Premessa 
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PREMESSA 
 
 
Il mare infatti, quale lo conosciamo e lo amiamo, offre sul proprio 
passato la più sbalorditiva e illuminante delle testimonianze.  
 Ferdand Braudel  
 
 
Un film di recente produzione si intitola Il destino nel nome di 
Mira Nair ed è una storia di memoria, di identità, di libertà 
individuale nella consapevolezza che le radici creano ciò che siamo e 
ciò che saremo senza essere necessariamente delle catene vincolanti 
o una gabbia. Chi legge il nome di chi scrive capirà senza indugio 
una delle motivazioni che hanno portato alla scelta dell’argomento 
trattato nelle pagine seguenti.  
Un altro ordine di motivi risiede nel percorso di studio che ho 
avuto il privilegio di seguire recentemente. Nell’ambito della ricerca 
finanziata dalla Fondazione Ignazio Buttitta nell’anno 2007 
indirizzata ad una documentazione sui riti cerimoniali ancora
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presenti in molti comuni costieri siciliani, è nato un profondo 
interesse per tutto ciò che esprimono le collettività prese in esame
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.  
 Pratiche rituali, credenze, valori, leggende, conoscenze di 
tecniche di prelievo in mare: un universo intero costituito da una 
moltitudine di “oggetti” spesso estranei e misteriosi ai più ma 
estremamente “vivi” e radicati nelle culture locali. 
Una cultura del mare costituita da uomini che agiscono e 
interagiscono in un ambiente naturale specifico con delle 
caratteristiche particolari.  
Mi sono resa conto che vivere in una città bagnata dal mare 
non significa avere ogni giorno contatti con quest’elemento tanto 
affascinante quanto sconosciuto per molti versi. Ed è anche vero che 
il rapporto tra uomini e gli elementi naturali che li circondano sono 
storici: «Ci sono centri urbani fondati lungo le coste che hanno 
sempre voltato le spalle al mare, restando in tutta la loro storia 
                                                           
1 I risultati di questo lavoro sono inizialmente esitati in un articolo, con Ignazio 
Buttitta e Rita Iocolano, che propone alcune schede di feste marinare siciliane, 
all’interno del “Progetto ScuolanullMuseo Ippocampo, edito dalla Sovrintendenza 
del Mare nel 2008 e, successivamente nel saggio La festa di Sant’angelo a Licata tra 
memoria e contingenza, scritto con Rita Iocolano, edito nel volume curato da I. 
E.Buttitta e M. E. Palmisano, Santi a mare. Ritualità e devozione nelle comunità 
costiere siciliane, Regione SiciliananullSovrintendenza del Mare di Palermo.
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saldamente radicati alla terraferma e sostanzialmente estranei 
all’orizzonte marino» (Cusumano A. 2009: 101). 
Se comprendere un fenomeno significa creare delle relazioni 
tra l’oggetto osservato nel suo contesto di fruizione e chi osserva, 
istaurare dei rapporti con chi invece vive con e dentro il mare è stata 
un’esperienza piena di scoperte interessanti, un processo che ha 
influito enormemente sullo sviluppo della mia conoscenza personale 
e intellettuale. 
Anche il mare racchiude il suo destino nel nome che i diversi 
popoli gli hanno dato nel corso della storia. Iam è la parola semitica 
che ne designa la vastità e la profondità. I greci avevano più termini 
per il mare: halis, pontos, pelagos, thalassa, kolpos. Combinati insieme 
generano diversi significati: materianullpresenza, naturanullspazio, vianull
avvenimento, distesanullspettacolo e così all’infinito, come del resto le 
stesse visioni del mare si completano e trapassano l’una nell’altra 
(cfr. Matvejević P. 1998: 15null16). Cambia anche genere da una lingua 
ad un’altra: maschile in italiano, femminile in francese, solo per fare 
due esempi. 
Nelle sacre scritture troviamo una differenza nel connotare il 
mare: il Vecchio Testamento lo vuole popolato di mostri terribili
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come il Leviatano, mentre molti protagonisti dei Vangeli sono 
pescatori, quindi che dal mare traggono vita e sostentamento. Come 
scrive Antonino Buttitta: «Il mare è un crocevia di paradossi […] il 
mare è vita che da vita ma, nello stesso tempo, la sua immensità e le 
forze da cui è agito, sono permanente occasione di sciagura e morte 
[…] il mare divide e nello stesso tempo unisce. Si interpone alla 
comunicazione e allo scambio ma, per millenni talora, ne è stato 
l’unico canale: ostacolo e opportunità, mpirimentu e ccianza » (Buttitta 
A. 1996: 140). 
Nulla di strano quindi che il mare sia stato sempre popolato 
da abitanti ambigui e polivalenti, carichi di significati contraddittori, 
dando vita ad apparati mitologici complessi in tutte le culture che ad 
esso hanno legato il proprio destino. Non stupisce neanche che a 
guardia di questo gigante inafferrabile e ambivalente siano state 
poste, nel corso dei secoli, figure capaci di contrastarne la valenza 
mitica. Gli esempi si moltiplicano tante quanto sono le diverse 
culture perché «il mare è un mito sia nel suo statuto paradigmatico 
in quanto simbolo, sia nella sua estensione sintagmatica in quanto 
contenitore e contenuto di sequenze narrative. Non a caso è centrale 
negli apparati mitici tanto di culture costituitesi in rapporto ad esso
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quanto di altre anche assai lontane» (ibidem, 141). 
Anche il narratore delle vicende del capitano Achab e della 
sua imponente Moby Dick, guardando l’immensa vastità dell’oceano 
si chiede: «Perché gli antichi Persiani tenevano il mare per sacro? 
Perché i Greci gli fissarono un dio a parte, e fratello di Giove? 
Certamente tutto ciò non è senza significato» (Melville H. 1987: 39). 
I protettori delle acque, del pescato, dei marittimi, nell’ambito 
del cristianesimo, sono diversi, tutti inneggiati per la salvaguardia 
della vita di quella che si può definire “gente di mare”. Per fare 
qualche esempio: la Vergine Maria, con il suo appellativo di "Stella 
Maris", riconosciuta patrona universale dell'Apostolato del Mare ed 
onorata anche con altri titoli da molte comunità di pescatori, come la 
Madonna di Porto Salvo o del Buon Viaggio; i Santi Pietro, Paolo e 
Andrea, tutti pescatori; S. Nicola, Vescovo di Mira, il cui corpo si 
venera a Bari, invocato fin dal IV secolo come patrono dei barcaioli; 
S. Brendano il “Navigatore”, monaco irlandese, considerato 
protettore dei marittimi particolarmente in Irlanda e Gran Bretagna; 
S. Elmo, identificato con S. Erasmo, Vescovo di Formia. Nel contesto 
siciliano San Francesco da Paola (1416null1507), fondatore dell'Ordine 
dei Minimi, proclamato da Pio XII nel 1943 patrono dei marittimi
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italiani è il Santo che vanta il culto più sentito e partecipato. Quasi 
un Poseidone cristiano, molti testimoni oculari lo vogliono 
approdato miracolosamente in Sicilia sul suo mantello e il suo 
bastone come timone, accompagnato da cavallucci marini. Grazie 
alle sue capacità di taumaturgo e di intercessione in numerosi 
miracoli, sin dal suo primo ingresso nell’Isola ha incontrato il favore 
di numerosi fedeli che gli sono rimasti devoti nei secoli. Il suo 
carattere, nell’ambiguità propria di uomo dalle forti reazioni nella 
lotta contro le ingiustizie e, nello stesso tempo, buono e caritatevole, 
lo assimila ad un padre umano e gli ha valso la denominazione di U 
Santu Patri. In Calabria è detto anche u zirrusu proprio per il suo 
carattere imperioso: «“zirrusu” vuol dire facile all’ira, ma all’ira 
fugace che viene non da odio o da malanimo, ma da un subìto 
impeto del sangue generoso» (Masasi 1907: 23). 
Nella prima parte del presente lavoro si cercherà di introdurre 
alcune generali riflessioni sul complesso rapporto tra il santo e il 
mare, quest’ultimo visto come elemento non soltanto naturale ma, 
soprattutto, antropologico. Successivamente si passerà a descrivere il 
culto dedicato a San Francesco di Paola, gli avvenimenti più 
importanti della sua vita, l’ordine monastico da lui istituito e sarà
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analizzata brevemente l’iconografia a lui relativa. Nella seconda 
parte si cercherà di delineare le pratiche devozionali che lo vedono 
protagonista a Palermo e, nella terza parte, in altri contesti della 
Sicilia. Il suo culto è, infatti, diffuso in tutta l’Isola, soprattutto nei 
centri costieri dove si possono osservare i festeggiamenti più 
imponenti: cerimoniali che coinvolgono intere collettività e che 
hanno come protagonisti sia il Santo che il mare su cui egli veglia. In 
tutti gli esempi riportati in questo lavoro è possibile rintracciare le 
diverse declinazioni in cui grandi e piccole comunità, nell’onorare il 
“proprio Santo”, nel contatto con il sacro cerchino soluzioni ad 
istanze altrimenti insolubili. 
Un pensiero particolare va a tutti coloro che mi hanno 
permesso di realizzare il presente lavoro con cui, grazie alla 
condivisione della memoria, ho istaurato rapporti che vanno al di là 
di qualunque parola. 
Nel concludere questa premessa i lettori mi concedano di 
ringraziare il relatore della tesi che, seguendone lo svolgimento, le 
difficoltà e la definitiva conclusione, non ha mai lesinato tempo, 
preziosi consigli e infinita pazienza.
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Ai miei genitori e a mio fratello dedico queste pagine perché, 
oltre ad essere stati una guida costante, hanno permesso la 
costruzione della mia identità e, dunque, del mio destino, 
fornendomi gli strumenti necessari ad orientarmi nel mondo e 
tramandandomi la curiosità di esplorarlo ogni giorno da più punti di 
vista possibili.
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~~ ~ ~ Prima Parte~~ ~ ~ 
Il Santo e il Mare
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Il culto di san Francesco di Paola è diffuso in tutta l’Isola, 
soprattutto nei comuni costieri, molti dei quali, legati alla pesca. 
Quale protettore delle genti di mare, e dei pescatori in particolare, è 
festeggiato presso tutte quelle comunità che al mare sono legate 
indissolubilmente. 
Il primo segno visibile della sua importanza presso i pescatori 
lo troviamo già nelle imbarcazioni, mezzo necessario per entrare in 
relazione con l’ambiente di lavoro. In numerose barche troviamo 
immagini a lui dedicate, soprattutto nella parte anteriore che è quella 
deputata all’apertura della strada, proteggendone l’intero cammino. 
Rileva Gabriella D’Agostino che «Nel palermitano era in uso 
rappresentare l’immagine di san Francesco da Paola sulla parte 
destra dell’opera morta di poppa» (1996: 72). 
Il Santo è solennizzato nel calendario liturgico il 2 aprile, 
giorno della sua morte, ma in tutta la Sicilia i festeggiamenti si 
svolgono in un arco temporale che copre i mesi da maggio ad 
agosto. Sono, infatti, questi i mesi in cui il pescato è più abbondante 
e la festa, in quanto legata all’organizzazione sociale del tempo,
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scandisce i diversi momenti dell’anno. 
Come nota Lanternari: «Per quanto sia relativamente raro il 
caso di civiltà viventi unicamente o principalmente di pesca, si è 
visto che anche l’attività piscatoria, in quanto strutturata entro un 
ciclo periodico, riceve generalmente la sua sanzione religiosa in un 
complesso rituale annuo inaugurativo» (2004: 530). 
Il calendario vive strettamente connesso all’ambiente, o meglio 
al modo in cui le comunità umane esperiscono l’ambiente in cui sono 
insediate e che assicura la soddisfazione dei loro bisogni primari (cfr. 
Giallombardo 1990: 13). 
Nello scorrere dello spazionulltempo quotidiano ciascuna cultura 
interpone spazi e tempi che si qualificano per il loro carattere 
eccezionale: quello festivo. Le feste, come scrive Antonino Buttitta: 
«Sono un mezzo con il quale gli uomini rappresentano in termini 
mitici il proprio mondo, dunque la concezione del tempo e dello 
spazio che lo sostiene» (1996: 262). Rese annualmente presenti le 
feste riproducono e rifondano il ciclo del tempo, ne esorcizzano la 
circolarità assicurandone il rinnovamento. Per mezzo dei rituali 
festivi gli uomini ripropongono e ribadiscono la propria dipendenza 
dalle divinità, uniche depositarie del potere ordinatore. Ad esse gli