1 
 
1 DEL CONTRATTO DI ACQUISIZIONE IN GENERALE 
1.1 La natura del contratto di acquisizione 
Nelle s.p.a. chiuse il trasferimento di azioni viene realizzato attraverso la 
contrattazione individuale, adoperando il cd. “contratto di acquisizione”. Questo contratto 
si è diffuso proprio per la mancanza di una regolamentazione legislativa del fenomeno 
della circolazione delle azioni, che ha lasciato ampio spazio alla contrattazione privata. 
Al contrario, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (art. 2325 
bis c.c.) abbiamo una disciplina speciale delle offerte pubbliche di acquisto (artt. 102 ss. 
tuf), che risponde a esigenze di trasparenza e correttezza, in cui abbiamo un offerente che 
si dice disponibile ad acquistare un certo numero di azioni a un prezzo fisso.  Non essendo 
oggetto della tesi, ci limitiamo a dire che gli azionisti possono decidere di accettare o 
rifiutare l’offerta. Non c’è quindi una contrattazione delle parti, ma una proposta 
unilaterale
1
. 
Questo tipo di contratto, chiamato nel mondo giuridico anglosassone Sale and 
Purchase Agreement (SP A)
2
, è uno strumento nato dalla prassi nelle società anglo-
americane. Nonostante la sua origine straniera a partire dalla prassi e l’uso della lingua 
inglese per la sua redazione (soprattutto laddove questa sia indispensabile, come nel caso 
di contrattazione internazionale), questo strumento è stato accolto nel nostro ordinamento, 
anche grazie all’azione degli arbitri e dei nostri giuristi. La sua diffusione va di pari passo 
con il moltiplicarsi, verso la fine degli anni Ottanta, di operazioni di Mergers and 
Aquisitions funzionali ad ampliamenti dell’attività d’impresa. Esso è propriamente un  
 
1
 Sarebbe, inoltre, difficile pensare di utilizzare il contratto di acquisizione nel caso di società 
quotate quando si voglia acquistare il controllo o, comunque, una quota rilevante. Le società quotate hanno 
un azionariato diffuso e le operazioni di cessione di azioni sono molto rapide e hanno una certa frequenza. 
Questo non è pensabile nel contratto di acquisizione, che viene concluso dopo una lunga trattativa e che 
solitamente prevede una distinzione tra il momento della conclusione del contratto e quello del 
trasferimento formale delle azioni. 
2
 G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, Torino, 2011.
2 
 
contratto alieno
3
, che trova la sua disciplina generale nelle norme sulla compravendita, 
sebbene le parti tendano ad essere esaustive nel predisporre il contratto
4
.  
La denominazione inglese SP A sembra chiaramente esprimere la sua natura, 
ovvero quella di un accordo (quindi un contratto) con il quale si “acquista” e si “vende” 
(a seconda della prospettiva che si adoperi) qualcosa, quindi propriamente un contratto di 
compravendita (art. 1470 c.c.)
5
 avente un oggetto particolare, le partecipazioni sociali. 
Per la verità, ci sono autori che ritengono che le particolarità di questo contratto non 
permettano di identificarlo completamente nel tipo della vendita, essendo invece solo 
“assimilato” a questa
6
. L’elemento che ci suggerisce che non si tratti di una mera vendita, 
come quella contenuta nel Codice civile, è l’oggetto (oltre, ovviamente, alla particolare 
struttura di formazione del contratto, di cui parleremo avanti). Questo elemento, ovvero 
l’oggetto, merita di essere approfondito.   
Le azioni sono definite come  “beni di secondo grado” da Ascarelli per la prima 
volta. Egli ha scritto, infatti, che «le azioni sono alla fine rappresentative di diritti relativi 
a beni che pur sempre economicamente appartengono, attraverso la collettività di cui è 
 
3
 G. DE NOVA, Dal tipo contrattuale al contratto alieno: i contratti di impresa, in AA.VV. I 
contratti per l’impresa, il Mulino, Bologna 2012, p. 24, definisce il contratto alieno come un contratto 
«scritto sulla base di un modello diverso dal diritto italiano […] ma che indica come legge applicabile il 
diritto italiano». Si veda anche la monografia G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement, cit.  
4
 C. CONFORTINI, Il governo dei rischi nella vendita di partecipazioni, Milano, 2020, p. 4, 
sottolinea come i modelli contrattuali alieni seguono uno schema di contrattazione di common law diverso 
a quello cui siamo abituati, dove il contratto ha un contenuto analitico ed esaustivo e non è destinato a 
essere completato da norme generali e supplettive. Dobbiamo però anche prendere in considerazione la 
possibilità che le parti non siano state così esaustive nel disciplinare i loro rapporti e le conseguenze che 
potrebbero incidere sul contratto. È per questo che alcuni autori hanno tentato di ricostruire una disciplina 
supplettiva applicabile quando le parti non abbiano provveduto nel contratto. Ricordiamo l’esempio, di 
autori come M. SPERANZIN, Compravendita “non convenzionalmente garantita” di partecipazioni sociali 
di “controllo”, in Giur. comm., 2019, I, p. 468; M. SPERANZIN, Vendita della partecipazione di “controllo” 
e garanzie contrattuali, Milano, 2006; A. TINA, L’esonero da responsabilità degli amministratori di s.p.a., 
Milano, 2008, p. 163 ss. 
5
 Cfr. V. SANGIOVANNI, Due diligence, trattative e fattispecie di responsabilità civile, in Danno e 
responsabilità, 2011, p. 801.  
6
 G. ALPA, A. SACCOMANI, Procedure negoziali, due diligence e memorandum informativi, in I 
contratti, 2007, p. 267, dicono che è solo “assimilato” al contratto di vendita, viste le particolarità di questo 
contratto. A conferma di questo, la sua disciplina deve essere ricostruita a partire dalle disposizioni generali 
sul contratto, disponibili dalle parti in molti casi. Il contratto non appartiene a una categoria autonoma, non 
è tipico, ma la sua disciplina dipende dalle circostanze concrete. V. anche C. CONFORTINI, Il governo dei 
rischi, cit., p. 49, per il quale il contratto potrebbe essere come «un (sotto)tipo di vendita o come una 
variante atipica di vendita». Mette quindi in discussione che possa ancora essere considerato vendita quando 
abbiamo il differimento del trasferimento della proprietà a un momento successivo alla conclusione del 
contratto.
3 
 
parte, al titolare delle azioni stesse»
7
. È importante non lasciarsi fuorviare dal verbo 
appartenere. I beni sociali e i diritti che fanno parte del patrimonio sociale non sono di 
proprietà degli azionisti. Il patrimonio sociale è, per legge, sottratto al controllo diretto 
dei soci ed è di proprietà esclusiva della società. Ogni atto di disposizione del patrimonio 
sociale è un atto di gestione e, come tale, nelle s.p.a. è di competenza esclusiva 
dell’organo amministrativo (art. 2380 bis). Non è possibile per i singoli soci superare 
questo ostacolo e disporne direttamente. Le azioni vengono emesse a seguito di un 
conferimento e rappresentano una percentuale del patrimonio sociale. In questo senso 
diciamo che le azioni sono un bene dinamico, rappresentano una frazione della società, e 
il loro valore dipende da quello sottostante del patrimonio sociale stesso (che varia). 
Questo non significa, tuttavia, che l’azionista abbia la titolarità di quella quota di 
patrimonio. Le azioni conferiscono al loro titolare dei diritti e degli obblighi, ma non 
contengono anche un diritto di proprietà sul patrimonio sociale. Se è vero che gli azionisti 
non possono esercitare alcuna pretesa sui beni sociali, è altrettanto vero che, attraverso 
l’esercizio dei diritti e delle prerogative conferite dalla titolarità delle azioni, possono 
influenzare la vita societaria con una forza proporzionale al loro peso nell’assemblea degli 
azionisti. Le decisioni che vengono prese in assemblea possono avere un impatto minore 
o maggiore sulla società a seconda se l’assemblea sia ordinaria (art. 2364 c.c.) o 
straordinaria (art. 2365 c.c.) e possono andare a incidere sul patrimonio sociale. Una delle 
competenze dell’assemblea dei soci, nel sistema di riferimento ovvero quello tradizionale, 
è la nomina degli amministratori di società (art. 2383 c.c.). Un socio che ha il controllo 
in assemblea (art. 2359 c.c., I comma c.c.) può esercitare la maggioranza dei voti e 
nominare amministratori di sua fiducia, che verosimilmente condurranno una gestione 
allineata con i suoi interessi. Riusciamo, così, a vedere il nesso che c’è tra l’esercizio dei 
diritti che costituiscono lo status socii e la gestione della società e, di conseguenza, le 
vicende che riguardano il patrimonio sociale.  
Per comprendere, quindi, cosa intendesse Ascarelli si deve sottolineare che questa 
“appartenenza” è solo “economica”, come esprime l’autore stesso. È importante una 
distinzione preliminare: da una parte consideriamo il mondo giuridico-formale, dall’altra 
quello economico-sostanziale. Abbiamo visto come «sul versante giuridico-formale […] 
 
7
 V. ASCARELLI, Riflessioni in tema di titoli azionari e società tra società, in Saggi di diritto 
commerciale, Milano, 1995, p. 219.
4 
 
sia impropria la qualifica delle azioni come beni di secondo grado»
8
. La definizione 
mantiene, tuttavia, rilevanza su un piano descrittivo, per far emergere gli interessi 
economici dell’azionista: osserviamo, ad esempio, che la titolarità di azioni dà diritto alla 
distribuzione di utili (art. 2350 c.c.). Un acquirente ha interesse a ricevere gli utili prodotti 
dalla società una volta diventato socio, ma la loro distribuzione non è certa, deve essere 
deliberata dall’assemblea, che può anche decidere di non distribuire dividendi, e, prima 
di tutto, ci devono essere utili distribuibili. La disponibilità di utili dipende dalla 
situazione economica della società, quindi dallo sfruttamento positivo di beni e diritti 
sociali. È chiaro che l’acquirente ha interesse a conoscere lo stato patrimoniale, reddituale 
della società in modo da comprendere se ci sono ricavi e, quindi, utili da distribuire. C’è 
un legame economico tra la titolarità delle azioni e il patrimonio sociale, siccome la 
produzione di un surplus distribuibile dipende da come viene gestito il patrimonio, ma il 
socio non ha alcuna pretesa sulla gestione stessa, che è, ricordiamolo, di competenza 
esclusiva degli amministratori. Nello specifico, l’azionista non ha alcuna tutela anche 
quando la gestione non produca utili: il socio si assume il rischio di impresa nei limiti del 
conferimento, quindi il rischio che non siano prodotti gli utili sperati. Quindi, tra le azioni 
e il patrimonio sociale sottostante c’è un legame fattuale, economico, ma non un legame 
giuridico.  
Abbiamo in precedenza ricordato che il contratto di acquisizione è un contratto 
alieno e che si applica in via supplettiva la disciplina generale della compravendita. 
Tuttavia, quando andiamo a analizzare la disciplina della compravendita (artt. 1490 ss. 
c.c.), vediamo che gli strumenti a tutela delle parti, principalmente l’acquirente, ruotano 
attorno all’oggetto del contratto, mentre nel caso di cessione di azioni ci sono interessi 
che ricadono sul patrimonio sociale, estraneo all’oggetto. È però inopportuno, per questo 
motivo soltanto, andare ad espandere l’oggetto del contratto o a equiparare le azioni e i 
beni sociali (sia andrebbe a confondere il piano del diritto e del fatto). Si concorda ormai 
che l’oggetto del contratto di acquisizione siano solo le azioni e non il patrimonio sociale
9
, 
 
8
 Cfr. C. D’ALESSANDRO, Compravendita di partecipazioni sociali e tutela dell’acquirente, 2003, 
Milano, pp. 29, 30. V. anche A. TINA, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, Milano, 
2007, p. 174, che conferma che «dal punto di vista giuridico-formale (le azioni) non rappresentano i beni 
sociali che costituiscono il patrimonio […] ma solo i diritti  e gli obblighi facenti capo a ciascun socio».  
9
 Merita di aggiungere che si può trasferire la proprietà solo di beni su cui si ha un diritto di 
proprietà, quindi un contratto di acquisizione che prevedesse il trasferimento, anche solo pro quota, dei beni 
sociali, avrebbe un oggetto impossibile, v. A. TINA, Il contratto, cit., p. 186 e p. 173.
5 
 
ma non possiamo nemmeno dire che quest’ultimo sia indifferente. Anche se  i beni sociali 
non sono oggetto del contratto, alcuni autori si sono chiesti se non costituiscano delle 
qualità proprie delle azioni rilevanti ai sensi degli artt. 1490 ss.
10
. Tuttavia, queste qualità 
riguardano il contenuto delle azioni, cioè i diritti e doveri che conferiscono, e non i beni 
sociali. Questi ultimi sono necessari, ovviamente, per realizzare lo scopo sociale e 
produrre utili, ma eventuali vizi o difformità dei beni sociali non sarebbero in grado di 
intaccare le prerogative date dalle azioni, al massimo potrebbero ostacolare lo scopo 
sociale stesso, cioè, realizzare e distribuire gli utili. Abbiamo visto sopra che c’è un diritto 
a ricevere utili, ma non significa che il legislatore garantisce che in ogni esercizio il socio 
riceverà dividendi. Allo stesso modo, il valore delle azioni non è una qualità di queste. Il 
loro valore dipende da quello della società, da circostanze esterne al contenuto delle 
azioni; in particolare, non dipende solo dal patrimonio sociale, ma da vari fattori, tra cui 
anche la valutazione personale che l’acquirente fa della società e delle prospettive future 
di questa. Il valore delle azioni è soggettivo, non una qualità oggettiva (l’oggettività della 
qualità è richiesta per applicare le tutele ex. artt. 1490 ss.).  
Le norme che tutelano l’acquirente in tema di vendita possono risultare utili solo 
in relazione a circostanze interne alle azioni; cioè, le azioni devono garantire «il diritto di 
partecipare all’organizzazione indicata nel titolo e che l’organizzazione sia esistente nella 
sua forma normale»
11
. È importante notare come rilevano, ai fini della individuazione dei 
diritti delle azioni le vicende giuridiche della società (scioglimento, liquidazione 
giudiziale, modifica del capitale sociale), non le vicende patrimoniali. Anche in queste 
ipotesi eccezionali, in cui le vicende giuridiche della società rilevano ai fini della 
individuazione dei diritti e dei doveri delle azioni, più che di vizi del contratto, per Tina 
si tratta di ipotesi di inadempimento
12
. Se è stato disposto lo scioglimento della società, 
per esempio, è difficile pensare di poter esercitare i diritti sociali come avviene nel caso 
di una società che opera normalmente. È allora evidente che le azioni non possono essere 
usate per lo scopo per cui sono state acquisite, per cui non si tratta di meri vizi di una un 
bene corrispondente a quello pattuito, ma di un bene totalmente diverso. Si tratta di aliud 
pro alio, un’ipotesi di inadempimento. Sono però ipotesi eccezionali e rare, quello che 
 
10
 V. A. TINA, Il contratto, cit., p. 205 s. che spiega in modo più analitico perché questo non è 
possibile.  
11
 A. TINA, Il contratto, cit., p. 219.  
12
 A. TINA, Il contratto, cit., p. 220.
6 
 
interessa è capire come regolare i rapporti delle parti quando ci sono differenze tra 
l’affidamento dell’acquirente circa la consistenza patrimoniale, finanziaria, reddituale 
della società e la situazione reale. Queste differenze possono anche non essere così grandi, 
ma è comunque necessario risolvere queste questioni. 
Non è allora utile per l’acquirente che il contratto di acquisizione abbia come 
unica fonte di tutela le norme generali in tema di compravendita, essendo queste 
insensibili alle caratteristiche peculiari delle azioni legate alla dinamicità, variabilità 
elevata del patrimonio da esse rappresentato, e non tenendo conto degli interessi 
economici sottostanti. Tutti gli strumenti che si applicano alla vendita non sono in grado 
di tutelare l’acquirente, se non in casi limite in cui sia deliberato lo scioglimento, la 
liquidazione giudiziale o sia cambiato l’oggetto sociale. È, allora, onere dell’acquirente, 
in sede di trattative, richiedere alla controparte delle garanzie sull’effettiva consistenza 
patrimoniale della società. Gli autori sono ormai d’accordo sul fatto che questo sia uno 
dei pochi strumenti che permettono di dare rilevanza ai beni sociali nel contratto di 
acquisizione. È necessaria una disciplina pattizia che faccia chiaramente emergere gli 
interessi dell’acquirente relativamente alla situazione patrimoniale della società.  
Di fatti, una forma di tutela legale percorribile soprattutto nel caso di vendita non 
convenzionalmente garantita esiste e riguarda il caso di dolo del venditore che induce 
l’altra parte in errore con un comportamento omissivo o commissivo
13
. Richiedere 
l’azione di annullamento del contratto per dolo non è, però, una pratica diffusa, 
considerato anche lo scarso riconoscimento da parte della giurisprudenza della capacità 
del comportamento doloso di determinare la volontà dell’altra parte. Sembra essere legato  
alla difficoltà dell’attore di fornire la prova dell’intenzione fraudolenta, soprattutto 
quando il danno si manifesti dopo la conclusione del contratto, perché in tal caso è 
necessario che il venditore fosse a conoscenza (al momento della conclusione del 
contratto) del fatto che la situazione esistente in quel momento avrebbe determinato 
un’alterazione del patrimonio della società. A questo si aggiungano anche le difficoltà di 
prova nel caso specifico dell’omissione. Si pongono, qui, problemi legati alla posizione 
delle parti (posizione di vicinanza rispetto all’informazione, capacità di informarsi, costi 
 
13
 Per un’analisi del vizio del dolo nel caso specifico della vendita di azioni v. A. TINA, Il contratto, 
cit., p. 232 ss.
7 
 
per l’acquisizione di informazioni) e, in particolare, bisogna capire quali informazioni il 
venditore deve dare all’acquirente e quali può tacere. La rilevanza dell’omissione, in 
fondo, dipende dall’esistenza di un dovere di dire, per cui bisogna chiedersi se c’è tale 
dovere e quali sono i suoi confini. Tutto ciò, poi, deve essere letto non solo in chiave 
contrattuale (di rapporto tra le parti), ma soprattutto in chiave societaria, dato che 
l’operazione riguarda, anche solo indirettamente, dei beni che non sono nella titolarità del 
venditore. Si può tentare di ricostruire un dovere di informazione del venditore ex art. 
1337 c.c. (che, se violato, potrebbe portare all’annullamento del contratto per dolo 
omissivo), ma bisogna sempre chiedersi come inserire nell’equazione il ruolo della 
società, che, ricordiamolo, è terza rispetto alle parti, ma pur sempre in stretto 
collegamento con l’operazione
14
. Altra considerazione è che l’acquirente difficilmente 
vuole ottenere l’annullamento del contratto, tenuto conto dei costi sostenuti per la sua 
conclusione, per cui sarà più propenso a chiedere solo il risarcimento del danno. D’altra 
parte, una volta che sia divenuto socio di controllo, potrebbe solamente chiedere un 
risarcimento ex art. 2395 c.c. direttamente agli amministratori, quando questi abbiamo 
trasmesso documenti inesatti o falsi, ma anche in questo caso Tina dubita della capacità 
patrimoniale degli amministratori nel soddisfare le richieste dell’acquirente
15
. Rimane la 
possibilità di chiedere il risarcimento in caso di dolo incidente ex art. 1440 c.c., che è 
un’ipotesi di dolo meno grave, dove è necessario solo riallineare gli interessi delle parti e 
non si discute sulla validità del contratto. È uno strumento più coerente con gli interessi 
dell’acquirente e permette di avere una tutela risarcitoria quando non ci sono specifiche 
garanzie o quando i termini per farle valere sia scaduti. Anche qui, però, ritornano i 
problemi di onere della prova e questo segna la distinzione più evidente con le clausole 
di garanzia, cioè il fatto che queste ultime prevedono un indennizzo al semplice verificarsi 
dei requisiti previsti nel contratto, senza provare alcun elemento soggettivo, soprattutto, 
alcuna intenzione fraudolenta. Nemmeno il dolo sembra essere uno strumento utilmente 
percorribile per l’acquirente, non nel senso che è impraticabile in assoluto, ma nel senso 
che non è in grado di soddisfare adeguatamente i suoi interessi, non al pari di una 
previsione contrattuale espressa, e nel senso che in ogni caso è difficile che sia fornita la 
prova della sua esistenza.  
 
14
 La questione sarà oggetto di esame nel cap. 2.  
15
 A. TINA, Il contratto, cit., pp. 241-242.
8 
 
Dopo aver compreso che la disciplina codicistica non sia in grado di adattarsi al 
meglio alle caratteristiche particolari di questo contratto e aver chiarito che la disciplina 
della compravendita, nello specifico, non costituisca una tutela adeguata, se non in casi 
limite in cui le vicende giuridiche societarie vanno a mettere in discussione il contenuto 
delle azioni, la loro natura, lo stato di normalità dell’attività d’impresa, andiamo ora ad 
aggiungere altre particolarità a questo contratto che ci allontanano sempre più da una 
normale compravendita, per avvicinarci alla affermazione dell’esistenza di un contratto 
atipico.  
Già nel Codice civile abbiamo varie sottospecie di vendita, variabili in base 
all’oggetto, alla qualifica delle parti contrattuali, alle modalità di contrattazione. 
L’affermarsi di  una ricca varietà di sottospecie si deve anche all’influenza del diritto 
comunitario ed internazionale. La disciplina nazionale non risponde più alle esigenze del 
mercato, che si sposta su piani più ampi per regolare i propri rapporti. Inoltre ci sono 
anche vuoti normativi lasciati dal legislatore nazionale in molti settori economici, anche 
per la difficoltà di ancorare a un solo ordinamento una disciplina che si è sviluppata a 
livello internazionale. Per questo anche gli operatori nazionali usano strumenti derivati 
da altri ordinamenti o dalla prassi internazionale. Abbiamo già detto che il SP A deriva 
dalla prassi anglo-americana. Qui vogliamo sottolineare le profonde differenze con ogni 
tipo contrattuale ricorrente nel nostro ordinamento. Abbiamo considerato finora il doppio 
piano giuridico-fattuale che lo caratterizza, vedremo successivamente il suo sviluppo 
temporale bifasico, dove alla conclusione del contratto succede, solo successivamente, il 
trasferimento della titolarità delle azioni. Sono tutte caratteristiche legate alla 
problematica riguardante gli interessi dell’acquirente a conoscere lo stato del patrimonio 
sociale e altre informazioni rilevanti che riguardano la società. A tal fine, lo strumento 
che fa emergere il piano fattuale e che permette di inserire nel contratto gli interessi 
sottostanti dell’acquirente è quello delle dichiarazioni e delle garanzie (Representations 
& Warranties).  
Alcuni autori hanno sostenuto che la presenza di clausole di garanzia e di relative 
clausole di indennizzo nel contratto contribuisce a definirlo come un contratto atipico
16
. 
 
16
 R. CALDARONE, E. FERRERO, Il contratto di acquisizione è un contratto atipico?, in Giur. comm., 
1998, II, p. 182.
9 
 
La teoria richiama l’idea, espressa dalla dottrina di quei tempi, che le clausole di garanzia 
patrimoniali sarebbero una prestazione e che, quindi, la loro violazione costituirebbe un 
inadempimento
17
. Allora, la prestazione principale, la vendita di azioni contro il 
pagamento del prezzo, sarebbe accompagnata anche da un’altra prestazione, di garanzia. 
Non saremmo in presenza di un mero trasferimento di azioni, ma di un trasferimento 
“garantito”, che ha determinate caratteristiche stabilite dalle parti. Da questo gli autori 
concludono che vi è una nuova causa, atipica, derivante dalla «compenetrazione della 
causa traslativa […] con quella di garanzia del patrimonio»
18
. Dovrebbe potersi anche 
ricavare che non abbiamo due contratti collegati, come alcuni autori avevano sostenuto, 
ma un unico contratto, con causa atipica. È, però, necessario sottolineare alcune questioni 
che sembrano suggerire un’altra soluzione
19
. Le clausole di garanzia servono per 
trasferire un rischio da una parte all’altra, rischio che è indipendente dalla volontà o 
dall’azione delle parti.  Per esempio, il venditore garantisce che non vi saranno 
sopravvenienze negative, che la società avrà una determinata redditività, che non 
sorgeranno controversie. La garanzia prescinde da una prestazione, da un fare, di una 
parte, quindi, nel momento in cui si attivano le tutele non rileva l’impegno usato dal 
garante per realizzare o impedire l’evento. È irrilevante l’imputabilità ex art. 1218 c.c. 
Anche la conoscenza del garante si articola diversamente rispetto al caso di una 
prestazione da adempiere: nel caso di una garanzia, si risponde anche della propria 
 
17
 Dall’altra parte la giurisprudenza richiamava invece l’art. 1497 e, in particolare, sosteneva che 
le garanzie patrimoniali rilasciate in occasione della vendita di azioni rappresentassero delle «promesse di 
specifiche qualità inerenti alle partecipazioni medesime», v. R. CALDARONE, E. FERRERO, Il contratto, cit., 
p. 187. La dottrina, all’opposto, argomentava la sua posizione dicendo che il patrimonio sociale non era 
una caratteristica intrinseca delle azioni. Inoltre, anche volendo considerare l’aspetto economico 
dell’operazione, dando rilevanza agli interessi sul patrimonio sociale, l’art. 1497 non sarebbe in grado di 
adattarsi alle caratteristiche del contratto di acquisizione. L’ultimo comma, infatti, richiama l’art. 1495 in 
tema termini di decadenza e prescrizione. I tempi dati all’acquirente per attivare le garanzie sono molto 
brevi. In particolare, il termine di prescrizione richiede la possibilità di individuare velocemente eventuali 
vizi o difformità, ma questo sembra pretestuoso quando l’oggetto del contratto è un bene particolare, 
dinamico e immateriale. Ricordiamo la sentenza della Cass. Civ., sez. II, 24 luglio 2014, n. 16963 con nota 
di G. IORIO, Vendita di partecipazioni sociali: garanzie contrattuali e termine di prescrizione, in Giur. it., 
2014, p. 2406, che esclude l’applicazione del termine annuale, perché incompatibile con le esigenze 
dell’operazione economica.  
18
 R. CALDARONE, E. FERRERO, Il contratto, cit., p. 190.  
19
 M. SPERANZIN, Vendita della partecipazione, cit., p. 110 s. muove una lunga critica a questa 
teoria.
10 
 
ignoranza di circostanze passate della società
20
. È allora improprio parlare di 
adempimento quando non è richiesto un comportamento di una parte.  
Come ci ricorda Speranzin, «le clausole di garanzia non hanno causa di 
garanzia»
21
, di fatto non hanno una causa propria, ma si collegano al rapporto contrattuale 
cui accedono. L’A., ancora, ci dice che siamo in presenza di un unico contratto, quindi le 
clausole in questione non rappresentano un contratto collegato. In particolare, sostiene 
che le clausole in questione sono delle garanzie accessorie atipiche a cui non sembra 
potersi applicare la disciplina generale in materia di vendita (per i motivi evidenziati)
 22
, 
se non nel caso in cui non vi sia una disciplina espressa delle parti, comunque con dei 
limiti e con una forma di tutela inferiore rispetto a quello che l’acquirente potrebbe 
richiedere personalmente con la predisposizione di clausole. Potremmo dire che la 
mancanza di una disciplina “sostitutiva” adatta quando le parti non abbiano provveduto 
sia indice di una natura atipica rispetto al contratto di compravendita: nessuna delle tutele 
che quest’ultimo predispone rispecchia la natura dell’oggetto del contratto di 
acquisizione, che richiede una doppia tutela, immediata, sulle azioni, mediata, sul 
patrimonio sociale (non solo su questo, poi, siccome gli interessi dell’acquirente sono 
spesso molto più ampi rispetto al mero patrimonio sociale). «Perché si abbia 
compravendita è necessario che l’assetto di interessi programmato si esaurisca in siffatto 
scambio (aggiungiamo, tra alienazione del bene e prezzo), mentre nei casi in cui esso si 
inserisca in un’operazione più articolata si tratterà di una figura tipologica differente»
23
, 
è quanto possiamo rilevare nel nostro caso. Gli interessi dell’acquirente, soprattutto 
quando si acquisti una quota di controllo o rilevante, non sono limitati meramente 
all’oggetto e l’operazione economica coinvolge, su un piano sottostante, la società stessa.  
Per la verità ci sono state tesi che hanno sostenuto una posizione diversa riguardo 
alla natura delle clausole di garanzia
24
. Non si può negare che ci sono delle clausole di 
garanzie che dipendono da un comportamento di una parte: è il caso delle clausole di 
 
20
 Altra questione è invece l’ignoranza dell’acquirente. Si veda a tal proposito l’art. 1491, da cui 
si può presumere che le garanzie non siano dovute nel caso di conoscenza dei vizi o se questi erano 
facilmente conoscibili. La questione però non è così lineare, motivo per cui verrà trattata di seguito.  
21
 M. SPERANZIN, Vendita della partecipazione, cit., p. 111, nt. 280.  
22
 Cass. Civ., sez. II, 24 luglio 2014, n. 16963, cit., ha sottolineato l’autonomia di queste clausole 
dalla disciplina legale dei vizi nell’ambito della compravendita.  
23
 A. LUMINOSO, La compravendita, Torino, 2015, p. 13.  
24
 Cass. civ., sez. un., 3 maggio 2019, n. 11748; in dottrina si veda la posizione di G. DE NOVA, Il 
Sale and Purchase Agreement, cit., p. 183 s.
11 
 
amministrazione, attraverso cui si promette, ad esempio, che la società non distribuirà 
utili fino al trasferimento delle azioni. Il socio, se ha una quota rilevante in assemblea, si 
impegna a votare in un certo modo. Si potrebbe, allora, dire che in questo caso siamo in 
presenza di una prestazione del contratto, un adempimento.  
De Nova ritiene che le garanzie inserite nel contratto siano una promessa che 
qualcosa si verificherà o meno (nel senso che la promessa comprende l’impegno del 
venditore a realizzare il fatto promesso) e l’indemnity che le parti prevedono nel contratto 
è un risarcimento per l’inadempimento. L’A. spiega perché le clausole in questione non 
possono consistere in un patto di tipo assicurativo: principalmente perché entrambe le 
parti, assicuratore e assicurato, non devono avere un controllo sugli eventi oggetto di 
assicurazione (cosa che abbiamo detto non sempre vera, come nel caso delle clausole di 
amministrazione); inoltre se l’assicurato, cioè l’acquirente, è a conoscenza dello 
scostamento tra quanto dichiarato e la situazione reale significa che si approfitta dell’altra 
parte quando richiede la garanzia, quindi è necessaria la sua ignoranza circa la 
difformità
25
. Alla posizione dell’A. possiamo replicare che certamente le clausole di 
garanzia in questione non siano coincidenti con la fattispecie di assicurazione, anche 
tenendo presente che l’assicuratore, nel contratto di assicurazione, è un soggetto specifico 
che ha determinati requisiti e che è sottoposto alla vigilanza dell’IVASS. Si tratta perciò 
di un’attività riservata. Non significa, però, che le clausole non abbiano una funzione 
assicurativa, nonostante molte delle norme degli artt. 1882 ss. sono specifiche del 
contratto di assicurazione e non si possono applicare alla nostra fattispecie.  
Abbiamo detto che queste clausole di garanzia patrimoniale sono atipiche, che si 
può tentare solamente di individuare una disciplina “simile” cui ricondurre la soluzione 
di eventuali conseguenze non previste dalle parti. Si possono quindi individuare degli 
elementi di similitudine con fattispecie tipiche del codice. Consideriamo la caratteristica 
essenziale del contratto di assicurazione: l’aleatorietà. Speranzin ritiene che le garanzie 
di garanzia (nel caso di specie sono le material adverse change clause che garantiscono 
contro sopravvenienze negative) comportano «un’estensione dell’alea normale del 
 
25
 L’elemento della conoscenza dell’acquirente di determinati vizi o difformità può escludere 
l’applicazione dei rimedi delle garanzie, ma non tutti gli autori sono d’accordo. Nel contratto di 
assicurazione, la conoscenza delle parti non è ammessa. Eppure vedremo che non sempre la conoscenza 
esclude le garanzie ex art. 1491 c.c.
12 
 
contratto a carico dell’alienante che assume il rischio, e una correlativa diminuzione 
dell’alea normale per l’acquirente»
26
. Dice espressamente che non si può considerare un 
contratto aleatorio a causa della presenza di clausole di garanzie poiché il venditore «è in 
grado di valutare il rischio»
27
. Confermato che nel caso di compravendita non 
convenzionalmente garantita le sopravvenienze relative al patrimonio sociale non 
riguardano l’oggetto del contratto e non permettono senza dubbio di definirlo aleatorio, 
rimane un problema nel caso della previsione di clausole di garanzia patrimoniale. Si 
dubita qui della capacità del venditore di avere un qualunque ruolo nella realizzazione 
dell’evento garantito, dato che solitamente dipende da altri organi sociali, ma anche la 
valutazione del rischio da parte del venditore non sembra possibile senza avere accesso 
alle informazioni societarie più rilevanti. Se ipotizziamo che una clausola prevede che 
non sorgeranno questioni giudiziarie nel futuro, servono informazioni approfondite per 
poter valutare questo rischio. Spesso però si tratta di informazioni riservate della società 
che sul piano giuridico-formale non sono a disposizione dei soci, nemmeno di controllo. 
Il fondamento stesso della concessione della garanzie, poi, è che il rischio in questione 
non è valutabile in modo adeguato. Se le parti avessero potuto mettersi d’accordo su 
un’unica valutazione del rischio, avrebbero semplicemente ridotto il prezzo di vendita e 
non avrebbero inserito la clausola nel contratto.  
De Nova, ancora, dice che «il venditore è inadempiente al risultato dedotto in 
contratto. […] Vi sarà dunque inadempimento, pur se non vi è un’obbligazione non 
adempiuta»
28
. Sembra che si stia riferendo all’ipotesi in cui, per esempio, si vende un 
immobile edificabile, ma questo poi si scopre non essere edificabile. Questa caratteristica, 
cioè che l’oggetto sia X e non sia altro, è una patologia dell’oggetto così rilevante da 
rendere l’oggetto inutilizzabile per l’acquirente. Si parla di inadempimento perché 
l’oggetto è totalmente diverso, non semplicemente viziato. Se le garanzie fossero delle 
caratteristiche dell’oggetto, la cui mancanza risulterebbe in inadempimento della 
prestazione, l’unica ipotesi in cui questo potrebbe essere possibile è se la mancanza di 
quella caratteristica integri l’aliud pro alio, cioè se l’oggetto fosse totalmente diverso e 
inutilizzabile per l’acquirente. Abbiamo già detto che l’unica cosa che rileva circa le 
 
26
 M. SPERANZIN, Vendita della partecipazione, cit., p. 133.  
27
 M. SPERANZIN, Vendita della partecipazione, cit., p. 134.  
28
 G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement, cit., p. 191-192.
13 
 
azioni sono i loro diritti e gli obblighi (quindi eventualmente rileva che il venditore sia 
titolare delle azioni, che non ci sono ostacoli alla loro circolazione, che siano di una 
determinata categoria, che i diritti possano essere esercitati in assemblea, che possano 
essere distribuiti utili). Allore le uniche caratteristiche della società che potrebbero 
comportare inadempimento sono quelle che incidono sul contenuto intrinseco delle 
azioni. Le garanzie date dal venditore sono solitamente patrimoniali e il patrimonio non 
è equiparabile alle azioni, almeno non giuridicamente.  
Consideriamo anche la questione per cui, se le garanzie non fossero adempimento 
di una prestazione, non sarebbe possibile per l’acquirente accedere alle relative tutele 
contrattuali (es. risoluzione). In ogni caso, è difficile che l’acquirente abbia interesse a 
sciogliere il rapporto contrattuale, soprattutto quando ha fatto un notevole investimento 
di tempo e di denaro nella fase delle trattative. Inoltre, nel momento in cui contratta la 
concessione di garanzia, può prevedere al posto dell’indemnity un’ipotesi di recesso dal 
contratto, se quelle condizioni erano per lui indispensabili.  
Per di più, è vantaggioso per entrambe le parti prevedere delle clausole di garanzia 
patrimoniale: anche se il venditore non può sottrarsi all’obbligo di versare l’indennizzo 
quando non gli sia imputabile il verificarsi o meno del fatto garantito, la somma che paga 
viene anticipata in parte dall’acquirente, in forma di un “premio” (cioè, un incremento 
del prezzo) come contropartita della concessione della garanzia stessa. L’acquirente, poi, 
ha interesse a chiedere garanzie solo su elementi che ignora per mancanza di informazioni 
o su cui nutre dei dubbi e sulla cui valutazione non riesce a trovare un accordo con il 
venditore per modificare il prezzo di vendita in senso riduttivo. Infatti, più rischi sono a 
carico del venditore, maggiore sarà il prezzo di vendita: l’acquirente cercherà di limitare 
l’inserimento di clausole di garanzia nel contratto. Si può sintetizzare dicendo che 
l’acquirente sopporta il rischio di pagare un prezzo eccessivo, nel caso non venissero 
rilevati i vizi o le difformità garantite, mentre il venditore ha la possibilità di ottenere un 
prezzo di vendita più alto qualora abbia garantito un fatto corrispondente al vero. Quando 
questo non sia corrispondente al vero, l’indennizzo che deve pagare può, almeno in parte, 
essere “ammortizzato” dal prezzo di vendita maggiorato. Anche in relazione alle 
conseguenze legali dell’inadempimento certamente si cerca di trovare un equilibrio tra 
gli interessi delle parti, qui però sono le parti che determinano un equilibrio diverso e più 
adiacente ai loro interessi.