Tesi in Gestione dei Rischi 
 
Per tale ragione, il modello di Operational Risk Management (ORM) proposto 
in tale lavoro si basa su di un approccio bottom-up di tipo qualitativo che ha lo scopo di: 
 
¾ Individuare i rischi a cui la banca è soggetta e associarli ai processi aziendali da 
cui scaturiscono. 
¾ Valutare il livello di rischio di ciascun evento in ciascun processo e l’efficacia 
dei controlli nel ridurre la rischiosità. 
¾ Sulla base dei risultati ottenuti con la valutazione del rischio, determinare la 
politica di trattamento del rischio più idonea per affrontare le diverse tipologie di 
eventi caratterizzati da diversi livelli di frequenza e impatto. 
¾ Monitorare costantemente il livello di rischio operativo a cui la banca è esposta 
adeguando le politiche di trattamento in caso di variazioni significative del 
profilo di rischio. 
 
Gli scopi principali di un sistema ORM devono essere quelli di individuare le 
fonti da cui scaturisce il rischio operativo e adeguare le procedure e i controlli interni 
con l’obiettivo di ridurre il più possibile l’incidenza degli eventi pregiudizievoli. 
Una banca che può contare su controlli interni efficaci ed integrati e che opera in 
un contesto relativamente stabile ed efficiente ha un livello di esposizione al rischio 
operativo più contenuto, ciò si traduce in un evidente vantaggio in termini di riduzione 
delle perdite operative potenziali. 
E’ bene comprendere che per quanto una gestione efficace del RO possa ridurne 
sensibilmente l’incidenza, questo non può essere eliminato completamente. Infatti, 
l’unico modo per non assumere RO è quello di cessare qualsiasi tipologia di attività. Il 
RO è intrinsecamente connesso ad ogni operazione svolta da un’istituzione finanziaria, 
dall’attività creditizia all’attività di negoziazione di valori mobiliari, dall’offerta di 
strumenti di pagamento alla partecipazione al mercato interbancario. Ne deriva il fatto 
che sarebbe impossibile evitare di assumere RO. 
 
La tesi presenta una struttura suddivisa in due parti:  
 
¾ Nella prima parte verrà introdotto il concetto di rischio operativo e verrà 
descritto un possibile modello per una sua gestione e mitigazione in una piccola 
banca. 
¾ Nella seconda parte sarà illustrato il progetto di Business Continuity 
Management implementato dalla Cassa di Risparmio di Fabriano e 
Cupramontana 
 
 
7 
Tesi in Gestione dei Rischi 
 
Relativamente al modello di ORM, questo sarà costruito sulla base delle 
peculiarità di una ipotetica piccola banca. Questa, per via dei requisiti quali-quantitativi 
necessari per l’adozione di approcci AMA (Advanced Measurement Approach) e per il 
trade-off tra costi e benefici è, di fatto, obbligata a scegliere uno dei due approcci più 
semplici indicati dal Comitato. Per tale ragione ci si focalizzerà maggiormente sugli 
aspetti organizzativi e gestionali per la mitigazione del RO trascurando in parte le 
questioni metodologiche per la quantificazione del RO mediante modelli matematico-
statistici. 
Per quanto riguarda il progetto Business Continuity Management (BCM), la mia 
esperienza presso la Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana mi ha permesso di 
osservare la metodologia applicata ed i risultati ottenuti con la realizzazione del piano di 
continuità. Date le forti similitudini procedurali con il processo di ORM, ho voluto 
descrivere nella seconda parte del presente lavoro le attività svolte dalla Carifac per la 
realizzazione del sistema BCM così che possa essere preso come fonte di ispirazione 
per la realizzazione di un approccio qualitativo nel più ampio ambito della gestione del 
RO. 
 
La prima parte è suddivisa in due capitoli che sono: 
 
 ξ  I rischi nell’attività bancaria e il Nuovo Accordo di Basilea. 
 ξ  La gestione del rischio operativo: aspetti strutturali e metodologici. 
 
Nel primo capitolo verranno introdotti i concetti più importanti relativi ai rischi 
bancari. Quest’ultimi verranno classificati delineandone i confini ed evidenziando le 
peculiarità del rischio operativo rispetto a quelli di credito e di mercato. 
Sarà descritto poi il Nuovo Accordo sul Capitale (NAC), noto come Basilea 2, 
facendone un confronto critico con il precedente accordo per mostrarne i miglioramenti 
e le criticità. 
Al termine del primo capitolo ci si focalizzerà sul rischio operativo in ottica 
Basilea 2, illustrando le tre metodologie per la sua misurazione suggerite dal Comitato 
di Basilea: Basic Indicator Approach, Standardised Approach, Advanced Measurement 
Approach. Tali approcci presentano gradi di difficoltà differenti così da permettere a 
ciascuna realtà bancaria di adottare il più idoneo alle proprie caratteristiche 
dimensionali e strutturali. 
 
Il capitolo 2 della tesi è sicuramente il più rilevante in quanto definisce la 
struttura e la metodologia necessaria per gestire efficacemente il RO in una piccola 
banca. 
 
8 
Tesi in Gestione dei Rischi 
 
Dapprima si illustreranno le caratteristiche che caratterizzano i diversi impianti 
metodologici per la gestione del RO e sulla base di queste saranno classificati i 
differenti approcci. 
Successivamente si forniranno i concetti di base riguardanti l’organizzazione di 
una banca e si dirà del legame tra questa e il modello ORM. Verranno identificati gli 
attori maggiormente coinvolti nel processo di gestione del rischio operativo 
descrivendone ruoli ed obiettivi. 
Nel terzo paragrafo del capitolo verrà illustrato un possibile processo ORM di 
tipo bottom-up qualitativo, descrivendo le diverse fasi che lo compongono. La 
metodologia risulta volutamente semplice e facilmente implementabile così da 
permettere una sua eventuale applicazione pratica. 
Con il quarto paragrafo del capitolo saranno analizzate le peculiarità che 
caratterizzano le piccole banche così da giustificare la scelta dell’approccio descritto nel 
paragrafo precedente. Verrà inoltre mostrato il calcolo del requisito patrimoniale 
minimo a fronte dei rischi operativi mediante l’utilizzo del metodo BIA sulla base dei 
dati della Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana e di un campione di banche 
italiane. Ciò consentirà di svolgere un’analisi critica di tale approccio individuandone le 
relative criticità nell’ottica di una piccola banca. 
 
La seconda parte della tesi è costituita da un solo capitolo suddiviso in quattro 
paragrafi. 
Dapprima, con il primo paragrafo, si analizzeranno le analogie fra le fasi dei 
processi BCM e ORM. Solo in tal modo si potranno individuare quali spunti 
metodologici estrapolare dal primo per la progettazione del secondo, evitando di creare 
confusioni fra i due schemi procedurali. 
Nel secondo paragrafo verranno introdotti i concetti di Business Continuity 
Management e Disaster Recovery necessari alla comprensione del progetto BCM. Si 
elencheranno inoltre gli obiettivi da raggiungere con la realizzazione del piano di 
continuità operativa ed i presupposti necessari per la sua concreta attuazione. 
Con il terzo paragrafo del capitolo 3 verranno descritti gli organi che 
partecipano all’attuazione del processo BCM, elencandone per ciascuno le relative 
attività. Ciò consentirà di fornire uno schema organizzativo fondamentale per la 
realizzazione delle misure previste dal piano di continuità. 
Infine, con l’ultimo paragrafo del capitolo, saranno illustrate le fasi che 
compongono il processo BCM e verranno mostrati i risultati ottenuti dalla realizzazione 
delle stesse da parte della Carifac. 
 
 
 
9 
Tesi in Gestione dei Rischi 
 
PRIMA PARTE 
 
CAPITOLO 1 
I RISCHI NELL’ATTIVITA’ BANCARIA E IL 
NUOVO ACCORDO DI BASILEA 
 
 
 
1.1 I RISCHI BANCARI 
 
Dagli anni Settanta si è assistito all’evolversi di quattro rilevanti tendenze fra 
loro correlate che hanno interessato in misura crescente le banche dei principali paesi 
sviluppati. 
La prima di queste tendenze è rappresentata dall’accresciuta volatilità delle 
variabili finanziarie (tassi di interesse, tassi di cambio, prezzi azionari) provocata dalla 
sempre maggiore integrazione internazionale dei mercati finanziari, che permette il 
trasferimento degli shock economici da un paese all’altro, e dalla mancanza di un reale 
coordinamento tra le politiche economiche dei paesi delle principali aree valutarie. Tale 
maggiore volatilità si è tradotta spesso in episodi di crisi e di insolvenza di istituzioni 
finanziarie il cui management si è dimostrato incapace di misurare e gestire 
adeguatamente i rischi assunti. 
Una seconda tendenza riguarda il processo di disintermediazione provocato dal 
passaggio di molti depositanti verso impieghi più remunerativi dei propri risparmi e dal 
ricorso diretto al mercato dei capitali da parte delle imprese più grandi. Ciò ha avuto 
come conseguenza un graduale mutamento della tradizionale attività di intermediazione 
praticata dalle banche (raccolta di depositi e concessione di prestiti) verso nuove forme 
di intermediazione finanziaria caratterizzate da diverse tipologie di rischio. Tale 
mutazione ha affievolito i confini istituzionali fra istituzioni creditizie e altre categorie 
di intermediari uniformando le rispettive attività e le connesse tipologie di rischio. 
La terza tendenza evolutiva da considerare è il crescente orientamento della 
Autorità di Vigilanza verso l’adozione di politiche prudenziali fondate sull’adeguatezza 
patrimoniale rispetto al grado di rischio assunto dai singoli istituti con il fine di 
garantire la stabilità del sistema finanziario. E’ stata dunque abbandonata la precedente 
politica di vigilanza di natura strutturale che richiedeva un coinvolgimento diretto 
 
10 
Tesi in Gestione dei Rischi 
 
dell’Autorità per definire la struttura del mercato finanziario, a ciò si aggiunga, specie 
nel continente europeo, il processo di privatizzazione delle banche con il fine di 
aumentarne l’efficienza di gestione. 
Infine la quarta tendenza riguarda l’attività delle banche, sottoposta ad una 
sempre maggiore apertura dei mercati finanziari internazionali, alimentata dal processo 
di liberalizzazione dei movimenti di capitale che nel nostro paese si è compiuto alla fine 
degli anni Ottanta. A tale crescente integrazione internazionale sono imputabili sia un 
sensibile incremento della concorrenza fra le istituzioni finanziarie di paesi diversi, sia 
l’aumento del costo reale del capitale. Fatto quest’ultimo estremamente rilevante per le 
banche vista l’importanza di tale fattore produttivo nell’ambito dell’attività bancaria. 
Queste quattro tendenze, strettamente correlate tra loro, hanno sottolineato 
l’importanza della variabile rischio, inteso come variabilità dei possibili risultati attorno 
al valore atteso, costringendo le Autorità di Vigilanza dei principali paesi sviluppati ad 
adottare un’attività di vigilanza non più basata sull’imposizione di limiti geografici e/o 
operativi all’attività delle banche, quanto piuttosto a limitare il rischio assunto e ad 
imporre un grado di patrimonializzazione adeguata al grado e alla tipologia di 
quest’ultimo. 
Dal punto di vista strategico sono quattro i fattori critici per la banca in questa 
nuova ottica: 
 
 ξ  Ogni banca deve essere in grado di identificare, misurare, controllare e 
soprattutto “prezzare” le diverse forme di rischio che essa assume durante la 
propria attività. 
 ξ  Ogni banca deve realizzare un efficace sistema di allocazione del capitale fra 
le diverse unità che, assumendo rischio, assorbono parte di tale risorsa scarsa, 
creando in tal modo un mercato del capitale interno alla banca in cui le diverse 
unità competono fra loro per la sua allocazione. 
 ξ  Ogni banca deve mirare all’efficienza organizzativa creando una struttura che 
permetta la condivisione tra le unità della banca dei criteri alla base del 
modello di misurazione delle diverse tipologie di rischio  e, al tempo stesso, 
delle regole su cui si fonda il processo di allocazione del capitale. 
 
Si è detto che il concetto di rischio è identificato  con la variabilità dei possibili 
risultati attorno al valore medio. Per una banca questo significa la variabilità dell’utile 
netto atteso. Tale variabilità può derivare da diversi fattori causali ed è in base al fattore 
causale che l’ha provocata che è possibile classificare il rischio in diverse tipologie. 
 
 
 
11 
Tesi in Gestione dei Rischi 
 
1.2 LE TIPOLOGIE DI RISCHIO 
 
Il concetto di rischio in campo economico-finanziario fa riferimento alla 
possibilità che il risultato di una particolare operazione o della complessiva attività 
aziendale, misurato ex-post, sia diverso da quello previsto e atteso ex-ante. 
Si parla di rischi speculativi quando dall’evento non atteso possono derivare 
effetti sia positivi sia negativi, si parla, invece di rischi puri quando la situazione di 
incertezza può condurre a conseguenze unicamente negative. Si parla inoltre di rischi 
economici quando queste manifestazioni o conseguenze degli eventi non attesi si 
ripercuotono sul reddito. 
I rischi bancari di cui si occupa il risk management sono definiti come degli 
sfavorevoli impatti futuri sulla profittabilità, prodotti da diverse, attuali, fonti di 
incertezza. Per la gestione di tali rischi è fondamentale individuare la fonte di incertezza 
e la dimensione quantitativa del suo potenziale impatto negativo sulla profittabilità, 
affinché sia possibile determinare la quantità di capitale per la loro copertura. I diversi 
rischi necessitano perciò di un’accurata definizione che costituisca una solida base per 
la loro gestione e misurazione quantitativa. Le definizioni di rischio sono divenute 
sempre più precise attraverso gli anni e la regolamentazione circa la loro gestione ha 
contribuito a formalizzare tali definizioni. 
L’insieme dei rischi bancari può essere rappresentato come segue: 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
12 
Tesi in Gestione dei Rischi 
 
Figura 1.1 – I rischi bancari 
 
 
Il Nuovo Accordo di Basilea si preoccupa di disciplinare in particolare le tre 
seguenti categorie di rischio: 
 
- Rischio di mercato: rischio di fluttuazioni sfavorevoli del valore delle 
posizioni dovuto a variazioni inattese dei fattori di mercato (tassi di cambio, 
prezzi azionari, tassi d’interesse, prezzi di “commodities”). 
- Rischio di credito: rischio di una variazione del valore di mercato di una 
posizione creditoria dovuta ad una variazione inattesa del merito creditizio 
della controparte. 
- Rischio operativo: rappresenta una delle maggiori novità di Basilea 2 ed è 
definito come il rischio di perdite inattese che possono derivare da diversi 
fattori causali: errori umani, fallimenti dei sistemi informativi e gestionali, 
procedure e controlli inadeguati ed eventi esterni. 
 
13 
Tesi in Gestione dei Rischi 
 
 
Vediamo ora più nel dettaglio i tre tipi di rischio che abbiamo sopra elencato. 
 
 
 
1.2.1 I rischi di mercato 
 
Il rischio di mercato è il rischio di variazioni del valore di mercato di uno 
strumento o di un portafoglio di strumenti finanziari connesse a variazioni inattese 
delle condizioni di mercato (prezzi azionari, tassi di interesse, tassi di cambio e 
volatilità di tali variabili). 
In base ai fattori di mercato considerati si possono classificare cinque principali 
categorie di rischi: 
 
 rischio di cambio, quando il valore di mercato delle posizioni assunte è 
sensibile alle variazioni dei tassi di cambio; 
 rischio di interesse, quando il valore di mercato delle posizioni assunte è 
sensibile alle variazioni dei tassi di interesse; 
 rischio azionario, quando il valore di mercato delle posizioni assunte è 
sensibile all’andamento dei prezzi azionari; 
 rischio merci, quando il valore di mercato delle posizioni assunte è sensibile 
alle variazioni dei prezzi delle commodities; 
 rischio di volatilità, quando il valore di mercato delle posizioni assunte è 
sensibile alla variazione della volatilità di una delle variabili considerate 
precedentemente. 
 
Tre fenomeni recenti hanno accresciuto la rilevanza dei rischi di mercato negli 
ultimi venti anni. 
Il primo fenomeno è il processo di cartolarizzazione (securitization) che ha fatto 
si che attività illiquide (prestiti, mutui) siano state sostituite con attività scambiate in 
mercati secondari liquidi e dunque dotate di un prezzo. 
Il secondo fenomeno considerato è la graduale crescita del mercato degli 
strumenti finanziari derivati, i cui valori di mercato dipendono dai prezzi delle attività 
sottostanti e/o dalla volatilità degli stessi. 
Infine il terzo fenomeno da considerare è il sempre maggiore grado di 
integrazione tra i mercati finanziari internazionali. 
La crescente attenzione ai rischi di mercato non ha riguardato solo gli 
intermediari finanziari ma si è estesa anche alle autorità di vigilanza che, in base 
 
14 
Tesi in Gestione dei Rischi 
 
all’emendamento del Comitato di Basilea del 1996, hanno imposto agli intermediari 
finanziari di considerare esplicitamente i rischi di mercato per la determinazione dei 
requisiti patrimoniali. 
La misurazione e gestione del rischio di mercato si è evoluta nel tempo. 
I primi approcci si basavano esclusivamente sul valore nominale delle singole 
posizioni per la determinazione dell’esposizione al rischio. Tali approcci male si 
conciliavano con l’adeguamento continuo del valore delle posizioni alle nuove 
condizioni di mercato (mark-to-market). 
Successivamente si è passati all’utilizzo di indicatori di sensibilità delle 
posizioni ai valori di mercato quali la duration e il basis point value per i titoli 
obbligazionari, il beta per i titoli azionari e le greche (delta, gamma, vega, rho) per le 
opzioni. Ma anche tali indicatori presentavano molti limiti, primo fra tutti l’utilizzo di 
“linguaggi” differenti per le diverse tipologie di posizioni che impedivano 
l’aggregazione e il confronto dei rischi assunti fra le diverse aree di attività 
dell’intermediario. 
Nel tentativo di superare tali problematiche si è giunti all’utilizzo di modelli 
matematico-statistici denominati modelli VaR (Value At Risk). Il VaR indica la perdita 
massima che si potrebbe subire nel corso di un determinato orizzonte temporale, tale 
che vi sia una probabilità molto bassa, ad esempio 1%, che la perdita effettiva risulti 
superiore a tale importo.  
Il VaR ha permesso di superare i limiti delle metodologie che lo hanno 
preceduto e deve il suo successo alla possibilità di misurare il rischio globale della 
banca tramite un’unica e sintetica unità di misura. 
 
 
 
1.2.2 I rischi di credito 
 
Il rischio di credito rappresenta il rischio che una variazione inattesa del merito 
creditizio di una controparte, nei confronti della quale esiste un’esposizione, generi una 
corrispondente variazione inattesa del valore della posizione creditizia. 
Da tale definizione discendono le seguenti importanti considerazioni: 
 
i. il rischio di credito non è collegato unicamente alla possibilità di 
insolvenza ma anche al deterioramento del merito creditizio. Se 
consideriamo un prestito a tasso fisso, questo deterioramento porta ad una 
riduzione del valore di mercato del prestito. In effetti, essendo il valore di 
mercato dato dal valore attuale dei flussi di cassa del prestito, l’aumento 
 
15 
Tesi in Gestione dei Rischi 
 
del tasso di sconto, dovuto all’incremento del premio per il rischio, 
comporterà una riduzione del valore attuale; 
ii. perché si possa configurare un rischio la variazione della posizione 
creditizia deve essere inattesa. Se infatti una banca fosse consapevole che 
il merito creditizio di una controparte è destinato a deteriorarsi, tale 
deterioramento sarebbe opportunamente valutato e tenuto nella dovuta 
considerazione nel momento della decisione di affidamento e in sede di 
determinazione del tasso attivo (pricing); 
iii. la definizione di rischio di credito non considera solo le posizioni inserite 
in bilancio ma comprende anche quelle fuori bilancio, ossia strumenti 
derivati negoziati in mercati OTC (Over The Counter), o regolamenti di 
transazioni nazionali e internazionali in titoli, in valute o in strumenti 
finanziari derivati; 
iv. la maggioranza delle posizioni creditorie di una banca rispondono ad una 
logica di tipo contabile più che ad una logica di valori di mercato. Inoltre 
non esistendo ancora un mercato secondario sviluppato, le attività 
creditizie risultano illiquide. Dunque un valore di mercato può essere solo 
ed esclusivamente stimato. 
 
 
Si possono elencare sei diverse tipologie di rischio di credito in base alla fonte 
del rischio: 
 
 rischio di insolvenza: è il rischio che la controparte affidata divenga 
insolvente. La perdita sarà pari alla differenza fra il valore del credito e 
quando viene effettivamente recuperato; 
 rischio di migrazione: rappresenta il rischio di un deterioramento del merito 
creditizio della controparte (rischio di downgrading) che può trovare 
riscontro concreto in un declassamento del rating del debitore ad opera di 
una agenzia di rating; 
 rischio di spread: è il rischio relativo ad un eventuale rialzo degli spread 
richiesti dal mercato agli emittenti pur non essendo avvenuta nessuna 
modifica del rating a loro assegnati; 
 rischio di recupero: indica il rischio che il tasso di recupero effettivamente 
verificatosi al termine della procedura di liquidazione delle attività di una 
controparte divenuta insolvente risulti inferiore a quanto originariamente 
stimato; 
 rischio di pre-regolamento o di sostituzione: indica il rischio che la 
controparte di una transazione in derivati negoziati in un mercato OTC 
 
16 
Tesi in Gestione dei Rischi 
 
divenga insolvente prima della scadenza dello stesso e renda dunque 
necessario per la banca “sostituire” la posizione sul mercato a condizioni 
contrattuali differenti; 
 rischio paese: rappresenta il rischio che una controparte non residente non 
sia in grado di onorare le proprie obbligazioni a causa di eventi di natura 
politica o legislativa. 
 
Il rischio di credito può essere scomposto nelle sue due componenti 
fondamentali: la perdita attesa e la perdita inattesa. 
La perdita attesa non è altro che il valore medio della distribuzione delle perdite, 
in genere riferite all’anno. E’ evidente che, in quanto attesa, essa non rappresenta il vero 
rischio di un’esposizione creditizia, infatti, la stima ex-ante della perdita attesa viene 
esplicitamente considerata nel momento in cui viene determinato il tasso da applicare al 
prenditore di fondi. 
Per la determinazione della perdita attesa (EL – expected loss) è necessario 
stimare tre variabili aleatorie: 
 
1. EAD (exposure at default): è l’esposizione attesa in caso di insolvenza; 
2. PD (probability of default): è la probabilità che possa verificarsi l’insolvenza 
della controparte; 
3. LGDR (lost given default rate): è il tasso di perdita atteso in caso di 
insolvenza, ed è pari a sua volta al complemento a 1 del tasso di recupero 
(RR -  recovery rate). 
 
L’espressione analitica della perdita attesa è la seguente: 
 
EL = EAD x PD x LGDR 
 
Per la stima di EAD è necessario conoscere sia la quota di fido utilizzata (DP - 
drawn portion), sia la quota non utilizzata (UP – undrawn portion). La quota 
inutilizzata, anche se non rappresenta l’esposizione corrente, assume rilevanza in quanto 
il debitore ha la possibilità di aumentare l’esposizione a suo piacimento. Questa opzione 
implicita viene peraltro tipicamente esercitata all’avvicinarsi della situazione di 
insolvenza. Una terza variabile rilevante è dunque rappresentata dalla percentuale della 
quota inutilizzata che si ritiene venga utilizzata dal debitore in corrispondenza 
dell’insolvenza (UGD – usage given default). 
Analiticamente l’espressione risulta la seguente 
 
EAD = DP + UP x UGD 
 
17