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genere predominante, cioè la tragedia, senza trascurare la commedia e la 
tragicommedia. 
Questa sintesi sui temi e lo stile delle opere del teatro giacobiano è 
seguita dal capitolo dedicato alla figura di John Webster.  
Il II capitolo presenta la biografia di John Webster ed inoltre intende 
rilevare le differenze tra le opere del primo periodo e quelle della maturità. 
Le prime sono nate dalla collaborazione di Webster con altri autori e 
presentano una satira dei vizi della società, appresa da Marston. 
Le opere della maturità sono rappresentate dalle due tragedie The 
White Devil e The Duchess of Malfi, in cui l’arte di Webster raggiunge la 
sua massima espressione, grazie alla sua abilità nell’uso del linguaggio 
figurato. L’uso del linguaggio figurato o “imagery” permette a Webster la 
rappresentazione di un uomo travolto dal disordine e dal caos, ai quali 
cerca di opporre un nuovo “ordine”, anche se alla fine fallisce.  
L’uomo sa che è impossibile penetrare e comprendere la realtà, 
perché è avvolta in una “nebbia”, che è il simbolo delle difficoltà 
conoscitive umane.  
Il genio di Webster non riesce a raggiungere più i livelli delle due 
tragedie e così l’ultima parte della sua carriera sarà caratterizzata da alcune 
opere considerate di poco valore. 
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Tra queste opere c’è The Devil’s Law-Case, in cui Webster sembra 
riproporre alcuni temi delle due tragedie, come la rappresentazione del 
cattivo, del suo cinismo e del disordine in cui vive.  
In realtà il valore di questa opera è legato all’intreccio e all’azione, 
ricca di numerosi colpi di scena e capovolgimenti di situazioni, che 
rendono la storia in alcuni momenti irreale e poco coerente. L’azione 
risulta più importante della costruzione dei personaggi, sebbene l’autore 
pone al centro dell’intrigo un altro cattivo, Romelio, come nelle tragedie. 
Il III capitolo analizza le caratteristiche di questa tragicommedia, 
presentando l’immagine di un uomo non più disperato e angosciato, ma di 
un uomo pratico, Romelio che agisce in nome degli interessi economici con 
cinismo, ma  dimostrandosi diverso da Flamineo e da Bosola, i cattivi delle 
due tragedie precedenti. 
L’ultimo capitolo, il IV, presenta alcuni dei giudizi critici più noti 
sull’opera di Webster, facendo una sintesi degli interventi più importanti 
sull’opera di questo autore e sul teatro elisabettiano. 
La critica di John Webster ha seguito due direzioni diverse, dopo la 
riscoperta dei Romantici: una è quella che considera Webster un grande 
poeta ma anche un cattivo drammaturgo, mentre l’altra ha cercato di 
superare la scissione nel teatro di Webster l’azione e la parola, e soprattutto 
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gli eccessi di un gruppo di critici che hanno sottolineato solo il 
sensazionalismo della sua opera. 
Tra i giudizi critici che hanno cercato di superare una visione 
riduttiva di Webster c’è anche quello di T.S. Eliot. 
Il saggio di Eliot esprime un giudizio positivo sul teatro elisabettiano 
e su Webster, di cui sottolinea la capacità di esprimere la riflessione su un 
uomo confuso e turbato, che si traduce nell’analisi della realtà 
caratterizzata dalla presenza costante della morte.   
 
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CAPITOLO I 
 
 
IL TEATRO GIACOBIANO 
 
 
 
Introduzione 
Il periodo tra la fine del XVI secolo e la prima parte del XVII secolo 
è il momento di massimo splendore del teatro in Inghilterra. 
Nei decenni finali del Cinquecento si assiste alla notevole diffusione 
del teatro come passatempo universale nella città di Londra, diventando 
progressivamente il momento di massimo sviluppo di geni artistici e di 
opere di grande valore. 
Questo lungo periodo che comprende anche il teatro giacobiano e 
carolino è definito “elisabettiano” e si può dividere in tre fasi.  
La prima fase pienamente rinascimentale, è caratterizzata 
dall’entusiasmo nelle possibilità dell’uomo e copre un lungo periodo fino 
alla fine del ‘500. La seconda fase è attraversata da un amaro disincanto e 
da una profonda crisi e termina nel 1612 circa; la terza si differenzia per 
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una calma asfittica ed artificiosa della decadenza e si conclude nel 1642, 
l’anno in cui i teatri vengono chiusi. 
E’ il periodo giacobiano del teatro che suscita grande interesse per i 
cambiamenti profondi e gli sconvolgimenti a cui l’uomo è sottoposto, dopo 
la fase elisabettiana. 
 
1.Il teatro giacobiano 
Questa fase del teatro elisabettiano è legata ad un momento storico 
ben preciso, le cui caratteristiche sono evidenti nelle opere dei principali 
autori.  
La morte di Elisabetta segna la fine di un periodo di ricchezza e di 
sicurezza economica, ma anche di fiducia e positività che si era tradotta 
nella vitalità degli autori di opere per il teatro, massima espressione di quel 
momento di sviluppo.  
Dopo la morte di  Elisabetta la società inglese non ha più nessuna 
certezza e perde la fiducia nelle capacità umane, trovandosi così ad 
affrontare un periodo di grande incertezza, accentuata soprattutto dalla 
successione al trono di Giacomo I, avvenuta nel 1603. Il nuovo sovrano, 
infatti, non riesce ad assicurare più quel benessere che Elisabetta aveva 
saputo dare durante il suo regno, grazie alla sua collaborazione con la 
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classe mercantile, che invece Giacomo trascura per la sua politica incerta e 
a volte filospagnola e anche per una mancanza di esperienza, dovuta al 
fatto che egli proviene da un paese assai povero e considera le risorse del 
suo paese illimitate. La sua incapacità a governare il paese accresce la sua 
impopolarità e soprattutto l’insofferenza della popolazione e di esponenti 
del potere  nei suoi confronti. Questa situazione spiega le congiure del 1603 
e del 1605 (The Gunpowder plot) per destituirlo e il senso di instabilità, di 
incertezza legati al presagio di un destino oscuro che non avrebbe riservato 
nulla di positivo e chiaro.  
La reazione a questo momento storico è rappresentata da uno stato 
d’animo di paura e  di vuoto, che spinge l’uomo a rifiutare qualsiasi 
appiglio metafisico e a rifugiarsi così nell’esperienza pratica e 
nell’evidenza dei sensi.  
Questo è un atteggiamento che ha le sue radici nel rifiuto della 
concezione medioevale della vita terrena considerata solo in preparazione 
di quella ultraterrena.  
Il rinascimento rivaluta così la vita terrena e sposta la sua attenzione 
sull’uomo, che è ormai consapevole delle proprie possibilità e che il mondo 
gira attorno a lui. E’ un uomo diverso, che sa di potere migliorare la propria 
vita e quindi interviene per modificare il proprio destino, di cui diventa il 
padrone.  
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E’ una visione della vita che enfatizza l’individualismo dell’uomo.   
L’uomo del periodo rinascimentale è vitale e intraprendente e queste 
sue qualità gli permettono di raggiungere un certo benessere dal punto di 
vista economico. 
La crescita economica dell’Inghilterra è legata all’abbandono delle 
attività agricole per privilegiare l’industria e il commercio. 
I mercanti sono i nuovi “ricchi”, in una scala sociale in cui la vecchia 
aristocrazia ormai non si trova più al vertice, ma si avvia verso un 
definitivo declino, favorito dal progressivo sfaldamento del vecchio sistema 
feudale. Gran parte delle terre confiscate alle chiese vengono vendute a 
queste classi emergenti, che successivamente chiedono una maggiore 
partecipazione nella politica. 
Il passaggio dal Medioevo al Rinascimento è caratterizzato, oltre che 
da questa vitalità nell’economia, anche da una forte opposizione alla Chiesa 
di Roma, che poi si traduce nella Riforma Protestante. La Riforma 
comporta un netto rifiuto dei privilegi e degli abusi della Chiesa di Roma, e 
soprattutto l’affermazione della libertà dell’uomo nell’interpretazione delle 
Sacre Scritture, così come nell’uso dell’inglese nelle celebrazioni liturgiche 
e nei testi sacri. 
La stabilità e la certezza della prima fase del periodo rinascimentale 
sono assicurati dalla perfezione nell’ordine dell’universo, in cui il 
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macrocosmo è strettamente legato al microcosmo, e l’individuo deve 
rispettare una precisa gerarchia, in cui Dio è al vertice, seguito dagli angeli, 
gli uomini, gli animali e alla fine gli esseri inanimati.  
Con la rottura di questo ordine, cioè “la catena degli esseri”, negli 
anni finali del regno di Elisabetta e quelli iniziali di Giacomo, l’uomo si 
rende conto dell’impossibilità di una comprensione chiara della realtà e del 
mondo in cui vive, ormai dominato dal caos e il disordine.  
Infatti nel periodo compreso tra gli anni finali del ‘500 e quelli 
iniziali del ‘600 la sensibilità collettiva frana di fronte le nuove scoperte 
scientifiche, che modificano le convinzioni medioevali. 
Gli studi rivoluzionari nel campo della medicina e in quello 
dell’astronomia producono dei profondi stravolgimenti. La teoria 
copernicana modifica l’impianto medioevale tolemaico, in quanto afferma 
che il sole, e non la terra, è al centro e attorno ruotano gli altri pianeti. 
La teoria copernicana stravolge la visione medioevale tolemaica, che 
era il simbolo della perfezione e dell’ordine, in quanto la terra era 
governata dall’intelligenza divina, sostituita ora dalle leggi scientifiche. 
E’ la tragedia il genere che esprime meglio questo stato d’animo, 
diventando satanica, poiché rivela l’esistenza di un mondo dominato dal 
potere del male e sottolinea la figura di un uomo confuso e sconcertato, alla 
ricerca di ciò che può superare l’esperienza concreta.