CAPITOLO I
DALLA FALCE AL NOTEBOOK In questo capitolo iniziale mi preme delineare anzitutto cosa si intenda col termine 
“Insurrezione” e cercare di giungere ad una definizione adeguata di tale fenomeno: 
nonostante abbia conservato i lineamenti originali di una lotta impari in un dato territorio, 
esso si è trovato a modellarsi attorno alla modernità, nei panni della cd. Globalizzazione e ai 
mutati scenari geopolitici, creatisi con la fine della Guerra Fredda e i fatti dell'11 settembre 
2001. Per arrivare ad un quadro generale della situazione mi pare opportuno riferirmi al 
modello maoista di Insurrezione Armata, proprio per far risaltare per contrasto i caratteri 
peculiari dell'Insurrezione contemporanea.
7
INSURREZIONE E ASIMMETRIA Al fine di dare una definizione il più possibile vincolata alla realtà del termine 
“Insurrezione” è necessario individuare un punto di partenza: questo può essere 
rappresentato dalla spiegazione che la CIA dà in un suo pamphlet da poco de-segretato 1
, 
nonostante, come avrò modo di illustrare in seguito, essa sia ormai lontana dalla realtà 
d'oggi. Secondo questa guida 
“i nsurgency is a protracted political-military activity directed toward completely or 
partially controlling the resources of a country through the use of irregular military forces 
and illegal political organizations.” E' chiaro che una definizione del genere sia fortemente influenzata dai moti 
insurrezionali che gli Stati Uniti , e alcuni loro alleati, avevano affrontato o stavano ancora 
affrontando negli anni di redazione del testo: qui Insurrezione fa rima con Rivoluzione , 
indicandola come un'attività che mira al controllo del territorio e che, implicitamente, punta 
ad un sovvertimento dello status quo. Questo genere di guerriglia è ormai una categoria 
residuale, se non scomparsa, nello spettro della conflittualità contemporanea: ovviamente il 
testo era imperniato sulle sfide allora attuali che gli USA dovevano fronteggiare e, con 
scarsa lungimiranza, si limitò a descrivere scenari contemporanei, piuttosto che 
immaginarne un'evoluzione. Al di là del cambiamento di prospettive ideali degli insorti 
d'oggi, questa definizione manca uno dei punti fondamentali della dialettica Stato-Insorti, 
1 Central Intelligence Agency, “Guide to the Analysis of Insurgency”: il documento, reso pubblico il 5 Gennaio 2009 
nell'ambito del Freedom of Information Act , non è ufficialmente datato, anche se è presumibile che risalga agli inizi 
degli anni '80 del secolo scorso.
8
cioè che quest'ultima è una sfida impari, tra avversari non dello stesso calibro.
A cogliere questo aspetto sono tre studiosi americani, che, nella loro affascinante 
spiegazione “matematica” dell'andamento di una Internal war 2
, descrivono lo Stato come 
una forza in essere e gli insorti come una forza in divenire : difatti lo Stato ha un vantaggio 
iniziale, in termini di forza, nel momento in cui entra in gioco, mentre gli insorti debbono 
partire da zero ed espandersi al fine di sovvertire il rapporto di forza a proprio favore. È 
l'abusata figura dello scontro tra Davide e Golia, in cui il debole si trova dinnanzi un 
avversario apparentemente invincibile e sproporzionatamente forte, a tratteggiare i contorni 
di molti conflitti dal 1945 ad oggi: questo differenziale in termini di dimensioni e capacità 
militari rientra nella più ampia categoria di Asimmetria.
Per Asimmetria si intende, nella sfera militare, “agire, organizzarsi e pensare in 
maniera differente rispetto all'avversario al fine di ottenere vantaggi strategici nella 
conduzione di una guerra” 3
: il più delle volte questa diversità è di default , come appunto nel 
caso di insurrezione, ma l'asimmetria quantitativa, benché fondamentale, non è l'unica 
componente di questo rapporto di forze impari. Difatti se la disparità numerica avvantaggia 
notevolmente lo Stato e/o la Potenza Esterna intervenuta nel conflitto, altre asimmetrie 
possono risultare a favore del più debole: è questo il caso dell'asimmetria di volontà 4
, che si 
verifica quando un antagonista vede i propri interessi vitali messi a repentaglio dalla guerra 
in corso, mentre l'altro sta solo proteggendo o promuovendo interessi secondari o comunque 
non legati alla sua stessa sopravvivenza. In questi casi l'avversario con più interessi in gioco 
è disposto a sostenere costi maggiori, accettare rischi e intraprendere azioni che l'antagonista 
2   McCormick, Gordon H. & Steven B. Horton & Lauren A. Harrison, “ Things Fall Apart: the Endgame Dynamics of 
Internal Wars”, Third World Quarterly , vol.28 n.2, 2007, pagg.321-367.
3   Metz, Steven & Douglas V. Johnson II, “Asymmetry and U.S. Military Strategy: Definition, Background and 
Strategic Concepts”, Strategic Studies Institute Publication, January 2001
4 Idem 9
non è disposto a compiere per vari motivi: i sopracitati costi non solo comprendono il 
denaro o le risorse materiali a disposizione, ma anche, e soprattutto, le vittime che verranno 
contate nelle proprie fila. Questo è il grande problema delle democrazie occidentali, e in 
particolar modo degli Stati Uniti, che si trovano ad operare in teatri di guerra percepiti 
dall'opinione pubblica come “esterni” o “periferici”: la scarsa tolleranza verso proprie 
vittime in tali contesti, emersa a più riprese dal Vietnam ad oggi, è spesso un freno nel 
delineare la strategia in conflitti asimmetrici. Per certi versi legata a tutto ciò è l'asimmetria 
in termini di pazienza 5
, che prende forma quando un contendente entra in guerra disposto a 
vederla continuare per un lungo periodo di tempo, mentre l'altro è disponibile a sostenere lo 
sforzo bellico solo per un breve lasso temporale: nuovamente è il caso degli Stati Uniti, la 
cui preferenza verso una risoluzione rapida dei conflitti è spesso derivata dal supporto 
pubblico e parlamentare “a tempo determinato”.
Al di là di quanto esposto da Metz e Johnson, ciò che spiega il successo o il 
fallimento in un conflitto asimmetrico è l'interesse relativo che un attore ha rispetto all'altro: 
secondo Andrew Mack 6
 chi è più determinato vince, al di là delle risorse materiali a sua 
disposizione. Questa differente determinazione nel perseguire la vittoria deriva, sempre 
secondo l'autore, da una differente distribuzione del potere: il più debole rischia di essere 
eliminato nello scontro, indi avrà una maggiore volontà nel proseguire il conflitto costi quel 
che costi. Maggiore sarà il gap di potere relativo, meno risoluti e più deboli politicamente 
saranno gli attori forti , viceversa più risoluti e meno vulnerabili politicamente saranno gli 
attori deboli .
Ivan Arreguìn-Toft partendo dal pensiero di Mack elabora una tesi volta a esplicare le 
5 Idem.
6 Mack, Andrew “Why Big Nations Lose Small Wars: The Politics of Asymmetric Conflict”, World Politics , Vol.27, 
Num. 2, cit. in Arreguìn-Toft, Ivan, “How the Weak win Wars: a Theory of Asymmetric Conflict”, International     Security , vol.26 n.1, Summer 2001, pagg.93-128
10
caratteristiche di un conflitto asimmetrico, basata sul concetto di Interazione Strategica : 
secondo l'autore in uno scontro impari entrambi gli attori hanno a disposizione due tipi di 
strategie, una diretta e una indiretta. L'approccio diretto prende di mira le forze armate 
dell'avversario al fine di distruggerne la capacità operativa, mentre l'approccio indiretto 
punta a distruggere la volontà dell'avversario a combattere: nello specifico l'attore forte può 
scegliere tra l' attacco diretto (uso della forza per eliminare/catturare le forze armate 
nemiche) e barbarie (violazione sistematica del diritto umanitario o di guerra  per 
raggiungere obbiettivi militari e/o politici); al contempo l'attore debole può scegliere tra la 
difesa diretta (uso della forza per ostacolare la cattura/distruzione da parte del nemico di 
territorio, popolazione e risorse strategiche) e la guerriglia (organizzazione di parte di una 
società per imporre costi elevati all'avversario attraverso un esercito addestrato ad evitare un 
confronto diretto). Nella realtà, però, l'attore forte è spesso identificato con una potenza 
industriale-occidentale, che si trova a dover agire all'interno di una cornice di garanzia e 
rispetto delle regole internazionali, rendendo così l'opzione della barbarie non percorribile 
nel medio o lungo periodo, sebbene negli anni violazioni dello ius in bello siano state 
perpetrate da nazioni democratiche 7
 nei teatri di guerra in cui hanno agito.
Da questo ventaglio di possibilità si può, secondo Arreguìn-Toft, predire l'esito di uno 
scontro asimmetrico: se entrambi i contendenti utilizzano strategie dirette ( attacco diretto 
vs. difesa diretta) l'attore forte dovrebbe vincere in maniera rapida e decisa; se entrambi 
utilizzano strategie indirette ( barbarie vs. guerriglia ) il più forte dovrebbe avere la meglio; 
se il più potente utilizza una strategia diretta e il più debole una strategia indiretta ( attacco 
diretto vs. guerriglia ) il secondo avrà la meglio; se l'attore forte attacca in maniera indiretta 
7 Si veda per esempio nel caso iracheno l'uso di armi al fosforo bianco a Falluja o il trattamento dei prigionieri di 
guerra ad Abu Ghraib.
11
e l'avversario risponde in maniera opposta ( barbarie vs. difesa diretta ) il primo 
probabilmente avrà la peggio. Da queste ipotesi di interazione emerge chiaramente come gli 
attori più forti tendono a vincere in scontri che implichino lo stesso approccio, mentre 
perdono quando vi è asimmetria nelle strategie impiegate: ai fini di questa tesi l'interazione 
che più interessa è quella che vede la parte in conflitto più potente avere la peggio contro un 
avversario più debole, il quale, per sopravvivere, impiega tattiche di guerriglia.
Detto questo, mi pare opportuno cercare di definire il concetto di insurrezione , alla 
luce di quanto esposto finora in termini di asimmetria : la definizione che Steven Metz dà in 
uno dei suoi saggi 8
 sembra cogliere maggiormente il carattere asimmetrico del conflitto in 
questione e non restare intrappolata nei vecchi schemi maoisti o nella prospettiva 
rivoluzionaria tipica della Guerra Fredda; per l'autore l' Insurrezione “is a strategy adopted by groups which cannot attain their political objectives through 
conventional means or by a quick seizure of power. It is used by those too weak to do 
otherwise. Insurgency is characterized by protracted, asymmetric violence, ambiguity, the 
use of complex terrain, psycological warfare and political mobilization.” Ciò che contraddistingue gli insorti è l'evitare puntualmente l'ingaggio in campi di 
battaglia dove sono più deboli, rendendo il terreno un elemento chiave della loro lotta: 
grazie all'abilità nel volgere le condizioni ambientali a proprio favore, l'insurrezione armata 
cerca sempre di posticipare gli scontri decisivi al fine di evitare la sconfitta e, nel frattempo, 
tenta di espandere il supporto della popolazione o quantomeno garantirsi il suo sostegno 
8 Metz, Steven & Raymond Millen, “Insurgency and Counterinsurgency in the 21st Century: Reconceptualizing 
Threat and Response”, Strategic Studies Institute Publication, November 2004
12
passivo, se non la neutralità. 
Ogni insurrezione ha chiaramente le proprie peculiarità storiche e culturali, 
nondimeno si possono riscontrare varie caratteristiche che, nel tempo, sono rimaste 
all'incirca invariate: anzitutto un moto insurrezionale, spesso trattato come un problema 
eminentemente militare, è, anzi, un problema politico, o meglio ciò che da il la a questo 
fenomeno è generalmente una rivendicazione politica 9
. Tali motivazioni sono inseribili 
all'interno di due tipologie, da cui deriva una sommaria distinzione tra due forme 
fondamentali di insurrezione: nazionale o di liberazione 10
.
Le insurrezioni nazionali vedono come antagonisti principali gli insorti e un governo 
con un minimo di legittimità e supporto nella popolazione: le differenze tra l'uno e l'altro si 
fondano su classe economica, ideologia o identità (quest'ultima declinata in senso etnico, 
religioso o razziale). Lo scontro in questi casi è “triangolare”, nel senso che coinvolge una 
terza parte, che si può rivelare decisiva per le sorti del conflitto: il più delle volte questo 
attore “terzo” è la popolazione, o meglio il supporto che questa da all'uno o all'altro, ma può 
anche essere una potenza esterna o un'organizzazione internazionale. In questa lotta 
entrambe le parti tentano di indebolire l'avversario e, al contempo, di convincere i non-
schierati a spalleggiare la propria causa.
Nelle insurrezioni di liberazione , invece, gli insorti si contrappongo a governanti 
percepiti come occupanti in virtù di una differenza di razza, etnia o cultura e il movimento 
di resistenza contro ciò che è percepito come “alieno” ha come fine ultimo quello di 
“liberare” la nazione dall'occupazione straniera: per un movimento armato di questo tipo è 
più facile aggregare a sé buona parte della popolazione, unendola al fine di “cacciare 
9 Anche se, come avrò modo di spiegare più avanti, nell'ultimo ventennio a tali tipi di rivendicazioni si sono affiancate 
pretese prettamente economiche.
10Metz, Steven & Raymond Millen 13
l'invasore”. E' ovvio che queste due forme non esistano in maniera distinta una dall'altra: 
spesso in una guerra interna, corrispondente quindi alla prima tipologia, è possibile un 
intervento di uno Stato Estero a sostegno del governo reputato “legittimo” 11
, rendendo così 
la resistenza armata sia “nazionale”, volta cioè a conquistare il potere politico, sia “di 
liberazione”: stando così le cose gli insorti avranno maggiori possibilità di vittoria, 
considerando la facilità con la quale possono far coincidere, agli occhi della popolazione, il 
“nemico” con entrambi i suoi antagonisti.
Al di là della comune matrice politica, le varie insurrezioni nella storia hanno 
presentato un comune ciclo vitale, che va dalla nascita fino all'eventuale vittoria o sconfitta: 
nei primissimi tempi quella che si può definire “proto-insurrezione” appare debole e 
altamente disorganizzata. In questa fase l'obiettivo primario è quello di sopravvivere sia 
all'eventuale azione governativa sia alla concorrenza di eventuali altri movimenti di 
protesta, di fronte ai quali solo due strade sono percorribili: o si riesce ad unire tutte le varie 
voci di dissenso o ci si autopromuove, creando quella brand identity in grado di 
propagandare la propria immagine e allargare la propria sfera di consenso. In alternativa 
all'attività pubblica una proto-insurrezione potrebbe scegliere di rimanere nascosta, di non 
esporsi troppo mentre accumula risorse e si organizza al fine di assumere le capacità di 
sferrare i primi attacchi 12
.
Il periodo di organizzazione iniziale può variare in base ai vari contesti, ma prima o 
poi ogni insurrezione deve dare il via a operazioni contro il regime (o l'occupante) attraverso 
terrorismo, guerriglia, assassinii mirati, sabotaggi, ecc.: allo stesso tempo è necessario che 
essa continui a mobilitare supporto e a migliorare le proprie capacità d'azione attraverso 
11 E' questo il caso dell'intervento statunitense in Vietnam dalla metà degli anni '60 in poi.
12 E' il caso della Rivoluzione Cubana, soprattutto per quanto concerne il periodo trascorso sulla Sierra Maestra da 
parte di Castro, Guevara e i loro barbudos 14
alleanze esterne, narcotraffico, furti, contrabbando, rapimenti, ecc. . Da qui in avanti ogni 
insurrezione cerca di aumentare la propria legittimità sia sul fronte interno, cioè tra la 
popolazione, sia all'esterno, magari contando su qualche prezioso sponsor estero in grado di 
fornire armi e materiale bellico in generale o proponendosi come interlocutore verso la 
comunità internazionale.
Per rendersi credibile ogni insurrezione deve poter contare su una certa “forza 
lavoro”, su un certo numero di persone disposte a combattere in nome della causa: 
chiaramente il numero può variare a seconda della popolazione, ma anche a seconda 
dell'obiettivo ultimo della resistenza armata. Se si combatte per rovesciare un governo sarà 
necessario un elevato quantitativo di effettivi simile alle dimensioni di un esercito moderno; 
al contrario se l'obiettivo della guerriglia si limita alla mera destabilizzazione dello Stato in 
cui si opera allora anche un manipolo di “intrepidi rivoluzionari” può bastare 13
. Tra questi 
due casi estremi si inseriscono situazioni in cui è necessario avere a disposizione un discreto 
numero di combattenti da reclutare tra la popolazione. Solitamente il bacino d'elezione di 
ogni guerriglia consta di quei giovani annoiati, arrabbiati e disoccupati che vedono 
nell'azione sovversiva un modo per evadere dalla povertà e/o per farsi onore nella società di 
origine; nello specifico quest'ultima tradizione è particolarmente sentita nelle società 
mediorientali e, più in generale, islamiche, come testimoniato sia dall' Internazionale 
Jihadista nata coi mujhaedin afghani sia dall'afflusso continuo di combattenti stranieri in 
Iraq, giunti per “uccidere più crociati possibili”.
In un conflitto di tale tipo la dialettica Insorti-Governo o Insorti-Occupante si protrae 
fintanto che uno dei due prevale o fintanto che si reputano i costi relativi alla terminazione 
13 Si veda l'azione terroristica di gruppi eversivi europei come le Brigate Rosse in Italia o la Banda Baader-Meinhof in 
Germania durante gli anni '70 del Novecento 15
della guerra superiori a quelli legati ad una sua continuazione: generalmente l'andamento del 
conflitto è determinato dal bandwagoning della popolazione, la quale tende a supportare la 
parte che reputa avere le maggiori possibilità di vittoria. Spesso la soluzione della guerra è 
rappresentata da un accordo negoziato tra le parti oppure la violenza semplicemente si 
estingue qualora gli insorti si mischino tra la gente o vadano in esilio: accade meno 
frequentemente che le insurrezioni riescano ad ottenere una vittoria netta, tradotta con la 
conquista del potere o il raggiungimento di obiettivi in precedenza fissati, mentre ancor 
meno frequentemente il regime riesce a sradicare gli insorti e a prevenire la rinascita di un 
nuovo focolare di dissenso. Il sopracitato studio 14
 di McCormick, Horton e Harrison offre 
una spiegazione di quella che definiscono endgame dynamics : gli stati e i movimenti armati 
a loro contrapposti declinano e approcciano i loro rispettivi punti di rottura in vari modi, ma 
generalmente  lo stato una volta passato il proprio punto di rottura tende ad accelerare il 
proprio declino; gli insorti, al contrario, declinano in maniera decelerata. Questo perché 
essendo i ribelli una parte più “piccola” rispetto allo stato essi godono di una maggior libertà 
d'azione, in quanto risulta  difficile per lo Stato stanarli e colpirli: più l'insurrezione aumenta 
le proprie dimensioni maggiore sarà il proprio grado di esposizione all'iniziativa 
governativa, perdendo di fatto il proprio vantaggio asimmetrico. Allo stesso modo nel 
momento in cui nel corso del conflitto l'insurrezione viene fortemente decimata essa 
diminuirà in numero e conseguentemente riconquisterà, almeno in modo parziale, la propria 
”invisibilità”, ritagliandosi lo spazio sufficiente per “restare in gioco” senza però avere la 
possibilità di vincerlo. Lo Stato dal canto suo, una volta passato il proprio punto di rottura, 
tende a sfaldarsi in maniera rapida e sempre più distruttiva: difatti pressioni o tensioni 
14 McCormick, Gordon H. & Steven B. Horton & Lauren A. Harrison, “ Things Fall Apart: the Endgame Dynamics of 
Internal Wars”, op. cit.
16
latenti all'interno del governo e/o nelle forze armate tendono a riemergere spingendo i più ad 
“abbandonare la nave”.
Da quanto detto finora emerge come l'attore pivot, generalmente, sia la popolazione, 
o meglio la propensione di questa a sostenere una parte piuttosto che l'altra durante il 
conflitto: tale propensione è spesso dettata dalla sensazione relativa all'esito del conflitto 
stesso, sensazione a sua volta condizionata dal balance of power tra i due contendenti. Un 
cambiamento di questo equilibrio provoca un cambiamento nelle aspettative popolari su 
quale parte abbia le maggiori chance di vittoria: questo perché i benefici attesi schierandosi 
con la parte più forte al momento aumentano, viceversa i benefici legati al supporto per la 
parte al momento più debole diminuiscono. E' in tali situazioni che parte della popolazione 
cambia sponda, inducendo altri a seguirli innestando una spirale che inevitabilmente 
conduce alla sconfitta del Governo o dell'Insurrezione. 
Quanto enunciato finora sono osservazioni direttamente applicabili alla maggior parte 
delle insurrezioni passate e contemporanee, ma al fine di una maggior comprensione delle 
dinamiche del giorno d'oggi è necessario partire da quella che per lungo tempo è stata 
considerata il paradigma dell'insurrezione moderna: la guerriglia maoista.
LA GUERRA DI POPOLO DI MAO La seconda metà del Novecento può essere considerata “il secolo d'oro delle 
insurrezioni”, in quanto, nella cornice internazionale della Guerra Fredda, molti regimi 
deboli e corrotti hanno conosciuto movimenti armati che puntavano, e spesso riuscivano, a 
destituire tali governi: in questi paesi la miscela di socialismo rivoluzionario e nazionalismo 
17
ha fornito una legittimazione etica della violenza politica, permettendo il diffondersi di 
organizzazioni armate in tutto il Terzo Mondo. Nel quadro del conflitto tra blocchi 
solitamente la situazione vedeva i governi spalleggiati, più o meno direttamente, dagli USA 
e dal blocco occidentale, mentre i vari insorti ricevevano il supporto dell'Unione Sovietica e 
del blocco comunista (soprattutto Cina e Cuba)
15
. Per i sovietici il sostegno ai movimenti 
eversivi era una strategia indiretta volta alla destabilizzazione del potere internazionale 
statunitense in assenza di un conflitto aperto tra le due superpotenze e allo stesso modo gli 
americani interpretavano queste guerre 16
, ma, al di là dei vari “sponsor” esterni, il vero 
segreto efficiente di queste insurrezioni risiedeva nell'invenzione di una strategia 
insurrezionale nota come Guerra di Popolo .
Tale strategia venne sviluppata da Mao Zedong durante la lotta anti-imperiale che i 
cinesi affrontarono negli anni '30 del secolo scorso contro l'occupazione giapponese: 
nonostante la specificità storica della lotta maoista, gli scritti del leader cinese furono presi 
ad esempio da molti guerriglieri impegnati con le loro rivoluzioni. Generalmente una 
guerra di popolo ha inizio quando un ristretto gruppo di rivoluzionari altamente motivati 
riesce a mobilitare un vasto sostegno popolare facendo leva sul nazionalismo e su temi di 
protesta locali, come per esempio tassazioni eccessive o la ridistribuzione delle terre: 
quando queste lotte nascono come insurrezioni di liberazione , spesso gli insorti costruiscono 
il loro prestigio sulla lotta all'invasore per poi, una volta “cacciato lo straniero”, cambiare le 
prospettive, diventare un' insurrezione nazionale e cercare di imporre la propria dottrina 
rivoluzionaria 17
. 
15 Con importanti eccezioni come la resistenza afghana in chiave antisovietica e il supporto statunitense ai contras 
nicaraguensi.
16 Basti pensare alla cd. Teoria del domino, utilizzata come giustificazione dell'impegno americano in Vietnam.
17Emblematico il caso cinese, in cui in un primo momento la guerriglia contro i giapponesi interessava tanto i 
comunisti quanto il Kuomintang , salvo poi trasformarsi in guerra civile. Cfr Mao Tse-Tung, “On Guerrilla 
Warfare”, http://www.marxists.org/reference/archive/mao/works/1937/guerrilla-warfare/ 
18
La guerra di popolo maoista inizia come un'organizzazione politica segreta o 
comunque non esposta agli occhi del governo e delle proprie forze di polizia: in questa fase 
pre-insurrezionale i leader cercano di comporre le rivendicazioni popolari all'interno 
dell'ideologia marxista che li spinge o semplicemente rispondono a influenze esterne di altri 
attori interessati (URSS o Cina) alla destabilizzazione del paese in questione. Una volta 
composta la strategia di azione, che ha come fine ultimo la conquista del potere e la 
creazione di uno stato comunista, il movimento passa alla fase organizzativa, durante la 
quale si costruiscono le infrastrutture, si reclutano e si addestrano i futuri guerriglieri, si 
raccolgono provviste e materiale anche cercando un sostegno sia domestico che 
internazionale . Così strutturata l'insurrezione da il via alle prime operazioni militari sotto 
forma di guerriglia (tattiche di hit-and-run volte a evitare un confronto aperto con le forze 
governative) e parallelamente si assiste ad un'intensa attività politica (propaganda) al fine di 
aggregare a sé il più vasto consenso popolare possibile. L'ultimo stadio della guerra maoista, 
una volta consolidata la propria presa sulla popolazione, è intraprendere lo scontro finale 
contro il governo con un vero e proprio esercito regolare in una guerra convenzionale, che 
mira alla sconfitta totale e definitiva dell'avversario.
Chiaramente non tutte le insurrezioni maoiste si sono sviluppate secondo questo 
schema, difatti molte non sono nemmeno riuscite a superare la prima fase, schiacciate 
dall'intervento tempestivo del governo, oppure non hanno avuto successo nel convertire le 
proprie forze da una strategia di guerriglia ad una convenzionale. Solitamente le insurrezioni 
vittoriose sono quelle che riescono ad affiancare alle azioni militari operazioni psicologiche 
(PSYOP's) e mobilitazione politica, sviluppando una “propaganda armata” in grado di 
dimostrare le debolezze e le incompetenze del regime: spesso il fine di tali operazioni non è 
19
tanto quello di “vincere” l'avversario, quanto quello di provocare il governo per spingerlo a 
reazioni eccessive che gli alienino la simpatia popolare.
L'importanza del movente politico è evidente, oltre che nelle sopracitate azioni 
propagandistiche, anche nell'esigenza, da parte degli insorti, di creare delle “zone liberate” 
dove dare seguito alle proprie convinzioni politiche, riformando l'organizzazione del 
territorio conquistato in nome dell'ideologia comunista (per esempio l'esproprio e la 
successiva collettivizzazione delle terre): questa necessità di continua espansione della 
rivoluzione spinge a definire la guerriglia maoista come una guerra di conquista, che punta a 
sottrarre sempre più terreno all'avversario in un movimento teso all'altrui distruzione.
La rivoluzione per Mao iniziava nelle campagne, tra i braccianti e non nelle città: 
anzi, a ben vedere, secondo lo statista cinese la guerra di popolo doveva prima accaparrarsi 
il sostegno attivo della popolazione rurale, per poi sferrare l'attacco decisivo alle città , che 
rappresentavano non solo il governo, ma soprattutto il luogo dell'empietà e della corruzione 
borghese. Per fare ciò era, appunto, obbligatorio passare per la gente e convincerla dei 
propri buoni propositi: ciò si rendeva possibile solo grazie alle sopracitate operazioni 
psicologiche, oltre che alla riforma del territorio conquistato. In quest'ottica l'insurrezione 
maoista implica una lotta tra il Governo e i Rivoluzionari per conquistare il favore degli 
indecisi.
Il carattere eminentemente politico della lotta rivoluzionaria è continuamente 
sottolineato da Mao Zedong, infatti egli mette in guardia dal pensare la guerriglia come un 
fatto militare slegato dalla policy principale (che nel suo caso era inizialmente la cacciata 
dei giapponesi): al contrario l'azione militare doveva essere organizzata e condotta in pieno 
accordo con l'agenda politica. Questo sempre perché nel caso in cui si fosse intrapresa una 
20
lotta senza far coincidere i propri obiettivi con quelli della popolazione non si sarebbe 
riusciti ad ottenerne la comprensione, la cooperazione e l'assistenza necessarie per vincere la 
guerra: è evidente come l'azione insurrezionale maoista fosse un'azione “di massa”, dalle 
masse doveva nascere e dalle masse doveva ricevere quel sostegno attivo senza il quale le 
sorti del conflitto sarebbero state segnate. Questo però non significa necessariamente che 
tutti potessero diventare dei “rivoluzionari”, tanto meno dei guerriglieri: la tendenza elitista 
tipicamente comunista del partito “avanguardia rivoluzionaria” è molto sentita anche nel 
pensiero di Mao, tant'è che egli dedica molto spazio ai criteri di selezione dei quadri 
combattenti, che sarebbero stati poi i quadri dirigenziali dei territori “liberati”: al di là dei 
necessari requisiti di onestà e incorruttibilità, Mao anzitutto prefigura un esercito di soli 
volontari, infatti, a suo dire, sarebbe stato un errore forzare le persone a combattere. Da 
questa considerazione emergeva quindi la figura del rivoluzionario, che doveva essere 
coraggioso e totalmente dedito alla causa suprema: non c'era posto nell'esercito maoista per 
“vagabondi e viziosi” 18
, men che meno per persone di provata immoralità. Alla luce di ciò la 
vittoria della guerra era subordinata al mantenimento di una leadership “pura e pulita”. E' 
questa una concezione elitaria, quasi ascetica dei guerriglieri, che smettono i panni di 
contadini ignoranti per divenire dei “guerrieri della rivoluzione”: tra le numerose differenze 
che intercorrono tra l'insurrezione maoista e quella contemporanea, probabilmente quella 
più marcata risiede nel “personale”, nella composizione degli insorti, che per Mao dovevano 
essere degli eletti altamente disciplinati, mentre al giorno d'oggi sono spesso criminali o 
comunque persone di dubbia moralità 19
.
La guerriglia, nella concezione maoista, non era un fine, bensì un mezzo da utilizzare 
18 Mao in questo passaggio fa riferimento alla pratica, ritenuta sconveniente e antirivoluzionaria, del consumo di oppio 
tra i combattenti.
19 Di questo tratterò più tardi: per ora si faccia riferimento per esempio al narcotraffico, ai rapimenti a fini estorsivi e ai 
legami col mondo della criminalità organizzata.
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