4 
Nel primo capitolo, che prende in considerazione l’intervallo di tempo che va dalla fine 
del XIX secolo alla seconda guerra mondiale, ci soffermiamo innanzitutto sullo sven-
tramento del centro storico, con l’avvio di processi di gentryfication, cioè la sostituzione 
dei residenti meno abbienti con altri più ricchi, attraverso la quale l’amministrazione 
vorrebbe terziarizzare quest’area per creare un luogo simbolo del nuovo ruolo assunto 
dalla città. Gli effetti prodotti sono tuttora criticati e consistono per lo più nello stravol-
gimento dell’antico tessuto di Milano e la nascita dei primi quartieri popolari nelle fasce 
allora periferiche (oggi semicentrali) con le classiche case a ringhiera che a volte ancora 
si incontrano, ad esempio in Bovisa, così da poter ospitare la manodopera industriale 
che gonfia la domanda abitativa. 
Di inizio Novecento sono, invece, i primi grandi palazzi costruiti in cemento armato, 
come quelli di via Ripamonti, Mac Mahon, Tibaldi, Spaventa, Lulli e Coni-Zugna, con i 
quali si dà vita alla prima area marginale dedicata alla popolazione che lavora nelle fab-
briche, lontana dal centro e dalla borghesia che ancora lo abita, ponendo fine alla com-
mistione tra case padronali e abitazioni più modeste, tipica degli anni precedenti. 
L’espansione di Milano, e la costruzione di nuovi quartieri per i sempre più numerosi 
iscritti in anagrafe, prosegue fino agli anni Sessanta, epoca di boom economico, ma du-
rante il ventennio fascista numerose sono le leggi che hanno cercato di bloccare 
l’inurbamento, considerato dannoso per le campagne circostanti che corrono il rischio, a 
detta del regime, di rimanere senza braccia che le lavorino. In realtà anch’esse sono in 
crisi e le persone, che lì vivono in condizioni pessime, preferiscono cercare fortuna in 
una città industrializzata, pur correndo il rischio di esserne cacciati. Perché per tutto il 
suo governo Mussolini cerca di fermare l’afflusso di persone dirette nelle grandi città, 
fenomeno considerato nocivo per una nazione le cui fondamenta dovrebbero essere 
l’agricoltura e la famiglia, troppo ristretta nei nuclei cittadini dove la natalità comincia a 
diminuire. 
Le leggi emanate dal regime, come la 2961/28, non fermano l’esodo dalle campagne e il 
fallimento di questa politica è chiaramente espresso dalla continua crescita di Milano 
che rallenta solo alla fine degli anni Trenta, quando la legge 1092/39 impedisce a chi-
unque di trasferirsi in una qualsiasi città con più di 25.000 abitanti, salvo che non vi si 
abbia già un lavoro e un’abitazione. 
 5 
La crescita rallenta, ma non cessa del tutto e il grande bisogno di case che investe la cit-
tà porta alla realizzazione di quartieri “popolarissimi”  perché non sono le case bor-
ghesi quelle che mancano ma quelle destinate ai lavoratori delle fabbriche o agli sfollati 
dal centro città  in zone periferiche e depresse, dove mancano servizi e infrastrutture. 
Ne sono un esempio il quartiere Regina Elena, Solari e XXVIII Ottobre (oggi Stadera).  
La periferia cresce continuamente, ma senza una regolamentazione precisa, e la man-
canza di alloggi porta alla costruzione di veri e propri villaggi di baracche sui campi pe-
riferici occupati prevalentemente da immigrati e sfrattati. Si potrebbe identificare questi 
luoghi come il primo accenno di “coree” che vedranno il massimo sviluppo dalla fine 
degli anni Cinquanta. Il comune, allora, in collaborazione con l’Istituto Autonomo Case 
Popolari, unico ente edile che si occupa di quartieri popolari, realizza gruppi di case mi-
nime (come Baggio, Bruzzano e Trecca), costruiti con il massimo dell’economia e privi 
di collegamenti con il centro città, mancanza che crea vere e proprie situazioni di isola-
mento e ghettizzazione. Un’altra proposta avanzata è quella di trasferire parte della po-
polazione all’esterno della città, prospettando condizioni di vita migliori, ma dimenti-
cando le cause che conducono le persone a percorrere la strada opposta. 
 
La fine della seconda guerra mondiale non vede una situazione migliore per la richiesta 
di alloggi: in seguito ai numerosi bombardamenti subiti dalla città il patrimonio edilizio 
si è ridotto a quello degli anni Venti e la conseguenza diretta è la crescita del numero di 
baracche, ad esempio lungo viale Argonne, al Lorenteggio e a San Siro. Nel secondo 
capitolo si vede come per tutti gli anni Cinquanta la costruzione di nuove abitazioni sia 
incessante, sebbene queste siano per lo più di tipo signorile, quindi senza un’utilità vera 
e propria nel risolvere il problema degli alloggi che affligge la città, in particolare alla 
fine del decennio, in concomitanza con l’aumento massiccio delle iscrizioni. In com-
penso le costruzioni fatiscenti e le baracche non vengono sostituiti dall’edilizia pubblica 
se non molto lentamente perché l’amministrazione non è in grado di trovare un alloggio 
a chi vi risiede. 
Gli immigrati appena giunti in città si riversano nei quartieri semicentrali caratterizzati 
dalla presenza di pensioni, economiche o familiari, e dove la situazione di degrado in 
cui versano gli edifici permette loro di trovare una sistemazione a basso costo, come ac-
cade alla Bovisa dove sono moltissime le vecchie case di ringhiera che necessiterebbero 
 6 
di una ristrutturazione. In genere chi abita questi luoghi sporchi e sovraffollati sono per 
lo più uomini arrivati a Milano da non molto tempo, la cui situazione di precarietà, lavo-
rativa e abitativa, potrebbe durare qualche anno, mentre con il ricongiungimento alla 
propria famiglia inizia un percorso di ricerca di una casa che possa essere definita tale. 
L’iter per ottenere un alloggio di edilizia popolare è lungo e molto complicato, così c’è 
chi preferisce acquistare un terreno fuori città, dove i prezzi sono più bassi e i controlli 
dei documenti più blandi, e costruire con l’aiuto di amici e parenti la propria abitazione: 
nascono le cosiddette “coree”, costruite in fasi successive, in cui l’affitto di una stanza a 
compaesani in difficoltà permette il reperimento dei fondi necessari al completamente 
dell’edificio. Questi nuovi agglomerati non sono riconosciuti subito dalle amministra-
zioni pubbliche, sono privi di qualsiasi servizio e infrastruttura, malgrado la loro pre-
senza sia una delle principale cause del deciso aumento della popolazione. 
 
Con le migrazioni nazionali la città cresce incessantemente e viene coinvolta in una tra-
sformazione strutturale, improntata alla creazione continua di nuovi quartieri in cui o-
spitare il gran numero di immigrati. 
Nella seconda metà degli anni Settanta, però, la situazione cambia velocemente. La crisi 
del comparto industriale porta molte fabbriche ad abbandonare la città, lasciando dei 
grossi vuoti urbani che l’amministrazione comunale riesce a convertire solo molto len-
tamente e con grandi difficoltà, basti pensare che alcuni di questi sono tuttora presenti. 
Le migrazioni nazionali subiscono un forte calo e Milano, per la prima volta dalla se-
conda guerra mondiale, smette di crescere e addirittura inverte questa tendenza: molti 
residenti, in particolare appartenenti alle classi di età più giovani e in età lavorativa, ab-
bandonano la città in parte per seguire le industrie fonte di lavoro e in parte per i prezzi 
difficilmente sostenibili. 
Ne rimane una popolazione invecchiata in particolare nei quartieri semicentrali degrada-
ti e in quelli di edilizia popolare, dove ben presto giungono dei nuovi migranti, gli e-
xtracomunitari. Nel terzo e quarto capitolo si analizza come con essi inizi una nuova fa-
se di cambiamento, non più improntata all’ampliamento dei confini cittadini, ma a una 
sostituzione della popolazione che abita alcune parti di Milano, a partire dal centro sto-
rico in cui i migranti trovano infrastrutture e servizi di cui poter usufruire comodamente, 
ma anche dei piccoli vuoti, lasciati da artigiani e negozianti anch’essi trasferitisi altrove, 
 7 
da riempire con attività imprenditoriali di tipo etnico che danno ad alcune parti della cit-
tà una nuova identità e un nuovo paesaggio. 
Si tratta, ovviamente, di un processo lento influenzato dalla normativa italiana vigente 
in tema di migrazioni che con il passare degli anni permette a questi nuovi cittadini di 
poter concorrere all’ottenimento di un alloggio popolare, possibilità sfruttata in partico-
lare da chi si ricongiunge con la propria famiglia e da chi vede la propria permanenza 
come qualche cosa di stabile. Gli appartamenti a cui gli stranieri riescono ad accedere 
sono soprattutto quelli presenti in aree disagiate e spesso rifiutati dagli italiani in lista di 
attesa, ma questo non sembra preoccuparli per i modi spesso diversi con cui percepisco-
no l’abitazione. 
Al tema dell’abitazione si associano spesso problemi con i vicini italiani per le diverse 
abitudini, culinarie e sociali, così come l’utilizzo degli spazi pubblici, molto sfruttati dai 
migranti per il mantenimento dei rapporti con i propri connazionali e spesso mal visto 
dai locali. 
 
Milano, quindi, smette di crescere, ma si trasforma al suo interno per la presenza di 
nuovi utilizzatori che conferiscono ad alcune parti della città una nuova identità e un di-
verso paesaggio. Questa è un’analisi molto interessante perché spesso la sostituzione in 
atto riguarda luoghi in precedenza occupati dai migranti italiani, fenomeno che si può 
considerare diverso ma in alcuni aspetti simile a quello attuale, a partire dalle difficoltà 
nel reperimento di un alloggio, avvertito come esigenza fondamentale dagli italiani co-
me dagli stranieri, alla frequentazione di determinati quartieri, all’utilizzo di pensioni e 
mense della carità messe a disposizioni da associazioni cattoliche e laiche, 
all’attribuzione di determinati luoghi di una particolare funzione di incontro con i propri 
conterranei, in bar e locande anni fa in parchi, piazze e fermate della metropolitana og-
gi. 
 8 
1. Dall’Ottocento alla seconda guerra mondiale: rivoluzio-
ne industriale e anti-urbanesimo 
 
Milano, come tutte le grandi città, ha conosciuto negli anni una grande e incessante tra-
sformazione determinata dal mutamento delle condizioni sociali, politiche ed economi-
che mondiali, europee e nazionali. Cambiamenti che ovviamente non hanno influito so-
lo sul suo ruolo economico, ma è a questo che rivolgiamo la nostra attenzione per le 
particolari dinamiche che l’hanno portata a essere una città in continuo movimento, an-
cora in cerca di una propria identità, di un’immagine così difficile da stabilire e fissare. 
 
 
1.1 Industrializzazione e urbanizzazione. Nascita della metropoli 
milanese 
 
Milano inizia la propria grande trasformazione con l’Unità d’Italia quando le industrie 
lombarde espandono i mercati su tutto il territorio nazionale, grazie soprattutto 
all’abbattimento delle frontiere che prima del 1861 frammentano il Paese in tanti stati 
autonomi1. È in questi anni che la città subisce i primi cambiamenti significativi: ven-
gono introdotti numerosi tracciati ferroviari, l’elettricità, e con essa i tram e 
l’illuminazione pubblica, le automobili e i primi quartieri operai, costruiti per chi giunge 
dalla regione, dalla provincia e da zone limitrofe per aumentare le fila di coloro che 
permettono il funzionamento degli enormi opifici2. 
La prima grande espansione dell’industria milanese si ha infatti nel periodo compreso 
tra il 1896 e il 1915 grazie all’introduzione di innovazioni tecnologiche e 
all’automazione del ciclo produttivo3. È una trasformazione che interessa prevalente-
mente il settore metalmeccanico e che in breve porta a un’evoluzione delle caratteristi-
che della classe operaia: si assiste a una prima dequalificazione delle mansioni svolte 
dalla maggior parte di coloro che vi appartengono, anche se le forze lavoro specializzate 
mantengono ancora, in questi anni, un ruolo centrale nell’organizzazione e divisione del 
                                               
1
 Fonte: CAVALAZZI G., FALCHI G., 1993. 
2
 Fonte: Ibidem. 
3
 Fonte: DELLA PERUTA F., 1993. 
 9 
lavoro all’interno delle aziende4. Si assiste, però, a una netta divaricazione tra il livello 
salariale di questi ultimi e quello della manodopera generica5. 
L’avanzamento dell’industria interessa in particolare il capoluogo e la zona posta a 
Nord e da esso influenzata, all’interno della quale si disegnano diverse aree di specializ-
zazione: Milano diventa il centro della lavorazione della canapa e del lino, ma anche 
dell’editoria6, la Brianza della fabbricazione di mobili, Legnano dell’industria manifat-
turiera prima e meccanica poi, la valle dell’Olona, il comasco e Busto Arsizio della la-
vorazione tessile7. 
Gli impianti industriali più grandi tendono a localizzarsi vicino agli scali ferroviari e al 
di fuori dei bastioni, nella zona cosiddetta dei Corpi Santi, diventata parte integrante di 
Milano solo nel 18738, anno in cui vengono in parte demolite le mura per far posto alla 
prima circonvallazione e per dare un maggior senso di continuità alla città. Alcune in-
dustrie sono ubicate, ad esempio, in zona Porta Genova9  fra il fiume Olona e la ferro-
via per Alessandria , lungo il Naviglio Grande e il Naviglio Pavese, in Porta Romana e 
Piazzale Lodi10.  
La massima espansione industriale si ha, però, a Nord-Est della città in cui prevalgono 
tre comparti produttivi: il settore meccanico si afferma lungo l’asse ferroviario che da 
Porta Garibaldi conduce a viale Tunisia, viale Regina Giovanna e via Sidoli; il compar-
to chimico farmaceutico si diffonde nell’area che si estende da Bovisa a Dergano11; in-
fine, lungo l’asse Milano-Sesto San Giovanni-Monza, si insediano le officine meccani-
che, come la Ernesto Breda (1903), la Motori Elettrici Ercole Marelli (1905), la Pirelli 
(1906) e le Acciaierie e Ferriere Falck (1906)12. 
Il sud rurale resta quasi escluso da questo processo di industrializzazione, da un lato per 
l’importanza che la coltivazione delle sue terre riveste nell’economia locale e che rende 
                                               
4
 Fonte: DELLA PERUTA F., 1993. 
5
 Fonte: Ibidem. 
6
 Fonte: DE CARLO V., 1995. 
7
 Fonte: CAVALAZZI G., FALCHI G., 1993. 
8
 Negli anni precedenti al 1873 la città vera e propria è solo quella compresa all’interno dei bastioni. Fon-
te: Ibidem. 
9
 Lungo le vie Savona, Solari e Tortona nascono le Officine Meccaniche Riva, il Colorificio Max Meyer, 
fabbriche di vernici e vetrerie. Fonte: DE CAROLIS G., PISANI I., D’AGOSTINI S., POZZI P., 1996. 
10
 In quest’area si localizzano prevalentemente industrie del settore metalmeccanico e metallurgico, come 
la Radaelli, la fonderia Vanzetti, Invitti e altre piccole fabbriche. Fonte: DE CAROLIS G., PISANI I., 
D’AGOSTINI S., POZZI P., 1996. 
11
 Quest’area si rafforza in particolare nel periodo compreso tra il 1905 e il 1910 in seguito, quindi, alla 
costruzione dell’impianto per la produzione di gas manifatturiero. Fonte: GHIGLIONE B., 1996. 
12
 Fonte: DE CAROLIS G., PISANI I., D’AGOSTINI S., POZZI P., 1996. 
 10 
impossibile abbandonare l’agricoltura, fonte di guadagno molto redditizia13, dall’altro 
perché questa zona rimane marginale nella rivoluzione dei trasporti che interessa il resto 
della Lombardia14. 
Milano si afferma proprio in questi anni come capitale economica e finanziaria d’Italia. 
Le cause che concorrono a renderla tale sono tre, l’una inscindibile dall’altra: «lo svi-
luppo proprio della città stessa e la ricca e generosa partecipazione della sua popolazio-
ne alle più disparate iniziative economiche; la forza indotta che le proviene dal territorio 
circostante che, esso stesso in fase di rapida trasformazione, ha bisogno di un punto cen-
trale di raccordo e, come al solito, lo trova in Milano; la funzione di mediazione ad alto 
livello che Milano assume per i rapporti fra l’Italia e la parte più ricca ed evoluta del 
continente europeo15». 
Per mettere in risalto il nuovo ruolo assunto dalla città vengono intrapresi degli inter-
venti finalizzati a modificare il centro storico avviandone la terziarizzazione, ma che 
hanno come conseguenza principale il suo stravolgimento, dando il via a una graduale 
cancellazione delle tracce del precedente disegno medievale16. Innanzitutto viene demo-
lite parte delle case popolari, avviando in questo modo un processo di gentryfication17 
volto all’eliminazione dei ceti più disagiati da questa zona, in seguito Piazza Duomo 
viene modificata18, Piazza della Scala realizzata e Piazza Mercanti stravolta19. Nel 1884, 
per cercare di fermare gli abusi edilizi e lo sventramento del centro, viene adottato il
                                               
13 Fonte: CAVALAZZI G., FALCHI G., 1993. 
14 La pianura irrigua rimane esclusa dai tracciati ferroviari di importanza nazionale e internazionale, a 
eccezione di Pavia che gode di un collegamento con Genova. Fonte: CAIZZI B., 1978. 
15 Fonte: CAIZZI B., 1978, p. 531. 
16
 Il processo di cambiamento del centro città non è limitato alla fine dell’Ottocento e ai primi anni del 
Novecento, ma prosegue per tutto il secolo XX. Fonte: OLIVA F., 2002. 
17
 Con il termine gentryfication si indica la sostituzione, in una determinata area, di occupanti meno ab-
bienti con altri più ricchi in edifici ristrutturati e generalmente localizzati in una zona centrale. Fonte: CO-
RI B., CORNA PELLEGRINI G., DE MATTEIS G., PIEROTTI P., 2003. 
18
 Piazza Duomo viene allargata e contemporaneamente vengono realizzati la Galleria Vittorio Emanuele 
III e i palazzi con i portici. A lavori ultimati viene inserito il monumento a Vittorio Emanuele II. Fonte: 
CAVALAZZI G., FALCHI G., 1993. 
19
 Piazza Mercanti viene in parte demolita per far posto alla via omonima, un collegamento con il nuovo 
corso Sempione. Fonte: DE CARLO V., 1995. 
Figura 1 - A sinistra: piano Beruto. A destra i Corpi Santi. 
 
Fonte: www.skycrapercity.com 
piano Beruto, che prende il nome dall’ingegnere suo creatore20. Una seconda versione, 
rivista e corretta, viene approvata nel 1889 e ciò che maggiormente la differenzia da 
quella precedente è la riduzione delle dimensioni degli isolati progettati, che portano il 
Comune ad addossarsi quasi tutti gli oneri di urbanizzazione21, e il progetto che riguarda 
la piazza d’armi retrostante il Castello Sforzesco22. Alle sue basi troviamo la legge ur-
banistica del 1865, la prima d’Italia, che prevede per i Comuni con una popolazione su-
periore ai 10.000 abitanti la possibilità di creare piani di risanamento, attraverso i quali 
attuare opere di sventramento o di ampliamento degli antichi complessi. Il tutto grazie 
al potere conferito all’amministrazione comunale che le permette di espropriare, a valo-
re di mercato, le aree necessarie alla realizzazione di opere pubbliche e strade23. 
Due aspetti rivestono particolare rilievo nel piano Beruto: la rete infrastrutturale e 
l’espansione della città. 
Per quanto riguarda la prima ci troviamo in anni in cui Milano tende a svilupparsi a 
macchia d’olio attirando non solo nuovi residenti, ma anche pendolari24, i quali necessi-
tano dei mezzi per raggiungere la città, non essendo ancora avvenuto il boom 
dell’automobile e, quindi, della mobilità privata. Inizia, così, la ristrutturazione e 
l’ampliamento della rete ferroviaria con la trasformazione delle stazioni Centrale25 e 
Porta Genova in stazioni di testa: l’eliminazione dei percorsi ferroviari all’interno della 
città fa si che queste diventino capolinea e non più semplici zone di attraversamento26. 
Anche le industrie partecipano a questo cambiamento concentrandosi sempre più in cor-
rispondenza degli scali ferroviari27, ma quello che continua a mancare e che rappresenta 
un aspetto decisamente negativo non solo per Milano ma anche per altre città italiane, è 
l’esistenza di un legame solido tra l’industrializzazione e il tessuto ferroviario  
                                               
20
 Fonte: Ibidem. 
21
 Fonte: OLIVA F., 2002. 
22
 La versione del 1884 prevede la costruzione di un quartiere residenziale, mentre con quella del 1889 si 
realizza l’attuale parco Sempione. Fonte: Ibidem. 
23
 Fonte: Ibidem. 
24
 Il fenomeno del pendolarismo convergente su Milano inizia alla fine del XIX secolo a causa della forte 
concentrazione industriale, ma è ancora caratterizzato da una dimensione molto modesta. Fonte: DE CA-
ROLIS G., PISANI I., D’AGOSTINI S., POZZI P., 1996. 
25
 Ci si riferisce alla Stazione Centrale localizzata nell’attuale piazza della Repubblica la cui realizzazione 
viene avviata nel 1857, ancora sotto il dominio austriaco, e terminata nel 1864. Fonte: LAPINI G., 2006. 
26
 Fonte: OLIVA F., 2002. 
27
 Fonte: DE CAROLIS G., PISANI I., D’AGOSTINI S., POZZI P., 1996. 
 13 
 
Tabella 1 – Popolazione presente a Milano (dal 1881 al 1920). 
 
Popolazione 
presente 
Saldo 
Naturale 
Saldo 
Migratorio 
Incremento del sal-
do migratorio (%) 
1881 321.839 +1.640 +6.879 2,15 
1882 331.246 +1.262 +8.768 2,66 
1883 344.183 +357 +8.456 2,49 
1884 350.782 +1.694 +8.628 2,47 
1885 362.396 +1.022 +7.567 2,31 
1886 371.344 +861 +8.390 2,32 
1887 383.866 +1.485 +10.655 2,85 
1888 395.914 +1.355 +11.524 2,98 
1889 408.294 +2.369 +10.481 2,63 
1890 414.551 -233 +7.175 1,76 
1891 424.195 +1.432 +5.811 1,40 
1892 426.656 +662 +4.933 1,17 
1893 432.360 +1.131 +5.475 1,28 
1894 443.252 +1.299 +6.403 1,47 
1895 451.682 +1.070 +6.351 1,44 
1896 458.405 +2.095 +7.959 1,76 
1897 470.558 +2.477 +8.489 1,83 
1898 481.297 +7.682 +7.994 1,69 
1899 477.308 +7.111 +10.128 2,09 
1900 489.482 +7.055 +11.485 2,39 
1901 496.953 +7.607 +6.737 1,38 
1902 504.066 +8.186 +6.596 1,32 
1903 510.908 +7.866 +6.075 1,20 
1904 523.627 +8.628 +6.615 1,27 
1905 535.698 +7.994 +12.410 2,32 
1906 550.206 +2.183 +15.741 2,85 
1907 563.962 +3.054 +14.673 2,57 
1908 575.886 +3.572 +10.793 1,85 
1909 584.363 +1.952 +9.631 1,61 
1910 595.454 +3.509 +10.318 1,69 
1911 608.051 +1.699 +11.418 1,89 
1912 625.470 +4.484 +13.245 2,13 
1913 638.961 +3.019 +16.791 2,62 
1914 653.956 +3.242 +14.209 2,16 
1915 680.666 +1.260 +13.229 1,97 
1916 693.059 -2.017 +15.251 2,22 
1917 691.701 -4.471 +8.338 1,21 
1918 701.113 -9.622 +7.202 1,05 
1919 702.150 -2.955 +7.556 1,09 
1920 708.861 +1.188 +8.112 1,14 
1921 718.481 +1.788 +10.627 1,53 
Fonte: Nostra elaborazione dati ricavati da “Città di Milano. Bollettino statistico mensile”, anni dal 1889 
al 1914, e “Città di Milano. Bollettino municipale mensile di cronaca amministrativa e statistica”, an-
ni dal 1915 al 1921. 
 14 
conseguenza, probabilmente, della scarsa propensione che il Paese ha sempre mostrato 
nell’utilizzo di questo mezzo di trasporto28. 
Sebbene i movimenti migratori nazionali presenti per tutto il Diciannovesimo secolo si 
contraddistinguano per il loro carattere agricolo e temporaneo29, da fine Ottocento inizia 
la crescita di flussi che dalla campagna si dirigono verso i grandi centri industriali. A 
differenza di quanto si pensi, infatti, le migrazioni nazionali rivestono un ruolo molto 
importante nella trasformazione sociale, economica e soprattutto urbanistica delle gran-
di città: si stima che nel periodo compreso tra il 1902 e il 1922 sono poco meno di 
600.000 le persone che si spostano all’interno dei confini nazionali30. Milano, ovvia-
mente, è una delle mete privilegiate e la sua popolazione passa da 489.930 abitanti nel 
1901 ai 718.481 del 192131 (si veda la Tabella 1). 
 
Grafico 1 - Saldo Migratorio e Saldo Naturale a Milano (dal 1881 al 1921). 
 
Fonte: Nostra elaborazione dati ricavati da “Città di Milano. Bollettino statistico mensile”, anni dal 1889 
al 1914, e “Città di Milano. Bollettino municipale mensile di cronaca amministrativa e statistica” anni 
dal 1915 al 1921. 
                                               
28
 Fonte: OLIVA F., 2002. 
29
 Attratti dalla possibilità di integrare il proprio reddito, i contadini si muovono da campagna a campa-
gna, diretti verso una pluralità di destinazioni comprese all’interno di quattro bacini principali localizzati 
nell’Italia settentrionale, centrale, meridionale e in Sicilia. Fonte: GALLO S., 2005-2007. 
30
 Fonte: CANDELORO G., 1978. 
31
 Fonte: Nostra elaborazione dati ricavati da “Città di Milano. Bollettino statistico mensile”, dall’anno 
1889 all’anno 1914, e “Città di Milano. Bollettino municipale mensile di cronaca amministrativa e stati-
stica” dal 1915 al 1921. 
 15 
La causa principale del considerevole aumento della popolazione non è da ricercare tan-
to nella diminuzione del tasso di mortalità quanto in un saldo migratorio costantemente 
positivo, il cui incremento è costante persino negli anni della prima guerra mondiale, 
quando il saldo naturale, invece, risulta negativo (Tabella 1)(Grafico 1). 
 
1.1.1 L’espansione edilizia e il piano Pavia-Masera 
 
Con l’arrivo di nuova forza lavoro si apre il problema della domanda abitativa per la 
manodopera industriale alla quale il nuovo piano regolatore cerca di rispondere riutiliz-
zando unità abitative preesistenti32 e pianificando una nuova espansione urbana al di 
fuori degli antichi bastioni demoliti, la cui superficie è compresa tra i 900 e i 1.500 etta-
ri circa, con zone di massima espansione in corrispondenza delle direttrici presenti a 
Nord e a Sud33. 
I primi edifici a essere realizzati per le classi meno abbienti34 sono le case di ringhiera 
costituite da alloggi di due stanze35 distribuiti lungo un ballatoio, al termine del quale si 
trovano i servizi il cui uso è condiviso con altre famiglie. La qualità che caratterizza 
queste abitazioni è bassa: la maggior parte è buia, perché mal esposta, e afflitta da pro-
blemi di umidità derivanti dalle infiltrazioni che si verificano nei giorni di pioggia, ma il 
fatto di dover obbligatoriamente spartire gli spazi con altre persone crea una forte socia-
lità, generando una dimensione paese in cui tutti si conoscono, chiacchierano, litigano e 
si aiutano36. Nel cortile centrale, poi, in cui si trova la pompa dell’acqua, spesso sorgono 
delle piccole attività artigianali37. 
Ben presto, però, a queste abitazioni si sostituiscono i palazzi di cemento in cui gli ope-
rai si affollano. Le nuove costruzioni, tuttavia, non bastano a soddisfare la domanda di 
alloggio38 e nel 1903, grazie alla legge Luzzati39, il Comune realizza quattro nuovi rioni 
e nel 1908, in seguito alla nascita dell’Istituto Autonomo Case Popolari, che ha lo scopo 
                                               
32
 Fonte: DE CAROLIS G., PISANI I., D’AGOSTINI S., POZZI P., 1996. 
33
 Fonte: OLIVA F., 2002. 
34
 Il primo quartiere in assoluto a essere realizzato per le classi più disagiate, in via Montebello, risale al 
1869. Fonte: GHIGLIONE B., 1996. 
35
 La casa è normalmente composta da una cucina e una camera da letta in cui si fa tutto: si mangia, ci si 
lava, si vive e dorme. Fonte: CAVALLAZZI G., FALCHI G., 1993. 
36
 Fonte: Ibidem. 
37
 Fonte: OLIVA F., 2002. 
38
 Fonte: CAVALAZZI G., FALCHI G., 1993. 
39
 La legge 253/1903 attribuisce « per la prima volta ai comuni il compito di realizzare abitazioni popola-
ri nell’ambito delle prime politiche municipali per i servizi pubblici». Fonte: URBANI P., 2006, p. 2 
 16 
di regolare l’iniziativa privata40, nascono i quartieri di via Ripamonti, Mac Mahon, Ti-
baldi, Spaventa, Lulli e Coni Zugna41. Dell’Unione Cooperative è, invece, il progetto 
del Milanino ispirato alle città-giardino inglesi, ma mal realizzato perché quasi total-
mente privo di collegamenti con il resto della città42. Anche gli industriali contribuisco-
no alla costruzione di residenze operaie; ne sono un esempio i villaggi sorti vicino alla 
Pirelli, alla Falck e alla De Angeli, ma sicuramente il più famoso rimane il Villaggio 
Crespi d’Adda, nato nei pressi dell’omonimo cotonificio a Capriate43. 
 
Figura 2 - Nuovi quartieri realizzati dallo IACP. 
 
Fonte: Nostra elaborazione in Photoshop CS4 della mappa relativa ai NIL (Nuclei di Identità Locale) e 
fornita dall’ufficio documentazione del comune di Milano 
                                               
40
 Fonte: GARNERONE D., 2002. 
41
 Fonte: CAVALAZZI G., FALCHI G., 1993. 
42
 Fonte: DE CAROLIS G., PISANI I., D’AGOSTINI S., POZZI P., 1996. 
43
 Fonte: DE CARLO V., 1995.