2
Una definizione di voce – rumor in inglese – viene fornita da Paolo Toselli 
[2004: 6], secondo cui questa sarebbe:  
 
Un’informazione che apporta una verità (la rivelazione di un segreto 
insospettabile), sia essa ancora non confermata pubblicamente da fonti ufficiali, 
ovvero smentita da queste, relativa a una persona o a un evento legati all’attualità. Si 
tratta di una “notizia” breve, di un flash poco verificabile, risultante anch’esso ad un 
processo di discussione collettiva. La voce può trasformarsi in leggenda e viceversa.  
 
Altro genere è quello delle «bufale», notizie di eventi non avvenuti, costruite 
appositamente, molto spesso, per essere introdotte nel circuito dei mass media. Si 
tratta sovente di una vera e propria trappola, congegnata da autori di scherzi o 
ideatori di falsi fatti di cronaca [Toselli 2004: 6]. Carlo Formenti parla al riguardo 
di «bufale buone», intendendo con questa etichetta le bufale costruite ad arte, le 
quali “sfruttano la Rete per mettere a nudo i punti di debolezza degli altri media” 
[Molino, Porro 2003: XI].  
False notizie, dicerie, voci infondate e leggende trovano condizioni favorevoli 
alla loro diffusione e accettazione, soprattutto in momenti e situazioni in cui si ha 
bisogno di certezze, speranze e spiegazioni, e ci si deve confrontare con la 
censura o la disorganizzazione dei normali circuiti di comunicazione 
dell’informazione. Attenzione particolare deve però essere data alle «bufale», che 
si rivelano trappole in cui cadono anche i mezzi di informazione più seri, inganni 
confezionati ad arte finalizzati a screditare, depistare, confondere le acque 
[Toselli 2004: 17].  
Diventa sempre più complesso tracciare una netta demarcazione tra leggenda, 
voce, bufala e fatto di cronaca.  
Questo ovviamente non significa che si abbia a che fare solo con uno dei due 
fenomeni, cioè solo con leggende piuttosto che esclusivamente con esperienze 
reali: “i due mondi convivono, influenzandosi l’un l’altro, e costituendo assieme 
la nostra «realtà»” [Toselli 2004: 227]. Voci e leggende metropolitane sono 
oggetto di credenza e di diffusione perché assolvono a funzioni psicologiche e 
sociali che fanno sì che il loro contenuto appaia come verosimile, interessante, ed 
importante.  
 
 3
Secondo Luca Damiani il concetto fondante di quelle che vengono definite 
leggende urbane, o metropolitane
1
, è “la necessità di abbellimento e 
completamento della realtà, di costruzione di una piccola mitologia per un 
quotidiano quasi sempre insufficiente, una minuta mitopoiesi” [2004: 132] su cui 
è stato scritto molto per cercare di spiegare in qualche modo quegli eventi 
sorprendenti di cui si è spesso sentito parlare, come per esempio le voci su 
presunti coccodrilli albini e ciechi nelle fogne di New York o i cani che in realtà 
sono dei roditori appestati importati dall’Oriente da ignari turisti.  
Le leggende sono dunque forse necessarie per dare uno sfogo pulsionale 
all’angoscia collettiva? Oppure è concreto il dubbio secondo cui le “leggende 
sono un parassita sociopsicologico nato a ridosso di eventi misteriosi e non 
decifrabili, in altre parole un codice popolare (forse la vecchia vox populi) per 
decodificare una verità intuita” [Arona 1994: 15]? Le moderne megalopoli 
coltivano ancora in esse, paradossalmente, alcuni aspetti molto simili a quelli del 
mondo medievale: le leggende, ma soprattutto l’immaginario che esse mettono in 
moto, “corrono il rischio di diventare la cultura dominante e di creare un ulteriore 
ecosistema in cui due mondi (il reale e ciò che si suppone tale) convivono, 
influenzandosi l’un l’altro” [Arona 1994: 15].  
“Il confine fra realtà e fiction è uno zig-zag del possibile, una serpentina insidiosa 
che riesce a trarre in inganno anche i più smaliziati, spesso facendo leva sulle 
paure più profonde” [Laurenzi 2004]: animali e creature misteriose sono 
protagonisti di leggende urbane e di hoax. Rilette a freddo, molte di queste 
appaiono come grottesche sceneggiature di scherzi [Laurenzi 2004]:  
 
I ragni urlatori che popolano il deserto dell'Iraq in mano ai soldati americani: sono 
giganteschi e quando ti azzannano ti iniettano una sostanza simile alla novocaina. I 
poveri e deformi gatti bonsai: crudelmente allevati dentro una bottiglia fra lancinanti 
torture. E poi il cucciolo di drago conservato in formalina. Urban legends e hoax, brevi 
storie dal contenuto sorprendente e dalle infinite varianti, mescolano elementi reali 
con alcuni verosimili e altri decisamente falsi, unendoli a luoghi comuni, aneddoti, 
sentito dire.  
 
 
                                                 
1
 Damiani definisce le leggende metropolitane come “racconti di fantasia che soddisfano un bisogno 
 4
Per Pandolfi [1992: 123]:  
 
L’evoluzione fantastica è «non darwiniana», essa si è costituta non su prove certe, 
documentabili e misurabili come la scienza attuale vuole, ma è stata invece prodotta e 
generata da notizie e racconti, dal visto ma non dal misurato, dal narrato e non 
raccolto. L’evoluzione fantastica è una congerie di «si dice», un’evoluzione pettegola 
del «narrano che». 
 
Secondo Tibaldi [1980: 11]: “Le creature della fantasia continuano a vivere e a 
trasformarsi. La loro realtà non è biologica, ma sussiste nella mente, nelle 
persone, nelle culture tradizionali, nella memoria della specie umana”. E continua 
[1980: 49]:  
 
I mostri, reali o immaginari, sono parte della nostra vita. Più è la loro estraneità 
rispetto alla forma cui siamo abituati, più alta è la loro capacità di coinvolgerci, di 
introdursi nella nostra vita quotidiana. Il fatto che la letteratura mondiale sia 
abbondantemente popolata da mostri, insieme al fatto che essi nascano soprattutto da 
miti e leggende, è l’elemento fondativo di una paleontologia dell’immaginario.  
 
Secondo Izzi [1982: 34]:  
 
Il mostro è tale solo nei confronti di un «normale» che è stabilito in base alla 
omogeneità ad una collettività. Quindi il mostro è tale rispetto alla società costituita, e 
ne incarna tutte le incertezze. In questo senso funziona da destabilizzatore, e innesca 
nella società un processo di rigetto violento, che arriva fino al rituale allontanamento o 
alla eliminazione del «diverso».  
 
Il mostro ha sempre occupato, a seconda dei luoghi e delle epoche, un ruolo più o 
meno importante nelle varie civilizzazioni [Lecouteux 1988: 114]:  
 
Di volta in volta comparsa o attore, amico o nemico, terrificante o stupefacente, 
oggetto di curiosità o repulsione, simbolo delle forze del male o al servizio del bene, 
allegoria o caricatura, finzione o realtà, il mostro è il riflesso negativo dell'uomo, 
l'espressione della sua ambiguità, delle sue paure e dei suoi desideri, simbolo di quella 
angoscia collettiva a cui leggende e voci cercano di dare sfogo. Capace di sostenere 
infinite parti e di rivestire infinite forme, il mostro si è assicurato la perennità poiché è 
inscindibile dall'uomo, suo creatore.  
 
                                                                                                                                          
atavico” [2004: 132]. 
 5
A dispetto del grande numero di specie animali conosciute, l'uomo sembra sentire 
da sempre un insopprimibile bisogno di inventarne delle nuove: un bisogno che si 
avverte già nella preistoria e che, nel corso dei millenni, è andato ad arricchire un 
bestiario fantastico di dimensioni notevoli [Benedetti 2002: 3].  
Tale tema si tramanda nei secoli con alterne vicende arrivando tuttavia fino ai 
giorni nostri. Il catalogo dei cosiddetti mostri prende sempre più corpo col 
passare del tempo e paradossalmente, con il progredire delle conoscenze.  
Le immagini che appartengono al mostrifico e che utilizzano il medium visivo 
come strumento espressivo hanno spesso un carattere perturbante. Le 
raffigurazioni mostruose si oppongono alla realtà naturale, combinano e fanno 
convivere diversi elementi in modo innaturale, associano elementi naturali a 
elementi fantastici. A partire dalla metà del Settecento le tecniche dell'industria 
culturale ricorrono costantemente al potere che i mostri esercitano 
sull'immaginazione: ibridi tra uomini e bestie, oltre a demoni, mutanti, alieni, 
automi, popolano l'immaginario collettivo, congiungendo in un'unica attività 
fantastica i poli opposti della cultura d'élite e della cultura di massa. Dall'avvento 
del cinema in poi le strutture dell'immaginazione affidano il mostro a un processo 
simbolico preconfezionato. L’industria culturale nel suo complesso ha fatto 
emergere a ondate e moltiplicato all'infinito l'immagine del mostro in tutte le sue 
varianti.  
Nel XX secolo il mostro sembra dissimularsi nel quotidiano, diventa un 
fenomeno da intrattenimento, è sfruttato anche dai mezzi di comunicazione. Il 
meraviglioso contemporaneo trae vantaggio dalle moderne tecniche di diffusione 
collettiva. Le voci sono amplificate e diffuse dai media, le leggende 
contemporanee sono fomentate da articoli di giornale e da e-mail che 
imperversano attraverso la posta elettronica. Per Benedetti [2002: 3]: “Se oggi 
nessuno crede più a unicorni e manticore, altri animali hanno preso il loro posto: 
il Mostro di Loch Ness, lo Yeti, il Bigfoot, il Mokele m'bembe e una incredibile e 
colorita varietà di altre creature, che sembrano fatte apposta per stimolare la 
curiosità e la fantasia”.  
Oggi la sensibilità visiva e deformata delle società industriali potenzia la 
proliferazione di mostri, spingendo in un certo senso l'umanità a fare i conti con 
essi. La mostruosità permea la nostra cultura.  
 6
“La gente oggi ha un gran bisogno di mostri nell'immaginario perché ha bisogno 
di sedare le ansie e le paure della «normale» mostruosità che questa società 
produce, direzionandole verso dei mostri immateriali, ma dai connotati fisici e 
caratteriali definiti concretamente” [Fortunati 1995: 171]. Questi nuovi mostri, 
ispirati magari malamente all'eredità del passato, il più delle volte continuano ad 
essere forma vuota e degradata, ma sono presenti in grande quantità. I mostri 
odierni sono rintracciabili nei film, nei cartoni animati, nei fumetti, nei racconti di 
fantascienza, ma sembra anche sul Web. Le cronache degli antichi viaggiatori ed 
esploratori sono colme di descrizioni di strani esseri, draghi o animali mostruosi 
che vivevano ai confini del mondo conosciuto. Si potrebbe pensare che oggi, con 
l'esplorazione completa del nostro pianeta non ci siano più zone d'ombra in cui i 
mostri si possano rifugiare: sulle pagine dei giornali le storie di animali mostruosi 
e strani ogni tanto fanno capolino. E’ necessario domandarsi se si tratti solo di 
leggende e storie assurde nate da racconti di avvistamenti stravaganti, se questi 
«mostri» siano generati dall’immaginario attraverso deformazioni mediatiche, e 
interrogarsi sul ruolo che oggi gioca il più diffuso dei nuovi mezzi di 
comunicazione, Internet, con i suoi strumenti, all'interno di un contesto del 
genere.  
Il mostro è l’incarnazione del perturbante, elemento chiave di molte voci e 
leggende contemporanee: figura presente da secoli in fiabe e racconti, esso è oggi 
attualizzato in molte voci contemporanee, che rimaneggiano le sue peculiarità e lo 
adottano alle proprie esigenze. Voci e mostri sono entrambi generati da una 
deformazione frutto dell’immaginario, nascono da una distorsione della realtà. 
Oggi i mezzi di comunicazione in generale, ma soprattutto Internet con i suoi 
strumenti, possono intervenire su questo aspetto e dare vita a risultati inediti. 
Questo lavoro intende indagare su questi aspetti. Occorre sottolineare che la 
scelta di questo lavoro si indirizza all’ «immaginazione dei mostri», all’aspetto 
creativo, poetico degli esseri immaginari, a quelle figure, frutto dell’immaginario 
e dell’immaginazione, attraverso cui l’epoca contemporanea cerca di dare forma 
(o di fomentare) paure anche archetipiche. Queste idee costituiscono il 
fondamento di questo lavoro, accanto all’ipotesi che le leggende possano essere 
considerate delle «finestre aperte» sull’immaginario collettivo, una delle modalità 
narrative attraverso le quali i gruppi sociali trasmettono e condividono alcuni 
 7
aspetti e visioni della realtà e della società.  
 
Nella prima parte di questo lavoro (capitoli I-II) si analizzano le caratteristiche e 
le definizioni precipue di voci e leggende contemporanee (cap. I) e il loro 
rapporto con i mezzi di comunicazione in generale (capitolo II).  
 
Il punto di partenza del capitolo primo è la definizione di «voce che corre» e di 
leggenda, in modo che tali concetti risultino chiari per tutto l’evolversi del lavoro. 
Si prendono inoltre in considerazione i vari studi che si sono compiuti in materia 
e le caratteristiche fondamentali di questi fenomeni. Ci si sofferma in particolare 
sulla struttura e sulla dinamica attraverso cui si esplicano. Particolare attenzione 
viene posta ai legami che intercorrono tra voci, leggende contemporanee e i 
generi ad essi simili, per evidenziarne caratteristiche comuni e differenze. Si 
evidenziano soprattutto le relazioni con leggende tradizionali, con i miti e con il 
fatto di cronaca, che spesso si genera da leggende e voci stesse.  
 
Il capitolo secondo si focalizza sul rapporto tra mezzi di informazione e le voci: 
posta l’attenzione sul ruolo di creatori e propagatori dei media, si esamineranno i 
concetti di «memi» e oralità secondaria, fondamentali per comprendere la 
relazione tra voci e informazione. Successivamente, si indagherà sul concetto di 
«fiction», di «fattoide» e di «beffa mediatica», al fine di approfondire i 
meccanismi che fanno mutare voci e leggende in notizie fittizie autentificate dai 
mezzi di comunicazione.  
 
Nella seconda parte di questo lavoro (capitoli III-IV) ci si concentrerà sulla figura 
del mostro.  
 
Il capitolo terzo si sofferma sul significato del termine, sulla evoluzione del 
concetto e sulla interpretazione che ha assunto nell’immaginario collettivo nel 
corso delle varie epoche e nelle diverse culture. Come sostiene Leopoldina 
Fortunati: “Chi voglia oggi prendere in considerazione questa figura 
dell’immaginario collettivo non può comprenderne l’attuale più intima sostanza 
di indicatore sociale se non ripercorrendo la sua storia, le sue estetiche, le sue 
 8
ideologie, i suoi modi di produzione e di consumo, i suoi mezzi di 
comunicazione” [1995: 15].  
 
Il capitolo quarto affronta il tema delle voci e delle leggende contemporanee 
relative ai mostri e alle creature «fantastiche» che vengono diffuse in epoca 
contemporanea, delineando le cause scatenanti del persistere di un certo 
immaginario archetipico in fenomeni di questo tipo. Ci si sofferma inoltre sui 
meccanismi che generano la strutturazione delle creature fantastiche e che 
permettono la diffusione della voce e della leggenda all’interno dell’immaginario 
collettivo. Inoltre si intende indagare il ruolo che in epoca contemporanea 
rivestono leggende e voci relative a creature «mostruose» all’interno di contesti 
urbani ed extraurbani, e le varie letture e interpretazioni a cui queste figure sono 
sottoposte attraverso voci e leggende stesse.  
 
La terza parte (capitoli V-VI) ha l’obiettivo di analizzare da un lato le 
caratteristiche che voci e leggende contemporanee assumono su Internet, e 
dall’altra i ruoli che il medium riveste nei loro confronti.  
 
Il capitolo quinto indaga le peculiarità che questi fenomeni hanno assunto 
nell’incontro con il nuovo mezzo di comunicazione: in particolare, si intende 
esaminare i concetti di «Netlore», una tipologia di folclore a cui Internet ha dato 
vita, e di «voci elettroniche». Portando avanti una analisi di similitudini e 
differenze con le voci orali tradizionali, si vogliono evidenziare le peculiarità di 
questo nuovo genere di voci, diffuse tramite la posta elettronica, anche attraverso 
una analisi approfondita delle varie tipologie a cui danno vita, come le catene via 
mail e i falsi allarmi. Si pone inoltre attenzione al ruolo dell’immagine e al 
fenomeno delle «images rumorales», un particolare genere di voci, per 
definizione negato alle voci trasmesse oralmente, a cui ha dato vita Internet e che 
oggi è divenuto basilare nella propagazione di leggende contemporanee attraverso 
il Web e la posta elettronica.  
 
Il capitolo sesto pone l’attenzione sui cosiddetti «siti di riferimento» per quanto 
concerne la catalogazione di voci e leggende contemporanee, sulle caratteristiche 
 9
delle «Cliniche delle voci» digitali, sulla loro origine e sulla loro genesi nell’era 
di Internet: in esse, voci e leggende vengono catalogate e approfondite. In 
seguito, vengono presi in considerazione cinque siti web, due di origine 
nordamericana e tre di origine italiana: attraverso la loro analisi, si valuta come 
essi affrontino il tema delle «voci che corrono» e delle leggende contemporanee. 
In particolare, dei siti si esaminano, oltre le caratteristiche precipue e le modalità 
di approccio alla tematica, voci e leggende relative ai «mostri» e a creature 
mostruose da essi catalogati.  
Attraverso un approfondimento di questo tipo si vuole comprendere come 
Internet intervenga nei confronti di queste figure e di questi fenomeni, rispetto 
alla catalogazione del materiale, ma anche alla formazione stessa di «voci 
elettroniche» e «images rumorales» commiste a tali «simboli mostruosi», 
contribuendo così alla attualizzazione del tema del mostruoso nell’immaginario 
collettivo e alla formazione di una originale fase del mostrifico del tutto inedita, 
appartenente all’epoca contemporanea digitale.  
Voci e leggende contemporanee come oggetto di studio
 
 
 10
Capitolo I 
Voci e leggende contemporanee come oggetto di studio. 
 
 
Falsi racconti hanno sollevato le folle. 
Le false notizie, in tutta la molteplicità 
 delle loro forme, semplici dicerie,  imposture,  
leggende, hanno riempito la vita dell’umanità. 
 
Marc Bloch 
 
1.1 Studi e teorie.  
 
Il fenomeno della «voce che corre», a cui le scienze umane si sono 
interessate in particolare durante la Seconda guerra mondiale, è stato 
esaminato, descritto e spiegato secondo diverse modalità di approccio. 
Benché la voce sia un fenomeno antico che è probabilmente sempre esistito, 
da un punto di vista scientifico è un concetto recente. La maggior parte degli 
studi dedicati alle voci e alle leggende contemporanee appartengono al 
campo del folklore. In particolare, lo studio del folklore consiste nel 
classificare e interpretare, all’interno del loro contesto culturale, i prodotti 
dell’interazione umana quotidiana, che vengono trasmessi da persona a 
persona. L’epoca d’oro degli studi folcloristici europei si situa tra la fine del 
XIX e l’inizio del XX secolo. Priorità è data naturalmente alla raccolta e 
all’analisi di tradizioni rurali e popolari, spesso di origine antica, ma non è 
raro che l’attenzione dei folcloristi si concentri anche su credenze recenti, 
raccolte non solo in ambienti rurali ma anche nel contesto urbano: questi 
ricercatori furono precursori degli attuali studi sulle leggende moderne 
[Renard 1999: 8-9].  
Il termine voce ha conosciuto una forte crescita nel XX secolo: è divenuta un 
mezzo per osservare il morale delle popolazioni; il XX secolo darà dunque 
vita ad una voce moderna, la nozione diventerà funzionale ed entrerà a far 
Voci e leggende contemporanee come oggetto di studio
 
 
 11
parte degli interessi delle scienze sociali. Le prime vere ricerche empiriche 
sulle voci iniziano negli Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale 
[Toselli 2002: 12], ma prima di allora alcuni autori hanno donato corpo e 
coerenza allo studio della voce.  
Un articolo pubblicato nel 1902 da Louis William Stern, studioso di cui 
Gordon Allport fu allievo, è in questo senso un ottimo esempio. Pascal 
Froissart
1
 sostiene che la voce sia diventato oggetto di studio in modo 
«incidentale», in seguito all'articolo di Stern: questo articolo riguardava il 
concetto di testimonianza e la psicologia giudiziaria, ma in realtà segnò la 
nascita della voce come concetto di interesse per le scienze umane. Venne 
preso in considerazione l'esperimento in cui si osserva una voce sperimentale 
che passa di soggetto in soggetto: lo sperimentatore lancia la voce e osserva 
ciò che viene diffuso tra i soggetti. Per Froissart questa è la vera invenzione 
della voce moderna.  
Sarà Rosa Oppenheim, collaboratrice di Stern, nel 1911, a rafforzare il 
concetto, e definirà la voce come mezzo di comunicazione di massa.  
Dopo la Prima guerra mondiale, gli studiosi impegnati nel campo della 
psicologia della testimonianza hanno formalizzato le loro ricerche sulle voci 
e sui racconti prodotti in tempo di guerra. Gli autori mostravano come le 
sofferenze della guerra si accompagnassero a ogni sorta di racconti 
immaginari: atrocità commesse dal nemico, azioni eroiche inventate, voci di 
tradimento, invenzioni di armi segrete, apparizioni sovrannaturali che 
aiutavano i combattenti e così via. Tutto ciò dimostra che le leggende non 
sono necessariamente un’eredità del passato e che la loro produzione è 
sempre viva.  
Secondo March Bloch, storico francese che si è occupato in particolare di 
voci e leggende durante la Prima guerra mondiale, le «false notizie», come 
Bloch definiva semplici dicerie, imposture o leggende, avrebbero dovuto 
essere analizzate come realtà identificabili che, al di là della loro falsità, 
                                                 
1
 Froissart Pascal, 2002, La rumeur : histoire ou fantasmes, Paris, Belin, 
http://pascalfroissart.online.fr/0-htm/froi-02c.html 
Voci e leggende contemporanee come oggetto di studio
 
 
 12
rivelavano in modo indiretto qualcosa di profondo sulla società: “la falsa 
notizia è lo specchio in cui la «coscienza collettiva» contempla i propri 
lineamenti” [1994: 104]. Marc Bloch era ancora radicato all’idea che le 
leggende nascessero da errori
2
 . Solo successivamente, in un saggio 
posteriore, «I re taumaturghi», egli realizzò che le leggende e i miti sono 
portatori di una loro verità che lo storico deve scoprire.  
Nel 1932 Kirkpatrick modificherà il protocollo di Stern: egli sottolineerà che 
l'informazione si deteriora circolando, ma ci si può domandare se questo 
processo è soltanto quello della voce o più semplicemente quello 
dell'informazione in generale.  
I padri fondatori del settore disciplinare di studi sulle voci in senso moderno 
sono però i due psicologi americani Allport e Postman. Questi studi furono 
richiesti dall'esercito americano e comparvero in tempo di guerra per 
combattere le voci frequenti che demoralizzavano le truppe e la popolazione. 
Allport e Postman, all'origine del protocollo sperimentale del «gioco del 
telefono» concepiscono la voce come: “una tesi collegata agli eventi del 
giorno, destinata a essere creduta, propagata di persona in persona, di solito 
tramite il passaparola, senza che esistano dati concreti che permettano di 
dimostrare la sua esattezza”. I lavori di questi due autori si ispirano a quelli 
di Stern, riprendono lo stesso concetto e lo integrano in un modello di 
controllo sociale fatto di propaganda e di strategia militare. La voce diventa 
un'arma di guerra, può uccidere.  
Negli anni Quaranta del Novecento Knapp ha ideato un metodo al fine di 
classificare le leggende, in base al loro tema centrale. Egli le ha suddivise in 
voci di desiderio, voci aggressive e voci di paura. Knapp, allievo di Allport, 
definisce la voce come: “una dichiarazione destinata a essere creduta, che si 
riferisce all'attualità ed è diffusa senza verifica ufficiale”. In questo caso, il 
                                                 
2
 “Le false notizie nascono spesso da osservazioni individuali inesatte, o da testimonianze 
precise, ma questo accidente originario non è tutto; in realtà da solo non spiega niente. 
L’errore si propaga, si amplia, vive infine ad una sola condizione: trovare nella società in cui 
si diffonde un terreno di coltura favorevole. In esso gli uomini esprimono inconsapevolmente 
i propri pregiudizi, gli odi, le paure, tutte le proprie forti emozioni” [1994: 84]. 
Voci e leggende contemporanee come oggetto di studio
 
 
 13
concetto di voce è stato utilizzato come contro-propaganda, diventa 
strumento politico.  
Allport e Postman nel 1947 hanno ipotizzato che le voci subiscano un 
processo di appiattimento, accentuazione e assimilazione. Per i due studiosi 
americani la voce è «una proposizione legata agli avvenimenti del giorno, 
destinata ad essere creduta, propagata da persona a persona, trasmessa in 
genere di bocca in bocca, senza che esistano dati concreti tali da 
comprovarne l’esattezza» [Kapferer 1988: 12]. La psicologia ha insegnato a 
riconoscere che la percezione degli oggetti, anche dei più semplici, non è un 
processo di rispecchiamento della realtà, ma piuttosto di interpretazione e di 
costruzione dei dati. Allport e il suo collega Postman nel corso delle loro 
analisi fecero un esperimento per verificare se il modo in cui le persone 
recepivano e raccontavano ad altri un messaggio potesse spiegare i 
meccanismi attraverso i quali da un fatto vero nasce una leggenda [Montali 
2003: 46]. I tre processi che secondo Allport e Postman intervengono nella 
trasformazione del messaggio dalla sua forma iniziale a quella finale sono:  
 
- la riduzione degli elementi; 
- l’accentuazione di alcuni particolari;  
- la loro assimilazione in una immagine coerente.  
 
Nella vita reale non ci troviamo mai semplicemente di fronte ad un oggetto, 
ma ci arriviamo invece carichi di informazioni, aspettative, schemi 
interpretativi (talvolta pregiudizi), che altri, per esempio i mass media, gli 
hanno attribuito [Montali 2003: 47]. Allport e Postman sostengono che la 
voce non è altro che una proto-leggenda in via di solidificazione o, più 
prosaicamente, che la voce nasce in alcuni contesti di incertezza, di 
ambiguità e di interesse generale , da cui è derivata la famosa formula:  
 
R = Importanza x Ambiguità 
 
Voci e leggende contemporanee come oggetto di studio
 
 
 14
che non ha altri meriti oltre il suo formalismo, visto che le scale di misura 
delle variabili R «quantità di voci», I «importanza» e A «ambiguità» non 
sono mai state esplicitate. Infine essi sostengono di possedere un'arma per 
lottare contro la voce: si tratta di una struttura amministrativa da utilizzare in 
caso di crisi sociale, l'RCC (Rumor Control Center). La teoria degli autori 
americani conosce presto un buon successo che si spiega sia per la semplicità 
pratica dell'apparato teorico che per l’immensa diffusione dei loro studi. Il 
successo mondiale degli autori americani eclissò largamente l’apporto di altri 
autori.  
Si può fare risalire un po’ più in là nel tempo l'origine dello studio delle voci 
se si affianca questo concetto a quello di leggenda urbana, come ha fatto lo 
studioso francese Jean-Bruno Renard [1999: 7], il quale sottolinea che alla 
fine del XVIII secolo Bernard Le Bovier de Fontanelle, filosofo e letterato 
francese all'epoca dei lumi e autore di un saggio intitolato De l'origine des 
fables, spiegava la nascita delle leggende con quattro fattori principali: 
l'ignoranza dei popoli riguardo le leggi della natura, la forza 
dell'immaginazione che esagera le cose, la trasmissione orale degli scritti che 
peggiora la deformazione del  loro contenuto e, infine, il ruolo esplicativo del 
mito. Un sociologo contemporaneo approverebbe certamente queste 
conclusioni, secondo Renard. Tuttavia, occorre attendere gli studi folklorici, 
sorti all'inizio del XIX secolo, perché ci si interessi realmente alle leggende. 
L'interesse scientifico per le leggende urbane è sorto circa un secolo fa. Sin 
da quest'epoca i folcloristi hanno iniziato a dedicarsi allo studio delle 
leggende ed hanno tentato di trovare la loro origine ed il loro significato. 
All'inizio del XX secolo, i lavori sulle leggende sono proseguiti, in 
particolare per quanto riguarda le storie di guerra. Infatti dopo avere vissuto 
due guerre mondiali le leggende sulle sofferenze inflitte alle popolazioni, i 
tradimenti, le invenzioni di armi segrete, gli atti eroici o anche le apparizioni 
sovrannaturali che aiutano i combattenti sono state estremamente numerose. 
Voci e leggende metropolitane, in passato, hanno attirato l’interesse di alcuni 
Voci e leggende contemporanee come oggetto di studio
 
 
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psicoanalisti; tra questi Marie Bonaparte, ad esempio, che nel suo lavoro 
Mytes de Guerre (1950) ha dato una interpretazione alle numerose leggende 
che si erano diffuse durante la Seconda guerra mondiale, e Carl Gustav Jung.  
Sono però soprattutto gli studi folclorici anglosassoni che hanno richiamato 
l’attenzione sulle leggende contemporanee e metropolitane. Le leggende 
contemporanee divengono un settore riconosciuto degli studi folclorici nel 
1959 quando il folclorista americano Richard Dorson – uno dei pionieri della 
ricerca sulle leggende urbane – fornisce, nell’ambito di un’opera generale sul 
folclore americano, un contributo dedicato esclusivamente al «folclore 
moderno». L’autore presenta esempi vari di racconti e dimostra come queste 
storie moderne hanno la stessa natura e la stessa funzione delle leggende 
tradizionali, di cui esse riprendono spesso dei motivi [Renard 1999: 24].  
Dagli anni Settanta in poi si incominciò a parlare di urban legend o di 
contemporary legend. Nel giugno 1980 Jan Harold Brunvand pubblicò un 
articolo sulla rivista «Psychology Today» intitolato Leggende urbane: il 
folclore odierno. Un testo che può considerarsi il fondatore di un genere, in 
quanto fornì agli specialisti in scienze umane un nuovo oggetto di studio e 
allo stesso tempo una definizione semplice che sarebbe divenuta negli anni a 
seguire sempre più di uso comune. Il 1981 può essere simbolicamente 
considerato come il debutto del periodo di istituzionalizzazione del campo di 
ricerca sulle leggende moderne. In questo anno, in effetti, Jan Harold 
Brunvand pubblica il primo volume di una serie di raccolte di leggende 
urbane: The Vanishing Hitchhiker. American Urban Legends and Their 
Meanings
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. Brunvand, che ha ottenuto la tesi di dottorato all’Università 
dell’Indiana sotto la direzione di Richard Dorson, è Professore Emerito 
all'Università dello Utah a Salt Lake City. Dal 1987 al 1992, egli ha curato su 
alcuni quotidiani americani una rubrica dedicata alle leggende metropolitane. 
 
                                                 
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 Traduzione letterale: «L’Autostoppista fantasma. Leggende urbane americane e loro significati». 
Questa prima raccolta commentata di Brunvand, ritenuta da molti come la più interessante, non è 
stata tradotta in italiano.