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INTRODUZIONE 
Al giorno d’oggi può un’organizzazione, sia essa pubblica che privata, permettersi di 
fermarsi? La risposta può essere determinata considerando due punti di vista: l’esigenza 
di conseguire costantemente nuove fonti di vantaggio competitivo a causa dell’elevata 
concorrenza nel mercato attuale e un contesto di crescente minaccia. 
Senza entrare in dettaglio in un argomento così vasto, si può affermare che alcuni 
fattori, come la globalizzazione, l’accesso a tecnologie sempre più avanzate, l’aumento 
della consapevolezza e della conoscenza del consumatore il quale può accedere a 
qualunque tipo di informazione tramite internet, hanno contribuito a creare un mercato 
altamente concorrenziale e l’unico modo che hanno le aziende per sopravvivere e quello 
di creare maggior valore. Tale valore può essere generato in vari modi, ad esempio 
riducendo i costi, offrendo un prodotto o servizio di qualità superiore, sfruttando 
strategie di marketing o attuando politiche di finanza straordinaria allo scopo di creare 
delle sinergie. Tale premessa serve a introdurre il concetto di continuità operativa come 
strumento di vantaggio competitivo in quanto permette ad un'organizzazione di resistere 
a crisi o di recuperare rapidamente e ridurre al minimo l'impatto della perdita. In uno 
scenario in cui si verifica un evento più o meno catastrofico che influenza un certo 
numero di organizzazioni, quelle in grado di attuare un recupero più efficace 
emergeranno. Inoltre una buona gestione della continuità operativa può essere 
considerata come una garanzia dal punto di vista del cliente in quanto l’azienda ha una 
probabilità maggiore delle concorrenti di consegnare il prodotto o eseguire il servizio in 
caso di crisi o di un evento catastrofico.  
Per rispondere alla domanda iniziale bisogna valutare l’ambiente in cui operano le 
aziende da un altro punto di vista: le crescenti minacce. Le imprese sono sempre più 
soggette a interruzioni ed è praticamente impossibile prevedere la loro natura, durata e 
misura; ogni perturbazione potrebbe avere effetti diversi sulle risorse organizzative ed è 
in continuo aumento la gamma dei rischi sia interni che esterni e che potrebbero 
verificarsi da soli o simultaneamente.  
La mancata pianificazione per ottenere una continuità operativa può portare quindi alla 
perdita di reputazione, di quota di mercato, di clienti e fallimento dei processi di 
business. Grazie a tali considerazioni, si è in grado di rispondere alla domanda iniziale: 
al giorno d’oggi può un’organizzazione, sia essa pubblica che privata, permettersi di
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fermarsi? La risposta è no perché la continuità operativa è diventata oramai un’esigenza 
imprescindibile. 
Nel corso del seguente testo verrà affrontato un argomento di grande attualità, il 
Business Continuity Plan, un piano per ripristinare il più velocemente possibile le 
attività core dell’azienda in caso di eventi catastrofici, o, più in generale, eventi 
straordinari. Gli obiettivi principali del suddetto piano consistono nel salvaguardare il 
valore dell’azienda dalle minacce e creare una nuova fonte di vantaggio competitivo. 
Oltre a valutare l’importanza e il ruolo strategico che può avere il Business Continuity 
Plan nella società moderna, verrà approfondita la sua struttura seguendo la normativa di 
riferimento ISO 22301. Tale normativa dà delle istruzioni piuttosto generali su come 
deve essere realizzato il piano, lasciando alle aziende molta autonomia. Ad esempio 
viene indicato, come primo punto, la definizione dello scopo del Business Continuity 
Plan senza però entrare nel dettaglio. Ogni azienda definirà lo scopo del piano in base 
all’importanza che vuole dargli a livello strategico, alle proprie dimensioni o alla 
propria natura. Un altro elemento che indica l’autonomia che il piano concede alle 
aziende, è la definizione del contesto in cui le stesse operano, e quindi dei propri 
problemi sia interni che esterni, dei propri obiettivi e dei requisiti regolatori che devono 
rispettare. Tutti questi elementi possono cambiare radicalmente a seconda se l’azienda si 
trova in ambito farmaceutico piuttosto che automotive o alimentare.  
Nel secondo capitolo verrà introdotto il contesto specifico nel quale verrà affrontato il 
Business Coninuity Plan: il settore farmaceutico. Si analizzerà quindi il contesto di 
riferimento, si valuterà l’importanza di un piano di recovery e si analizzeranno le varie 
difficoltà che si devono affrontare in questo specifico settore. 
Il terzo capitolo rappresenta il core dell’elaborato in quanto verrà fatta una proposta 
metodologica per la realizzazione di un Business Continuity Plan nel settore 
farmaceutico. Verranno quindi approfonditi argomenti di particolare importanza, come 
il Business Impact Analisys, la fase in cui l’azienda definisce i suoi flussi di prodotto e/o 
di informazioni per riuscire a comprendere in maniera approfondita la struttura 
aziendale e identificare le attività core business; il risk assessment, che prevede la 
valutazione dei rischi a cui è sottoposta l’azienda con il duplice obiettivo di valutare la 
situazione attuale, e quindi le strategie già messe in atto per diminuire la probabilità con 
cui si manifesta una minaccia, e decidere le strategie da perseguire al fine di migliorare 
la gestione del rischio all’interno dell’azienda.
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Si valuteranno inoltre come possono essere affrontate le maggiori sfide che deve 
affrontare il settore farmaceutico e quali sono le possibili soluzioni.  
Nel quarto capitolo, verrà presentato il caso di studio in cui si vedrà l’applicazione 
pratica della proposta metodologica del capitolo precedente. Tale applicazione pratica è 
stata fatta all’interno di Haupt Pharma Latina, uno dei siti di produzione del gruppo 
Haupt Pharma, uno dei principali terzisti in Europa nella produzione di prodotti 
farmaceutici. Il sito produttivo di Latina fornisce specialità per la salute umana ed 
animale a più di 80 mercati nel mondo, grazie ad elevati standard di automazione nella 
produzione, confezionamento e stoccaggio. In questo capitolo verranno evidenziate le 
soluzioni che Haupt Pharma ha deciso di applicare ai vari problemi riscontrati per 
rispettare al meglio le proprie esigenze e i propri vincoli. 
Infine verranno tratte le dovute conclusioni mettendo in evidenza i punti di forza e di 
debolezza del piano in generale e in particolare nell’applicazione all’interno dello 
stabilimento scelto.
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Capitolo 1   
IL BUSINESS CONTINUITY PLAN 
1.1 Origine 
 
La metodologia del Business Continuity Managemente System si è evoluta 
continuamente negli ultimi venti anni fino a raggiungere una sua formalizzazione con 
l’emissione delle linee guida ISO 22301 (Societal Security - Business Continuity 
Managemente System – Requirements). 
I concetti di continuità operativa hanno tuttavia origini ben più lontane; in letteratura la 
gestione delle catastrofi risale al 1980 e intreccia aree di ricerca multidisciplinari quali 
la pubblica amministrazione e la gestione delle crisi organizzativa. I principi di crisis 
management e di business continuity nascono quindi con la moderna gestione di 
un’organizzazione.  
Il ruolo dei Manager è sempre stato quello di sopperire a improvvise interruzioni, alle 
inaspettate carenze di personale e/o alle impreviste carenze tecnologiche che 
procuravano un grave danno all’efficienza dei processi produttivi. La loro bravura 
risiedeva nel fatto di riuscire a diminuire l’effetto grazie a decisioni tanto veloci quando 
efficaci; il loro compito era quello di decidere velocemente le priorità a cui dedicare la 
propria attenzione, assegnare il personale con la competenza più appropriata a occuparsi 
dei processi critici e svolgere manualmente funzioni che i sistemi informativi (interrotti) 
non potevano eseguire. In pratica, la capacità di leadership aziendale si misurava anche 
in base alla sua capacità di mitigazione dei danni creati da interruzioni impreviste e 
spesso i Manager sono riusciti a trovare soluzioni alternative a crisi impreviste. Quanto 
detto oggi è molto più difficile, se non impossibile, a causa del progresso tecnologico. 
Nella moderna industria, con poche risorse umane si possono gestire volumi enormi e 
nella maggior parte dei casi è impensabile il ritorno alla lavorazione manuale. Inoltre, 
l’analisi di impatto sui processi critici è diventata indispensabile e deve essere effettuata 
accuratamente per determinare una strategia di recupero e l’identifizazione dell’ordine 
di priorità degli interventi. Le decisioni che venivano prese istintivamente dai Manager 
basandosi sulla propria esperienza e abilità a reagire agli imprevisti, non possono avere 
la stessa efficacia. Infatti le decisioni prese “a caldo” non possono garantire un ripristino 
veloce delle attività e il loro costo è senza dubbio superiore che nel caso delle decisioni
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prese “a freddo” in quanto esiste una pianificazione. Le aziende che ancora basano la 
loro strategia di gestione del rischio solo sulla capacità dei propri Manager, senza 
fornire loro degli strumenti di analisi previsionale, sono fragili e poco affidabili. 
Purtroppo, la continuità operativa per le imprese non ha ancora una direzione 
metodologica. Per anni, molte organizzazioni hanno ignorato il significato  di gestione 
delle catastrofi e di pianificazione della continuità. Sulla base delle statistiche, il 43 per 
cento delle aziende che hanno subito gravi catastrofi non hanno mai riaperto, e circa il 
30 per cento di loro è fallito entro 2 anni
1
. Tali statistiche sottolineano la necessità di un 
approccio proattivo da parte delle organizzazioni per avere un piano per proteggere 
efficacemente i processi contro le interruzioni e ridurre i loro impatti negativi.  
 
1.2 Evoluzione 
Le tre fasi principali del Business Continuity si possono far coincidere con i seguenti 
periodi storici
2
: 
- negli anni settanta si implementa la prima tecnologia di Distaster Recovery; 
- all’inizio degli anni Novanta aumenta la consapevolezza della necessità di un 
piano che salvaguardi la continuità operativa anche dei processi; 
- alla fine degli anni Novanta si struttura il Crisis management anche come 
conseguenza dell’11 settembre 2001. 
Inizialmente quindi la gestione della continuità operativa è stata principalmente 
identificata nel Distaster Recovery, solo successivamente è stata considerata in chiave 
strategica grazie alla sua capacità di resistere e recuperare a seguito di gravi crisi. La 
rivoluzione industriale ha comportato una profonda ed irreversibile trasformazione che 
parte dal sistema produttivo fino a coinvolgere il sistema economico nel suo insieme e 
l’intero sistema sociale. Negli anni ’70 l’introduzione dell’informatica e dei grandi 
elaboratori di dati ha rivoluzionato il sistema lavorativo. Infatti, già alla fine di quegli 
anni, tutta l’industria e il settore terziario si evolvono da una produttività manuale a 
processi meccanizzati. Le prime tecnologie rendono subito evidente la necessità di avere 
                                                 
1
 Dati estratti dall’articolo “Integrated business continuity and disaster recovery planning: Towards 
organizational resilience” N.Sahebjamnia, S.A.Torabi, S.A.Mansouri 
2
 Secondo il testo: “Risk Management: conoscenze e competenze di un unico processo” di Cavadini    
Andrea M., Lucietto Gianluigi
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un piano che permetta di avere una continuità operativa almeno dal punto di vista 
tecnologico, il Distaster Recovery Plan. 
La produzione di prodotti, dati e documenti è talmente veloce che la strategia 
alternativa, in caso di interruzione, di tornare a fare tutto manualmente quanto prodotto 
dai sistemi informatici, si rileva alquanto impossibile. Si investe quindi nella 
duplicazione dei dati e nella duplicazione dei sistemi hardware. All’inizio tutto è tenuto 
nello stesso luogo di produzione, considerando come eventualità soltanto quella legata a 
eventuali interruzioni tecniche. Solo in una fase successiva, a seguito di esperienze 
critiche gravi, si è imposta una distanza di sicurezza tra il sito principale e il sito in cui 
vengono immagazzinati i backup. Si può facilmente desumere quanto tempo poteva 
passare tra un evento critico e il ripristino tecnologico. Ci volevano infatti diverse ore, 
anche giorni. Oggi, con il progresso delle telecomunicazioni, il Disaster Recovery è 
immediato e in alcuni casi l’utente neppure si rende conto che la sua operazione, a causa 
di un’interruzione, è passata ad un altro sistema.  
Il progresso e l’innovazione delle telecomunicazioni, con le linee ADSL e le fibre 
ottiche, è stato da molti definito come la terza rivoluzione industriale. Prima di tale 
evoluzione, l’informatica non era distribuita: ciascuna sede o stabilimento industriale, 
gestiva il proprio sistema di elaborazione dati e sviluppava o acquistava software che 
poteva implementare solo localmente. Le risorse finanziarie delle imprese dettavano 
quindi il loro più grande vantaggio competitivo.   
L’accentramento dei grandi Centri Elaborazione Dati, a cui tutte le periferie si potevano 
finalmente collegare, oltre a facilitare le sinergie, recava anche il grande vantaggio di 
operare finalmente la separazione fisica tra le persone e le attrezzature tecnologiche 
garantendo una maggior protezione verso le interruzioni su entrambe le risorse. Il solo 
utilizzo per la gestione del rischio del Disaster Recovery diventava, in tal modo, inutile 
in quanto non vengono tutelati tutti i processi critici. Queste motivazioni hanno portato 
alla realizzazione di un piano per garantire la Continuità Operativa della aziende a 
seguito di eventi straordinari.  
Negli ultimi anni, dopo aver strutturato le procedure di Distaster Recovery e di 
Continuità Operativa, si è compresa l’importanza di una robusta e ben strutturata 
gestione della crisi e delle emergenze. L’utilizzo dei due piani comportava una spesa 
significativa quindi spesso le funzioni operative esitavano prima di applicarli e tale 
esitazione ha portato a ingenti perdite economiche e di reputazioni. Per questo motivo le
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organizzazioni hanno compreso l’importanza del coinvolgimento da parte del Top 
Management per lo sviluppo e il sostegno di una struttura di Crisis Management.  
Un esempio pratico
3
 di quanto detto fin ora è rappresentato dalla risposta di Morgan 
Stanley, famosa banca d’affari, agli attacchi dell'11 settembre. La società non si è 
limitata ad un approccio puramente tecnico (Disaster Recovery) per la gestione del 
rischio, ma ha utilizzato un punto di vista socio-tecnico e la loro filosofia di capacità 
organizzativa ha dimostrato sia la loro capacità di apprendimento che quella di 
adattamento prima e durante la crisi. La formazione continua dal 1993 al World Trade 
Centre su un possibile attentato ha fatto sì che la maggior parte dei dipendenti della 
società (3.700) sopravvissero all'evacuazione della torre sud nel 2001. Dopo aver 
raggiunto il primo obiettivo (l’evacuazione), la società ha proceduto a ristabilire un 
contatto con i propri dipendenti dispersi con visite a domicilio, trasmissioni pubbliche e 
uno dei suoi call center situati in Arizona. Entro tre giorni quasi tutto il personale della 
torre sud era stato localizzato. Contemporaneamente Morgan Stanley ha cercato di 
recuperare le sue strategie alternative e istituito un centro di recupero provvisorio a 
Brooklyn. Ciò a dimostrazione che l'uso creativo e flessibile delle risorse sostituisce il 
valore ottenuto imitando piani di emergenza.  
1.3 Disaster Recovery Plan e Business Continuity Plan  
Di seguito sono riportate le definizioni dei due piani principali per la gestione della crisi 
e un loro confronto.  
1.3.1 Business Continuity Plan  
La continuità operativa è la capacità di un'organizzazione di mantenere la fornitura di 
prodotti e l’erogazione di servizi a livelli accettabili a seguito di un episodio di crisi ed 
ha quindi come obiettivo principale quello di proteggere la società, garantire la capacità 
di reagire agli incidenti, rispondere alle emergenze e alle calamità. La pianificazione 
della continuità operativa e di servizio si chiama Business Continuity Plan (BCP) e 
viene comunemente considerata come “un processo globale che identifica i pericoli 
potenziali che minacciano l'organizzazione, e fornisce una struttura che consente di 
aumentare la resilienza e la capacità di risposta in maniera da salvaguardare gli 
                                                 
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 Tratto dall’articolo scientifico “Business Continuity Management: time for a strategic role?” di Brahim 
Herbane, Dominic Elliott and Ethne´ M. Swartz