sopra detto e sono state analizzate le apparecchiature che consentono di ottenerle. Le curve 
ottenute alle varie velocità sono parte integrante del database materiali ottenuto. Oltre alla 
caratterizzazione dei materiali esistenti si è quindi cercato di fornire un metodo di prova 
che possa essere utilizzato anche per i materiali futuri. Alcuni risultati riguardanti le 
caratteristiche di determinati acciai saranno appositamente omessi per riservatezza 
aziendale. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Premessa: 
L’elaborato presentato non vuole essere un testo esaustivo sui processi metallurgici o sulle 
metodologie di analisi ma nasce con l’intento di presentare a grandi linee i processi seguiti 
per produrre, lavorare ed analizzare i materiali metallici e nello specifico l’acciaio. Nel 
primo capitolo, quindi, viene introdotto il ciclo integrale, cioè l’insieme dei processi che 
dal minerale di ferro permettono di arrivare ad un semilavorato (bramme o billette); queste 
vengono poi laminate, come illustrato nel capitolo secondo, per ottenere laminati. Le 
lamiere in acciaio differiscono tra loro per la presenza o assenza di elementi di lega il cui 
comportamento è illustrato nel capitolo terzo. Oltre agli elementi di lega, il comportamento 
degli acciai è influenzato anche dagli eventuali trattamenti termici subiti, durante la 
laminazione e successivamente, ed il capitolo quarto li analizza. La tendenza attuale è di 
utilizzare sempre più acciai legati e questo ha portato all’ottenimento di una serie di acciai 
che vengono illustrati nel capitolo quinto, denominati acciai altoresistenziali. Nel capitolo 
sesto si analizzano i vantaggi di questi materiali che vengono utilizzati non solo nel campo 
automobilistico, anche se da questo partono i maggiori impulsi. Successivamente si 
analizza il ciclo di vita dell’auto e come, in questo, si sta inserendo in maniera sempre più 
importante il calcolo virtuale (FEM). Questo consente dei risparmi notevoli ed inoltre 
permette di individuare e risolvere le criticità dei progetti senza la costruzione fisica di 
prototipi sicuramente più costoso e non più modificabile a posteriori. Consente inoltre di 
determinare a priori risparmi e comportamenti in esercizio. I codici ad elementi finiti 
hanno però bisogno di un database materiali in input coerente e corretto. Nel capitolo 
successivo si individuano le caratteristiche fondamentali e le tipologie di prove che 
permettono di determinarle. Infine si cerca di standardizzare il tutto ed avere quindi un 
modello di caratterizzazione che produce delle curve standard che possono poi essere 
immesse in un codice che, utilizzandole, permette di simulare il comportamento dei pezzi 
in opera. Quando le simulazioni hanno dato esito positivo e le criticità sono risolte si passa 
alla costruzione del prototipo ed alle prove fisiche che servono solo a validare quanto 
ottenuto in simulazione. Si conclude quindi con l’ultimo capitolo in cui si descrive il 
database che si è cercato di standardizzare per rendere interfacciabili i vari enti e le varie 
tipologie di elementi finiti. 
 
 
 
 
Sigle ed abbreviazioni utilizzate: 
 
R
m
 = resistenza a trazione 
Rp
0,2
 = carico di snervamento 
α = ferro con struttura cristallina CCC (cubica corpo centrato) 
γ = ferro con struttura cristallina CFC (cubica facce centrate) 
Curve ccc = curve di raffreddamento continuo 
A
3
 = curva del diagramma di stato ferro carbonio di separazione tra la fase α e la fase γ 
A
c1
 = curva del diagramma ferro carbonio posizionata a 723°C 
UNI = ente normativo italiano 
UNI EN = ente normativo europeo 
EURONCAP = EUROpean New Car Assessment Programme 
Ppm = parti per milione 
Curve TTT = curve tempo trasformazione temperatura 
l
0
 = lunghezza iniziale 
l = lunghezza istantanea 
l
f
 = lunghezza finale 
A
0
 = sezione iniziale 
A = sezione istantanea 
E = modulo di Young 
ν = coefficiente di Poisson 
e = coefficiente di anisotropia 
A% = allungamento percentuale 
σ = sollecitazioni misurate in MPa 
ε = allungamenti 
ε
t
 = allungamenti trasversali 
ε
l
 = allungamenti longitudinali 
FE = elementi finiti 
ε
&
 = strain rate = velocità di prova 
  
 
 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo 1: Ciclo integrale 
siderurgico 
1. CICLO INTEGRALE SIDERURGICO 
 
1. CICLO INTEGRALE SIDERURGICO 
Viene denominato “ciclo integrale” il lungo processo che, partendo dalle miniere 
metallurgiche, porta all’ottenimento dei prodotti semifiniti (siano essi piani, profilati o 
massivi di fusione). Per una migliore comprensione se ne riporta uno schema in fig. 1.1. 
 
 
 
 
Fig. 1.1: Schema di un ciclo integrale per l’ottenimento di semilavorati in acciaio. 
 
L’acciaio è una lega ferro carbonio, contenente eventualmente altri elementi di lega, con 
contenuto di quest’ultimo inferiore al 2% in peso. Il metallo base è quindi il ferro che 
 1
1. CICLO INTEGRALE SIDERURGICO 
 
esiste come elemento puro solo nelle meteoriti, è un metallo molto reattivo che 
naturalmente reagisce con ossigeno (O
2
) e zolfo (S) per dare composti quali gli ossidi ed i 
solfuri. La produzione di semilavorati può partire da minerali di ferro presenti in natura, 
seguendo completamente il ciclo di fig. 1.1, oppure da rottame di ferro (se disponibile) 
risparmiando la prima fase relativa l’altoforno. In Italia sono presenti entrambe le 
produzioni e l’acciaio è prodotto per il 50% da fonderie che partono da rottame e l’altro 
50% proviene da altoforno. Il ciclo integrale parte quindi dall’estrazione di minerali 
ferrosi; le principali miniere di ferro sono quelle a cielo aperto con depositi affioranti, 
presenti in: Brasile, Namibia e Russia. Le estrazioni vengono eseguite con i buldozer, il 
materiale viene poi trasportato tramite via fluviale, dal momento che risulta essere il mezzo 
più economico, fino a stazioni ferroviarie dove vengono riempiti appositi vagoni destinati 
alle acciaierie. Questo è anche il motivo per cui i grossi centri siderurgici sono nati in riva 
al mare o fiumi. Si accumula quindi il minerale in grossi piazzali pronti per essere 
utilizzato e parallelamente il calcare (CaCO
3
) ed di coke, carbone ad alto potere calorifico 
che viene utilizzato in altoforno. L’altoforno prende il nome dalle sue dimensioni, che 
mediamente sono: 30 m di 
altezza e 12 m di diametro 
massimo. Se ne riporta uno 
schema in fig. 1.2 con le 
temperature e la forma delle 
varie zone. 
L’altoforno è costituito da due 
tronchi di cono sovrapposti per 
la base maggiore: quello 
superiore si chiama tino, 
l'inferiore sacca e la parte 
centrale è denominata ventre. 
Al di sopra del tino fa seguito 
una parte cilindrica chiusa da 
una tramoggia in ferro con 
fondo mobile a forma di tronco 
di cono detta bocca.    Fig. 1.2: Schema di un altoforno 
 2
1. CICLO INTEGRALE SIDERURGICO 
 
Sotto la tramoggia, lateralmente, mette capo un tubo destinato all'uscita dei gas d’altoforno 
che vengono convogliati in appositi apparecchi per recuperarne il calore (torri  di Cowper). 
Queste sono alti scambiatori di calore in cui si sfruttano i gas caldi in uscita del forno per 
riscaldare l’aria che si insuffla per la combustione.  
Al di sotto della sacca fa seguito una parte cilindrica detta crogiuolo dove si raccoglie la 
ghisa liquida. Intorno ed esternamente alla sacca gira un grosso tubo che serve a 
distribuire, mediante piccole diramazioni, l'aria in pressione che riceve da macchine 
soffianti, ad una serie di ugelli sboccanti presso l'orlo del crogiuolo. La disposizione di 
questi ugelli è tale che, al contrario di quanto per semplicità è indicato nella fig. 1.2, due di 
essi non si trovano mai diametralmente opposti. Va da sé che le pareti interne del forno e 
del crogiuolo sono formate di materiale refrattario di spessore e qualità differente a 
seconda della temperatura più o meno elevata e quindi della zona in cui si trovano.  
II crogiuolo ha in basso un foro di scolo chiuso con un tappo di argilla che si apre 
all’occorrenza per spillare la ghisa. Verso l'alto il crogiuolo ha un altro foro per lasciare 
uscire la scoria che si fa cadere dentro carrelli in ferro pieni d'acqua perché si solidifichi e 
nello stesso tempo si frantumi. La scoria così ottenuta viene accantonata affinchè completi 
il raffreddamento e viene venduta alle aziende che si occupano di asfalti in quanto diventa 
materia prima nella costruzione delle strade. All'esterno il crogiuolo è cintato 
completamente con lamiere di acciaio che, malgrado il forte spessore del muro refrattario, 
si arroventerebbero e danneggerebbero se non fossero raffreddate da un costante ed 
abbondante flusso di acqua, altro motivo per cui le acciaierie sono site nei pressi di corsi 
d’acqua.  
A monte dell’altoforno, il minerale di ferro viene frantumato e mescolato al carbon coke in 
quantità predefinite e viene quindi immesso nella bocca dell’altoforno dove inizia la 
trasformazione; la temperatura all’imbocco dell’altoforno è di circa 200 °C. Una volta 
immesso in altoforno il minerale si riscalda e si essicca. Scendendo trova una temperatura 
maggiore ed allora perde i principi volatili: acqua, zolfo, anidride carbonica. Scendendo 
ancora trova una temperatura sempre maggiore ed allora per la presenza dell'ossido di 
carbonio comincia a perdere un po' di ossigeno secondo le reazioni: 
(1)          Fe
2
O
3
 + CO ↔ 2Fe
3
O
4
 + CO
2
      (inizia a 450 °C) 
                   
 ematite              magnetite 
 
(2)          Fe
3
O
4
 + CO ↔ 3FeO + CO
2
         (inizia a 590°C) 
                                        Wustite 
 3
1. CICLO INTEGRALE SIDERURGICO 
 
  (3)          FeO    + CO ↔ Fe + CO
2
              (inizia a 705°C) 
finché, nella seconda metà dell'altezza del tino finisce per perdere tutto l'ossigeno e si 
trasforma in ferro spugnoso, cosiddetto per la presenza di “buchi” lasciati dall’ossigeno 
che si è combinato con il monossido di carbonio. Giunto al ventre il ferro spugnoso, 
trovandosi a contatto con carbone incandescente, comincia a combinarsi in parte col 
carbonio, divenendo così più facilmente fusibile e comincia quindi a passare allo stato 
liquido e gocciolare verso il basso e, data la forte temperatura e la presenza del silicio nelle 
ceneri del coke e nella ganga, si combina anche con questi. Il calore è generato dalla 
reazione del coke: 
(4)          C + O
2
 → CO
2
 + calore 
In realtà l’ambiente ha un eccesso di carbonio e quindi la reazione successiva è: 
(5)          CO
2
 + C → 2CO 
Questa reazione è molto importante perché il monossido di carbonio consente la riduzione 
degli ossidi di ferro, come illustrato nelle formule 1-3.  
Nel minerale di ferro e nel coke di partenza si trovano inoltre altre impurezze quali zolfo, 
fosforo e manganese che ritroviamo poi nel bagno di ghisa fusa e che successivamente 
verranno rimossi tramite il processo di affinazione, a tale scopo si immette nell’altoforno il 
minerale di calcio CaCO
3
 che reagisce dapprima: 
(6)          CaCO3 ↔ CaO + CO
2 
E successivamente con il minerale di ferro: 
(7)          FeS + CaO + C → CaS + FeO + CO 
Accumulata una certa quantità di ghisa liquida nel crogiolo si passa allo spillamento, 
rompendo come già accennato il tappo di argilla, si lascia fuoriuscire la ghisa liquida che 
viene raccolta in contenitori posti su rotaia, i cosiddetti carri siluro (così chiamati per la 
tipica forma) e quindi trasportata alle fasi successive. La ghisa, venendo a contatto con 
l’aria subisce una leggera ossidazione che interessa per lo più il carbonio ed il silicio e 
quindi non arreca sensibili modificazioni alla composizione chimica. Alla ghisa si 
accompagna la scoria, formatasi dall’ unione della ganga con il fondente e con le ceneri del 
coke, che viene scolata lentamente, essendo pastosa come il vetro fuso. La scoria inoltre, 
essendo molto più leggera della ghisa, la ricopre preservandola dall'ossidazione.  
Con i carri siluro la ghisa viene portata e riversata nei convertitori, grossi contenitori 
ricoperti internamente da materiale refrattario in cui avvengono le correzioni chimiche e 
 4
1. CICLO INTEGRALE SIDERURGICO 
 
l’affinazione. Il processo può essere diviso in due fasi: una ossidante ed una riducente. Nel 
primo periodo vengono condotte le seguenti operazioni metallurgiche: decarburazione, 
defosforazione, degasaggio, eliminazione delle particelle non metalliche (inclusioni); nel 
secondo periodo disossidazione e desolforazione. La decarburazione viene eseguita 
mediante l'insufflazione di ossigeno nel bagno metallico che ossida gli elementi presenti 
tra cui il carbonio che, combinandosi con l’ossigeno forma CO producendo un forte 
rimescolamento del metallo liquido, con conseguente omogeneizzazione di temperatura e 
di composizione chimica. Durante questa fase avviene anche la parziale eliminazione dei 
gas disciolti (N
2
 e H
2
) e viene favorita la separazione delle inclusioni non metalliche. La 
defosforazione avviene tramite l’aggiunta di calce che, combinandosi con l’elemento P, lo 
porta nella scoria, questo è anche il motivo per cui per tale processo è necessario un forno a 
rivestimento basico. Il degasaggio è l'operazione che consente l’eliminazione completa dei 
gas disciolti nel bagno di fusione: idrogeno e azoto. La loro presenza nel bagno è dovuta 
essenzialmente al contatto con l’atmosfera che si verifica nei vari passaggi e 
all'introduzione nel bagno di materiali di carica che li contengono come: ferroleghe, 
rottami ossidati, calce idratata. La maggior parte di tali gas viene eliminata attraverso 
l’insufflazione di un gas inerte (argon) mediante un'opportuna lancia al di sotto della 
superficie del bagno producendo uno sviluppo tumultuoso e continuo di bolle gassose che 
trasportano con sé anche i gas indesiderati. Per quanto riguarda l'azoto vi è anche la 
possibilità di abbassarne il tenore a valori estremamente bassi, eliminandolo per 
precipitazione con l'impiego di deazoturanti, quali il titanio e lo zirconio; trattandosi però 
di energici disossidanti, essi vanno aggiunti al bagno solo dopo che è stata completata la 
disossidazione. I nitruri che si formano rimangono in parte nell'acciaio sotto forma di 
minute inclusioni non metalliche, dure e refrattarie; come tali possono provocare 
inconvenienti, per cui tale metodo non sempre è accettato. La desolforazione è un 
trattamento che viene eseguito per abbassare il tenore di zolfo attraverso la formazione di 
solfuri insolubili che passano nella scoria, si ottiene operando aggiunte di calce e di 
manganese nel bagno metallico. La disossidazione è necessaria perchè l'ossigeno è un 
elemento notevolmente dannoso che porta, anche in tenori minimi, ad un peggioramento 
generalizzato delle caratteristiche meccaniche nell’acciaio. L’acciaio ottenuto alla fine del 
processo di disossidazione prende il nome di “acciaio calmato”. Il processo di 
disossidazione può avvenire per precipitazione (aggiungendo al bagno elementi ossidanti 
 5
1. CICLO INTEGRALE SIDERURGICO 
 
come il Mn o l’Al), per diffusione (consiste nel disossidare la scoria che quindi attira 
ossigeno per diffusione dal bagno fuso) o sottovuoto (abbassando cioè la pressione 
ambiente per favorire la formazione di CO che riduce gli ossidi del bagno). 
L’acciaio così ottenuto viene colato in lingottiere o in continuo a seconda dell’utilizzo che 
se ne andrà a fare nelle fasi successive. Per la produzione di profilati, laminati, estrusi la 
tendenza è quella di colare in continuo, per la produzione di forgiati si cola invece in 
lingottiere singole. Per ottenere acciai ad elevata qualità si cola in lingotti che 
successivamente saranno rifusi e corretti nella loro composizione chimica in modo più 
fine. Da questa fase in poi, come visibile in fig. 1.1, non c’è più differenza tra ciclo 
completo comprendente l’altoforno o ciclo con partenza da accieria di altro genere. 
L’acciaio infatti è un materiale infinitamente riciclabile e (a parità di composizione) non 
c’è differenza tra un prodotto ottenuto partendo dal minerale od un altro ottenuto da 
rottami. I rottami rappresentano infatti la carica per i forni delle acciaierie e vengono 
grossolanamente selezionati in fase di raccolta e quindi di carica del forno stesso, in base 
alla loro provenienza, in funzione del prodotto seminfinito che si vuole ottenere, questo 
consente di minimizzare le correzioni a posteriori e quindi i costi di produzione. L’acciaio 
non è un metallo nobile ed il suo costo non è elevato (700 euro/tonnellata) ma le altissime 
quantità prodotte (1.000.000.000 di tonnellate/anno nel mondo nel 2005) portano ad un 
controllo molto dettagliato delle singole operazioni.  
Dopo essere stato colato, in lingotti o in continuo, si passa all’ottenimento dei semilavorati, 
si inviano quindi i lingotti direttamente alle aziende che li hanno richiesti e le bramme, i 
blumi o le billette ai processi di deformazione plastica.  
 6
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo 2: Laminazione 
2. LAMINAZIONE 
 
2. LAMINAZIONE 
La laminazione è un processo di deformazione plastica che permette di ridurre la sezione 
trasversale del manufatto ed è essere condotto a caldo o a freddo a seconda delle sezioni di 
partenza e finale che si desiderano. Come si è detto nel capitolo precedente, i semilavorati 
finali delle acciaierie della colata continua, siano esse dotate di altoforno o meno sono: 
blumi, bramme e billette; questi diventano i prodotti di partenza nel processo di 
laminazione. Se ne riportano le dimensioni caratteristiche in fig. 2.1 
blumi          140 - 400 
bramme                       175x800  billette           120x120 
 
 
Fig. 2.1: Dimensioni tipiche dei semilavorati delle acciaierie  
 
Esistono varie tipologie di laminazione in funzione dei prodotti di partenza e finale; in 
fig.2.2 se ne riporta una schematizzazione: 
 
 
Fig. 2.2: Schema dei processi di laminazione in funzione dei prodotti di partenza e finale. 
 7
2. LAMINAZIONE 
 
Le lamiere si ottengono quindi dalle bramme ed il prodotto più utilizzato dalle aziende 
automobilistiche è la lamiera sottile, ottenuta con laminazione a caldo e successivamente a 
freddo, quindi il percorso seguito è il primo in alto nella fig. 2.2.  
La prima fase prevede quindi un riscaldo della bramma a 1000°C circa in forni che di 
solito lavorano in continuo, la bramma viene quindi imboccata tra i primi due cilindri di 
laminazione che vengono denominati sbozzatori. Non esiste una tipologia standard di 
impianto di laminazione, è però standard lo schema di funzionamento del processo che 
consiste nel far passare tra due rulli controrotanti, a sezione ridotta rispetto la sezione del 
manufatto in ingresso, il pezzo da lavorare. Il risultato è una diminuzione di sezione ed un 
allungamento longitudinale (fig. 2.3) che segue la legge della costanza del volume. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Fig. 2.3: schema base del processo di laminazione e processo di ricristallizzazione nella 
laminazione a caldo. 
 
Nella figura a sinistra è messa in evidenza la deformazione inevitabile dei grani che 
avviene durante il processo. Questa comporta delle tensioni che, se eccessive, portano alla 
formazione di cricche da lavorazione estremamente nocive al successivo utilizzo, per 
ovviare a questo inconveniente e per impiegare meno energia durante il processo di 
laminazione, si esegue prima la lavorazione a caldo; questa comporta una ricristallizazione 
a deformazione avvenuta schematizzata a destra in fig. 2.3. In questo modo si ha anche una 
riduzione della dimensione media del grano che favorisce le successive operazioni di 
laminazione a freddo.  
I cilindri di lavoro sono montati su delle gabbie che, affiancate le une alle altre, formano il 
treno di laminazione. Ad ogni passaggio viene ridotto lo spessore del semilavorato, fig. 
2.4, fino ad ottenere, alla fine del treno di laminazione (a caldo per spessori maggiori 3 mm 
o a freddo per spessori inferiori) il coil pronto per essere venduto e trasportato presso 
l’utente finale. 
 8
2. LAMINAZIONE 
 
 
  
Coil
Fig.2.4: riduzioni progressive di sezione nel treno di laminazione. 
 
I rulli utilizzati in questo processo non sono standardizzati, si riportano le principali 
tipologie di gabbie di laminazione in fig. 2.5 
 
 
        a               b                  c              d                            e                                       f 
 
Fig. 2.5: tipologie di gabbie di laminazione: a) due rulli sovrapposti; b) trio; c) due rulli di 
lavoro e due di supporto; d) cluster; e) tandem; f) planetario 
 
La differenza principale sul prodotto finito è data dalla dimensione dei rulli di lavoro in 
quanto il pezzo entra nella gabbia di lavorazione con uno spessore ed una velocità iniziale 
ed esce ridotto in sezione e conseguentemente con una velocità maggiore. C’è quindi uno 
slittamento della lamiera sui rulli, inoltre rulli di piccolo diametro tendono a deformare 
maggiormente la superficie mentre con rulli di grande diametro l’attrito limita la 
deformazione della superficie e l’interno deformandosi di più va in compressione (fig.2.6). 
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