5 
 
                                    INTRODUZIONE 
 
In questo lavoro ho voluto trattare la complessa quanto affascinante tematica della 
transessualità su cui ancora oggi pervade fervente ignoranza ed errata  
informazione. Nell’immaginario collettivo infatti, la transessualità viene quasi 
esclusivamente associata a prostituzione, scabrosità, o tristi vicende di cronaca. In 
ciò giocano un ruolo determinante i media, che rendono sovente un’immagine 
distorta e stereotipata delle persone transessuali, lanciando messaggi pregni di 
connotazioni negative, anche al fine di creare sensazionalismo, morbosità, e alzare 
così gli indici di ascolto dei programmi TV o le vendite dei giornali. I media infatti 
spostano spesso l’attenzione su aspetti che in realtà hanno ben poco a che fare con 
la realtà transessuale o che ne costituiscono solo un aspetto marginale, minando 
alla dignità delle persone che vivono questa condizione ed incentivando 
atteggiamenti sociali di tipo discriminatorio e transfobico. Attraverso analisi di tipo  
psicologico, biologico, sociologico e antropologico, ho dunque cercato di fornire le 
corrette informazioni riguardo la realtà transessuale, depurandola da tutta una 
serie di luoghi comuni e pregiudizi mossi da argomentazioni che non trovano 
fondamento alcuno. In particolare, mi sono soffermata spesso sul concetto della 
binarietà dei generi quale tipico del genderismo, sottolineando come esso sia in 
realtà un prodotto culturale e socialmente costruito nel corso della storia. Ho quindi 
dimostrato, attraverso la spiegazione del concetto di identità sessuale e attraverso 
una comparazione di tipo trans-culturale, la possibilità di numerose variabili di 
genere, e giungere pertanto a considerare quest’ultimo non come concetto bipolare 
ma come un continuum. Da qui la necessità di considerare come naturali e legittime 
le varie espressività dell’identità sessuale che si discostano dal modello binario, e 
operare con celerità verso la progressiva depsichiatrizzazione del transessualismo, 
superando la stigmatizzante espressione “Disturbo dell’Identità di Genere” e 
optando per un’inclusione più positivizzante nella prossima edizione del DSM. 
Ampia parte di questo lavoro è stata inoltre dedicata al transessualismo nei bambini 
e negli adolescenti, tema a cui purtroppo non viene data la reale importanza, ma 
che anzi specialmente in Italia viene considerato quale vero e proprio tabù. Ho 
dunque insistito sull’importanza della giusta consapevolezza riguardo ai problemi 
d’identità di genere nei bambini e negli adolescenti, e di come sia fondamentale 
adottare con essi un approccio adeguato che si esplichi in una modalità non 
giudicante, ma piuttosto di empatia ed accettazione, al fine di preservarne e 
consentirne il benessere psichico-fisico. Questi infatti troppo spesso, a causa di una 
grave reticenza culturale, non vengono compresi e dunque lasciati soli a 
confrontarsi con una sofferenza notevole, dovuta ad un ambiente sociale 
fortemente stereotipato nei ruoli di genere che non permette loro di esprimersi,
6 
 
facendoli sentire continuamente sbagliati e profondamente diversi dai loro 
coetanei. Da qui una serie di possibili ripercussioni negative anche gravi quali 
l’insorgenza di ideazione suicidaria, disturbi d’ansia o depressivi, che possono 
compromettere e perturbare seriamente l’integrità psichica di questi ragazzi. Si 
comprende pertanto l’importanza che assume sia il ruolo dei genitori sia quello 
della scuola che, quale agenzia di formazione/istruzione, dovrebbe promuovere una 
corretta informazione sul tema delle minoranze sessuali, operando per la 
decostruzione dei pregiudizi e mostrandosi inoltre capace di individuare e sostenere 
quei ragazzi con un disagio inerente alla sfera dell’identità sessuale. In questo lavoro 
ho dato inoltre risalto agli studi, alle riflessioni e ad estratti di testimonianze delle 
stesse persone transessuali, che come nessun altro possono aiutare a comprendere 
e rendere chiara la natura di questa condizione, e ciò che comporta il viverla in una 
società come la nostra. Concludo dunque con delle parole particolarmente 
pregnanti tratte dall’intervista ad un transessuale FtM, riportata da Mary Nicotra in 
Transazioni. 
“Nella ricerca di un adeguamento della propria identità biologica e sociale 
all’identità di genere sentita, le persone transessuali si imbattono quasi per caso nei 
rigidi parametri che costituiscono i modelli di genere: per assolvere a una esigenza 
vitale, scoprono un intero mondo di valori e norme precostituite le cui identità 
devono adattarsi, anziché il contrario. Come un vaso che non fosse costretto a 
contenere bensì a plasmare il contenuto. Scoprono inoltre che tali norme permeano 
e disciplinano la vita di tutti, più o meno consapevolmente. Sono convinto che se ci 
ascoltasse oltre il pregiudizio, le nostre esperienze avrebbero molto da svelare in 
merito ai modelli di genere e al loro grado di veridicità e di rappresentatività della 
ricchezza umana. Che se le nostre esperienze fossero lette tralasciando i giudizi di 
valore e la mera curiosità verso un modus vivendi insolito, offrirebbero mille spunti 
per reinterpretare secondo un’ottica differente il comune vivere di ognuno, quelle 
azioni e quelle convinzioni sulle quali non ci s’interroga mai, tanto universalmente 
radicate da apparire scontate, monolitiche, dogmatiche, naturali… Una persona 
transessuale attraversa da un campo all’altro il sistema dei generi, e avrebbe molto 
da raccontare in proposito: il sistema stesso le relega, con una relazione 
immunitaria che si espleta attraverso la diffamazione, lo stigma e la 
delegittimazione, al ruolo di cellule patologiche, anomale. O autonome?”
1
. 
 
 
                                                           
1
 Mary Nicotra, “Daniele, l’incontro con lo sguardo sociale“ in Transazioni. Corpi e soggetti MtF, Il 
Dito e la Luna, 2006.
7 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Parte I 
Transessualità e variabilità di genere 
oltre il modello binario
8 
 
1. Verso la depsichiatrizzazione del transessualismo 
 
La persona transessuale, secondo il DSM-IV-TR
2
, soffre del Disturbo dell’Identità di 
Genere (DIG). Tale espressione si riferisce ad una notevole sofferenza che 
l’individuo vive rispetto al genere che gli è stato assegnato, nonché al proprio corpo 
sessuato. La persona transessuale infatti vive una forte scissione tra la propria 
identità di genere (sesso psichico), ed il sesso biologico d’appartenenza, al quale 
sono associati significati culturali e sociali che condizionano l’individuo sin dalla 
nascita. La persona transessuale dunque, si sente imprigionata in un corpo che 
sente a sè estraneo e che rifiuta, e intraprende un percorso di trattamenti ormonali 
e chirurgici per conformare il corpo e le sue caratteristiche alla propria identità di 
genere, acquisendo così i tratti distintivi, nonchè l’identità sociale e sessuale, del 
genere a cui sente di appartenere. La sofferenza della persona transessuale però, è 
spesso dovuta non tanto alla propria condizione intrinseca, ma alle pressioni e alle 
violenze che esercita sull’individuo una società come la nostra, caratterizzata da un 
binarismo sessuale rigido e preconfezionato, talmente inculcato nella nostra cultura 
da farlo sembrare naturale. Questo binarismo dei sessi e dei ruoli, ha reso e tutt’ora 
continua a rendere difficile la vita per chi non si riconosce in questa polarità 
maschio-femmina, e sente e manifesta un’identità sessuale che esula da tale 
costrutto. In effetti, la stessa espressione “disturbo d’identità di genere”, è frutto di 
questa società binaria e dicotomica, in cui viene considerata come naturale e 
possibile la presenza di solo due polarità sessuali, e la tendenza a stigmatizzare e 
considerare patologica qualunque espressività identitaria che si discosti da tale 
modello. In anni recenti, in contrasto con l'idea dei problemi di identità di genere 
come disturbi mentali, molti medici che lavorano regolarmente con questo tipo di 
pazienti è arrivato a pensare a questo fenomeno non più come una patologia, ma 
come una variazione naturale alla concezione comune binaria maschio/femmina del 
genere. In aiuto alla depatologizzazione del fenomeno, l’espressione “variabilità di 
genere” sta ultimamente diffondendosi e acquistando consensi. Nel 2001 a 
Galveston Texan, in occasione della Conferenza HBIGDA (Harry Benjamin 
International Gender Dysphoria), ovvero una delle associazioni più importanti al 
mondo ad occuparsi del trattamento e dello studio del transessualismo, Lin Fraser, 
che opera a San Francisco nel campo della psicoterapia, ha affermato:  
“Quello che vediamo, in pratica, sono tante persone diverse, alcune nel sistema 
binario tradizionale dei generi, altre no. Sono varianti di genere, “gender different”, 
                                                           
2
 APA, DSM-IV-TR (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders 4
rd
  ed. Text Revision), 
Washington, 2000.
9 
 
sono membri della comunità queer o comunque non binari in altro modo. Ci sono 
molte variabili.”
 3
 
La stessa HBIGDA ha di recente cambiato il proprio nome, adottando quello di 
WPATH, ovvero World Professional Association for Transgender Health 
(Associazione Mondiale Professionale per la Salute delle persone Transgender), 
proprio con l’intenzionalità di escludere l’espressione “disforia di genere”, ponendo 
invece l’accento sull’aspetto che riguarda la salute ed il benessere delle persone. 
Anche questo è un ulteriore passo da parte della comunità professionale verso la 
depsichiatrizzazione delle variazioni di genere e di sesso, sulla quale preme da 
diversi anni l’associazione. Un fervente dibattito riguarda anche la prossima 
formulazione del DSM, rispetto la collocazione del DIG. Molti infatti vorrebbero 
vedere un cambiamento rispetto il trattamento delle questioni di identità di genere 
all’interno del DSM. Si possono individuare a questo proposito due schieramenti: 
 -- Alcuni medici chiedono la rimozione completa di ogni riferimento alle tematiche 
di genere nella prossima edizione del DSM.  
-- Altri chiedono un'inclusione non patologizzante che riconosca la variabilità di 
genere come un fenomeno naturale che richiede una combinazione di attenzione 
psicologica e medica.  
La psicoterapeuta Anne Vitale del WPATH, si schiera a favore di chi sostiene che 
un’inclusione sia positiva, poiché eliminare la questione dal DSM non 
significherebbe la fine della stigmatizzazione e della disapprovazione culturale e, 
inoltre, ciò porterebbe a considerare non necessarie le procedure mediche, 
specialmente nei Paesi che hanno Servizio Sanitario Nazionale
4
. Vitale, dunque, 
opta a favore dell’inclusione, ma con la proposta aggiuntiva di spostare le 
problematiche relative all’identità di genere dall'insieme dei disordini sessuali a 
quello dei disordini d'ansia. La studiosa sottolinea infatti come il comportamento 
cross-gender tipico delle persone con variabilità di genere non sia un disturbo 
sessuale e neanche un disturbo di identità di genere, ma un disturbo d’ansia 
secondario dovuto alla privazione fisica e sociale della propria espressione di 
genere, nonché all’assunzione obbligata di un genere in cui l’individuo non si 
riconosce, soffocandone l’espressività e causando marcata sofferenza, con possibili 
stati di depressione, ansia, spersonalizzazione, paura, rabbia, senso di colpa e 
rischio di suicidio. L'inserimento dell’espressione “Disturbo dell’Identità di Genere” 
tra i Disturbi Sessuali nel DSM-IV e DSM IV-TR porta in effetti alcuni praticanti a 
                                                           
3
  Fraser, L., (2001), “Providing Therapeutic Care Outside the Binary Gender System.” Documento 
non pubblicato e presentato al 17° HBIGDA International Symposium on Gender Dysphoria, 
Galveston, Texas, Ott. 31 - Nov. 4, 2001. 
4
 A. Vitale, Conferenza  HBGDA, Bologna, 2005.
10 
 
pensare che l'individuo con questa condizione abbia un disturbo psicosessuale, cioè 
che la persona rifiuti di accettare la realtà del proprio corpo e della propria identità 
per ragioni sessuali. La maggior parte delle persone che presentano una seria 
disforia di genere però, ha un ottimo senso di sè ed è acutamente consapevole del 
fatto che la propria identità sia discorde dal proprio sesso biologico. Vitale dunque 
propone che il disagio o la disforia associati all'essere individui con variabilità di 
genere, nella prossima edizione del DSM sia spostato dalla categoria dei Disturbi 
Sessuali a quella dei Disturbi d'Ansia e, nello specifico, che sia rinominato come 
Disturbo d'Ansia da Deprivazione dell'Espressione di Genere - Gender Expression 
Deprivation Anxiety Disorder - (GEDAD)
5
. La studiosa preme sull’efficacia e la 
legittimità di questa espressione, mettendo l’accento anche sul trattamento medico 
e psicologico che possa condurre verso l’alleviamento di tale ansia. Gli stessi autori 
del DSM-IV-TR dicono:  
 “Bisogna notare che il DSM IV riflette un consenso sulla classificazione e la diagnosi 
di disturbi mentali riscontrati al tempo della sua pubblicazione iniziale. Le nuove 
conoscenze generate da studi o esperienze cliniche porteranno senza dubbio a una 
maggiore comprensione dei disturbi inclusi nel DSM IV, all'identificazione di nuovi 
disturbi, e alla rimozione di alcuni disturbi nelle prossime classificazioni.” 
 E' ora dunque, come sollecita Anne Vitale, di rimuovere il Disturbo dell’Identità di 
Genere e rimpiazzarlo con una nuova classificazione: Disturbo d'Ansia da 
Deprivazione dell'Espressione di Genere. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                           
5
 A. Vitale (2001) “Implications of Being Gender Dysphoric: A Developmental Review”, in Gender and 
Psychoanalysis An Interdisciplinary Journal, Vol. 6, N. 2, pp. 121-141
11 
 
2. Il transessualismo: un excursus sui primi studi 
scientifici e la loro evoluzione 
 
I primi studi accurati e più impegnati scientificamente sul transessualismo ci 
vengono dati in particolare  dal neurologo e psichiatra austro-tedesco Richard von 
Krafft-Ebing, il quale affrontò in modo sistematico l’argomento nel suo celebre 
Psychopathia Sexualis, di cui la prima edizione risale al 1886. Come osserva 
Foucault, egli fu tra i primi a cogliere la differenza tra omosessualità e 
transessualismo, condizione che Krafft-Ebing definì Metamorfosi Sessuale 
Paranoica, considerata come una manifestazione della Sensibilità Sessuale Invertita, 
sindrome già isolata da Westphal nel 1870. Proprio quest’ultima espressione, che 
mette in primo piano “una certa qualità della sensibilità sessuale”
6
 rispetto al 
comportamento, rende conto del compiersi di uno spostamento concettuale di 
grande rilievo in riferimento alla “categoria psicologica, psichiatrica e medica 
dell’omosessualità”
7
. L’atto visibile di sodomia che costituiva il criterio 
dell’omosessualità infatti, viene qui sostituito da quella che sembra essere una 
specie “di androginia interiore, un ermafroditismo dell’anima”
8
, condizione non 
oggettivabile al di fuori di chi la riconosca come propria, e che Krafft-Ebing aveva 
colto in particolare nelle biografie inviategli da due uomini di 45 e 46 anni. Questi 
ponevano in lui la speranza di una esistenza migliore e, proprio come uno di loro 
scriveva, libera dal “contrasto sempre presente allo spirito tra la forma che è 
maschile e l’anima, l’essere e la sensibilità, che sono femminili fin nelle minime 
sfumature”
9
. Anche l’opera del medico tedesco Magnus Hirschfeld risulta di 
estrema importanza: fu egli infatti a comprendere la necessità del trattamento 
chirurgico nei casi accertati di pazienti con stato mentale transessuale. Proprio 
Hirschfeld fu tra i pionieri ad effettuare i primi rudimentali interventi di 
ricostruzione vaginale e, nel 1930, un suo paziente conosciuto come Rudolf, proprio 
in seguito all’intervento effettuato da Hirschfeld acquisì definitivamente l’identità di 
Dora. Rimasto celebre è l’intervento di riassegnazione chirurgica che il medico 
tedesco effettuò sul pittore danese Einer Wegener. Hirschfeld intraprese 
l’intervento sospinto dalla fiducia totale nella medicina e nella chirurgia mostrata 
dal paziente, convinto che solo la medicina potesse dargli ciò che la natura gli aveva 
“tolto”. Egli sottopose Wegener a due interventi: nel primo gli asportò i testicoli, ma 
non il pene; nel secondo tentò di impiantargli utero e ovaie
10
. Proprio in 
                                                           
6
 Foucault, 1976, pp. 42-43. 
7
 Ibid. 
8
 Ibid. 
9
 Krafft-Ebing, Psycopathia Sexualis, 1931, p. 666 
10
 Castel Pierre Henry, 2003, p. 49
12 
 
quest’ultimo intervento però, Wegener, che già da diversi anni viveva e si 
presentava come Lili Elbe
11
, morì per emorragia sul tavolo operatorio
12
. Il termine 
Transessualismo venne proprio coniato da Hirschfeld e successivamente ripreso, ma 
soltanto in forma aggettivale, da David O. Cauldwell nel 1949, per descrivere il caso 
di una ragazza, “Earl”, che desiderava “ossessivamente” essere uomo. Ma fu 
sicuramente l’opera, lo studio e la personalità di Harry Benjamin, che diedero 
notevoli contributi agli studi sul transessualismo, aprendo nuove prospettive e 
sviluppando importanti riflessioni. Nato a Berlino nel 1885, dopo aver intrapreso gli 
studi di medicina, si trasferì nel 1914 negli Stati Uniti ove si dedicò principalmente 
allo studio delle tecniche di ringiovanimento basate sull’impiego di ormoni e, 
successivamente, agli aspetti sessuologici connessi alle terapie ormonali. Durante i 
suoi studi Benjamin aveva incontrato numerosi pazienti che si rivolgevano a lui con 
la speranza di un rimedio alla loro marcata sofferenza in merito a un corpo nel quale 
non si riconoscevano, e da cui si sentivano imprigionati. Benjamin era convinto che 
queste persone non fossero né omosessuali, né autentici travestiti, ritenne per cui 
di trovarsi di fronte ad una sindrome di altra natura, che definì “Transessualismo”. Il 
termine guadagnò il suo posto nella storia della scienza proprio per merito di un 
articolo di Benjamin dal titolo “Transvestitism and Transsexualism”, pubblicato nel 
1953 all’interno dell’International Journal of Sexuology. Come ricorda lo stesso 
Benjamin nella sua opera maggiore, The Transsexual Phenomenon, del 1966, egli 
scrisse tale articolo “sulla scia della sensazionale pubblicità del caso Jorgensen”
13
. 
Solo un anno prima infatti, fu portato a termine con successo quello che viene 
(erroneamente) considerato il primo intervento di riassegnazione chirurgica del 
sesso su George Jorgensen, la cui autobiografia uscita alcuni anni dopo con la firma 
di Christine Jorgensen, divenne in breve tempo un best seller, oltre che un libro 
guida e di supporto per le persone transessuali dell’epoca e a venire. Secondo 
Benjamin, a differenza dell’omosessualità e del travestitismo, la condizione 
transessuale riguardava il genere, che non avrebbe a che vedere con la dimensione 
organica, ma casomai con quanto sta “sopra la cintola”
14
, vale a dire una mente: “I 
veri transessuali sentono di appartenere all’altro sesso e desiderano operare come 
membri del sesso opposto”
15
. Da tali considerazioni ne deriverebbe, secondo 
Benjamin, la giustificazione dell’intervento. Il contributo di Harry Benjamin si esplica 
anche in un atteggiamento più comprensivo che sostituisce la diagnosi di 
perversione prima e psicosi dopo, legata alla condizione transessuale. Anche grazie 
all’impegno e alla dedizione che egli dedicò alle problematiche delle persone 
transessuali, gli uomini e, seppure all’epoca in misura minore, le donne, si 
sarebbero rivolti sempre più numerosi alla tecnica medica, fiduciosi dunque di poter 
                                                           
11
 La Elbe nel 1930 ottenne anche il riconoscimento giuridico della sua nuova identità sessuale.  
12
 C.P. Henry, 2003, p. 49. 
13
 Benjamin, The Transsexual Phenomenon, 1966, p. 25. 
14
 Ibid. p. 14 
15
 Ibid. p. 26
13 
 
risolvere il loro profondo disagio. I concetti di “genere” e “sessualità”, fondamentali 
per comprendere a fondo la condizione di transessualismo, furono ulteriormente 
approfonditi da Robert Jesse Stoller che, in Sex and Gender. The Development of 
Masculinity and Femminility (1968), li distinse specificandone i rispettivi significati. 
Al termine sesso Stoller diede una connotazione prettamente biologica, mentre con 
la parola genere egli indicò l’aspetto psichico maschile o femminile dell’individuo, 
che può essere totalmente indipendente dal sesso (biologico). Stoller inoltre riprese 
da Money l’espressione “identità di genere” che secondo lo studioso 
comprenderebbe “un ambito di sentimenti, pensieri e comportamento diverso da 
quello che possiamo definire come ambito della sessualità”
16
. L’identità di genere 
riguarderebbe dunque un complesso di credenze riguardanti se stessi, il senso della 
propria mascolinità o femminilità. Un sistema di credenze che non avrebbe alcuna 
implicazione con le origini di questo senso, ovvero con il sesso biologico maschile o 
femminile dell’individuo, ma solo connotazioni psicologiche, il proprio stato 
soggettivo. La definizione del concetto di “identità di genere” ha reso possibile un 
ulteriore sviluppo del pensiero sul transessualismo, in cui realtà esterna del corpo e 
percezione soggettiva di sè non coincidono, ovvero, viene a mancare una relazione 
armonica fra rappresentazione interna del corpo e corpo oggettivamente inteso, 
con la conseguente sensazione di estraneità da parte del soggetto. A Stoller si deve 
anche l’introduzione in ambito medico del concetto di identità di genere nucleare
17
, 
un sentimento precoce di identità sessuale che si instaura nel bambino e che 
sarebbe, secondo lo studioso, il risultato di tre forze in sinergia tra loro, ovvero la 
relazione genitore-bambino, la percezione che il bambino ha dei propri genitali 
esterni, ed una forza biologica proveniente dalle variabili biologiche del sesso. 
Stoller inoltre aggiunse che, mentre il processo di sviluppo dell’identità di genere 
continua almeno sino alla fine dell’adolescenza, l’identità di genere nucleare 
verrebbe pienamente raggiunta prima della fase fallica
18
. In seguito la descriverà 
come struttura psichica non passibile di cambiamento dopo i 2 o 3 anni di età. Nel 
1973 Norman Fisk coniò l’espressione Disforia di Genere
19
. Lo studioso sottolineava 
come nel dizionario la parola “disforia” includesse termini quali “insoddisfazione”, 
“angoscia”, “inquietudine”. Con questa espressione dunque, Fisk intendeva riferirsi 
ad un disagio profondo che l’individuo nutre rispetto la propria identità di genere se 
rapportata al sesso biologico o al ruolo di genere assegnatogli. Il transessualismo 
secondo Fisk, rappresenterebbe la forma più marcata di disforia di genere. Nel 1980 
la condizione di transessualismo entra per la prima volta nel DSM, terza edizione. Il 
                                                           
16
 Stoller, Sex and Gender. The development of Masculinity and Femminility,1968, p. VI 
17
 Stoller, “The Hermaphroditic Identity of Hermaphrodites” , in The Journal of Nervous and Mental 
Disease, Novembre, 1964. 
18
 Ibid. 
19
 Fisk N., “Editorial. Gender Dysphoria Sindrome (The How, What and Why of a disease)” in P. 
Gandy&D. Laub, Eds, Proceedings of the Interdisciplinay Symposium on Gender Dysphoria Sindrome, 
Standford, Standford University, pp. 7-14