3
 
Da ciò si può dedurre quali sono stati i suoi veri sentimenti e 
quale è stato il suo mondo psicologico; il tutto sorretto da 
una grande forza di volontà. 
E’ utile mettere in evidenza che la pazienza e la fede  nella 
propria forza creativa, nell’autore, sono gli strumenti per 
combattere e superare gli ostacoli che si presentano durante 
il corso dell’esistenza. 
Il mio libro vuole essere una palpitante documentazione di come si 
possa vincere senza ricorrere a lenocini come si possa fare bene tanto 
nel teatro che nella vita e come si possa divenire un buon  artista e un 
ottimo padre. Adorare l’arte e la famiglia, facendo vita modesta nel 
periodo del guadagno e assicurandosi la propria vecchiaia.
2
 
 
L’arte e la famiglia costituiscono i valori fondamentali del 
credo vivianeo, infatti  la moglie è tenuta in grande 
considerazione e rappresenta sempre il punto di approdo  dei 
suoi sentimenti puri e nobili.  I figli costituiscono la degna 
cornice di questa unione e sono sempre legati tra di loro e al  
padre, soprattutto nei momenti più difficili, infatti  lo hanno  
 
 
 
                                                 
  
2
 Ivi, pp.9-10. 
 4
 
curato con amore e abnegazione, durante la lunga e penosa 
malattia. 
Inizio a descrivere l’itinerario artistico del Nostro fin dalle 
prime ore della sua nascita. 
Nacqui a Castellammare di Stabia, la notte del 10 gennaio 1888, all’una 
e venti, figlio di un cuor d’oro di donna e di un padre cappellaio, che 
più tardi divenne vestiarista teatrale. Un sequestro al suo magazzino, il 
giorno dopo la  mia nascita, l’obbligò a tornare a Napoli, sua città 
nativa, e a darsi con maggior lena alle cose teatrali che egli, fin da 
giovanetto, prediligeva […].Uomo ingegnosissimo ed onesto fino allo 
scrupolo, costruiva tutto con le sue mani; finì così per crearsi un vasto 
corredo di attrezzi teatrali e di indumenti, con i quali forniva alcuni 
teatrini dei quartieri più eccentrici […].
3
 
 
In questo lungo peregrinare di teatrini in teatrini di 
marionette, accade che, Viviani  insieme al padre è preso dal 
profondo desiderio di conoscere in tutti i suoi aspetti il 
mondo dello spettacolo. 
A  Napoli è in voga il teatro dei Pupi e il popolo si diverte a 
conoscere le storie  fantastiche  di Orlando e Rinaldo i  
 
 
 
                                                 
 
3
  Ivi, p. 15. 
 
 
 
 5
 
“paladini” di Carlo Magno.  Un certo Gennaro Trengi, noto 
tenore e comico e ridicolo per i suoi vestiti multicolori, tipici 
di un clown in quel tempo è l’attore principale che tiene le 
scene di questi teatri popolari. Questi una sera 
improvvisamente si ammala e lo spettacolo dei pupi corre 
grave pericolo.  
Così avviene Il debutto del piccolo Viviani, all’età di quattro 
anni e mezzo, perché  Aniello Scarpati, proprietario del 
teatrino dove lavora il padre di Viviani, di nome anche lui 
Raffaele, ha una felice idea di far cantare il piccolo: 
(<< Facciamo cantare ’o figlio ’e Rafele>>)
4
. 
Viviani  figlio accoglie con entusiasmo la proposta ed imita 
Trengi nei gesti e nella voce . 
 Viene vestito con l’abito di un  pupo , che la  madre 
raffazzona alle meglio, si presenta sulla scena accompagnato  
 
 
 
 
                                                 
4
 Ibid. 
 6
 
dal suono di una tromba, un clarino,  ed un trombone intona  
le dolci note che introducono il personaggio della 
<<Ballerina>>. Viviani  non è più alto di ottanta  centimetri, 
compreso il tubino, con il bastoncino  nelle mani, che fa 
scorrere fra le dita. 
Udii un vociare confuso, una grande risata e poi un silenzio di tomba,  
rinfrancandomi a mano a mano, sino ad acquistare la più completa 
padronanza tanto che il pubblico mi compensò con prolungate 
acclamazioni. Il successo fu entusiastico. Fu l’inizio della mia carriera. 
Anche la stampa si occupò del caso unico, e la gente dei quartieri più 
lontani  accorreva ad assistere alle esibizioni del “bambino-prodigio.”
5
 
 
“L’enfant prodige” inizia l’arte di  attore e divo del 
palcoscenico con spigliatezza e briosità in duetti e canzoni 
spassose con l’attrice Vincenza di Capua, e poi con la sorella 
Luisella.  
Bisogna precisare che don Raffaele; così è  chiamato nel 
teatro, fa mutare il cognome “Viviano”, come risulta da atto 
di nascita, in “Viviani”, ritenuto nome d’arte. 
 
 
 
 
                                                 
5
 Ivi, p. 16. 
 7
 
Forti nubi si addensano sulla famiglia del Nostro, da quando  
nel gennaio del 1900 il  padre muore e, per sostenere le spese 
del funerale, sua madre è costretta a vendere da un rigattiere 
gli ultimi panni e l’ultima attrezzeria.  
Purtroppo dato le sue disagiate condizioni economiche è 
costretto a recitare  “ Zeza- Zeza”  ultimo scalino dell’arte 
per sbarcare il lunario. 
 Mi presentai ad uno di questi baracconi di proprietà di Don Ciccio 
Scritto, famoso impresario di giostre, altalene, ecc… e dissi di voler io 
fare la parte di Don  Nicola nella Zeza. Grazie a Dio, per la temporanea 
assenza di Giovanni ‘o pittore, che sosteneva la parte di Don Nicola, 
fui scritturato a  cinquanta centesimi al giorno, per fare spettacoli 
continui dalle 2 ore  pomeridiane fino alla mezzanotte […].Più di un 
mese feci questa vita, e i dieci soldi bastavano a dare un cucchiaio di 
pasta e un po’ d’acqua calda allo stomaco. In casa Scritto ebbi  la mia 
prima avventura amorosa. La figlia di Don Ciccio, Nicolina,  era 
tarchiata e piacente, e ben presto, pel continuo amoreggiare tra Don 
Nicola e Colombina, i personaggi che rappresentavano nella commedia 
finimmo per dirci cose care di amore […].Riuscii poi ad essere tanto 
simpatico alla famiglia Scritto, da acquistarmi la loro fiducia  e 
mangiare con essi  […].Il mio pensiero per Nicolina acquistava  però 
sempre più consistenza ed evidenza, finchè la cosa diede fastidio in 
famiglia  ed un fratello maggiore di Nicolina, a nome Gaetano, una sera 
mi chiamò e mi fece intendere che avevo finito, perché io ero uno 
spostato e non potevo né dovevo più oltre continuare […].
6
 
  
 
 
 
 
 
 
                                                 
6
 Ivi, p. 17. 
 8
 
La  Zeza racconta la storia delle nozze contrastate da 
Pulcinella  padre di Tolla con Don Nicola, studente 
calabrese.  Ma dopo numerose peripezie, trionfa sempre 
l’amore ,e i  due infatti coronano il loro sogno d’amore con il 
matrimonio. 
Bisogna precisare che la Zeza è uno spettacolo antico che si 
recita nel tempo di Carnevale ed è accompagnato dal suono 
forte del trombone. Si ritiene secondo alcuni storici che sia 
nato  verso l’inizio del Seicento, al tempo in cui Pulcinella è 
associato a Lucrezia di cui la Zeza è il diminutivo. Da Napoli 
la Zeza si diffonde nei paesi circostanti con caratteri sempre 
più diversi
7
. 
 
 
                                                 
7
 Almeno fino alla metà dell’Ottocento la Zeza si rappresentava nei cortili dei palazzi,nelle strade, nelle osterie, nelle piazze, senza 
palco, alla luce di torce a vento, ad opera di popolani, attori occasionali o compagnie di quartiere, che si facevano annunciare a 
suon di tamburo e di fischietto: tale la Zeza è rimasta nelle province meridionali, mentre a Napoli già nel secondo Ottocento 
assunse i caratteri di uno spettacolo teatrale gestito da compagnie d’infimo ordine in baracconi improvvisati e fu accolta, 
esclusivamente nel periodo di Carnevale nei teatri frequentati soprattutto dalla plebe, quali il Sebeto, la Stella Cecere, e la 
bottega di Donna Peppa, dove il pubblico interloquiva cogli attori nel corso della rappresentazione << con sfrenatezze di gergo 
e di gesti>>. Questo divertimento cessò agli inizi del nostro secolo:fino ad allora però il testo della Zeza era imparato a 
memoria da tutti i ceti sociali di Napoli. La Zeza sparì dalle piazze e strade per dei divieti: intorno alla metà dell’Ottocento 
infatti essa era stata proibita dalla polizia <<per le mordaci allusioni e per i detti troppo licenziosi ed osceni>>. La Zeza era 
capace di suscitare emozioni, nello spirito di Carnevale, soprattutto in quanto rappresentazione in chiave grottesca di scene di 
vita familiare caratterizzate da una notevole conflittualità e violenza, non molto dissimile, in questo, dalle scenette pure 
carnevalesche del Matrimonio di Pulcinella, presenti in molte aree italiane, che riprendono in forma più semplificata queste 
tematiche: il teatro del Carnevale in tal modo metteva a nudo, in una sorta di confessione pubblica, le vergogne della vita 
coniugale, con il gusto dell’aggressione sadica e l’esibizione oscena, e mentre le esorcizzava con l’immancabile lieto fine, 
invitava a prendere realisticamente atto e integrare nel sistema culturale il disordine e l’irrazionale.  Tratto da  Domenico 
Scafoglio – Il Carnevale napoletano- Newton & compton editori, 1977, pp. 45,46. 
 
 9
 
Nel 1903  Viviani a solo quindici anni, va in giro per i teatri 
d’Italia con la compagnia Bova e Camerlengo. Nel 1904 
ritorna a Napoli, dove solo al teatro Petrella  situato nella 
zona portuale riesce a trovare una scrittura per interpretare lo 
scugnizzo. 
Il teatro Petrella , culla di tanti artisti, era in quell’epoca, in grande 
decadenza, attraversava il suo periodo più oscuro, era frequentato 
unicamente da scaricatori di porto, marinai di velieri, soldati di dogana, 
popolino del rione e prostiute.  Che èlite! Al  Petrella io trovai il mio 
genere, interpretando per la prima volta “Lo scugnizzo” scritto dal 
compianto Giovanni Capurro e musicato da Francesco Buongiovanni. 
“Lo scugnizzo”  fu interpretato per la prima volta da Peppino Villani e 
mi procurai subito parole e musica di detta “ macchietta”
8
. 
 
Dopo il grande successo riportato da Viviani è chiaro che 
Villani smette di fare lo scugnizzo, perché diventato grasso e 
pesante   non può più fare  le cosiddette “capriole”.  Il 
Nostro invece  riesce ad essere  solo ed insuperabile in 
questo genere. Infatti tale  spettacolo può considerarsi  
genere Viviani .  
 
 
 
 
                                                 
8
 Raffaele Viviani, Dalla Vita alle Scene, op. cit. pp. 23-24. 
 10
 
L’artista  recita dal 1904 al 1908,  presso il Teatro Marisetti a 
Milano e, al Concerto Emilia di Torino; inoltre passa  
all’Alcazar di Genova e al Concerto Roma di Alessandria 
Approda  al Teatro Eden di Bologna, luogo prestigioso,  
dove passano gli artisti più celebri e dove solo a fatica si 
ottiene la consacrazione del successo. Dopo una prima 
accoglienza  piuttosto fredda  da parte del pubblico di 
studenti distratti e vocianti, alla fine di una lunga serie di 
rappresentazioni, lo scugnizzo riesce a fare breccia 
nell’animo dei più attenti, tanto che all’ultimo spettacolo 
ottiene finalmente un’ovazione. Nel 1907 ritorna a Napoli, e 
debutta al teatro Eden, dove presenta sei nuove composizioni 
che consacrarono il suo genere. 
Infatti guadagna un contratto estivo a Malta. 
Il debutto andò bene, sebbene il pubblico fosse in maggioranza formato 
da marinai inglesi.Essi naturalmente non capivano me ed io non capivo 
loro; eppure ci intendemmo subito, a gesti! Feci un mese di gran 
successo e riuscii ad accumulare ben 3000 lire. Soldi della paga e 
proventi dello scugnizzo, poiché io comunicai l’usanza agli inglesi di 
farmi buttare i soldi sul palcoscenico, e spesso fui onorato di vedere 
qualche sterlina tra le piccole e  le grosse patacche d’argento. 
9
 
 
 
                                                 
9
 Ivi, p.54. 
 11
 
L’incontro con la futura moglie è raccontato con il sorriso 
sulle labbra ed analizzato nei suoi aspetti salienti. 
 Quando nel 1908, ritornai a Napoli, ero diventato ormai 
popolarissimo. <<Viviani >> era sulle bocche di tutti, ed al << Teatro 
Nuovo >> ebbe veramente inizio la mia fortuna. Li conobbi colei che 
divenne mia moglie. Ella  veniva con una zia  in un palco di proscenio 
di sua proprietà, e mostrava, bontà sua, di divertirsi moltissimo alle mie 
macchiette. Io notai questa signorina nel palco, e poiché ne rimasi 
conquiso, mi informai subito e mi dissero: - Non è roba per te. E’ molto 
ricca ed è la nipote di Don Gaetano Gesualdi, che tiene questa nipote 
come l’oracolo . ” 
10
 
 
Il Nostro ha modo di conoscerla e frequentarla e di 
manifestarle il suo profondo amore. 
Finii il mio contratto al << Nuovo >> e,  prima di ossequiarla, dato che 
le mie visite nel palco si erano fatte da quella sera frequenti, le palesai 
il mio onesto intendimento di farla mia sposa. Ella rimase senza parole, 
ma la zia , donna di grande esperienza, mi fece capire che non era 
ancora il caso di parlarle di matrimonio, data l’età tenera della ragazza, 
14 anni .”
11
 
 
 La popolarità dell’artista varca i confini ed è  scritturato nel  
1911 al  Fòwarosi Orpheum di Budapest con l’intento e il 
programma di rappresentare per un mese le sue celebri 
macchiette. 
 
 
 
                                                 
10
 Ivi, p. 59. 
11
 Ivi, p. 60. 
 12
 
Passarono ben quattro anni di queste alternative e facendo l’amore << 
per lettere >> io che, giovane, colle prime migliaia di lire nel 
portafogli, vivevo in un ambiente libero, ebbi la forza  di schivare le 
allegre comitive, le amicizie nottambule, la compagnia di donne, e 
dopo il teatro me ne andavo a casa a cullare, nel silenzio di una 
modesta cameretta, il sogno d’amore che tutto m’avvolgeva, convinto 
che solo con un’esistenza fatta di pazienza e di rinunce, io avrei potuto 
mostrare appieno la serietà e la santità del mio intendimento. Ed 
avvenne così che, dopo il quinto anno di fede e di attesa lo zio si 
decise, e sposammo: in due giorni.  
12
 
 
Viviani consolida la sua fama ed è  considerato un vero 
artista, così ottiene il consenso al matrimonio, che è 
organizzato in appena due giorni e celebrato il 19 settembre 
1912. 
Dal matrimonio nascono  Vittorio, Yvonne, Luciana e infine 
Gaetano.  
Durante il  cammino artistico il Nostro ha modo di essere 
conosciuto da prestigiosi artisti e in modo particolare dal 
grande divo francese Mayol 
13
. 
 
 
                                                 
12
 Ibid. 
13
 Felix Mayol (Tolose, 1872-1941 ); celebre artista francese di Caffè Concerto e Music- Hall.Dal 1895, anno del debutto al Concert 
Parisien, fino alla prima guerra mondiale, fu tra i primi acclamati interpreti della canzone francese e, secondo Maurice Chevalier 
che di lui fui grande ammiratore e imitatore.Ormai al vertice della sua carriera, rilevò nel 1910 il Concert Parisien, ribattezzandolo 
col nome di concert Mayol e organizzandoci spettacoli di varietà e rivista. Nota in Ministero Per i Beni e le Attività Culturali  
Direzione Generale per i Beni Librari e gli Istituti Culturali, Biblioteca Nazionale di Napoli, Viviani: immagini di scena ,– sala 
Leopardi – 29 Maggio-12 Ottobre 2001. Progetto scientifico: Rosaria Borrelli, Giuliano Longone. Napoli Tullio Pironti editore, 
2001, p. 18. 
 
 13
 
 
Una sera, mentre si suonava per il mio << Numero >>, mi sentii dire da 
Wolfango ( direttore della Sala ): - C’è Mayol giù. Il che significava: 
<< Eseguisci i tuoi pezzi migliori >>. Con manovra fulminia mi 
struccai dal tipo che dovevo rappresentare e mi vestii da Tamburellaio ( 
‘O Tammurraro ) e mandai in orchestra numeri diversi da quelli già 
dati e che corrispondevano precisamente a  << ‘O Tammurraro >>, << 
‘O ‘Mbriaco >>,  << ‘A Festa ‘e Piedigrotta >> e << ‘O Cocchiere >>; 
le << cose >> mie più pittoresche di quell’epoca. Svolsi il mio 
programma tra il consenso entusiastico del pubblico, entusiasmo che 
toccò il diapason quando, riconosciuto Mayol, il pubblico lo vide 
divertirsi ed applaudire calorosamente alle mie macchiette; fu una bella 
serata per me.
14
 
 
Mayol stipula con Viviani un contratto corrispondente  a 
trecento franchi al giorno. 
Il debutto a Parigi avviene la sera del 17 novembre ed è  un  
vero fiasco al punto tale che nelle sere seguenti i numeri 
delle rappresentazioni gli vengono ridotti.  
Ma il mio debutto cadeva di Venerdì e, manco a farlo apposta, ne 
avevamo 17! La sera un fiasco completo! Passai, con un teatro 
scarsamente affollato, nel più completo silenzio! […]. Andai a letto 
senza cenare […].L’indomani scesi in palcoscenico e mi vidi non più al 
posto di << vedette >> ma in prima parte […].Qualche sera dopo, 
Mayol venne a trovarmi in camerino e ci abbracciammo; eppure 
quell’abbraccio era assai meno espansivo […] e quando io gli dissi: << 
Ma perché io non piaccio? >> si piegò nelle spalle e non seppe 
rispondermi. 
15
 
 
 
 
 
 
                                                 
14
 Raffaele Viviani, Dalla Vita alle Scene,   cit , p. 83. 
15
 Ivi,  pp. 86-87. 
 
 14
 
Viviani ha l’occasione e l’opportunità  di conoscere anche il 
famoso scultore Vincenzo Gemito. 
 E una sera che venne a sentirmi al teatro fiorentini, nel gennaio del’25, 
fu talmente preso dalla mia napolitanità e dalla mia maschera, che 
venne sul palcoscenico per darmi un bacio e mentre io glielo 
ricambiavo, carezzandogli la folta barba bianca, soggiunse: - Io t’aggi ‘ 
a fa ‘na bella capa ‘e terracotta, guagliò !  E poiché, ripeto, in me 
questa idea era un desiderio già lungamente vagheggiato, accettai con 
entusiasmo, e, pochi giorni dopo, incominciò il mio pellegrinaggio al 
suo tardo studio del Parco Grifeo. Venti sedute di un’ora ciascuna, ecco 
tutto! […].Quanti hanno  accennato al suo dire dinamico e quanti 
hanno concluso che il periodo di semistasi mentale abbia lasciato 
nell’artista tracce evidenti di una certa discontinuità. No non è così 
[…]. Vi convincerete osservandolo lavorare che il suo spirito d’artista 
domina il suo cervello ed inverdisce i suoi 75 anni […].Le lettere 
scritte da Gemito che io conservo come reliquie, sono brani dell’anima 
sua sensibile, vi si trovano massime e pensieri che sono  assiometrici, 
parole dette alla buona che suonano sentenze.
16
 
 
L’incontro è descritto nei minimi particolari ed evidenzia un 
senso di grande ammirazione e venerazione per il Maestro, 
che  nonostante l’avanzata età  e la grave malattia, riesce a 
modellare e creare opere sublimi. 
Esiste una vera affinità tra il Nostro e lo scultore; li 
accomuna  il senso del realismo. 
 
 
 
                                                 
16
 Ivi, pp. 119-120-121.