Introduzione
L'elaborato di tesi intende prendere in esame la revisione del Manuale 
Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM), giunto ormai alla sua 
quinta edizione, e punto di riferimento diagnostico per i professionisti della 
salute mentale a livello internazionale.
L'uscita del DSM-5, nel Maggio 2013, lascia spazio per una riflessione sui 
principali cambiamenti avvenuti dagli anni '50 ad oggi, sia per quanto 
riguarda l'inquadramento storico del manuale, la sua nascita, l'ampliamento 
e la modificazione della patologia mentale e dei relativi criteri diagnostici nel 
tempo, sia relativamente alle principali differenze che intercorrono tra il 
DSM-IV la nuova edizione del manuale.
Nel primo capitolo è stato definito il concetto di Disturbo Mentale, così 
come esso viene descritto, a scopo clinico, nelle pagine introduttive del 
DSM.
Segue un excursus storico sugli avvenimenti salienti che hanno portato alla 
formalizzazione della psicopatologia, ed alla conseguente necessità di creare 
un sistema di classificazione condivisibile all'interno della psichiatria 
americana prima, e di quella internazionale in seguito.
Si considerano, dunque, per ogni edizione del DSM, le principali 
modificazioni per quanto riguarda la struttura, le categorie diagnostiche, ed i 
propositi di ateoreticità ampiamente sottoposti a critica nel corso degli anni, 
e ad oggi ancora fonte di dibattito.
Un ulteriore paragrafo è stato dedicato al tema dell'armonizzazione dei 
criteri diagnostici del DSM con quelli di un altro noto manuale utilizzato a 
livello mondiale, l'International Classification of Disease (ICD), allo scopo di 
rendere il lavoro di ricerca scientifica e statistica più agevole, oltre a linee 
guida condivise in ambito clinico.
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Il secondo capitolo tratta della struttura del DSM, con un'analisi del sistema 
multiassiale, così come esso compariva nel DSM-IV , fino al radicale 
cambiamento apportato al DSM-5, dove tale sistema è stato eliminato e 
sostituito da tre sezioni distinte tra loro, la seconda delle quali raggruppa 
tutti i criteri diagnostici ed i relativi codici ICD. 
E' stata data attenzione particolare alla terza sezione, che ha lo scopo di 
facilitare il processo decisionale a livello clinico attraverso la proposta di 
modelli interpretativi alternativi, passando per un'analisi del contesto 
culturale del disturbo mentale, ritenuto fondamentale per un'efficace 
diagnosi clinica, fino alla presentazione di una nuova versione della scheda 
di valutazione della disabilità mentale creata dall'Organizzazione Mondiale 
della Sanità, la Disability Assessment Schedule (WHODAS 2.0).
Il terzo capitolo prende in esame alcuni dei principali disturbi trattati nel 
DSM-5 e le relative modifiche che sono state apportate, così come 
l'aggiunta di nuovi criteri diagnostici, o di nuovi disturbi, quali il Disturbo 
da Accumulo Compulsivo, o il Disturbo da Gioco d'Azzardo. 
In particolar modo  sono stati analizzati:
- I Disturbi di Personalità, con particolare riferimento al modello 
diagnostico alternativo che viene proposto nella Sezione III del 
manuale;
- I Disturbi Alimentari, relativamente ai criteri dell'Anoressia e della 
Bulimia nervosa, del Disturbo Pica, e all'introduzione del Binge 
Eating Disorder come disturbo indipendente;
- I Disturbi Depressivi, con un confronto tra il Lutto e la Depressione 
Maggiore;
- I Disturbi dello Spettro Autistico, che ora confluiscono tutti in 
un'unica, generica categoria;
- I Disturbi correlati a Stress ed Eventi Traumatici, e in particolare il 
Disturbo Post-Traumatico da Stress ;
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- I Disturbi da Dipendenza, in modo specifico la dipendenza da 
Gioco d'Azzardo e la dipendenza da Caffeina;
- I Disturbi Ossessivo-Compulsivi, in riferimento al Disturbo da 
Accumulo Compulsivo e alla Tricotillomania;
- I Disturbi dello Spettro Schizofrenico, dove si è esaminato il 
questionario relativo alla gravità dei sintomi psicotici, presente nella 
Sezione III;
- La Disforia di Genere, come nuova classe diagnostica del DSM-5.
Il quarto capitolo tratta brevemente delle principali critiche che sono state 
rivolte alla struttura e al contenuto del manuale, ed al presunto 
coinvolgimento di alcuni degli esperti che hanno partecipato alla creazione 
del DSM in accordi economici con le case farmaceutiche.
Infine è presente una breve conclusione relativa ai propositi futuri del 
manuale ed alle possibilità di miglioramento in ambito diagnostico, oltre che 
agli sforzi dell'American Psychiatric Association di aprirsi sempre di più verso la 
comunità scientifica.
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Capitolo I
Storia del DSM
I.I Definizione di disturbo mentale e nascita del DSM
“Il disturbo mentale è una condizione di non libertà; è una mancanza di 
libertà psicologica, nel non riuscire a disporre di sé, ma è altresì una ben 
concreta mancanza di possibilità di scelta”.
                                    (G. Jervis, Manuale critico di Psichiatria, Feltrinelli,1975)
E' senza dubbio arduo dare una descrizione universalmente accettata ed 
esaustiva di disturbo mentale. Tuttavia esiste una definizione, sviluppata a 
fini clinici, di salute pubblica e di ricerca, e che ritroviamo nelle pagine 
introduttive del DSM-5
1
, che ben si presta alla comprensione del concetto 
di disturbo mentale.
Esso rappresenta una sindrome caratterizzata da disfunzioni clinicamente 
significative, che in un individuo interessano l'ambito cognitivo, di 
regolazione comportamentale o emozionale. Si tratta di disfunzioni che 
riflettono un deficit nei processi psicologici, biologici o di sviluppo alla base 
del funzionamento mentale.
Il disturbo mentale è generalmente associato a disagi significativi o disabilità 
per quanto riguarda attività rilevanti quali quelle sociali od occupazionali.
Una reazione prevedibile, o culturalmente approvata, verso un comune 
stressor o una perdita, come la morte di una persona significativa, non 
costituisce di per sé un disturbo mentale.
Così come un comportamento socialmente deviante, che sia politico, 
religioso o sessuale, ed i conflitti che si creano essenzialmente tra individuo 
e società, non rappresentano disturbi mentali, a meno che non risultino da 
una disfunzione interna all'individuo.
1 American Psychiatric Association, Approach to Clinical Case Formulation, in DSM-5, Washington 
DC, American Psychiatric Publishing, p. 20.
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Storicamente il primo tentativo di classificazione formale della 
psicopatologia si ebbe negli Stati Uniti, nel corso del XIX secolo, 
nonostante non si trattasse di ricerche a fini diagnostici, ma 
prevalentemente di raccolte di dati demografici ad opera dell'ufficio del 
censimento per regolare, nell'ambito delle politiche di salute mentale, il 
trattamento dei malati istituzionalizzati. 
Un primo censimento si ebbe nel 1840 con la registrazione dei casi 
idiozia/follia, mentre nel 1880 furono individuate sette categorie di malattie 
mentali: mania, melanconia, paresi, monomania, dipsomania, epilessia e 
demenza.
Il lavoro di integrazione della salute mentale all'interno delle istituzioni di 
cura fu possibile grazie alle spinte della comunità psichiatrica, che espresse 
la necessità di adottare un sistema di classificazione delle condizioni 
psicopatologiche.
Nel 1918 l'American Medico-Psychological Association, attualmente 
American Psychiatric Association o APA, pubblicò lo Statistical Manual for 
the Use of Institutions for the Insane
2
, considerato il predecessore del DSM.
Il volume comprendeva 22 categorie diagnostiche di natura psicotica, 
associate a eziologia prevalentemente somatica. 
Si trattava di una classificazione ad orientamento biologico che rispecchiava 
il pensiero kraepeliniano, allora dominante, per cui il comportamento 
deviante è causato da una disfunzione organica cerebrale, e ricorrono i 
concetti di demenza precoce, disturbo maniaco-depressivo e paranoia.
Del Manuale furono create dieci edizioni consecutive, ognuna delle quali 
enfatizzava il punto di vista somatico, ognuna delle quali di scarsa utilità 
diagnostica, poiché la distinzione tra sindromi cerebrali organiche, psicosi 
funzionali e disturbi nevrotici risultava troppo drastica
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.
L'APA collaborò dunque, nel 1933, alla stesura della Standard Nomenclature 
2 Il manuale fu scritto in collaborazione con il National Committee for Mental Hygiene, e fu 
pubblicato fino al 1942. Fu utilizzato prevalentemente per le valutazioni annuali delle strutture 
psichiatriche.
3 F. Del Corno, M. Lang, Evoluzione storica dei sistemi nosografico-descrittivi, in Elementi di psicologia 
clinica, Milano, Franco Angeli, 2005, pp. 64-65
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of Disease, consentendo per la prima volta di distinguere i sistemi di 
nomenclatura da quelli di pura classificazione statistica
4
.
Nel 1945 la Anned Force, insieme con la Veterans Administration integrò 
all'interno della classificazione i disturbi della personalità.
Tale punto di svolta fu possibile grazie all'avvento dell'approccio 
psicodinamico, venuto alla luce dal lavoro di Freud in Europa, e di Meyer 
negli Stati Uniti, che si stava diffondendo già dagli inizi del secolo, seppur 
con un ruolo marginale. 
Grazie ai successi ottenuti nel trattamento dei soldati conseguentemente ai 
traumi di guerra, fu riconosciuta l'esistenza di disturbi di moderata entità 
che non potevano essere riconducibili ai disturbi psicotici: le psiconevrosi.
Esse espansero il ruolo degli psichiatri nel trattamento di disordini 
comportamentali ed emozionali, relativamente comuni, all'interno della 
società.
In questo modo assistiamo al passaggio da una concettualizzazione di 
psicopatologia come entità separata e distinta dalla salute mentale, a quella 
di malattia e salute poste strettamente lungo un continuum.
La teoria psicodinamica ottenne presto l'approvazione del mondo 
psichiatrico clinico e accademico, e nel 1946 divenne la scuola di pensiero 
dominante, rendendo così la cornice nosologica rappresentata nel Manuale 
Statistico infruttuosa ed incompatibile con le proprie concettualizzazioni.
Nel 1950 l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) pubblicò la VI 
edizione della Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD), che per la 
prima volta si occupava anche delle malattie mentali, descrivendo 10 
categorie per le psicosi, 9 per le psiconevrosi, 7 per i disturbi del carattere, 
del comportamento e dell'intelligenza.
L'APA trovò poco esaustiva tale classificazione, e nel 1952 diede alle stampe 
la prima edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders 
(DSM-I).
4 La nomenclatura si compone di 11divisioni anatomiche, e 11 categorie eziologiche. Per la 
prima volta si ha la disponibilità di statistiche ospedaliere che mostrano, ove possibile, sia il sito, 
che la causa della patologia.
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