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il carattere scientifico della disciplina e il riconoscimento della sua
dimensione letteraria affermando, così, la presenza di un elemento comune
con il mondo della narrativa.
Il primo capitolo di questo lavoro intende descrivere le peculiarità
del rapporto fra storia e cinema che, come vedremo, non è corretto leggere
esclusivamente come una contrapposizione. Quando comparvero la
fotografia e il cinema, con la loro abbagliante capacità di far rivivere la
realtà, alcuni annunciarono il tramonto della vecchia storia in forma
cartacea. Il fotografo polacco Matuszewsky, uno dei primi appassionati
teorici del cinema documentario, concepì nei primi anni del ‘900 un
progetto di archivi della video-storia dove conservare i documenti visivi che
avrebbero fatto rivivere quel presente alle generazioni del futuro. I cineasti
non ebbero bisogno di legittimare il loro ruolo di nuovi storici come era
avvenuto per i romanzieri perché in realtà tale ruolo non apparteneva loro:
le immagini vennero considerate talmente oggettive e affidabili da essere in
grado di parlare da sole e il nome dei realizzatori dei filmati non era ritenuto
di alcuna importanza e spesso non veniva menzionato
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. Le immagini erano i
nuovi storici. La scoperta dei primi falsi video-documenti, spense
l’entusiasmo che era cresciuto intorno ai nuovi mezzi e diede agli storici,
che erano rimasti in gran parte diffidenti, una possibilità di riscatto. Essi
ribadirono, infatti, la prevalenza accordata al documento scritto rispetto a
quella alle altre fonti decretando, in tal modo, l’estraneità dei documenti
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Cfr. M. Ferro, Cinema e storia, Feltrinelli, Milano, 1980, p. 82.
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filmici dal ventaglio delle fonti storiografiche e sancendo il ritrovato valore
della figura dello studioso.
Lo sviluppo del cinema, abbandonato dagli studiosi, non si arrestò.
Questo fu influenzato dai giudizi artistici dei critici, dai desideri di un folto
pubblico, che non era mai venuto meno, e dalle logiche del capitalismo. I
film di finzione divennero le produzioni predominanti e di maggior
successo. La storia non riuscì a comprendere l’importanza del film,
documentario e di fiction, come documento e a fornire adeguati modelli di
studio che fossero in grado di soddisfare i criteri scientifici della ricerca
storica. Così questo rimase un oscuro oggetto (del desiderio) per gli studiosi
almeno fino agli anni ’60 e ‘70, quando la rivoluzione documentaristica
diede uno scossone alla predominanza delle fonti scritte.
Nuove discipline come la sociologia e la psicologia entrarono a far
parte degli strumenti a disposizione della ricerca storica che non era più in
grado da sola di rispondere alle domande poste da una società in continua
evoluzione. Il nuovo corso intrapreso dalla storia è dunque relativamente
recente. Ferro e Sorlin, studiosi francesi, grazie ad esso hanno potuto
operare una sintesi delle precedenti teorie ed intuizioni elaborate nell’arco di
quasi un secolo che erano rimaste forzatamente ai margini del dibattito
scientifico. Ancora oggi, gli studi svolti negli anni ‘80 del ‘900 dai
transalpini rappresentano i capisaldi di tutte le più recenti ricerche sul
rapporto fra cinema e storia quali ad esempio la lettura della storia nei film,
il cinema come agente di storia o il cinema come nuovo linguaggio per gli
storici.
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Oggi gli studi che si occupano di cinema e storia sembrano aver
subito un calo dovuto al grande sviluppo delle tecnologie informatiche
utilizzate sempre più di frequente nell’opera di ricostruzione degli scenari
del passato e nella trasmissione delle conoscenze storiche acquisite. Tuttavia
le produzioni filmiche a carattere storico sono ancora numerose: riempiono i
palisensti televisivi e continuano ad essere oggetto di produzioni
cinematografiche. Nel capitolo “Cinema e Storia” abbiamo cercato di
comprendere i motivi per cui il genere storico continua ad essere sfruttato da
registi e produttori. Studiare un film storico ci ha dato la possibilità di
indagare il modo in cui la conoscenza storica viene oggi veicolata dai mezzi
di comunicazione di massa e di analizzare gli svantaggi e le possibilità che
questi medium concedono alla storia. Studiare Il resto di niente, uscito nelle
sale italiane nel marzo del 2005, ci ha permesso di riflettere sul rapporto che
la società oggi ha con il suo passato.
I contenuti storici del film riguardano un argomento ben conosciuto,
almeno nei luoghi in cui si svolse la breve vicenda della Rivoluzione
Napoletana a cui è dedicato un intero capitolo intitolato “La Rivoluzione
Napoletana fra storia e storiografia”. La Repubblica del 1799, nata come
conseguenza di quel rivolgimento politico, resistè a Napoli solo pochi mesi
e, per alcuni, fu un’esperienza effimera che, sin dalla sua nascita, era
destinata a fallire il suo scopo: creare il mondo nuovo, realizzare l’utopia
illuministica. Ma ciò che non pochi storici e studiosi definirono come un
gioco infantile diede ai giovani aristocratici giacobini napoletani che lo
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praticarono la possibilità di divenire dei martiri ancora oggi oggetto di
numerose agiografie.
Napoli a fine ‘700 appariva come un vivace centro di elaborazione
politica e culturale grazie anche a studiosi come Filangieri e Genovesi che
nei decenni precedenti vi avevano esercitato un ruolo decisivo nella
formazione della coscienza di molti. L’analisi dell’esperienza del 1799 non
può perciò prescindere dalle sue radici culturali. Inoltre, se si volge lo
sguardo oltre il momento della capitolazione degli ultimi giacobini, nel
giugno del 1799 (ma le esecuzioni dei prigionieri politici da parte dei
Borbone continueranno per oltre un anno) l’esperienza di Napoli assume
grande significato storico e politico nella prospettiva lunga del processo
unitario italiano. Lo dimostra anche il fatto che alcuni personaggi legati al
mito della Repubblica del 1799, come quello di Luisa Sanfelice, divennero
nel XIX secolo icone del patriottismo per tutta la penisola.
Il quadro storico sulla Repubblica del 1799 è stato arricchito solo di
recente grazie alle celebrazioni bicentenario del 1999, quando un ritrovato
interesse per quei fatti e un mutato panorama storiografico hanno portato a
nuove scoperte ed importanti risultati storiografici.
Il film di Antonietta De Lillo, regista partenopea che vive da tempo a
Roma, narra la vicenda di una protagonista della Repubblica del 1799,
Eleonora Fonseca Pimentel, ed è tratto dall’omonimo romanzo di Striano
pubblicato per la prima volta nel 1986 a Napoli. La regista ha dichiarato che
esso non tradisce lo spirito del romanzo né quello della Storia ma opera un
processo artistico di scomposizione e ricomposizione degli eventi. Sul tema
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delle differenze fra romanzo e film è incentrato il secondo capitolo di questa
tesi dal titolo “Il Confronto”.
Striano nato a Napoli aveva alla spalle una grande conoscenza della
storia di Napoli e degli eventi del 1799. Ciononostante gli autori della
sceneggiatura de Il Resto di Niente hanno svolto un intenso lavoro
preliminare di raccolta e cernita della sconfinata pubblicistica sulla
Repubblica che a Napoli, e non solo, è stata data alle stampe nel corso degli
anni. Grazie a tale operazione, il film ha mantenuto un forte rigore storico
per quanto riguarda fatti e personaggi principali, già comunque molto
conosciuti e rappresentati da letteratura, cinema e televisione. Inoltre, è
evidente anche un forte impegno nel ricostruire forme culturali e modi di
vivere del volgo.
Il film è stato girato a Napoli, ma senza rispettare i luoghi reali dove
si svolsero le vicende storiche narrate. La macchina da presa che adotta
spesso la soggettiva di Eleonora Pimentel (una bravissima Maria De
Medeiros) sottolinea l’intenzione di immergersi dentro la vicenda
esistenziale e nella storia personale di questa donna e di conseguenza è la
sua esperienza della storia quella che lo spettatore vivrà. Tuttavia Antonietta
De Lillo dietro la macchina da presa ha cercato di cogliere quanto
normalmente sfugge all’occhio umano: lo spirito di una vicenda storica
radicata nella memoria comune dei napoletani e che è ancora presente nei
luoghi in cui essi vivono.
Un’intervista alla regista de Il resto di niente conclude il percorso di
questa tesi sulla Rivoluzione Napoletana del 1799 tra storia cinema e
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letteratura. La regista è stata interrogata sulla sua idea di cinema ed ha
espresso la convinzione che questo è il mezzo che più di tutti riesce a
rappresentare la nostra società che è fatta di rapporti umani di sinergie e di
scontri. Le sue risposte alle nostre domande sul rapporto che il film ha con
la storia e con le fonti storiografiche hanno, invece, evidenziato come lei
abbia dato una sua visione della vicenda filtrata da una forte sensibilità
artistica, che rimane sempre in primo piano nel suo lavoro, ma senza
compromettere la volontà di rispettare la storia. Dalle risposte di Antonietta
De Lillo è, infine, emerso il rammarico per la poca visibilità che è stata
decretata per il suo film nei circuiti commerciali cinematografici.