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Il presente lavoro è diviso in due parti: una parte teorica e una di ricerca. 
La prima parte consiste in una rassegna delle principali posizioni teoriche presenti nel 
dibattito attuale e delle diverse tradizioni di ricerca sulla Teoria della Mente, così come 
si sono sviluppate storicamente dagli anni Ottanta del Novecento fino ad oggi (Capitolo 
1). Questo capitolo è stato curato in particolare da Cristina Belfiore. Al suo interno 
verranno trattate le quattro principali posizioni teoriche -la prospettiva modularista, la 
prospettiva simulazionista, la theory-theory e la prospettiva socio-culturale-. e la 
prospettiva socio-culturale-. Verrà inoltre approfondita la teoria di H.M. Wellman circa 
lo sviluppo della Teoria della Mente, in quanto tale teoria costituisce il principale 
presupposto teorico alla base del ToM Storybooks.   
Nel Capitolo 2, curato in particolare da Chiara Pizzuto, verrà invece delineata la 
prospettiva teorica cui fa riferimento il ToM Storybooks, definendo le motivazioni che 
hanno portato alla costruzione di uno strumento così concepito e descrivendo le diverse 
componenti che il test si propone di valutare. Verrà inoltre illustrato lo studio di 
validazione dello strumento sul campione olandese. 
Per quanto riguarda invece la parte di ricerca, il Capitolo 3 (anch’esso curato in 
particolare da Chiara Pizzuto) contiene una descrizione del ToM Storybooks e del 
metodo utilizzato -il quesito di ricerca, l’addestramento alla somministrazione, il 
reclutamento del campione e la somministrazione, e la descrizione del campione di 
ricerca-.  
Nel Capitolo 4, su cui abbiamo lavorato insieme,  verranno poi analizzati e discussi i 
risultati ottenuti dalle analisi condotte sul nostro campione, operando anche un 
confronto con i risultati ottenuti sul campione olandese. 
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CAPITOLO 1 
 
1.1 Cos’è la Teoria della Mente? 
Con l’espressione “Teoria della Mente” ci si riferisce all’abilità socio-cognitiva, che 
tipicamente contraddistingue lo sviluppo della mente umana, di attribuire a sé e agli 
altri stati mentali quali desideri, intenzioni, pensieri e credenze e di spiegare e 
prevedere i comportamenti sulla base di queste inferenze (Camaioni, 2006).  
La Teoria della Mente costituisce un particolare approccio della “psicologia del senso 
comune” - folk psychology (Fodor, 1987) - che si occupa di descrivere e spiegare la 
nostra comprensione ingenua del modo in cui le persone sentono, vogliono e pensano. 
L’approccio in questione parla di «teoria» non nel senso scientifico del termine, ma 
semplicemente perché nel ragionare e parlare di noi stessi e degli altri ci riferiamo 
costantemente a stati mentali non accessibili a un’osservazione esterna e 
intersoggettiva: piuttosto che spiegare le azioni e le interazioni quotidiane in termini 
comportamentali (e dunque chiamando in causa eventi esteriormente osservabili), 
tendiamo piuttosto ad interpretarle facendo riferimento agli stati psicologici che le 
hanno determinate o che da esse derivano. 
Possedere una Teoria della Mente non significa essere in grado di riflettere su di essa o 
saperla descrivere in termini di regole, principi e processi: gli esseri umani sono infatti 
«lettori della mente» efficaci ma inconsapevoli, e allo stesso modo il bambino 
acquisisce una siffatta teoria senza esserne cosciente. 
 
1.2 La prima tradizione di ricerche sulla Teoria della Mente 
A cominciare dalla metà degli anni Ottanta del secolo scorso ad oggi le ricerche sulla 
Teoria della Mente hanno rappresentato una delle aree più vivaci e produttive 
all’interno della psicologia dello sviluppo, con ricadute importanti anche su settori di 
ricerca affini, come lo studio dello sviluppo cognitivo e comunicativo nei primati non 
umani. 
Nel 1978 i primatologi David Premack e Robert Woodruff pubblicarono uno studio 
pionieristico in cui mostrarono negli scimpanzè la capacità di comprendere gli stati 
mentali e prevedere quindi il comportamento umano in situazioni finalizzate a uno 
scopo (Camaioni, 2006). Furono proprio i due autori a chiamare questa abilità “Teoria 
della Mente”. Attualmente non c’è però unanimità sull’attribuzione o meno della Teoria 
della Mente ai primati non umani: il problema di fondo concerne la loro capacità di 
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rappresentarsi mentalmente le rappresentazioni altrui, e pertanto la variabile cruciale 
consiste nella presenza o meno della metarappresentazione in questi animali (Povinelli, 
1999; Call e Tomasello, 1999). Oggi le posizioni concettuali tendono a convergere 
verso una posizione intermedia: la «teoria implicita della mente» (o «prototeoria della 
mente»), legata alla cosiddetta ipotesi della reinterpretazione di Povinelli: scimpanzé ed 
esseri umani condividono numerosi modelli identici di condotta, ma impiegano percorsi 
differenti per comprenderli e interpretarli. Pertanto i primati non ragionano sugli stati 
mentali degli altri, come invece fanno gli esseri umani, ma esclusivamente sui loro 
comportamenti. 
Pochi anni dopo gli austriaci Heinz Wimmer e Joseph Perner (Camaioni, 2006) 
riprendono queste idee e le utilizzano per mettere a punto un paradigma sperimentale 
destinato a una notevole fortuna, il compito della falsa credenza, che verrà trattato più 
approfonditamente di seguito, nel paragrafo 1.6.1. 
All’incirca negli stessi anni, e in maniera indipendente, sia Inge Bretherton e 
collaboratori (1981) che Henry M. Wellman e collaboratori (1983, 1985), cominciano 
ad indagare la comprensione da parte del bambino di termini mentali, quali volere, 
desiderare, sperare, pensare, credere, concettualizzandola come una componente 
importante nello sviluppo di una Teoria della Mente ( Camaioni, 2006). 
Questa prima tradizione di ricerche ha fondato le conoscenze sulla Teoria della Mente 
standard e ha stabilito le età normative per la comprensione della mente nei bambini 
con sviluppo tipico: ciò che sappiamo è che i bambini fra i 3 e i 5 anni di età sono 
capaci di risolvere con successo diversi compiti di falsa credenza e apparenza-realtà, e 
sono in grado di assumere il punto di vista dell’altro. 
   
1.3 I diversi approcci teorici per lo sviluppo della ToM 
Gli sviluppi successivi in questo campo di indagine riguardano la formulazione di 
diversi tipi di teorie. 
A questo proposito, Camaioni (2006) identifica quattro diverse prospettive teoriche:  
1) la prospettiva modularista, di tipo cognitivista  
2) la prospettiva simulazionista 
3) la prospettiva socio-culturale  
4) la theory-theory  
Gli esponenti dei quattro approcci si trovano concordi nell’affermare che, mediante 
l’attribuzione degli stati mentali a se stessi e agli altri, i bambini sviluppano in età 
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prescolare una teoria della mente che è alla base della loro capacità di comprendere 
l’interazione sociale. Al contrario ciò che diversifica i quattro approcci è una diversa 
spiegazione dello sviluppo della Teoria della Mente. 
 
1.3.1  La prospettiva modularista 
Secondo questo approccio, i cambiamenti associati all’età nella comprensione della 
mente si spiegano con la maturazione di meccanismi responsabili di una specifica 
competenza, i moduli, che si attivano in determinati momenti dello sviluppo.  
Secondo Simon Baron-Cohen (1994; 1995) e Alan Leslie (1987; 1994; 2000) il 
bambino, grazie a una maturazione neurologica, acquisisce una serie di meccanismi 
modulari dominio-specifici atti a processare le informazioni rilevanti nel dominio della 
comprensione sociale.  
In particolare, Leslie (1994) postula l’acquisizione di tre diversi meccanismi modulari e 
dominio-specifici: il Theory of Body Mechanism (ToBY) che compare a 3-4 mesi e 
riceve informazioni dalle modalità sensoriali, identificando se ciò che si muove lo fa 
come risultato di forze interne o esterne; il Theory of Mind Mechanism (ToMM1) che 
compare a 6-8 mesi e identifica le azioni intenzionali compiute da agenti su oggetti,  ed 
è implicato quindi in situazioni di attenzione condivisa; e il ToMM2, responsabile dei 
processi metarappresentazionali che rendono il bambino capace di “far finta”.  
Secondo Leslie la metarappresentazione è inoltre il meccanismo responsabile della 
capacità di rappresentare gli stati mentali. Le metarappresentazioni permettono al 
sistema cognitivo di costruire descrizioni di eventi ipotetici, come le descrizioni di 
oggetti di finzione, di pensieri, di sogni che, piuttosto che riferirsi alla realtà esterna, si 
riferiscono ad altre rappresentazioni, da cui il loro nome. Nella sua forma matura questo 
meccanismo permette lo sviluppo di una Teoria della Mente, e nella sua forma più 
precoce e primitiva, permette la comparsa del gioco di finzione. La teoria iniziale di 
Leslie (1987) collocava l’origine della metarappresentazione intorno ai 14-18 mesi di 
età, con la comparsa del gioco di finzione. Nella revisione della sua teoria (Leslie e 
Happé, 1989) l’origine della metarappresentazione viene anticipata intorno ai 7-9 mesi. 
Baron-Cohen (1995) propone un’architettura modulare in cui la direzione dello sguardo 
è considerata la base della comprensione delle intenzioni. Nella sua proposta tre moduli 
precedono la comparsa del modulo della Teoria della Mente vero e proprio: 
l’Intentionality Detector (ID) che rileva l’intenzionalità dell’azione (cioè gli obiettivi e 
il desiderio) e l’Eye-Direction Detector (EDD) deputato alla rilevazione della direzione 
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dello sguardo dell’altro; entrambi sono attivi entro i primi 9 mesi di vita e producono 
rappresentazioni della relazione diadica tra il soggetto e l’oggetto. Tra i 9 e i 18 mesi 
entra in azione lo Shared Attention Mechanism (SAM), il meccanismo dell’attenzione 
condivisa che, al contrario degli altri due, consente di rappresentare relazioni triadiche 
che coinvolgono contemporaneamente il sé/agente, un altro agente e un oggetto, 
verificando che il sé e l’altro agente facciano attenzione alla stessa cosa. Gli input 
elaborati dal SAM sono gli output dell’ID e dell’EDD. Il ToMM utilizza i dati del SAM 
per produrre le rappresentazioni dei diversi stati mentali, organizzandole in una 
strutturata teoria dell’azione con funzioni sia esplicative che predittive.  
Riassumendo, secondo i modularisti, la teoria della mente ha una base innata specifica, 
ovvero è determinata da meccanismi specifici che non appartengono ad altri domini 
cognitivi; in secondo luogo, il fatto che la ToM abbia una base innata, implica che essa 
sia parte della nostra dotazione genetica; i moduli vengono poi attivati da fattori 
ambientali appropriati. Pertanto lo sviluppo dei concetti non può essere spiegato 
attraverso un processo deduttivo o induttivo, ma deve esistere ab initio, mentre ciò che 
si sviluppa nell’individuo è la capacità di utilizzarli. 
E’ interessante notare che i teorici modularisti hanno iniziato le ricerche sulla Teoria 
della Mente su individui affetti da autismo (Baron-Cohen, Leslie e Frith, 1985; Leslie, 
1987), proponendo che i deficit comunicativi dell’autismo fossero il risultato di un 
danno neurologico proprio al modulo della Teoria della Mente.  
 
1.3.2  La prospettiva simulazionista  
Secondo l’approccio della simulazione proposto da Paul Harris (1992) i concetti 
derivano dall’introspezione: la comprensione della mente umana non si fonda su 
processi di concettualizzazione, ma sulla nostra esperienza diretta della vita mentale e 
sulla capacità di immaginare noi stessi nella prospettiva di un’altra persona, simulando 
la sua attività mentale. In quanto esseri umani possediamo stati mentali e dunque non 
abbiamo bisogno di concettualizzarli, ma semplicemente di sperimentarli: quando si 
devono attribuire stati mentali ad altri, dobbiamo immaginare quale sarebbe la nostra 
esperienza mentale si ci trovassimo in quella particolare situazione, e poi attribuire 
questa esperienza agli altri.  
Tra gli 8 e i 12 mesi di vita il bambino diventa capace di interagire con gli altri,  
utilizzando gli oggetti: la tendenza a simulare lo porterà a imitare le azioni nuove 
compiute dagli altri sugli oggetti. Egli potrà quindi riconoscere l’equivalenza tra le 
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proprie azioni e quelle altrui, e ciò sarà la base che gli permetterà di comprendere la 
natura degli stati psicologici relativi a oggetti o eventi esterni. La teoria della 
simulazione assume che l’esperienza giochi un ruolo importante nell’acquisizione di 
abilità sociali, e dunque della Teoria della Mente, nei bambini; pone inoltre l’accento 
sul ruolo dell’immaginazione e del gioco di finzione (Harris, 1996).  
La teoria della simulazione non prevede una “teoria” dietro la comprensione di stati 
mentali, ma piuttosto una predisposizione naturale ad “essere nei panni” degli altri 
(contrariamente alla theory-theory, cfr. paragrafo 1.3.4). La comprensione dei nostri 
stati mentali, secondo il punto di vista della prospettiva simulazionista, precede la 
comprensione degli stati mentali altrui, mentre per l’approccio theory-theory entrambe 
emergono simultaneamente, come risultato della maturazione di una “teoria” (cfr. 
paragrafo 1.3.4). 
Secondo Harris i bambini sono quindi ugualmente competenti nel comprendere sia i 
desideri che le credenze; egli si trova però ad affrontare alcune difficoltà derivanti 
dall’esistenza di un décalage temporale tra la più precoce comprensione dei desideri 
(prima dei 3 anni) e la più tardiva comprensione delle credenze (tra i 2 e i 5 anni), ben 
documentata nei lavori di H. Wellman e Jacqueline Woolley (1990) e H. Wellman e 
Karen Bartsch (1995) (cfr. paragrafo 4.4). 
A fronte di queste difficoltà egli propone la seguente distinzione: la nozione di 
desiderio si fonda sulla comprensione dell’agentività, la quale emerge precocemente nei 
bambini in quanto hanno esperienza diretta di se stessi come agenti; la nozione di 
credenza compare invece più tardi in quanto si fonda sulla comprensione della 
comunicazione, e richiede un certo livello di competenza linguistica come prerequisito. 
  
1.3.3  La prospettiva socio-culturale 
Le proposte teoriche fin qui illustrate condividono l’assunto secondo cui il bambino 
acquisisce un sistema concettuale coerente, cioè una teoria. Un assunto alternativo è 
che la Teoria della Mente costituisca una costruzione sociale, e che all’origine della 
comprensione della vita mentale vi sia un processo di acculturazione. Grazie a questo 
processo il bambino si appropria delle pratiche sociali e delle norme culturali tipiche 
della propria comunità, che gli consentono sia di interpretare la propria e l’altrui 
esperienza in termini di desideri, intenzioni e credenze, sia di parlare di questi stati 
mentali nel discorso con gli altri.  
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Questa visione socio-culturale, di ispirazione vygotskiana, rappresenta una posizione 
minoritaria nella ricerca sulla Teoria della Mente ed è appoggiata da autori come 
Jerome Bruner (1990), Carol Feldman (1992) e R. Peter Hobson (1991); essi ritengono 
che la comprensione sociale avvenga in forma di «partecipazione» e che non sia 
necessario ipotizzare la disponibilità di un apparato concettuale. Il bambino viene visto 
come un «piccolo ermeneutico» che interpreta la realtà sociale semplicemente 
partecipandovi.  
I ricercatori che adottano questo tipo di prospettiva sono interessati prevalentemente ad 
indagare come la Teoria della Mente vari in funzione di culture e contesti sociali 
diversi. 
 
1.3.4  La  Theory- theory 
Autori come Alison Gopnik, Andrew Meltzoff e Henry Wellman ritengono che la 
Teoria della Mente si sviluppi nel bambino in modo simile all’evoluzione storica di una 
teoria scientifica, e suggeriscono la metafora del bambino come «piccolo scienziato» 
(Gopnik e Meltzoff, 1997; Gopnik e Wellman 1994).  
Il termine teoria ha un significato forte, in quanto corrisponde a un sistema concettuale 
che impiega concetti (quali desideri e credenze), all’interno di una rete coerente di 
spiegazioni causali e di generalizzazioni; pertanto la loro posizione è nota come 
«theory-theory».  
La Teoria della Mente costituisce una teoria di senso comune costruita a partire da una 
lunga sequenza di esperienze, maturata dai bambini, sulla propria cognizione, le proprie 
emozioni e motivazioni e gli stati interni, oltre a innumerevoli esperienze di interazione 
e di osservazione degli altri. Vi è una tale quantità di esperienze e informazioni 
disponibili ai bambini  riguardo a tali e tanti eventi ed episodi interrelati, che devono 
necessariamente sviluppare una struttura concettuale coerente per organizzare e 
distillare queste esperienze.  
Tra gli autori che si collocano all’interno di questa prospettiva approfondiremo, nel 
paragrafo 1.5, la posizione teorica di Wellman poiché su di essa si basa lo strumento da 
noi utilizzato nella ricerca.