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Introduzione 
 
 
  Prima di arrivare a Roma non mi era mai capitato di vedere dei senza dimora 
tranne che in TV. I miei primi contatti con queste persone li ho avuti proprio 
durante i primi periodi in cui dalla Sicilia mi ero trasferito a vivere nella Capitale. 
Una delle cose che più mi è rimasta impressa, ricordando questi primi incontri, è 
che ogni volta che mi fermavo a parlare con qualcuna di queste persone sentivo 
che in questi individui c‟era tanta voglia di trascorrere del tempo insieme a 
qualcuno che li considerasse e li ascoltasse. 
  A distanza di circa quattro anni da questi primi approcci avevo conosciuto delle 
persone che facevano volontariato proprio con i senza tetto alla stazione Tiburtina 
e mi decisi di partecipare alle attività di questo gruppo. Questa mia tesi è, in 
qualche modo, figlia degli incontri che ho avuto con le persone in stazione in 
questi anni e di un mio tentativo di guardarmi attorno allo scopo di capire cosa 
succede in stazione, cosa viene fatto per gli uomini e le donne che vivono lì. 
  All‟inizio del mio lavoro sapevo che ogni settimana parecchia gente andava in 
stazione a fare volontariato e l‟unico tipo di approccio con i senza dimora che 
conoscevo era quello del gruppo a cui appartengo. Ciò che mi incuriosiva era 
soprattutto capire cosa facessero le altre persone e in generale che tipo di aiuto 
ricevessero i senza tetto oltre i piatti di pasta. 
  Attraverso le discussioni che avevo avuto con alcuni senza dimora e parlando 
con i ragazzi del mio gruppo che frequentavano la stazione da più anni avevo 
avuto delle informazioni davvero interessanti: oltre al nostro altri gruppi durante
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le sere della settimana andavano in stazione e distribuivano cibo e abbigliamento; 
inoltre l‟unico gruppo che dopo la distribuzione dei pasti restava in stazione a 
parlare con la gente era quello di cui faccio parte. 
  A quel punto pensai che poteva essere interessante conoscere più a fondo ciò che 
facevano queste associazioni e scoprire se nel fare volontariato questi altri gruppi 
avevano delle proposte alternative che potessero essere utili per dare ai senza tetto 
un aiuto più consistente che andasse oltre quelle azioni limitate che sono 
riconducibili ad una logica “assistenzialista
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”. Questo divenne l‟obiettivo della 
mia ricerca. 
  Una volta che sono riuscito a sapere chi fossero i gruppi che facevano servizio 
alla stazione Tiburtina, ho pensato che il modo migliore per poterli conoscere era 
quello di intervistarne i responsabili e attraverso queste interviste mi sono accorto 
come in realtà la situazione fosse più eterogenea di quanto pensassi. Se da un lato 
risulta che alcuni gruppi svolgono solo ed esclusivamente un‟attività di tipo 
“assistenzialista”, dall‟altro lato molti gruppi integrano a questa azione altri tipi di 
tipi di attività: alcuni svolgono anche azioni di assistenza legale, altri un 
assistenza di tipo medico, altri ancora hanno un dormitorio e delle strutture di 
accoglienza. Inoltre sono tante le associazioni che tentano di costruire dei contatti 
con i senza tetto utilizzando il dialogo come strumento per cercare di incontrare 
ancora più nel profondo queste persone e tentare di accompagnarle in questo 
difficile momento della loro vita. 
  Attraverso le interviste ero venuto a conoscenza del fatto che alcune istituzioni 
municipali e comunali si erano incontrate (nel periodo precedente le mie 
                                                 
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 Per logica assistenzialista intendo una modalità di azione verso i senza dimora che viene svolta 
esclusivamente allo scopo di dare a queste persone un sostentamento per la loro sopravvivenza 
fisica: rientrano in questa definizione tutte le attività di distribuzione di cibo, bevande.
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interviste) con le varie associazioni per analizzare alcune questioni inerenti i senza 
tetto. I responsabili mi avevano accennato che in questi incontri alcuni dirigenti 
delle istituzioni municipali avevano proposto ai gruppi che operavano alla 
stazione Tiburtina di stabilire un‟area unica che sarebbe servita alle associazioni 
per la distribuzione dei pasti. Attraverso altri incontri con i gruppi di volontariato 
alcuni dirigenti delle istituzioni comunali stavano poi tentando di mettere in 
contatto le associazioni in modo tale da poter coordinare la distribuzione dei pasti 
in tutta la città e far dialogare tra loro i diversi gruppi. 
  Avute queste informazioni ho pensato che sarebbe potuto essere interessante 
ascoltare direttamente la voce dei responsabili di queste istituzioni allo scopo di 
conoscere come si comportassero, che tipi di interventi proponessero per cercare 
di alleviare questa problematica sia a livello cittadino che per quanto riguarda la 
stazione Tiburtina. In un primo momento ho intervistato due responsabili di due 
organi del III Municipio ai quali è stato assegnato il compito di occuparsi della 
situazione della stazione Tiburtina a livello municipale: Claudio di Ferdinando 
responsabile del N.A.E (Nucleo Anti Emarginazione) e Domenico Fischetto 
presidente della Commissione speciale Tiburtina. Dopo aver scoperto che a Roma 
è il V Dipartimento è l‟istituzione che si occupa della questione dei senza dimora 
per l‟intera città ho intervistato i due dirigenti che si erano incontrati con le 
associazioni: l‟assessore alle politiche sociali Rafaela Milano e il dirigente 
dell‟Unità operativa emergenza sociale Federico Bonadonna., che lavorano 
proprio all‟interno del V Dipartimento. 
  Nell‟intervento con i senza tetto che svolgo con la mia associazione viene posta 
una grande attenzione all‟incontro con le persone che vivono per strada nel
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semplice stargli accanto, parlargli e fargli compagnia per il tempo che noi siamo 
in stazione. Se all‟apparenza questo modo di agire può sembrare di poca utilità in 
realtà è esperienza comune a tutti la differenza che passa tra il vivere le proprie 
difficoltà con qualcuno accanto o da soli. Nel servizio che facciamo con la nostra 
associazione si tenta di fare ciò che abbiamo appena detto: si cerca che il senza 
tetto non resti da solo in questo suo momento difficile e lo si cerca di 
accompagnare standogli accanto. 
  Contattando tramite e-mail diversi autori al fine di ricevere informazioni su delle 
strutture che usassero una modalità di intervento simile a quello del gruppo di cui 
faccio parte ottenni una risposta da Maurizio Bergamaschi. Questo autore che si è 
occupato dell‟argomento dei senza dimora e fa parte della FIOPSD (Federazione 
Italiana organizzazione Persone Senza Dimora), mi suggerì un testo in cui aveva 
partecipato con un suo contributo: Servizio sociale e povertà estreme. In questo 
libro erano contenute tantissime notizie che riguardavano delle strutture, chiamate 
di accompagnamento sociale che applicavano un approccio verso i senza dimora 
del tutto simile rispetto a quello usato nel mio gruppo. E‟ stato davvero 
interessante scoprire che su una modalità che noi praticavamo da così tanto tempo 
in maniera spontanea esistesse un insieme di studi e di applicazioni. Questa che è 
stata una delle sorprese più grandi avute durante questi mesi di ricerca, mi è stata 
di grande utilità per formulare le proposte che si trovano alla fine di questo lavoro. 
  Questa tesi è strutturata in sei capitoli: nel primo verrà contrastata l‟idea che i 
senza dimora scelgono di fare questo tipo di vita e le motivazioni che portano le 
persone a finire per strada. Nel secondo capitolo si discuterà sugli aspetti teorici 
riguardanti il fenomeno dei senza dimora illustrando la condizione della persona
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che si trova a vivere per strada. Inoltre verrà messo in evidenza il processo di 
perdita della fiducia che colpisce il senza tetto. Nel terzo capitolo verranno 
illustrati gli interventi che vengono applicati sui senza dimora della stazione 
Tiburtina di Roma da parte delle associazioni e delle istituzioni comunali e 
municipali che operano nell‟area analizzata. Il quarto capitolo consisterà in una 
panoramica sui diversi tipi di persone che sono presenti alla stazione Tiburtina e 
inoltre verrà trattato il tema della sofferenza nella vita di strada. Il quinto capitolo 
tratterà delle strutture di accompagnamento sociale illustrandone due esempi 
italiani. Infine nel sesto capitolo verranno proposte degli strumenti di lavoro 
utilizzabili  ai fini del reinserimento sociale del senza tetto. Inoltre si descriverà 
una proposta di struttura di accompagnamento sociale per la stazione Tiburtina. 
  Dedico questo mio lavoro a tutti i senza tetto che mi hanno regalato in questi 
anni pezzi della loro vita con le loro gioie e i loro dolori. Spero che questa mia 
ricerca possa essere utile a coloro che in futuro si occuperanno dei senza tetto 
(siano essi ricercatori o istituzioni) e che possa far comprendere un po‟ di più ai 
cittadini comuni che queste persone sono uguali a noi, solo più sfortunate.
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1  SENZA DIMORA: UNA VITA AL DI FUORI DELLA 
SOCIETA’
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1.1    Senza dimora: una vita al di fuori della società 
 
 
  Sebbene lo sviluppo sociale in Italia sembra abbia raggiunto ottimi livelli, tali 
che si ha l‟impressione che la povertà sia ormai un problema sorpassato, basta fare 
un giro nei dintorni di una stazione di una grande città come Roma o Milano o nei 
centri di assistenza della Caritas che questa osservazione salta totalmente. E se 
molte volte l‟idea diffusa, anche grazie ai media, che le fasce di nuovi poveri nel 
nostro Paese, siano costituite da immigrati prende spesso piede, andando a visitare 
uno dei posti che abbiamo menzionato ci si può rendere conto come questa 
osservazione non corrisponde perfettamente con la realtà, in quanto i nostri 
connazionali presenti in questi luoghi sono davvero numerosi. 
  Il problema delle nuove povertà in Italia va aumentando sempre di più e 
l‟espressione più estrema è costituita dal fenomeno dei senza dimora. C‟è chi li 
chiama offensivamente straccioni, chi alcolizzati credendo che queste persone che 
si trovano a vivere per strada lo facciano per propria scelta. In realtà dalle 
tantissime ricerche svolte nel nostro Paese è sempre risultato che la maggior parte 
dei senza dimora sono finiti per strada per i più svariati motivi, tranne che lo 
abbiano fatto di spontanea volontà. 
  Anche da alcune interviste effettuate ai responsabili di associazioni di 
volontariato che operano con i senza dimora, ai fini di questa ricerca, risulta essere 
evidente come quello del scegliere la vita per strada sia solo un mito; 
particolarmente evidente a questo proposito risulta essere la dichiarazione di Paola 
Franculli, responsabile di un gruppo Caritas (Cfr. Allegato n°11):
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  …le persone in genere la gente normale…Il barbone c’è questa figura del clochard romantico, 
che rinuncia per scelta, no questa vita così vagabonda per un senso di libertà, ma la scelta non 
esiste perché comunque noi conosciamo gente che magari, so alcolisti che so stati cacciati via di 
casa, gente che è uscita dal carcere che si è ritrovata in mezzo alla strada, cioè le situazioni sono 
talmente tante che comunque ti rendi conto che comunque quando parli con questa gente, che la 
scelta presuppone due varianti: se ce ne hai solo una è solamente la strada. 
 
  E‟ interessante cercare di capire da dove possa derivare questo mito della 
“scelta”. Innanzitutto si può partire da motivazioni legate, come si riferisce 
precedentemente Paola Franculli, a stereotipi e a luoghi comuni. E precisamente a 
figure narrate nella letteratura della Francia di fine ottocento, quali i bohemien e 
ancor di più i clochard parigini, che staccati dai contesti storici e geografici dove 
erano realmente presenti, diventano i soggetti che oggi abbiamo l‟impressione di 
incontrare per strada. 
  Ed allora da questo collegamento non certo appropriato, molte volte si confonde 
la figura del senza dimora con il vagabondo. Si tende a generalizzare, anche 
perché spesso sia l‟opinione pubblica che i singoli individui tendono a considerare 
queste figure ai margini della società come ad un oggetto scenico, parte di una 
scenografia degradata come quella di una stazione ferroviaria, tanto che queste 
persone non vengono per nulla prese in considerazione. 
  Proprio l‟indifferenza che aleggia nei confronti di questi individui, l‟ignoranza 
verso la storia delle loro vite nonché l‟aria di leggenda che spesso emanano
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, tutti 
questi elementi insieme innescano l‟idea che questi “barboni” costituiscano un 
piccolo gruppo omogeneo di persone che volendosi staccare dalla società e da tutti 
                                                 
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 In una ricerca svolta da L. Berzano intitolata Uomini senza territorio l‟autore mette in evidenza 
come nella raccolta delle storie di vita dei senza dimora da lui incontrati erano presenti nella vita 
passata di alcuni di questi numerosi elementi evocanti un aura di leggenda e di grandi imprese.
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i legami sociali classici abbiano scelto di vivere così; non si vede quella persona 
come un singolo che si ritrova per strada per le più svariate cause, ma ad un 
individuo che ha scelto di aggregarsi ad un determinato stile di vita. 
  E‟ a quel punto che tornano le considerazioni sul vedere non più la persona, ma 
il fannullone che non vuole più lavorare, la donna che trova naturale consegnare il 
proprio corpo ad altri padroni, il ragazzo che organizza il proprio destino sulla 
droga, l‟uomo privo di ordine, ribelle sociale, traditore della propria famiglia, 
pazzo da recludere in qualche istituto. (Rauty, 1995) 
  Altre volte le motivazioni per cui si creda che si scelga di vivere per strada sono 
più di natura psicologica, diventando fonte di steccati e di prese di posizione 
radicali da parte di chi le applica verso chi sono dirette: in una società come la 
nostra dove il tempo è denaro e dove il primo obbiettivo della giornata è quello di 
produrre, il senza tetto è totalmente distaccato da questa logica. Allora vederlo 
dormire su dei cartoni mentre è gia mezzogiorno o vederlo immobile a chiedere 
l‟elemosina, quindi a ottenere qualcosa senza guadagnarsela, ciò provoca odi per 
questi individui “che vivono alle spalle della società” e invidie per “il poter vivere 
in questa totale indolenza senza aver nessun pensiero”; alla fine di queste 
operazioni mentali il risultato è che i senza dimora si ritrovano per strada perché 
hanno voglia di vivere così, partendo da una loro scelta libera ed autonoma. 
  Altre volte ancora la questione della scelta si lega ad una questione di scarsa 
visibilità del fenomeno provocato proprio dalle stesse istituzioni: molte volte si 
pensa che il fenomeno dei senza dimora riguardi una basso numero di persone e 
questo elemento non fa altro che far aumentare l‟idea che il fare questo tipo di vita 
sia una scelta di pochi, in realtà sono spesso le istituzioni stesse a svolgere
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sgomberi e quindi a generare questo modo di pensare, come è avvenuto qualche 
anno fa alla stazione Termini dove tutte le persone sono state spostate alla 
stazione Tiburtina (“…hanno tra virgolette pulito stazione Termini, si è ribaltato 
tutto lì…”, intervista a Saverio della Onlus Un Sorriso, Cfr allegato n°1). Questi 
sgomberi insieme all‟internamento nei centri di accoglienza di queste persone 
spesso vengono svolti al fine di occultare la realtà e diminuire la visibilità del 
fenomeno tanto da trasformare queste persone in individui invisibili. 
  Tutti questi elementi messi insieme fanno si che siano tante le persone che 
pensano che i senza dimora decidano di vivere per strada perché vogliano slegarsi 
dalla società e da tutti quei vincoli civili che a volte diventano dei pesi 
insopportabili da portare, o che non hanno voglia di vivere la normale logica 
umana che per vivere bisogna lavorare. Purtroppo però la realtà sembrerebbe un 
„altra.