5
Nel secondo capitolo, che ripercorrerà le tappe fondamentali 
degli anni ottanta, gli obbiettivi e la strada intrapresa si faranno più 
chiari, così come più chiare saranno le direttive, rafforzate ormai dai 
primi segnali di crescita che accrediteranno sempre più l’ala riformista. 
Punti fondamentali di questo periodo saranno il miglioramento senza 
precedenti delle condizioni dei contadini, l’arrivo delle riforme nelle 
zone urbane, l’implementazione di esperimenti, più o meno fortunati, il 
ruolo importantissimo svolto da Hong Kong, e il primo abbozzo del 
sistema verso il quale punterà la Cina negli anni a venire: l’Economia 
Socialista di Mercato. Il capitolo si chiuderà con un accenno alle 
tensioni della fine degli anni ottanta, provocate dal rallentamento della 
crescita, dal deterioramento delle condizioni nelle campagne, 
dall’aumento di corruzione e disoccupazione, dai tanti disagi che il 
passaggio da un’economia pianificata ad un’economia di libero 
mercato possono portare e, soprattutto, per le richieste d’aperture in 
direzione della democrazia, e che alla fine degli anni ottanta sfoceranno 
nelle manifestazioni studentesche di Piazza Tianan Men. 
Il terzo capitolo si apre all’indomani della strage di Tianan Men 
e tenta di analizzare la situazione in cui si sono trovati il paese e la sua 
leadership, ma soprattutto, le modalità che permisero al paese di uscire 
da una crisi che molti analisti occidentali del tempo descrissero come 
un passo indietro o addirittura come la dimostrazione che nulla era 
cambiato nell’Impero di Mezzo, destinato probabilmente ad una nuova 
svolta reazionaria. Gli anni novanta si riveleranno invece, come ormai 
viene ricordato nella storiografia, come il Decennio Glorioso, gli 
investimenti diretti esteri quadruplicheranno in pochi anni, facendo 
della Cina il primo paese ricevente tra i paesi in via di sviluppo ed il 
secondo al livello globale dietro solo agli Stati Uniti. Le esportazioni 
subiranno un’impennata impressionante, mentre la crescita economica 
si manterrà a due cifre per buona parte del decennio.  
 6 
Il quarto ed ultimo capitolo affronta quattro argomenti spesso 
trascurati o minimizzati da coloro che vedono la Cina come la nuova 
superpotenza del ventunesimo secolo. Dopo aver cercato di disegnare 
un quadro generale, nei primi tre capitoli, di come la Repubblica 
Popolare si appresta ad affrontare il ventunesimo secolo, sposterò 
l’attenzione su alcune contraddizioni che, se sottovalutate, rischiano di 
creare conseguenze esplosive nel breve e medio termine. Tra queste: la 
riforma industriale incompleta, le ineguaglianze regionali, la 
disoccupazione e la permanenza di sacche consistenti di povertà, che 
sono, infatti, fra i maggiori problemi che deve affrontare la Cina in 
questo inizio di secolo.  
 
 
 
 
 7
1. Una Svolta Epocale. 
 
Sono passati ormai più di venticinque anni da quando, nel 1978, 
Deng Xiaoping successe a Mao Zedong. Questa transizione di potere, 
durata due anni, non fu solamente la successione di una leadership ad 
un'altra che, come spesso accade negli stati autoritari, può portare a 
cambi di rotta, ma fu invece per la Cina una vera  e propria svolta 
epocale.  
 
1.1. Le condizioni iniziali.  
 
Al Terzo Plenum dell'Undicesimo Congresso del Partito 
Comunista Cinese, nel dicembre 1978, Deng Xiaoping convinse gli 
altri leader del partito che la riforma economica era necessaria e li 
persuase a adottare quella che lui definiva la politica della “porta 
aperta”, finalizzata a proiettare la Cina nel rango dei paesi 
industrializzati
1
. Deng sosteneva che la Cina avrebbe dovuto coltivare 
attivamente relazioni con il resto del mondo, ricercando ogni sforzo per 
avanzare tecnologicamente mantenendo ben saldi i principi del 
socialismo
2
. 
 
“Questo non significa che non vi sia stato e non vi sia un continuo 
confronto al vertice, anche duro, circa le linee politiche ed 
economiche da seguire, ma questo fa parte della tradizione si può 
dire millenaria della classe dirigente cinese.”
3
 
                                                 
1
 La politica della "porta aperta" di Deng Xiaoping consisteva nell'aprire agli 
investimenti diretti esteri e al conseguente trasferimento di tecnologie per lo 
sviluppo dell'economia e dell'industria Cinese.  
2
 Kelly Lane and Shenkar Oded (a cura di), International Business in China, 
London, Routledge, 1993. 
3
 Eva Fabrizio, Cina e Giappone, Due modelli per il futuro dell’Asia, Milano, 
UTET Libreria SRL, 2000. 
 8 
 
La nuova leadership assunse quindi come priorità lo sviluppo 
economico del paese, anche se questo doveva significare l’apertura a 
paesi ideologicamente distanti. Questa novità era in netta 
contraddizione con la politica che la Repubblica Popolare aveva 
condotto nei suoi primi trenta anni di vita, in cui regnava la 
convinzione della necessità e del virtuosismo di uno sviluppo 
autarchico. Le linee guida di questa politica modernizzatrice erano 
espresse da quelle che Deng chiamava le “Quattro Modernizzazioni” 
(dell’industria, dell’agricoltura, della scienza e della difesa), 
originariamente suggerite da Zhou Enlai nel 1964, ma a quel tempo 
subito accantonate.
4
 
Due caratteristiche dell’ambiente politico del periodo di 
transizione meritano di essere notate: la stabilità delle istituzioni 
politiche e il forte sostegno popolare alla riforma economica. Infatti, 
dalla morte di Mao, nel settembre 1976, le istituzioni politiche in Cina 
sono state abbastanza stabili e, nonostante le tensioni avute al vertice 
subito dopo la morte del "Grande Timoniere", che portarono alla caduta 
della cosiddetta “Banda dei Quattro” e alla vittoria di Deng Xiaoping a 
scapito di Hua Guofeng, successore designato dallo stesso Mao, il 
sistema politico non cambiò. 
Ma tre decenni di politiche sbagliate, di esperimenti pensati, e 
perseguiti ad oltranza, sulla sola base di visioni ideologiche, come il 
“Grande Balzo in avanti” (1958-62) o la “Rivoluzione Culturale” 
(1966-76), avevano ridotto la Cina allo stremo. La Dottrina Maoista 
aveva seguito, infatti, il modello di sviluppo Sovietico: produzione 
pianificata, priorità dell’industria pesante, egualitarismo del sistema 
salariale, ai quali si erano aggiunti appunto varianti pensate tenendo 
                                                 
4
 Chow Gregory C., Understanding China’s Economy, Singapore, World 
Scientific Publishing, 1994.  
 9
conto della realtà e della cultura tipicamente cinese, ma che si sono 
rivelate altrettanto fallimentari.  
Alla Seconda Generazione di leader cinesi si presentava così un 
paese in cui la crescita dell’agricoltura era troppo lenta da almeno venti 
anni, la mano d’opera era abbondante, ma non qualificata, la crescita 
basata sull’industria pesante aveva portato ad un forte aumento della 
disoccupazione, le fabbriche statali erano spesso in perdita e i loro 
prodotti non corrispondevano alla domanda
5
.  
Secondo molti analisti, a questo punto, la scelta fu obbligata: 
 
“Una volta che la logica dell’utopia era stata compromessa dal 
delirio e dalla confusione, rimaneva solo una logica possibile: 
quella dell’aumento delle forze produttive, cioè quella dello 
sviluppo economico che il regime aveva inizialmente promosso 
prima di sottometterlo a condizioni ideologiche e che la 
popolazione agognava”
6
. 
 
Inoltre, tutto questo avveniva in un momento storico in cui, al 
ristagno delle economie di tipo sovietico, si contrapponeva il trionfo 
delle economie capitaliste, che iniziavano a mettersi in luce anche in 
Asia, e che qui erano guidate dal Giappone
7
. 
La svolta si tradusse nell’apertura delle Zone Economiche 
Speciali, cercando soprattutto di rendere più appetibile il paese agli 
investimenti stranieri, nell’utilizzo della manodopera a buon mercato, 
vale a dire puntando sull’industria leggera, che meglio si presta alla 
produzione di beni ad alta intensità di lavoro, nella progressiva 
                                                 
5
 Bergère Marie-Claire, La Cina dal 1949 ai giorni nostri, Bologna, Il 
Mulino, 2000. 
6
 Domenach Jean-Luc, Dove va la Cina?, Da Tienanmen a oggi, Roma, 
Carocci, 2003, pp. 46.  
7
 In questi anni sono già evidenti i successi dei primi NICs: Hong Kong, 
Singapore, Taiwan e Corea del Sud. 
 10 
liberalizzazione dei prezzi e nella decollettivizzazione agricola, con il 
ritorno al nucleo familiare come unità base della produzione
8
.  
 
1.2. Il sistema a responsabilità familiare: rinascono gli 
incentivi. 
 
Non c'è da meravigliarsi se i primi sforzi in direzione della 
riforma furono dedicati al settore agricolo. Nei decenni precedenti al 
1978, infatti, le performance delle comuni erano state piuttosto 
deludenti. I raccolti, dopo essere cresciuti velocemente, durante gli anni 
sessanta, precipitarono drasticamente nonostante un aumento degli 
investimenti in agricoltura. Questo rallentamento, combinato ad una 
forte tradizione riguardo l'autosufficienza alimentare e la stabilità 
sociale nelle zone agricole, fecero delle riforme agricole un punto di 
partenza quasi scontato.
9
 
Anche questa volta, quindi, i contadini rivestirono un ruolo 
fondamentale nella storia della Repubblica Popolare Cinese: 
 
“La Cina decise di iniziare per prima cosa con la riforma agricola, 
istituendo il "sistema a responsabilità familiare".(…) Questi (i 
contadini ndr) avrebbero inizialmente venduto una parte del loro 
raccolto alle agenzia di vendita statali, che rivendevano prodotti di 
base e carburante agli abitanti urbani a prezzi molto più bassi (con 
il governo a sovvenzionare la differenza). Il resto poteva essere 
venduto privatamente sulle piazze agricole a prezzi di mercato”
10
. 
                                                 
8
 Chen Edward K.Y. and Toyojiro Maruya (a cura di), A Decade of “Open-
door” Economic Development in China, 1979-1989, Tokyo, Institute of 
Developing Economies, 1991. 
9
 China 2020, Development Challanges in the New Century, The 
International Bank for Reconstruction and Development/The World Bank, 
Washington DC, 1997. 
10
 Gamer Robert E. (a cura di), Understanding Contemporary China, London, 
Lynne Rienner Publishers, 1999, pp. 111. 
 11
 
Per capire l’importanza che ha avuto l’introduzione del “sistema 
a responsabilità familiare”, lo si deve comparare con il metodo 
precedente
11
. L'agricoltura in Cina, nei tre decenni precedenti al 1978, 
era stata gestita essenzialmente come un’economia centralmente 
pianificata. Nei primi anni cinquanta la terra fu confiscata ai proprietari 
terrieri per essere ridistribuita ai contadini. A metà anni cinquanta, i 
contadini furono organizzati in cooperative
12
. Nel 1958, Mao diede il 
via alla politica del Grande Balzo in Avanti e riorganizzò le 
cooperative in comuni. Sebbene le terre fossero ufficialmente di 
proprietà collettiva dei membri, le comuni erano gestite dalle autorità 
centrali che decidevano cosa produrre. Nel 1979 c'erano 53.300 comuni 
in Cina, divisi in 699.000 brigate, queste ultime divise in 5.154.000 
gruppi produttivi
13
. Un gruppo produttivo consisteva spesso in un 
villaggio tradizionale. Nel 1979, vi erano in media 157 persone per 
gruppo, a questi erano affidati i lavori agricoli, mentre per i lavori di 
costruzione su larga scala si ricorreva alle brigate. Una quota stabilita 
della produzione doveva essere versata al dipartimento governativo 
dell'agricoltura, invece il resto era ridistribuito dalla comune ai propri 
membri. I membri ricevevano i redditi in denaro e in beni in base ai 
“punti lavoro” guadagnati, questi dipendevano dai giorni lavorativi del 
gruppo (e non da quanto ognuno s’impegnava nel lavoro). I membri 
eseguivano gli ordini e non avevano diritto a decisioni economiche
14
. 
In ogni modo, in vari gradi, alcune caratteristiche dell'economia di 
mercato esistevano già nella Cina rurale tra il 1958 e il 1978, inclusi i 
                                                 
11
 Il sistema a responsabilità familiare fu adottato ufficialmente con il Quarto 
Plenum dell’Undicesimo Comitato Centrale del Partito Comunista nel 
settembre 1979. 
12
 Liew Leong, The Chinese Economy in Transition, From Plan to Market, 
London, Edward Elgar Publishing, 1997. 
13
 Huang Allen, Accounting in China in Transition: 1949-2000, London, 
World Scientific Publishing, 2001. 
14
 Chow Gregory C., op. cit. 
 12 
piccoli appezzamenti di terra per gli agricoltori e alcuni mercati agricoli 
dove si commerciavano i prodotti della terra.  
 Una nuova politica dei prezzi era, quindi, sicuramente 
necessaria ma, da sola, non sufficiente a ricreare gli incentivi ai 
contadini. La caratteristica principale della distribuzione salariale del 
sistema comunista era soprattutto la sua specificità informale ed 
egualitaria. Di conseguenza, il contadino non otteneva un ritorno 
addizionale per i suoi sforzi, dato che i salari erano ridistribuiti 
equamente. Così, la relazione tra gli sforzi individuali e le ricompense 
materiali erano talmente tenui ed incerti che anche grossi incentivi al 
livello dei prezzi non portavano necessariamente a maggiori sforzi 
lavorativi
15
. Con il sistema a responsabilità familiare si ricreano gli 
incentivi alla produzione. Gli agricoltori erano, inoltre, molto più ferrati 
sulle coltivazioni rispetto ai leader politici o ai pianificatori economici, 
il che portò presto ad una migliore allocazione delle risorse. 
Altra caratteristica fondamentale della vita contadina dal 1949 in 
Cina è che la terra è sempre stata costituzionalmente proprietà 
incedibile dello stato. Questo ha, da sempre, scoraggiato i contadini sia 
ad investirvi che a fare progetti di medio e lungo termine. Punto 
importante delle riforme fu la cessione dell’utilizzo delle terre ai 
contadini per quindici anni, in seguito portata a trenta, a secondo delle 
province, e rendendo questi diritti ereditabili
16
. D'altra parte, lo Stato si 
sarebbe impegnato ad investire nella ricerca genetica e nella 
produzione di fertilizzanti. Grazie a tutti questi fattori, l’agricoltura 
socialista, ha raggiunto nel tempo la produttività massimale per 
rapporto alla popolazione, anche se il prezzo di queste ricerche 
stacanoviste per il rendimento della terra sarà sicuramente alto da 
                                                 
15
 Chen Edward K.Y. and Toyojiro Maruya (a cura di), op. cit. 
16
 Cervellara Bernardo, Missione Cina, Viaggio nell’Impero tra mercato e 
repressione, Milano, Ancora Editrice, 2003. 
 13
pagare in termini di ecologia e, con l'erosione del suolo, in termini di 
produzione.
17
 
I primi risultati nel campo dell’agricoltura furono spettacolari: 
dal 1978 al 1985 il reddito annuo pro capite dei contadini è più che 
triplicato
18
. La decollettivizzazione rurale porterà velocemente a 
straordinari aumenti di produzione, mentre il rialzo dei prezzi agricoli, 
liberalizzati, portò ad una redistribuzione della ricchezza nazionale e, di 
conseguenza, innescò un circolo virtuoso di incentivi alla produzione
19
. 
Dal 1978 al 1983 le granaglie aumentarono del 4,2% annuo contro il 
3,5% del decennio precedente
20
. In quei sei anni, dal 1979 al 1984, il 
livello di vita degli agricoltori è migliorato più che nei precedenti tre 
decenni o tre secoli.
21
 
Purtroppo, questi risultati, anche se modesti, non potevano 
rappresentare il vero motore trainante della ripresa. Sebbene, infatti, le 
esportazioni cinesi provenissero tradizionalmente dall’agricoltura, il 
settore era già sotto pressione per l’accresciuta domanda interna.
22
  
Tutto ciò avveniva in un quadro in cui, ancora nel 1980, il 
75,2% dei lavoratori era impegnato nel settore agricolo.
23
  
 
“Ma il tasso di crescita della produzione e dei redditi agricoli non 
si è mantenuto a questi livelli. Il valore aggiunto del settore 
primario è sceso al 4% annuo tra la fine del 1984 e il 1997; e 
l'aumento della produzione di grano - che aveva raggiunto il 5% 
                                                 
17
 Meyer Eric,  Sois riche et tais-toi! Portrait de la Chine d'aujourd'hui, Paris, 
Editions Robert Laffont, 2002. 
18
 Weber Maria, Il Miracolo Cinese, Perché bisogna prendere la Cina sul 
serio, Bologna, Il Mulino, 2003. 
19
 Chen Edward K.Y. and Toyojiro Maruya (a cura di), op. cit. 
20
  Bergère Marie-Claire, op. cit. 
21
 Dassù Marta, Oriente in Rosso, La Cina e la crisi asiatica, Milano, 
Guerrini, Angelo e Associati, 1999.  
22
 Perkins Dwight, Yusuf Shahid, Rural Development in China, Washington 
DC, World Bank Publication, 1984. 
23
 Cfr. Statistics Division, United Nations Economic and Social commission 
for Asia and the Pasific (ESCAP). 
 14 
annuo fra il 1978 e il 1984 - è rallentato fino ad assestarsi sull'1,5% 
l'anno nel 1997: un rallentamento che va, in parte, attribuito agli 
errori delle politiche agricole del governo, ma soprattutto ad alcuni 
fattori di fondo (solo un decimo di ettaro di terreno coltivabile pro 
capite, i rendimenti della terra sono già molto elevati rispetto agli 
standard internazionali)”
24
.  
 
Il futuro delle esportazioni cinesi doveva quindi essere 
necessariamente nei manufatti, anche se questo doveva significare 
competere per la conquista dei mercati occidentali e internazionali. 
Altri contrasti derivarono dalle condizioni di svantaggio in cui si 
trovarono in questo primo periodo di riforme le zone urbane. Con le 
cooperative e col sistema a responsabilità, Deng diede ai contadini gli 
incentivi per produrre. Questi iniziarono presto a fare profitti mentre 
intellettuali, burocrati, operai specializzati dal posto fisso e col salario 
standard, si ritrovarono a guadagnare meno dei contadini e degli operai 
senza alcun titolo di studio. I lavoratori delle zone rurali usarono i loro 
redditi per costruire case grandi e nuove, mentre gli abitanti delle città 
si accalcavano in piccoli e squallidi appartamenti. Molti giovani delle 
città, che erano stati inviati nelle campagne durante la Rivoluzione 
Culturale, non avevano ancora ottenuto il permesso di tornare nelle 
città né avevano il diritto di cercarsi un lavoro.
25
 
 
 
 
 
 
 
                                                 
24
 Dassù Marta, Oriente in Rosso, La Cina e la crisi asiatica, Milano, 
Guerrini, Angelo e Associati, 1999, pp. 40. 
25
 Gamer Robert E. (a cura di), op. cit. 
 15
1.3. Le Imprese Territoriali e di Villaggio 
 
Le riforme agricole iniziate nel 1978 furono fortemente legate al 
boom che seguì, di lì a poco, l’industria rurale. La pianificazione non 
era così presente e diffusa in Cina, soprattutto se comparata ad altre 
economie socialiste pianificate. Negli anni settanta, le agenzie del 
governo centrale dell' Unione Sovietica allocavano circa 60.000 tipi di 
beni diversi attraverso la pianificazione. Nella Cina del 1978 questi 
erano circa 600 (da almeno 13 anni), e anche negli anni di massima 
auge della pianificazione, e malgrado svariate limitazioni, 
continuavano ad operare circa 30.000 mercati rurali oltre al diffuso 
contrabbando.
26
 
Diversamente dall'Unione Sovietica, il governo cinese aveva 
trasformato un vasto numero d’imprese private in imprese collettive, 
piuttosto che in semplici imprese statali. Anche durante il periodo di 
forte controllo centrale, le regioni potevano sforzarsi di mantenere una 
piccola economia locale protetta, dato che l'economia locale cinese non 
è mai stata trasformata completamente in una economia socialista 
pianificata "pura".
27
 
Quelle che oggi vengono definite imprese territoriali e di 
villaggio, o Township and Village Enterprises (TVE), quindi, non sono 
private, ma sono imprese collettive sotto il controllo delle autorità 
locali. Le prime di queste imprese furono create dai comuni e dalle 
brigate durante il Grande Balzo in Avanti per sviluppare l'industria 
rurale e, già allora, erano esterne al sistema pianificato comprando e 
vendendo direttamente dal mercato. 
                                                 
26
 China 2020, Development Challanges in the New Century, op. cit. 
27
 Yehua Dennis Wei, Regional Development in China, states, globalization, 
and inequality, London, Routledge, 2000. 
 16 
Secondo questo sistema, i profitti delle TVE sono divisi tra i 
lavoratori che partecipano alla produzione, mentre le tasse prodotte 
sovvenzionano gli alloggi, le scuole, gli ospedali e altri servizi sociali 
della popolazione locale.
28
 
Con l’introduzione del sistema a responsabilità familiare, e gli 
incoraggiamenti alla vendita sui mercati agricoli, si ebbe presto un 
incremento nelle nascite delle TVE, che divennero le forze trainanti 
della crescita economica cinese. Quando gli input industriali hanno 
cominciato ad essere liberamente disponibili sul mercato, ad 
avvantaggiarsene maggiormente sono state proprio le piccole imprese 
suburbane e rurali, questo perché le TVE anche se non erano, per la 
maggior parte, di proprietà privata, si comportavano in molti casi come 
se lo fossero. Acquistavano input e vendevano i loro prodotti sul 
mercato, e se non riuscivano ad ottenere profitti, semplicemente 
chiudevano. Avevano quindi un vincolo di bilancio rigido e non 
elastico, poiché i proprietari non potevano permettersi di mantenere le 
imprese in attività se continuavano a registrare perdite.
29
 
In alcuni casi la proprietà di queste imprese era collettiva, nel 
senso che gli operai avevano una quota dei profitti; tutte però, 
mantenevano legami molto stretti con i governi locali, ed erano le 
autorità locali che esercitavano molti dei diritti di proprietà,
30
 Tali 
imprese, infatti, rappresentavano una fonte di entrate per il governi 
locali, oltre che di occupazione per la popolazione. 
Le riforme agricole crearono anche le condizioni per 
un’espansione dell'industria rurale che si riflette ancora oggi. In primo 
luogo, l'aumento dei prezzi agricoli e il conseguente aumento di 
                                                 
28
 Chow Gregory C., op. cit.  
29
 Dassù Marta (a cura di), op. cit   
30
 Le municipalità locali cinesi tendono spesso a comportarsi più come 
piccoli conglomerati economici che non come semplici giunte di governo, e 
in molti casi non si sono limitate alla tassazione e alla regolamentazione delle 
imprese locali, ma si sono assunte un ruolo attivo di promozione.