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Ripetuti sopralluoghi a carattere generale hanno scandito la prima fase del 
rilevamento, dedicata essenzialmente ad una ricognizione conoscitiva dell’area in 
esame. Attraverso una paziente opera di raccolta e rielaborazione di 
documentazioni e testimonianze si è poi proceduto alla ricostruzione storica del 
popolamento, al fine di contestualizzarlo in un ambito socio-economico, politico e 
culturale compiuto e consentirne una migliore interpretazione dello stato attuale. 
I rilievi dendrometrici di dettaglio sono stati eseguiti a partire dalle prime 
settimane di gennaio corrente anno, attraverso un campionamento per analisi 
descrittive di tipo probabilistico con estrazione unica in blocco (Corona, 2000). 
Si sono raccolti dati topografici, geomorfologici e relativi alla stabilità del 
suolo (altitudine, pendenza, esposizione), l’insieme dei parametri botanici e 
selvicolturali (composizione specifica, distribuzione, condizioni vegetative), 
annotazioni su presenza e caratteristiche del novellame, dello strato arbustivo e di 
quello erbaceo (composizione specifica, abbondanza e distribuzione), registrando 
eventuali indizi di interventi antropici passati (presenza di ceppaie, danni da 
incendio, danni da pascolamento). Per ciascuna area di saggio realizzata si è 
cavallettato il diametro a petto d’uomo della totalità degli effettivi e campionato 
alberi modello delle altezze con frequenza uniforme ogni 5 rappresentanti di 
ciascuna classe diametrica, misurandone sia l’altezza cormometrica che l’altezza di 
inserzione della chioma. 
La fase di processamento statistico dei dati rilevati, condotto applicando la 
metodologia operativa proposta da Corona (2000), ha permesso di estrapolare le 
caratteristiche dendrometriche di popolazione con i relativi limiti fiduciari, 
quantificandone gli attributi descrittivi con approssimazione più che soddisfacente. 
Si è cercato di monitorare, qualificare e quando possibile anche quantificare 
l’insieme delle caratteristiche ambientali e di popolamento, i fattori biotici ed 
abiotici del sistema con le relative interazioni, le dinamiche ecosistemiche in atto. 
Si è insomma tentato di impostare per il soprassuolo in esame quella serie di 
analisi costituenti in sinossi la realizzazione del “momento strutturale” sensu 
  
7 
Nocentini (2000) e precorritrici di quell’ipotetico processo di rinaturalizzazione a 
cui siffatti sistemi forestali semplificati non possono che tendere. L’obiettivo 
ultimo di ricostituzione delle condizioni ecosistemiche naturali originarie venne di 
fatto previsto fin già dalla fase di progettazione, che concepì tali rimboschimenti di 
carattere transitorio, quali impianti preparatori. 
In compimento si è introdotto un accenno agli interventi colturali 
teoricamente suggeribili per il soprassuolo in esame, prefigurando le linee 
gestionali del successivo “momento colturale” correlativamente alle conclusioni 
scaturite dalla prima fase. 
  
8 
 
 
 
 
Fig. 1 Estratto del F° 201 della Carta d'Italia, quadranti II SO Bernalda e III SO Pisticci in scala 1:25.000, 
modificato. L’area oggetto d’indagine è perimetrata in rosso 
  
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2. INQUADRAMENTO CLIMATICO 
Lungo tutto il litorale jonico, le fasce collinari fino a 700-800 m s.l.m. e 
nella fascia nord-orientale al confine con la Puglia, il clima della Basilicata assume 
caratteristiche tipicamente mediterranee: temperato-caldo a temperamento 
‘infedele’, con inverni miti e piovosi, estati calde e siccitose, temperatura media 
del mese più caldo superiore ai 23°C. Per il territorio di Pisticci in particolare 
l’andamento climatico è classificabile ‘mediterraneo collinare interno’. 
La fascia fitoclimatica è quella del Lauretum, della quale i limiti 
corrispondono largamente, secondo la classificazione del Pavari, a quelli 
dell’areale di diffusione della vegetazione mediterranea indigena a macchia, boschi 
sempreverdi xerotermici e boschi misti con predominanza di sempreverdi 
sclerofille. Considerando come indicativo di un clima tipicamente mediterraneo 
l’areale di coltura massiva dell’olivo (criterio floristico non pienamente condiviso 
ma applicabile), la zona del Lauretum può considerarsi estesa nel Mezzogiorno 
d’Italia dalla linea di costa fino a 700-800 m, talvolta 1000 m sui versanti meglio 
esposti (De Philippis, 1961). Sempre secondo De Philippis (op. cit.) nella 
sottozona calda del Lauretum si possono considerare a clima caldo-arido le aree 
aventi precipitazioni primaverili ed estive inferiori a 200 mm e a 100 mm annui 
rispettivamente. 
Dai dati pluviometrici disponibili (Servizio Idrografico e Mareografico 
Nazionale SIMN, in Cantore et al., 1987) la stazione pluviometrica di Pisticci, 
situata a 364 m s.l.m., riporta 683 mm di precipitazione annua come media di un 
periodo di osservazione di 60 anni (dal 1921 al 1984), distribuita in media su 58 
giorni piovosi prevalentemente nel periodo autunno-vernino con minimo in estate 
(luglio-agosto); la piovosità media del mese più umido risulta di 100 mm, quella 
del mese più secco di 25 mm. Le precipitazioni medie annue primaverile ed estiva 
restituiscono valori di 156 mm e 86 mm rispettivamente. 
  
10 
La temperatura media annua è di 15-16°C (dalla carta delle isoterme annuali 
medie, Cantore et al., 1987), tra i 20°C e i 25°C nel periodo arido, e con 10 mesi 
l’anno registranti temperature superiori ai 10°C. La temperatura media minima del 
mese più freddo non scende sotto lo zero termico (3,2°C), e la temperatura media 
massima del mese più caldo è di circa 30°C. 
La zona fitoclimatica sensu Pavari è dunque quella del Lauretum, tipo a 
siccità estiva, sottozona calda. 
E’ stato costruito il diagramma climatico con i dati pluviometrici e di 
temperatura media mensile registrati dalla stazione climatica di Pisticci nel periodo 
1921-1984, sul quale è visivamente evidenziabile il periodo arido esteso da 
Maggio-Giugno fino a Settembre (Fig.2). 
 
Fig. 2 Diagramma climatico di Bagnouls-Gaussen per la stazione pluviometrica di Pisticci (Cantore, 1987) 
  
L’indice di aridità di De Martonne calcolato per Pisticci (precipitazione 
media annua in mm/temperatuta media annua in °C addizionata di 10°C) ricade 
nella classe 20-30, tipo subumido (Cantore et al., 1987). 
 
  
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3. INQUADRAMENTO GEOMORFOLOGICO, PEDOLOGICO 
E LINEAMENTI VEGETAZIONALI 
Dal F° 201 - Matera  della Carta Geologica d’Italia 1:100.000, il comune di 
Pisticci, in zona d’Avanfossa Bradanica, è caratterizzato da argille 
subappenniniche marnose, più o meno siltose, grigio azzurre o giallastre con fossili 
marini. Questi depositi passano stratigraficamente verso l’alto a sabbie  e 
conglomerati di facies litorali. 
 
Più specificamente l’abitato di Pisticci giace su un esteso pianoro a quota 
383 m s.l.m. in corrispondenza del rilievo collinare spartiacque tra i bacini contigui 
dei fiumi Basento e Cavone, sulle argille grigio-azzurre subappennine plio-
pleistoceniche costituite da argille marnose e marne argillose con livelli limosi, 
sabbiosi e sottili livelli di tufiti, dalle sabbie gialle terrazzate di origine marina 
post-calabriana e da depositi continentali. Le sabbie gialle sono costituite da sabbie 
fini, da sottili strati di calcareniti, da lenti di conglomerati e da strati di limi 
argillosi e sabbiosi. 
Le caratteristiche pedologiche della stazione in esame sono quindi 
riconducibili a quelle classiche delle argille terziarie, che presentano per lo più vizi 
di sterilità dovuti ad alcalinità e al potere riducente. L’alcalinità, data dal calcare 
fino ad un valore di pH = 8, e successivamente dallo ione Na, determina la 
deflocculazione dell’argilla, e quindi la facilità a formare dispersioni colloidali, 
traducibili in un aumento di instabilità, erodibilità e di impermeabilità, un aumento 
di volume in tempo di pioggia e una maggiore contrazione in estate con 
essiccamento spinto degli strati superficiali e fessurazioni anche molto profonde. 
Le spaccature del terreno provocano un maggiore disseccamento anche in 
profondità (aumento dell’evaporazione), e nelle pendici inclinate smottamenti e 
frane per la penetrazione dell’acqua piovana (Giacobbe, 1961). L’alto grado di 
alcalinità  è documentato nella zona in esame dalla presenza di sospensioni torbide 
  
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durevoli e dal colore giallo ocra degli strati ossidati superficiali subito virante al 
grigio azzurro dopo pochi cm in profondità (argille riducenti asfittiche). 
 Il potere riducente è causato dalla scarsa aerazione, data a sua volta da 
compattezza e impermeabilità, per cui vengono ostacolati i fenomeni di 
ossidazione, in particolar modo dei composti ferrosi normalmente presenti nelle 
argille, e anche i processi respiratori della microflora. 
Si ha quindi un aggravamento dello stato fisico del suolo, e l’esaltata 
alcalinità può accellerare la decomposizione della sostanza organica (eremacausi) 
(Giacobbe, op. cit.). 
 
I corsi d’acqua principali segnano l’area con letti di inondazione larghi e 
colmi di depositi alluvionali, che sono spesso disposti a terrazzi anche molto estesi 
e di diverso ordine, bordati da scarpate di qualche metro di altezza. I valloni e i 
fossi che li alimentano sono ben gerarchizzati, dai profili trasversali 
caratteristicamente a “V”. In tutta l’area affiorano depositi terrazzati di origine 
marina di ordine diverso, intaccati perimetralmente dai movimenti franosi. 
Il bacino del fiume Cavone si estende per 684 Km2; l’asta fluviale si origina 
sul Monte dell’Impiso con il torrente Salandrella e prosegue per una lunghezza di 
circa 98 Km fino a valle, dove l’alveo si incassa profondamente in alte sponde 
alluvionali. E’ in quest’ultimo tratto che nel fiume si riversa il torrente Pantone 
Largo, il quale nasce a 287 m s.l.m. e termina ad un’altitudine di 50 m s.l.m. dopo 
aver percorso 5,120 km; il relativo bacino si estende per 5,690 Km2. 
Il fiume Basento si sviluppa per 149 Km di lunghezza, in direzione NO-SE 
dalle sorgenti sui monti di Pignola (Fossa Cupa, 1004 m slm) attraverso i rilievi 
montuosi e le pianure joniche, dove assume caratteri morfologici alluvionali, fino 
alla foce sita nel comune di Bernalda. Il relativo bacino idrografico si estende per 
1.527 Km2 circa. 
La forma morfologica dominante è naturalmente quella calanchiva che, 
nonostante i copiosi rimboschimenti, rimane l’elemento predominante del 
  
13 
paesaggio collinare: lungo i versanti si susseguono incisioni multiple del terreno, di 
vario spessore ed intercalate da creste sottilissime, dovute ai processi erosivi e 
franosi nelle aree di affioramento delle argille azzurre plio-pleistoceniche. I profili 
trasversali dei corsi d’acqua che scorrono in direzione NW-SE sono asimmetrici, 
con pendenze delle esposizioni settentrionali meno acclivi per causa 
principalmente dell’assetto strutturale: la giacitura degli strati argilloso-sabbiosi è a 
reggipoggio sui versanti meridionali e a franapoggio in quelli settentrionali ed 
inoltre l’esposizione a mezzogiorno dei versanti a calanco favorisce la formazione 
di un reticolo di fessure per essiccamento degli strati argillosi superficiali con 
conseguente maggiore erosione da parte dell’acqua piovana. Le pendenze più dolci 
e le condizioni microclimatiche meno ingrate dei versanti esposti a N consentono 
invece l’attecchimento e la crescita di una copertura vegetale protettiva che nel 
tempo conduce alla formazione di suolo agrario (Bentivenga et al.). 
 
3.1 I calanchi 
In Basilicata le formazioni calanchive coprono approssimativamente il 30% 
del territorio regionale (3000 Km2), prevalentemente nelle aree collinari digradanti 
verso il mar Jonio (Del Prete et al., 1994). A differenza che in altre regioni d’Italia, 
le terre calanchive di Basilicata non sono state soggette estensivamente ai 
rimodellamenti anticipatori della messa in coltura, come invece verificatosi per le 
Crete Senesi in Toscana, ma in maniera piuttosto frammentata per causa quasi 
esclusiva del differente assetto socio-economico ed ambientale del territorio 
(Phillips, 1998). 
Prima dell’avvio delle delle riforme fondiarie e delle bonifiche dei 
fondovalle paludosi e malarici, le condizioni economiche di cronico 
impoverimento del Mezzogiorno rispetto al resto d’Italia ostacolarono il 
superamento di una mera agricoltura di sussistenza, arroccata, come la pur scarsa 
popolazione, sui rilievi topografici. 
  
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Dopo il completamento delle opere di bonifica e delle riforme fondiarie, sia 
le attività agricole che industriali poterono trovare spazio libero per uno sviluppo 
intensivo lungo le valli, lasciando inalterate le formazioni calanchive dei rilievi che 
rimanevano solo parzialmente interessate da uno sfruttamento agricolo di 
sussistenza procastinato dalle fasce più anziane della popolazione. Le praterie 
steppiche erano anzi, così come lo sono adesso,  utilizzate per il pascolo del 
bestiame, la qual cosa potrebbe aver aiutato nella preservazione dei calanchi così 
come accaduto in parte per le Crete Senesi con i pastori immigrati dalla Sardegna. 
Paradossalmente un incremento al rimodellamento ed alla messa in coltura 
degli appezzamenti marginali, come quelli costituiti dalle formazioni calanchive, è 
venuto nel più recente passato dall’attuazione degli schemi di sviluppo agricolo 
previsti dalle PAC, relativamente alla pratica del set-aside e ai sussidi ai seminativi 
(Phillips, op. cit.). 
Vanno inoltre aggiunte alcune considerazioni d’ordine ambientale: la 
caratterizzazione climatica delle aree interessate da calanchi in Basilicata 
sicuramente predispone ad una loro attiva formazione ed evoluzione nel tempo,  
come facilmente testimoniabile. Pertanto le frammentarie conversioni a terreni 
agricoli, se lasciate indisturbate, potrebbero ancora regredire all’originaria forma 
calanchiva, in considerazione anche del fatto che lo sfruttamento, predominante 
sulle buone pratiche agricole, ha impedito lo sviluppo di un orizzonte organico 
sufficiente a contrastare i processi erosivi fautori delle formazioni calanchive 
(Phillips, 1998). 
  
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Fig. 3 Panoramica guardando da Pisticci verso Ferrandina: i seminativi si frappongono al digradare dei 
versanti calanchivi ricoperti da praterie steppiche ed in parte rimboschiti