondo legame è evidente: il pettegolezzo influisce sulla formazione della reputazione.
Inoltre, non di rado, gli individui vengono a conoscenza della propria reputazione
(processo essenziale per la “manutenzione” di questa ma, come avremo modo di
approfondire, non sempre facile da attuare), proprio tramite i pettegolezzi.
In terzo luogo, come sostiene Bromley (1993), le dicerie ed i pettegolezzi (che
erroneamente sono spesso considerati sinonimi) costituiscono la reputazione secondaria,
che si forma attraverso le opinioni che non si basano sul contatto diretto con la persona in
questione.
Di conseguenza, assumendo come vere le opinioni di terzi, si dà credito a dei pettegolezzi,
che non necessariamente corrispondono alle reali caratteristiche di una persona o di
un’entità, ma che contribuiscono comunque a formarne la reputazione.
Un ulteriore legame tra pettegolezzo e reputazione proviene dal ruolo di alcune figure
particolari come gli insegnanti, i genitori, i religiosi.
Queste persone detengono una cosiddetta “relazione di potere” [Emler e Reicher, 1995]
che gli permette di esprimere liberamente le proprie opinioni, mettendoci direttamente al
corrente della nostra reputazione.
Si verifica un processo analogo per ciò che riguarda i pettegolezzi.
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Introduzione
Queste figure, che detengono uno status particolare, possono rivelarci chiaramente ciò che
altre persone non si permettono di comunicarci perché moralmente scorretto.
Tra le svariate funzioni del pettegolezzo infatti, c’è anche quella di veicolare gli
ammonimenti e le considerazioni che il “buon senso” sconsiglia di rendere esplicite.
Tramite il pettegolezzo, spesso dopo molte “peripezie”, il messaggio arriva ugualmente a
destinazione, con il vantaggio di non dover affrontare direttamente un argomento ritenuto
spiacevole.
In conclusione, l’ultimo aspetto che mi permette di trattare insieme pettegolezzo e
reputazione: entrambe rappresentano una forte critica alla teoria della società di massa.
Secondo questa tesi, a causa delle dimensioni, la società di massa sarebbe necessariamente
organizzata secondo modalità del tutto differenti da quelle che possono funzionare in una
comunità dalle dimensioni ridotte. Ciò implicherebbe l’assenza dei pettegolezzi e delle
reputazioni, in quanto richiedono come requisito per la propria esistenza le reti sociali che
si formano tra gli individui (quelle che, secondo questa teoria, si sarebbero dissolte).
La teoria della società di massa ha goduto di grande influenza, ma non è mai stata
dimostrata ed il perdurare della presenza di pettegolezzi e reputazioni rappresenta
l’evidenza della sua fallacia.
Per dirla con il titolo del volume di Fischer [1981], ancora oggi “viviamo fra amici” e, si
dovrebbe aggiungere, potenziali nemici [Bailey, 1971].
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Il pettegolezzo
IL PETTEGOLEZZO
1. Primo approccio
Il requisito fondamentale per lo sviluppo della pratica del pettegolezzo è la presenza di una
rete sociale.
I gruppi vivono di comunicazione. Comunicare è importante a tal punto che l’essere umano
lo fa anche quando sul piano funzionale non è indispensabile per raggiungere i propri
scopi.
In questo modo si spiega la pratica del pettegolezzo, come un bisogno vitale di comunicare
che spinge a parlare degli altri membri di un gruppo in termini positivi o negativi,
esprimendo giudizi e raccontando aneddoti.
Attraverso diversi studi, si è riscontrato che gli individui si scambiano regolarmente
informazioni sulle loro conoscenze comuni [Emler & Fisher, 1981; Emler, 1989]. Come
risulta da una ricerca condotta da Emler e Reicher [2000], la gente tende a parlare
soprattutto di se stessa, ma l’argomento immediatamente successivo è costituito proprio dai
conoscenti comuni, piuttosto che dalla politica, dalla religione o da altri temi di tipo
impersonale.
Esistono comunque alcuni elementi che caratterizzano la pratica del pettegolezzo, per dirla
con Mantovani [2000], sono necessari tre ingredienti. Il pettegolezzo deve riguardare
membri del gruppo, deve fornire informazioni confidenziali e attendibili circa il possibile
scostamento dalle condotte effettive delle persone rispetto alla loro immagine pubblica,
deve valutare il senso di tale scostamento in rapporto alle norme implicite del gruppo.
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Il pettegolezzo
1.1 Un cenno all’etimologia
I pareri sulla provenienza dei termini pettegolezzo e pettegolo sono discordanti.
Di sicuro si sa che si tratta di termini settentrionali, rintracciabili già nel Cinquecento.
Qualcuno li fa derivare dal veneziano petégolo, che probabilmente deriva da peto con
un’allusione all’incontinenza verbale dei pettegoli, altri li collegano al latino pithecus,
scimmia.
In altre lingue europee, l’origine del termine si può ricondurre con facilità alla figura della
madrina, cioè alle chiacchiere fra comari riunite a casa di una donna in procinto di
partorire.
Il francese commérage proviene da commater, appunto madrina, detta oggi commére.
In spagnolo comadreo, deriva da comadre, cioè comare o vicina di casa; in inglese
l’etimologia del termine è identica a quella francese e spagnola, gossip deriva da god-sib,
cioè madrina.
Tutti questi termini evocano la presenza di una figura femminile.
Addirittura, in russo, “corre voce che...” si dice “babushka skazala” che significa “nonnina
diceva…” [Benvenuto, 1999].
1.2 Sottili differenze
Spesso si parla di pettegolezzo, maldicenza, voce e diceria utilizzandoli come sinonimi.
In realtà, anche se molto sottile, esiste una differenza tra questi termini. Cerchiamo di
capire quale.
Innanzitutto prendiamo in esame i termini voce e diceria.
Come spiega lo psicologo Benvenuto [1999], il concetto di voce si usa per indicare
generalmente qualsiasi informazione non di prima mano, la quale potrebbe essere vera
oppure falsa.
Parliamo di diceria per indicare piuttosto ciò che resta di una credenza una volta che è stata
criticata o demolita.
Quindi ne risulta che i termini voce e diceria sono simili ma non equivalenti. Indicando un
discorso come diceria, si connota già il contenuto come inattendibile, di fatto lo si
smentisce. L’uso del termine diceria ha, infatti, una forza illocutoria. Questo significa che,
dire che qualcosa è una diceria non solo descrive il mondo, ma compie anche un atto, cioè
smentisce l’affermazione che si considera appunto come diceria.
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Il pettegolezzo
Una seconda distinzione prende in esame i termini pettegolezzo e maldicenza.
Nella maggior parte dei casi il pettegolezzo è innocuo e nasconde nel suo profondo una
ricerca di intimità o, al peggio, invidia nei confronti di chi è più fortunato specialmente
quando si tratta di successo.
La maldicenza invece è una vera calunnia fine a se stessa, gonfiata, interpretata in senso
negativo, ingiustificata e gratuita. La maldicenza è quasi sempre intenzionalmente falsa e
attribuisce ad una persona delitti e peccati inesistenti per distruggerne la reputazione e la
credibilità.
A differenza del pettegolezzo, la maldicenza è un resoconto non autorizzato e distorto, atto
a danneggiare il buon nome di un’altra persona.
1.3 Il primato delle donne
Abbiamo visto che sin dalle radici etimologiche del termine, il pettegolezzo per molto
tempo è stato associato ad un debole femminile.
Benvenuto [1999] cita l’esempio del termine yiddish yenta, letteralmente “pettegola”, che
assume i connotati di una grave ingiuria se riferito ad un uomo.
L’inglese shop talk, traducibile in “discorsi da bottega” quando spettegolano le donne, si
trasforma in shooting the breeze, ovvero “sparare aria”, se riferito allo spettegolare degli
uomini.
Una spiegazione possibile è che nei tempi passati, la donna, esclusa dalla vita pubblica e
politica, cercasse attraverso l’arte del pettegolezzo di mettere a nudo i segreti di chi invece
partecipava a quella fetta di mondo che non le competeva e ricreasse così, nel suo piccolo
circolo di amiche, un ambiente simile a quello da cui veniva bandita.
Come dice Kapferer [1987]: “Private della vita pubblica, le comari rendono pubblica la
vita privata”.
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